Severus Piton & Alan Rickman Fan Forum

La sala trofei

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icon13  view post Posted on 25/4/2007, 16:28
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My warrior, my beloved, my everything, I will love you endlessly

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Faraway,so close.

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Qui verranno glorificate tutte le vincitrici dei Fan Contest del Severus Piton Fan Forum.
Affinchè la loro gloria non si perda :D Ogni contest verrà premiato con un piccolo Banner di riconoscomento^^



Contest #1



Vincitrice: La nostra
Naomy con la sua Snape Doll ;)
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Contest #2



Vincitrice:
Sivra

Con questo avatar :shifty:

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Complimenti ^^

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Banner by Naomy and RJ Lupin

Contest 3



vincitrice: damarween, con la fiction:
Una promessa... e petali appassiti
Era un grande e magico luogo, questo, tanti anni fa.
Lo era prima di te, di me, e di tutti quelli che, qui dentro, ho visto morire.
Le voci echeggiavano sulle pietre, moltiplicandosi all’infinito, fino a perdersi tra queste arcate che, da qui, sembravano essere più alte del cielo.
Le ho odiate quelle voci, si, le ho odiate.
Alla continua ricerca di una tetra solitudine che avrebbe dovuto nascondermi.
Non lo ha fatto, non lo ha fatto mai.
Stupido, ecco, solo uno stupido.
Se potessi risentire quei suoni, quelle grida di gioia, di speranza.
Non le sentirò mai più.
E’ così che ti ho incontrata, la prima volta.
Eri una di quelle voci, anche tu.
E io ti ho odiata con la mia assurda, forzata cattiveria.
Ti odiata perché mai nessuno mi aveva insegnato altro.

Non sopporto più questi ragazzini urlanti.
Silenzio, vorrei solo trovare un po’ di silenzio.
Una risata squarcia l’aria calda di fine estate, un nuovo anno, un nuovo, dannato inizio.
Mi giro, pronto a sibilare tutte quelle mie proverbiali parole velenose che sono in grado di zittire anche il vento.
Mi giro, una giovane ragazza mi guarda divertita.
Perché? Non c’è nulla di diverte in me, non c’è mai stato.
Perché mi stai guardando?
Voltati e lasciami solo, anche tu, come tutti gli altri.
Ti avvicini, sorridi.
Non capisco.
- “ Buongiorno professor Piton.”
Ti guardo sorpreso, intuisci la mia perplessità.
- “ Freya, Freya Danckin.” Tendi una mano, cerchi la mia.
Mi volto, non voglio concedere nulla, voglio solo tornare nei miei sotterranei bui.
- “ Professor Piton, aspetti! Mi manda il ministero, Silente gliene avrà parlato!”
Mi fermo.
- “ Si, me ne ha parlato!”
Capisco.
Capisci anche tu.
- “ Non si aspettava una ragazza, professore?”
No, non mi aspettavo nulla, sono anni che non mi aspetto più nulla, ma tu che cosa ne sai?
Un assistente, per le assenze dovute al tuo lavoro di spia, così mi aveva detto Silente, un assistente.
Non ti sopporto, non sopporto nessuno.
- “ Mi segua.” Il mio tono risulta poco gentile, non me ne curo, non l’ho mai fatto.
Lo fai a testa bassa, entri nel mio studio, ti guardi intorno.
Non commenti, non fai nulla.
Vorrei ringraziarti per questo. Non lo faccio.
Sorridi divertita. Che cos’è che ti diverte?
- “ E’ in imbarazzo professore? Me ne dispaccio!”
Che cosa vuoi da me? Che cosa ti aspetti? Sei venuta qui pensando di trovare un amico? Bhè, non è così!
Non ti rispondo, ti guardo, ti guardo e basta, e tu sorridi, ancora.

Hai sorriso quel giorno lontano, hai sorriso senza paura.
Nessuno lo aveva mai fatto.
E ora sono qui, tra le vecchie pietre di un castello in rovina.
Dell’alta finestra gotica che illuminava il tuo viso dei dolci raggi del primo sole, sono rimasti solo polvere e vetri rotti.
La luce non filtra più, non come allora.
Le crepe sui muri seguono linee tracciate dal tempo.
Di quel grande, monumentale pavimento di marmo è rimasta solo una fitta coperta di muschio.
Sembrano passati secoli. Non è così.
O forse lo è, non me lo ricordo.
In questo punto, tanti anni fa, ho ricominciato a vivere.
E tu eri lì, al mio fianco, per insegnarmi a farlo.

- “ Severus aspetta!” la tua voce trafelata arresta la mia corsa.
Abbiamo fatto l’amore questa notte, o forse mi sono illuso che fosse amore.
Chi, chi può amare un mostro come me?
Sto scappando, vorrei non doverti guardare, vorrei avere la forza di non farlo, mai più.
- “ Che ti succede? Ti prego, aspetta!”
Mi fermo, non posso fare altrimenti, mi hai raggiunto, mi prendi per la tunica.
- “ Perché?”
Mi guardi, i tuoi occhi sono troppo grandi.
- “ E’ stato un errore Freya, lo sai anche tu!” sono freddo, sono bravo in questo.
I tuoi occhi indugiano nei miei, restano immobili per un tempo che mi sembra infinito.
Nessuno mi aveva mai guardato così.
- “ Io ti amo, Severus.” Lo dici senza pensare, sai che non te ne avrei dato il tempo.
Mi fermo, forse lo ha fatto anche il mio cuore. Quel che resta del mio cuore.
Mi baci. Le tue labbra candide, ancora una volta.
Il tempo si ferma, qualcosa è cambiato.
La luce filtra da quest’alta finestra di tempi lontani, schiaffeggia irriverente il tuo viso di bambina.
Sei bella, lo sai.
Qualcosa è cambiato, forse ho ricominciato a vivere.

Mi hai detto “Ti amo” quel giorno lontano.
Mi hai sorriso, mi hai baciato.
Non sono riuscito a parlare, non più.
Era qui, dove ora la polvere ed il vento combattono mute battaglie.
Era qui, dove adesso l’odore acre di muffa ricopre ogni cosa.
Quanto tempo è passato? Mi sembra di non riuscire a ricordarlo.
Tra queste pietre lise dagli anni, dove adesso gli schizzi di vecchio sangue rappreso disegnano sordide ombre piene di troppi ricordi.
Era qui.
Eravamo qui, quando quel colpo sordo ha messo fine ad un sogno incantato.

Un colpo secco.
Poi urla, terrore.
Sono qui, sono arrivati.
Non c’è più tempo per pensare, non c’è più tempo per scappare.
Ci hanno preso, lo sai, lo leggo nei tuoi occhi.
Corri verso il grande portone, vuoi provare a sbarrarlo.
Perché?Non servirebbe a nulla, prolungherebbe solo la nostra agonia.
- “ E’ inutile. Le ultime barriere sono crollate. Siamo in trappola. Che cosa cambierebbe?”
- “ Mi darebbe la possibilità di dirti ti amo, ancora una volta.” Gridi mentre sbarri la porta.
Mi guardi, vuoi che io lo dica, vuoi che lo io lo faccia, adesso.
Non ne sono capace, lo sai.
Un altro colpo, più forte.
Sono in corridoio, non c’è più tempo.
Ti allontani, scappi.
Nei tuoi occhi rivedo quella ragazza sognante, quella voglia di cambiare il mondo, quel desiderio di vivere che, adesso, sta dipingendo il terrore nel tuo limpido sguardo azzurro.
Corri verso di me, mi abbracci.
Ti stringo anche io.
Una luce accecante.
La porta ha ceduto.
Siamo soli, davanti alla morte.
Vedo quei suoi occhi rossi di serpente scrutarci, per troppo tempo li ho serviti.
Mi passano davanti tutti quegli attimi, quegli sguardi, quei momenti strappati ad un mondo che ci sapeva divisi.
Mi tornano in mente il tuo viso sorridente, le tue risate, così immensamente spensierate.
Mi torna in mente tutto.
Abbiamo deciso di lottare, di restare per difendere ciò in cui mi hai insegnato a credere.
Eravamo forti, pieni di speranza, pensavamo di salvarlo, questo mondo.
Non è stato così, il male ha vinto, ancora.
Probabilmente ormai non c’è più nulla da salvare, solo tu, i tuoi occhi, il tuo sorriso.
Mi paro davanti a te, mi stringi le spalle con le tue mani sottili, hai paura, hai troppa paura.
- “ Uccidi me, e lasciala andare.” So che non c’è speranza, ma non posso arrendermi.
Sento le tue mani stringersi ancora sulle mie vesti nere sporche di sangue.
Ho lottato, ho lottato con tutte le mie forze, non è servito a nulla.
Estraggo la bacchetta, so che sarà l’ultima volta, le forze mi stanno abbandonando.
- “ Come vuoi, Severus!” la sua voce è un sibilo velenoso, sembra che più nessun suono possa invadere queste mura.
Chiudo gli occhi, ti stringo la mano in quell’ultima, disperata speranza di poterti salvare la vita.
Sei al mio fianco, penso che sia un bel modo di morire.
Ti stringo ancora.
Poi un fruscio, una luce.
Aspetto l’impatto, so che non tarderà ad arrivare.
Un rumore secco.
Respiro ancora.
Perché? Perché respiro ancora?
Apro gli occhi, mentre una consapevolezza straziante invade la mia bocca.
Ho voglia di vomitare.
Mi giro, ti guardo.
Sei a terra, gli occhi socchiusi in un ultimo, fragile tentativo di porre fine a quel dolore insopportabile.
- “ Uccidimi!!” grido. Voglio morire, voglio morire con te.
- “ No, Severus, è questa la tua morte, guarderai agonizzare la donna che ami, la guarderai morire, e passerai il resto della vita a dannarti per non averla salvata. Morire è troppo semplice, troppo comodo. Tu mi hai tradito, e adesso soffrirai, più di quanto avessi mai immaginato. Te la toglierai da solo, la vita. Te la toglierai e sarà la mia più grande vendetta.”
Polvere, vento, un rumore stridulo, e poi nulla, solo silenzio.
Mi chino al tuo fianco, ho il cuore straziato da lame di vetro.
Ti stringi tra le mie braccia, mi guardi.
- “ Severus…!” sussurri.
- “ Sono qui!” ho la voce incrinata dal pianto, è la prima volta.
Mi guardi ancora, ti stringi al mio petto.
- “ Promettimi che continuerai a vivere, promettimi che ricomincerai, che sarai felice, ancora.” Sussurri.
Non posso farlo, sai che non posso.
- “ Promettimelo Severus, ti prego. Il mio tempo sta per finire, ho bisogno di sapere questo.”
Ti guardo, ho gli occhi pesanti, sono pieni di lacrime.
- “ Te lo prometto.” Assomiglia troppo ad una bugia.
Una fitta più forte solleva le tue membra straziate, un rivolo di sangue macchia il tuo mento sottile.
Ti stringi più forte.
- “ Ti amo Severus!” la tua voce è rotta dalla fatica, dal dolore.
Un sospiro più intenso, un sussulto.
Poi niente, nient’altro.
Resti immobile tra le mie braccia, i tuoi occhi azzurri senza vita osservano impavidi quei raggi di sole che ancora filtrano da questa alta finestra, non hanno più paura.
Resto qui, fermo. Non posso più muovermi, non posso più piangere, non posso più vivere.
- “ Ti amo, Freya.” Lo dico, lo dico adesso.
Adesso che non puoi più sentirmi, adesso che il tuo corpo, lentamente, sta diventando freddo.

Quanti anni sono passati da quel giorno?
Non lo so, non lo ricordo.
Di tutto quel grande e antico splendore sono rimasti polvere e muffa.
Di quell’antica luce è rimasta solo ombra.
Di quell’amore troppo grande è rimasto solo il ricordo.
Un ricordo che non posso più sopportare.
Non ho saputo amarti come volevi, non ne sono stato capace.
Sono anni che porto rose su questa tua muta tomba. Anni, tanti, troppi anni.
Perdonami Freya, non sono stato capace di dirtelo, non sono stato capace.
Ti amo, ti amo.
Ma a cosa serve ora? Ora che tu non puoi più sentirlo.
E qui, dove antiche pietre hanno visto nascere un amore, ora, restano solo petali appassiti che il vento, talvolta, fa danzare tra le sue braccia impalpabili.
Vorrei ancora poter credere in qualcosa, vorrei poter aver fede, vorrei poter pregare.
Questo non cambierebbe un ipotetico Dio, cambierebbe me.
Mi guardo intorno e di quell’antico splendore scorgo un triste riflesso.
Siete andati via tutti, uno dopo l’altro. Mi avete lasciato solo.
In quella solitudine che avevo sempre cercato, che avevo sempre bramato sopra ogni altra cosa.
Quella solitudine che hai interrotto in un giorno d’estate.
Vi odio, vi odio tutti. Perché, perché mi avete lasciato qui?
Non sono stato capace di salvarti, non sono stato capace.
Mi hai fatto fare una promessa, ricordi?
Perché lo hai fatto?
Io, io che non sono mai stato capace di farle, quelle promesse, ne ho fatta una troppo grande, troppo scomoda, troppo dolorosa.
Vorrei morire, adesso, per venire là, dove mi stai aspettando.
Vorrei poter puntare questa mia inutile bacchetta sul mio cuore e porre fine a tutta questa sofferenza.
Non posso farlo.
Non ti ho detto “ti amo” mia piccola Freya, non lo ho fatto in tempo.
E allora resto qui, per tener fede a quella assurda promessa, quel mio ultimo, disperato, gesto d’amore.
Ti rincontrerò un giorno, lo so.
E allora tutto sarà di nuovo vita, e gioia, e amore, come tu, solo tu hai saputo fare.
Talvolta mi chiedo se è davvero un dono la felicità.
Una felicità che poi è in grado di portare tanto dolore.
L’avevo sempre temuta, sfuggita, evitata, perché amare significa soffrire, significa perdere.
Ma poi sei arrivata tu, hai cambiato tutto.
Perché il dolore che sento oggi è lo specchio annerito di quella felicità di ieri, per la quale, amore mio, non potrò mai smettere di ringraziarti.
Mi alzo, sorrido.
So che puoi vederlo.
Mi allontano da questi vecchi ruderi, solco il prato gelato dalla brina.
Mi volto.
Il mio sguardo vaga alla ricerca di un altro ricordo per poter continuare a fingere di vivere.
- “ A domani, mio unico, grande, infinito amore!”










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<p align="center">#4 Contest



Vincitrice 0...Sivra...0






Contest 5



vincitrice: mapi-chan
con la fiction-racconto:

.
Appoggiò le mani sul ripiano in legno e chinò il capo in avanti, tanto che i capelli biondi sfiorarono i bordi della bottiglia stappata.
Le spalle si mossero all’improvviso, ritmicamente, mentre il suo respiro venne improvvisamente spezzato da qualcosa che, prepotentemente, saliva e scendeva per la sua gola impedendole quasi di respirare. La schiena si mosse, le spalle vibrarono e le gambe tremolarono leggermente, quasi rese incapaci di sorreggerla più a lungo.
Sembrava che stesse piangendo. Una lacrima solitaria le tagliò la guancia nel preciso istante in cui lei sollevò il viso. Gli occhi erano aperti, spalancati, rivolti alle lucette al neon che sovrastavano il ripiano. Le labbra dischiuse.
Rideva.
Una risata sorda e isterica percorse il suo corpo dalla testa ai piedi, mentre lei faceva forza sulle braccia per non cadere al suolo. Abbassò nuovamente il capo e chiuse gli occhi, cercando di placare quella furia che si scuoteva nel suo petto e cercava di venire fuori, di esplodere e implodere allo stesso tempo.
Quando si fu calmata aprì leggermente gli occhi e si trovò ad osservare una vecchia bottiglia di vino italiano affiancata da due bicchieri del servizio buono che lei aveva sistemato su un vassoio in argento. Scosse la testa e si portò una mano sulla fronte. “Sono impazzita” disse.
Voltò le spalle al mobiletto, appoggiando bacino e un palmo della mano sulla sporgenza in legno per sorreggersi. Un barlume di riso non aveva ancora smesso di scuoterle il petto.
“Ho lavorato veramente troppo, ultimamente…” disse a bassa voce, massaggiandosi una tempia. “Ho fato bene a mandare i bambini al cinema con Neil… Ho seriamente bisogno di dormire.”
La luce al neon della cucina le colpiva il viso, stancando le sue palpebre. “Ma le allucinazioni non sono un effetto un po’ eccessivo?” si chiese, voltandosi nuovamente a guardare il ripiano. “E ho anche preparato il vino.”
Si allontanò dal ripiano e iniziò a misurare la cucina a grandi passi, prendendo dei respiri profondi. “Ragioniamo” si disse. “Non posso essere impazzita del tutto.”
Si sedette al grande tavolo lindo che si trovava nel bel mezzo della cucina e si portò le dita alle tempie. “Devo averlo sognato, non ci sono dubbi.” Osservò il vino con aria truce. “Ma perché ho preparato il vino?”
La situazione appariva inspiegabile. Lei affondò le dita nei lunghi capelli biondi e chiuse gli occhi, ermeticamente, cercando di scacciare dalla sua mente le immagini fastidiose che non le davano pace. Rimase immobile per diversi minuti, le gambe allungate sotto il tavolo e il respiro che si faceva mano a mano più regolare.
Tutto a posto.
La donna si alzò, gli occhi infastiditi dalla luce artificiale socchiusi e le membra un po’ più rilassate. Concluse che aveva sognato, che era stato tutto a causa dello stress. “Mi ci vuole un bagno caldo, e poi sotto le coperte.” Con passo sicuro si avvicinò dunque alla porta.
Ma quando appoggiò una mano sulla maniglia, il tarlo del dubbio l’attacco nuovamente: e se non aveva sognato? Se non si era immaginata nulla? Osservò ancora il vino. Forse se fosse andata a controllare si sarebbe sentita più sicura.
“Infondo che ho da perdere?”
Si avvicinò nuovamente al ripiano in legno, afferrò saldamente il vassoio tra le dita tremanti e, superato un corridoietto, arrivò in soggiorno.
La stanza era spaziosa, illuminata dagli ultimi raggi del sole che gettavano una luce rosata tutt’intorno, addolcendo gli spigoli dei mobili, rendendo tutto morbido alla vista. Le grandi finestre che si aprivano su un giardino si trovavano alle spalle di un’isoletta di mobili, composta da un divano foderato in arancione e due poltrone, tutti raccolti attorno ad un tavolino di legno su cui torreggiava un piccolo vaso in cotto, come se quello fosse stato il centro e il fulcro dell’intera stanza.
In un momento totale di sconcerto, la donna si trovò a pensare che il designer che si era occupato del salone avesse fatto un ottimo lavoro. Eppure non era affatto rassicurata.
Lui era lì.
Il suo ospite era seduto su una delle due poltrone del soggiorno, con le braccia allungate sui braccioli e le gambe accavallate. I suoi profondi occhi neri osservavano la donna con disinteresse, anche se dall’intensità del suo sguardo era chiaro che stesse studiando i minimi cenni del suo viso. Lui stese le labbra in un mezzo sorriso, e lei si mosse.
Si avvicinò al tavolino con passo tremante e, senza una parola, appoggiò il vassoio sul tavolo, lasciando che il suo ospite si servisse da solo. La donna si sedette sull’altra poltroncina, come in attesa.
L’uomo portò il bicchiere alle labbra e lo svuotò, gettando il capo all’indietro. Quando ebbe finito di bere versò a sé stesso e alla sua ospite, ma non bevve, ne diede segno che si aspettava che la donna lo facesse. Rimasero per un lungo momento in silenzio, scrutandosi, in attesa che l’altro facesse la propria mossa.
“Come mai ci hai messo tanto, Jo?”
La sua voce era melliflua, setosa, eppure dura e inflessibile. Proprio come lei l’aveva sempre immaginata. “Non trovavo la bottiglia” rispose lei meccanicamente, continuando a guardare l’altro negli occhi. Erano gelidi e vuoti,e facevano pensare a due tunnel immersi nel buio. Lei tremò impercettibilmente: non si era mai accorta di quanto le sue descrizioni fossero realistiche.
“Forse ti sembrano realistiche perché è così che tu le immagini.”
Lei sollevò lo sguardo. “Che cosa ci fai qui?”
“Sono venuto per fare quattro chiacchiere prima della fine, Jo” disse, come se quella fosse stata la cosa più ovvia. “Tra poco è il vent’uno, e presto tutti sapranno com’è finita” spiegò davanti all’espressione poco convinta della donna. “Ci sarà una baraonda, e io volevo farti un salutino prima della fine.”
Lei si accomodò contro lo schienale della sua poltrona, rilassandosi. La situazione era strana, surreale, ma in qualche modo eccitante. Per la prima volta la donna si concesse un sorriso. “Allora, addio, Professor Piton” disse, sollevando il proprio bicchiere e accennando un brindisi. Lui la imitò con un sorrisetto.
Jo depose il proprio bicchiere nuovamente sul tavolino, e si chinò in avanti, i gomiti appoggiati sulle ginocchia. Negli occhi un lampo sbarazzino: “Allora, Piton, che ne pensi?”
“In merito a cosa?”
“Al romanzo, ovviamente!” esclamò lei, con una nota di eccitazione nella voce. “Al tuo personaggio!”
Un lampo attraversò gli occhi dell’uomo. “Non c’è male” disse.
Lei si alzò in piedi, preda dell’esaltazione: “Non c’è male?” rise. “Tutto qui?”
L’uomo non parlò per un lungo istante, scrutando il viso accaldato della donna che lo troneggiava da sopra il tavolino. L’aria fresca della sera entrò dalle ampie finestre, accarezzando i profili dei due. Jo tornò a sedersi, senza perdere di vista il suo ospite. Lui arricciò le labbra in quella che sembrava l’ombra di un sorriso e bevve dal suo bicchiere. “Mi sono divertito” disse.
“Ti riferisci al tuo ruolo in generale, o a questo libro in particolare?”
Lui scrollò le spalle con noncuranza. “In generale” disse. “È sempre divertente fare il personaggio enigmatico della faccenda.”
Jo rise. “Lo so” ammise, servendosi per la prima volta di un sorso di vino. “Fin dal primo momento in cui ho iniziato a crearti ho capito che saresti stato un personaggio complesso.”
“In fondo…” continuò lui, “Io sono sempre stato nel bel mezzo delle vicende.”
“Esatto, proprio questo!” Jo rise. “Se pensiamo a tutto quello che hai fatto sembra quasi che sia tu l’eroe della vicenda, non Harry!”
L’uomo inarcò un sopracciglio, e si sistemò meglio sulla poltrona, rilassandosi. Siccome non dava cenno di volerla interrompere, Jo continuò: “Insomma, lavori a scuola e proteggi i suoi segreti, salvi gli studenti da morte certa, ti intrufoli tra le schiere di Voldemort, e riesci ancora ad aiutare Harry.” Lei si concesse un sorriso: “Sono stata brava, vero?”
“Brava?” chiese lui con un cenno del capo, “Sì, indubbiamente. Hai orchestrato tutto con una certa abilità… Molti di noi sono rimasti molto sorpresi dello svilupparsi degli eventi.” Accennò un altro sorriso. “Come il giovane Potter, ad esempio.”
“Harry non ha mai avuto fiducia in te.” Lei strizzò l’occhio: “Ma l’abbiamo fatto ricredere!”
La donna si alzò dalla poltrona e fece un mezzo giro della stanza, fermandosi a guardare alcuni libri esposti in bacheca. Piton, con la coda dell’occhio, riuscì a distinguere i sette volumi della saga di Harry Potter che facevano bella mostra di sé sotto gli occhi inteneriti della donna. Jo accarezzò le copertine. “È stato bello.” Disse a bassa voce. “Ma ora è finita, temo.” La sua mano indugiò sulle copertine dei primi volumi, quelli più infantili, quelli che ancora erano dedicati ai bambini. “Quanti bei ricordi…”
Piton si alzò in piedi per la prima volta da che era entrato in quella casa. Si avvicinò a lei con passo felpato, quasi impercettibile, e si fermò alle sue spalle, contemplando assieme a lei i manoscritti: “Quali bei ricordi, se è lecito chiedere?”
Lei quasi si spaventò vedendoselo comparire alle spalle. Si spostò leggermente di lato, e si appoggiò con il bacino contro la libreria, incrociando le braccia al petto: “Non lo so…” la sua voce era sognante, i suoi occhi brillavano: “Come posso dimenticare la prima volta che ho scritto che ai Dursley piaceva la normalità? O la lettera di Harry?”
Piton indietreggiò di un passo, incrociando le braccia a sua volta. Jo sospirò: “A quel tempo il romanzo era molto innocente, vero?”
“Per i tuoi lettori lo era di sicuro.”
“Forse un po’ lo era anche per me.”
“Per me non lo era.” Piton si allontanò tornado a sedersi sulla poltrona che aveva occupato pochi istanti prima. Lei lo seguì sconcertata prima con lo sguardo, e poi con passo malfermo. Si sedette nuovamente di fronte a lui e chinò il capo da una parte, con aria interrogativa: “Di che stai parlando?”
Lui arricciò le sue labbra in un ghigno: “Andiamo, Jo, non puoi certo dire che tu sia stata onesta nei miei confronti.”
“Onesta?”
“D’accordo sull’abito nero, il naso adunco e l’indole malvagia ma…” Un lungo, pallido dito si intrecciò ad una ciocca di capelli unticci che gli ricadeva sul viso. “Questi erano proprio necessari?”
Lei rimase con la bocca leggermente aperta, prima di deglutire rumorosamente: “È il pacchetto…”
Piton inarcò in maniera preoccupante un sopracciglio: “Il pacchetto?”
“Sì, il pacchetto” cercò di spiegarsi, portando i gomiti sulle ginocchia e facendo combaciare i polpastrelli. “Per la serie: ritratto di un malvagio non malvagio che deve sembrare malvagio ad ogni costo per mescolarsi tra i malvagi veramente malvagi… Il pacchetto.”
“E perché mai il pacchetto comprenderebbe un aspetto simile?”
“Il malvagio bello e sexy è poco realistico…”
“E il malvagio unto e disgustoso lo è?”
“In un certo senso…”
“Jo.”
“Vivi in un sotterraneo per la miseria! Fai pozioni tutto il giorno! È ovvio che alla fine tu sia sporco e puzzolente!”
Piton appoggiò un gomito su un bracciolo della sedia e lasciò cadere la propria fronte sul palmo aperto. Jo temette che avrebbe risposto con violenza, ma lui non si mosse per un lungo momento e, quando si alzò, sembrava aver ritrovato una certa calma. Sembrava. “Una doccia?”
“Volevo che tu sembrassi trascurato…”
Lui non parlò subito. La guardò per un lunghissimo istante con i suoi occhi profondi e lei restituì lo sguardo. Ovviamente nessuno dei due avrebbe ceduto alle spiegazioni dell’altro. Troppo intelligenti, troppo fondamentalmente parte uno dell’altra per poter cedere. Entrambi erano convinti che sarebbero arrivati fino in fondo.
Fu lui che parlò per primo: “Trascurato.”
Lei annuì. “Sì” disse. “Non avevo bisogno di una persona bella, ma di una brillante.” Lei gli rivolse un cenno d’intesa: “Gli sciocchi con poco cervello non sopravvivono, in un mondo come quello.”
“Ecco spiegata la morte di Black, allora.”
Inspiegabilmente lei si lasciò sfuggire un risolino. “Sinceramente io pensavo più ad Allock, in questo caso.”
Le labbra di Piton si atteggiarono in una smorfia di disgusto al solo sentir pronunciare quel nome: “Quel… quell’ omuncolo inutile. Come ti è venuto in mente?”
Lei rise, gettando il capo all’indietro, e lasciò cadere la domanda. Piton si portò una mano al mento, continuando ad osservarla con uno sguardo di ghiaccio: “Siamo d’accordo sul trascurato.” Fece una pausa. “Più o meno. Ma… le umiliazioni, Jo? Come mi spieghi quelle?”
Lei rimase per un lungo momento con la bocca aperta, indecisa se parlare o meno, su cosa dire. Ovviamente, dirgli che tutte quelle prese in giro servivano solo per far divertire lei e i lettori non aveva molto senso… E in fin dei conti non era nemmeno la verità. Sospirò: “Psicologia del personaggio” disse. “Le umiliazioni hanno temprato il tuo carattere.”
“Temprato il carattere…”
Lei incrociò le braccia al petto e inarcò un sopracciglio: “Le angherie del gruppo di James Potter ti hanno convinto ad entrare a far parte dei Mangiamorte, per sentirti sicuro, e ti hanno reso audace, abile nei duelli e un ottimo mago.” Respirò a fondo. “E inoltre ti permettono di vedere il mondo oggettivamente, come ho necessità che tu faccia.”
“Dunque il mio problema familiare non ha niente a che fare con tutto ciò?”
Jo sorrise: “Credo che tutto vada a pesare sulla bilancia alla fine.”
Piton, inspiegabilmente, sorrise di rimando: “E anche far diramare la mia foto in abiti femminili per tutta la scuola è un modo per temprare il carattere?”
Lei aprì leggermente la bocca e la richiuse un numero incalcolabile di volte. Colpito e affondato. “E farmi prendere fuoco alla partita di Quiddich?”
“Effettivamente…”
“E sentirmi dare del patetico da un allievo poco prima di essere schiantato?”
“Harry… Lui…”
Piton congiunse i polpastrelli all’altezza del proprio viso: “Non sei stata il massimo della gentilezza con me, Jo. Come minimo dovresti ammetterlo…”
Lei chiuse le labbra ermeticamente ed accavallò la gamba destra sulla sinistra. Poi la sinistra sulla destra. Infine appoggiò entrambi i piedi per terra e serrò le ginocchia. “Ok, non sarò stata gentilissima, ma hai avuto i tuoi momenti di…”
“Gloria, Jo? Sinceramente non mi sento molto onorato di aver sconfitto un babbeo in un Club di duelli.”
“Non stavo parlando di quello!”
“E di cosa, allora? Dell’Ordine di Merlino che non ho mai ricevuto?”
“Io parlavo dell’ultimo libro, in effetti.”
Lui non rispose immediatamente. “Tutti i personaggi enigmatici, alla fine, devono scegliere una bandiera, non è così?”
Lei sbatté un attimo le ciglia, indecisa se lui le avesse rivolto direttamente la domanda, oppure se stesse parlando tra sé e sé. Quando fu certa che non avrebbe continuato si azzardò a rispondere: “Avevo… Avevamo già scelto la tua bandiera, fin dal primo libro.”
“Ma non puoi certo dire che sia stata una scelta ovvia.”
“Cosa significa scelta ovvia? Era ovvia, l’ho scelto io!”
L’uomo sogghignò: “Molti non ci hanno creduto fino alla fine.”
“Non catturavano gli indizi, allora!” disse allegra, strizzandogli l’occhio.
Piton la osservò lungamente. “Mi hai dato la cattedra di Difesa, alla fine.”
“Te la sei meritata.”
“Ma non ho ancora ricevuto il mio Ordine di Merlino, mi pare.”
Lei, dopo un istante di immobilità scoppiò a ridere sotto lo sguardo severo dell’uomo. Lui era sempre così: ligio al proprio dovere, ma tremendamente attaccato ai propri desideri. Un buono con un lato malvagio. Un cattivo che agisce per il bene. Un uomo che fa le scelte giuste.
“Molto umano, devo dire. Sei davvero molto umano!”
Entrambi rimasero in silenzio per un lunghissimo istante. Il sole, fuori dalla finestra, era calato dietro all’orizzonte, lasciando il posto al manto nero della notte che si stendeva dolcemente su ogni cosa. Oscuro ed impenetrabile, era illuminato dalla sottile falce della luna che si intravedeva tra la spessa cortina di fumo. Non una stella in cielo, come era tipico nelle notti cittadine. La luce artificiale che permeava la stanza ricordava quasi una bolla di luce. Sembrava irreale.
Jo osservò i palmi delle sue mani. Li aveva visti sporchi di ematite, lividi per la stanchezza dopo lunghe nottate passate a scrivere ciò che la sua mente e il suo cuore gridavano all’unisono. Si portò una mano al petto e osservò il suo ospite. Improvvisamente lo riconobbe.
Riconobbe i lineamenti che tante volte aveva visto nella sua mente e aveva impresso sulle sue pagine. Non le riusciva difficile, in quel momento, capire i suoi pensieri, capire il motivo per cui era venuto da lei. E lei gliene fu grata.
Johanne Rowling si alzò finalmente i piedi, allungando una mano verso il suo ospite: “Addio Professor Piton. Grazie per tutto ciò che hai fatto per me. Significa molto.”
Lui finalmente sorrise. Si alzò in piedi a sua volta e le strinse la mano: “Ma ti pare, sono qui apposta.”
“Alla prossima allora. Al prossimo romanzo.”
Il sorriso di lui si trasformò in un ghigno beffardo. Ritirò la mano e si diresse verso la porta dalla quale era entrato. Quando Johanne l’ebbe lasciato uscire, lui si voltò nuovamente verso di lei. Il ghigno onnipresente scopriva una schiera di denti gialli e irregolari. “Spero con tutto il cuore che non ci sarà una prossima volta, Jo.”
E se ne andò, scomparendo in un vortice di luce verde. “Lo spero proprio.”










Edited by AlbusSilente - 22/7/2007, 10:23
 
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selmacausi
view post Posted on 25/4/2007, 18:02




bellissima iniziativa Glauce!

più si avvicina la data di uscita di hp7 ... più cerchiamo di dimostrare il nostro amore a Severus moltiplicando le iniziative.
 
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view post Posted on 25/4/2007, 19:16
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Giusto Selma ;)
Sostegno a Severus,sempre e comunque :D
 
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2 replies since 25/4/2007, 16:28   394 views
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