Severus Piton & Alan Rickman Fan Forum

Il primo giorno, Seguito de "La prima sera"

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Camelia.
view post Posted on 9/8/2011, 00:59 by: Camelia.




Capitolo 4


“Grnaumph” udì Piton alle sue spalle.

Si voltò e vide Mulciber sollevarsi dal letto e fare strane smorfie nel tentativo di aprire le palpebre, che non parevano però essere molto collaborative. I capelli scuri gli stavano tutti ritti e schiacciati da una parte, mentre un reticolo di segni rossi gli copriva la guancia su cui aveva dormito. Il ragazzo prese a stropicciarsi gli occhi con sempre maggior vigore e, solo dopo un minuto buono da che si era messo seduto, fu in grado di aprirli.
Ma potevano essere ancora chiusi, dall’espressione vuota che mostravano, una pesante cortina di sonno li velava ancora, facendoli sembrare opachi.

Severus, contento di aver finito con la lettera prima i compagni si destassero, lo osservò reprimendo una risatina. Mulciber era davvero buffo, si muoveva e grugniva senza sapere come e perché, completamente intontito e incapace sia di articolare parole che di compiere movimenti sensati.
Mentre si stiracchiava spalancando nuovamente la bocca (lo sbadiglio più lungo della storia pensò Severus, che fissava il compagno bloccato in una comica posa plastica), anche nell’altro letto cominciarono a intensificarsi i rumori: Avery si stava svegliando e, a quanto pareva, il processo era un po’ più rapido e composto rispetto a Mulciber. Nessun gesto plateale, ma un pacato sollevare la schiena e aprire lentamente gli occhi su cui ricadevano finissimi capelli castani che si accendevano ogni tanto di riflessi dorati nel movimento delle fiamme del caminetto.
Avery rimase per qualche istante inebetito a fissare apparentemente Severus, in silenzio. Poi ricadde di schianto sul materasso, senza un suono; Severus fece fatica a non ridere e camuffò il suono che gli uscì di bocca fingendo di schiarirsi la gola.

Ripensò alla sera prima e a tutti i loro bei discorsi su “un certo tipo di magia” e sui “maghi coi controfiocchi come Lui” (Severus ripensò anche al ritratto del giovane in corridoio e due lampi rossastri gli attraversarono rapidi la mente, provocandogli un brivido)…
Per tutti i folletti, quei due davvero pensavano di esplorare i più oscuri recessi della magia, se non erano neppure in grado di svegliarsi?
Si alzò dalla sedia facendo volutamente rumore e con la coda dell’occhio vide due fessure tra le palpebre gonfie di Mulciber e scorse Avery rimettersi nuovamente seduto.

“Scei già sveglio?” biascicò quest’ultimo.
“Oh sì. Da un po’.” rispose Severus, apparentemente con noncuranza, ma calcando le ultime parole, mentre si dirigeva al proprio letto e nascondeva la lettera per sua madre nel baule.
“E sei anche già vestito!”
Avery scrollò il capo nel debole tentativo di schiarirsi le idee.
“Già.”, rispose asciutto Severus, dirigendosi verso il baule per prendere la bacchetta e infilarla nella tasca interna della divisa.
“Umph”, mugugnò Mulciber, con voce arrocchita. “È troppo presto… a casa non mi sono mai dovuto svegliare così presto, se quell’elfo domestico ci provava, le prendeva.”

Avery parve trovare divertente l’idea di Mulciber che picchiava un elfo e sghignazzando scese finalmente dal letto, stiracchiandosi in piedi. Dei due, era senz’altro quello meno rozzo nel modo di muoversi. Anche fisicamente era più raffinato, aveva lineamenti sottili e delicati e una corporatura snella, anche se non gracile come quella di Severus. Detto questo però, poteva essere il gemello di Mulciber, quanto a visione della vita.

“Beh, io vado in bagno” annunciò, prendendo vestiti e divisa.
“A… ashhpettami” sbadigliò Mulciber che tra un’imprecazione e l’altra era riuscito nell’impresa di mettersi in piedi e di infilarsi le pantofole, anche se invertite.
Ciabattando, seguì l’amico fuori dalla stanza, mentre bofonchiava ancora qualcosa sullo svegliarsi all’alba.
Quando i due aprirono la porta per uscire, dei rumori annunciarono che anche altrove nel dormitorio gran parte dei Serpeverde si stava svegliando.

Rimasto solo, Severus si godette quei momenti di pace e, preso un libro dalla sua scrivania, si accomodò sulla poltrona di fronte al camino, sprofondandoci dentro e dondolando i piedi verso il fuoco. Anche se era pronto già da un po’, non voleva entrare in sala comune da solo.
Anzi, a dire il vero lo voleva, ma pensò che l’avere al fianco Avery e Mulciber –che sembravano già popolari e ben inseriti- gli avrebbe risparmiato un po’ di spiegazioni che non aveva intenzione di dare.
Quei due non erano al suo livello, ormai l’aveva capito, tuttavia avevano qualcosa che a lui mancava: la purezza del sangue e la considerazione della Casa, a prescindere. La loro vicinanza era il modo più rapido ed efficace per ovviare a questa deficienza.

Sfogliando distrattamente il libro, all’improvviso pensò che Lily era completamente babbana.
Gli occhi di Severus si spalancarono di botto e il volume gli scivolò tra le dita, rimanendo placidamente aperto sulle sue ginocchia.
Lily.
Lily… non avrebbe mai rinunciato a lei, ma come poteva giustificarla ai suoi nuovi compagni? Si vergognò un po’ di quel pensiero, eppure avvertiva l’urgenza di risolverlo.
Era strano, fino ad allora era stato lui a sentirsi in dovere di giustificare la propria esistenza quando andava al parco o a casa di lei. In territorio babbano era lui il pesce fuor d’acqua, la nota stonata, l’ospite sgradito di casa Piton, assieme a Eileen.

“Quell’inutile, dannato ragazzino! È tale e quale a te!!” aveva gridato un giorno Tobias.
Il ricordo di suo padre lo incupì. Si sforzò di non pensarci e corrugò tutti i muscoli del viso nello sforzo di non pensare a quelle braccia maledettamente forti, a quegli scatti d’ira incendiaria, alla violenza di quell’uomo volgare.

***


“Che cos’hai da guardare tu?” ringhiò l’uomo.
Severus strinse ancora più forte le ginocchia al petto e, quando Eileen gridò di nuovo, serrò gli occhi e si tappò le orecchie con le mani piccoline e magre. Ombre presero ad agitarsi davanti alle sue palpebre chiuse, urla rumori e tonfi lo raggiunsero attutiti, mentre si spingeva sempre più con la schiena contro il muro, disperato e impaurito.
Poi ci fu qualche secondo di silenzio e tutto parve sospendersi in un incredibile niente. Il bambino rimase immobile, terrorizzato all’idea di guardare.
Poi udì dei passi pesanti allontanarsi e lo schianto della porta d’ingresso sbattuta con violenza lo fece sussultare.
Il silenzio che ne seguì fu subito rotto dai respiri affannosi che provenivano a poco più di un metro di distanza da lui.

Severus aprì piano gli occhi, mentre le membra si scioglievano dalla morsa che le aveva rattrappite fino a quel momento e vide il corpo rivestito di scuro, riverso a terra su un fianco, immobile, a parte il movimento rapido e ansante del torace. Si mise in ginocchio e avanzò timoroso in quella direzione, verso la schiena che si alzava e abbassava convulsamente.
“…Mamma?”
Un suono soffocato e poi una mano bianchissima fece capolino sopra la testa della donna; i capelli che erano stati raccolti in ordine, ora pendevano sfilacciati dal nodo allentato che prima li stringeva. Le dita magrissime tremavano, ma afferrarono saldamente la gamba di una sedia rovesciata.
La donna fece forza e riuscì a sollevarsi e mettersi seduta, continuando a non voltarsi verso il bambino. Ora i suoi respiri si fecero più lenti, la donna si stava sforzando di calmarsi. Piangeva?

Severus, ancora spaventatissimo per il litigio dei suoi, si sentì stranamente a disagio. Voleva andare da lei, ma percepiva un ostacolo tra loro, un muro che gli sembrava indecente superare.
Era troppo piccolo per comprendere cos’era, sapeva solo che c’era e non era in grado di capire cosa fare. Lo spavento gli pulsava ancora dentro.
Dietro di lei, la vide armeggiare con qualcosa e quando Eileen finalmente si voltò, ancora aggrappata alla sedia, stringeva tra le dita un lembo del grembiule logoro e rattoppato e i suoi occhi incavati nel volto scarno erano arrossati. Ma il viso era asciutto, non vi era traccia di lacrime.

“…M-Mamma?” osò, esitante.
Forse capiva che non avrebbe dovuto parlare, addirittura che non avrebbe dovuto stare lì, ma era rimasto e aveva parlato.
Di più, la stava guardando.
Vide la mano di Eileen stringere il grembiule. Ora erano inginocchiati uno di fronte all’altro, e Severus era combattuto tra la disperata voglia di una rassicurazione e la sensazione che avrebbe dovuto lasciarla sola.

Eileen allungò un braccio verso il suo bambino. Severus si avvicinò un po’, timoroso.
“C’è un po’ da rimettere a posto” sospirò la donna, facendo vagare lo sguardo sul disastro che regnava in cucina; la sua voce era monocorde, stanca.

Poi Eileen si voltò di scatto.

La sedia le era scivolata tra le dita e ora era in piedi di fianco a lei, raddrizzata. Severus era ancora vicino al muro, con gli occhi spalancati.
“Mamma?” domandò ancora, ma stavolta non c’era paura nella voce, bensì sorpresa e incredulità.

Eileen si portò le mani alla bocca e stavolta sì, stavolta Severus vide le lacrime spuntarle negli occhi e traballare sulle ciglia.
Eileen lo sollevò e lo mise seduto sulla sedia, accucciandosi davanti a lui, tenendogli le braccine tra le mani e fissandolo intensamente negli occhi. I piedi del bambino arrivavano giusto sul bordo.

“La sedia si è tirata su” disse lui, per rompere quel silenzio imbarazzante.
“No.”
Severus la guardò interrogativo. Come no? Come “No”? Come poteva sua madre negarlo, era appena accaduto, l’aveva appena vist…
“No, Severus, non si è tirata su.”
Eileen non gli staccava gli occhi di dosso e il respiro le si fece grosso.
“Sei stato tu.”

Severus si spaventò a morte.
Quella era una frase maledetta, la pronunciava suo padre tutte le volte che lui faceva cadere qualcosa per sbaglio ed era sempre l’anticamera di qualcosa di brutto, molto brutto e molto doloroso. Per questa ragione, il bambino trattenne il fiato spaventato, ma quando alle parole non seguì nulla di quello che era consuetudine accadesse con Tobias, Severus suo malgrado si tranquillizzò e osservò meglio la madre.

Le sue mani gli stringevano salde le braccia, ma non era una stretta violenta, non sentiva male.
Un ciuffo di capelli le era scivolato davanti al viso e si muoveva al ritmo del respiro che le usciva sonoro dalla bocca aperta.
Sembrava che Eileen volesse comunicare qualcosa al figlio con la forza dello sguardo e, proprio quando il bambino aprì bocca per chiederle qualcosa, lei disse, fredda:
“Ti porto a letto Severus, tuo padre si arrabbierà molto se ti trova ancora sveglio quando torna.”

Suo padre sarebbe tornato. Tornava sempre e non era mai una buona notizia.
Severus si dibatté all’idea, disperato. Non... non c’era modo di evitarlo? Non si poteva chiudere bene la porta e non farlo rientrare mai più? Mentre seguiva Eileen su per le scale tenendole la mano, immaginò suo padre che non riusciva ad entrare in casa e la visione di una porta sfondata e di un Tobias parecchio alterato lo fece tremare.
Allora forse era meglio andare via. Ecco, se lui e sua madre fossero andati via, allora Tobias non avrebbe trovato nessuno quando sarebbe tornato!

Guardò sua madre, proprio mentre erano arrivati in camera e lei lo aveva messo in piedi sul letto dalla testata di ferro, iniziando a spogliarlo per mettergli il pigiama.
“… Mamma?” azzardò timidamente.
“Uhm?”
“’diamo via?”

Le mani di Eileen si bloccarono e Severus rimase con la testa dentro la maglia del pigiama. Dopo qualche secondo di silenzio in cui rimase immobile, riemerse da solo e vide sua madre con una strana espressione stampata sul volto. Per un attimo gli parve quasi di leggervi qualcosa di simile alla speranza, ma quell’attimo fu subito sostituito dalla consueta rassegnazione, che invase rapidissima il volto stanco di Eileen e parve rinsecchire anche tutto il suo corpo.

Poi, lei disse qualcosa di incredibile.

Tu te ne andrai, Severus.”
Il bambino non ebbe il tempo di aprire quasi la bocca.
“Non subito” lo anticipò lei. “A undici anni.”
“Perché?”
La voce di Severus tremava di paura e somigliava vagamente ad un piagnucolio.
“Non mi chiedi dove andrai?”
Il bimbo rimase interdetto qualche secondo.
“Dove?”
“A Hogwarts” rispose Eileen in un sussurro e qualcosa nel modo in cui lo disse tradì solennità e al tempo stesso un’infinita pacatezza.
“Dov’è?”
“Non mi chiedi cos’è?”
Anche stavolta Severus studiò per qualche secondo il volto della madre e nei suoi grandi occhi scuri vide un mondo di risposte che aspettavano solo la domanda giusta.
“Cos’è?”
“È una scuola.”
Tutto il senso di aspettativa di Severus si sgonfiò un pochino. Sai che notizia. Anche se aveva solo tre anni, lo sapeva che i bambini vanno a scuola, li aveva visti quelli più grandi di lui nel quartiere, con dei libri sottobraccio. Ma poi tornavano sempre a casa!

“È una scuola per bambini maghi.”

Cosa?? Severus guardò la madre dritto negli occhi, arrabbiato. Si stava prendendo gioco di lui ed era una cosa che non sopportava.

“Prendilo dai! Non lo prendi? Non lo vuoi? Non ci arrivi? Eh, non ci arrivi? Eh?”
Tobias aveva l’abitudine di sfilargli dalle mani qualsiasi oggetto lui avesse trovato per giocare e di tenerlo alto, fuori dalla sua portata. Severus odiava a morte essere canzonato a quel modo e vedere suo padre godere dei suoi sforzi disperati di recuperare ciò che gli era stato tolto.


“Non guardarmi così. Hai capito bene: una scuola per giovani maghi. Tu sei un mago, Severus.”
Qualcuno doveva aver lanciato un sasso dentro di lui, perché ora sentiva delle onde incresparsi e allargarsi nella sua pancia.

“Hai rimesso tu la sedia dritta, anche se non te ne sei reso conto.”
Severus non capiva nulla, non aveva neppure percezione del suo corpo, adesso. Eileen gli infilò le braccia nelle maniche del pigiama. Sospirò.
“Mettiti sotto le coperte”, gli disse.
Lui obbedì e lei si sedette sul letto, tenendogli una manina tra le sue.

“Anche io sono andata lì. Io sono una strega.”
E prima che lui avesse il tempo di reagire in qualunque modo, sfilò qualcosa da dentro il vestito, un sottile pezzo di legno e, dopo che lo ebbe agitato con un piccolo movimento del polso, Severus vide i poveri vestiti che si era appena tolto sollevarsi a mezz’aria, piegarsi e andarsi a posare sul casettone lì a fianco, in ordine.
Fu troppo, non poté impedirsi di scattare immediatamente seduto.
“Ma io… ma come… cosa devo?... mamma…? E quella?” riuscì a dire infine, fissando a bocca aperta la bacchetta di Eileen.
“Questa è una bacchetta magica, ma non puoi averla prima di aver compiuto undici anni.”
Severus la fissava come si fissa la cosa più bella, più bella del mondo.

“Io non lo sapevo che lo eri anche tu” mormorò Eileen e Severus fu sorpreso da tanta confidenza.
Succedevano cose strane, quella sera.
Improvvisamente gli salirono alle labbra un’infinità di domande, ma sua madre dovette capirlo e lo bloccò subito.

“Severus, ora non ho tempo” e con la punta delle dita gli scostò i lisci capelli neri dalla fronte. “Devo rimettere a posto le cose in cucina prima ch… Devo rimettere in ordine” tagliò corto.
“Con quella?” chiese Severus indicando la bacchetta.
“Io…” fece Eileen, pensierosa.
“Sì… potrei…” riflettè tra sé e sé, ma lo sguardo involontario che lanciò alla porta fece capire qualcosa a Severus.
Capì che usare la bacchetta era una cosa che avrebbe fatto infuriare Tobias e allora capì anche un’altra cosa. Tobias non poteva farlo.

“E…” azzardò, perché doveva assolutamente avere la conferma a questo sospetto. “E… lui?”
Eileen si voltò bruscamente e fece per nascondere la bacchetta.
“No!” gridò Severus, allungando la mano, ma fermandosi appena prima di toccarla, come se non si sentisse degno di tanto onore.
“È babbano”, mormorò infine Eileen, dopo una lunga pausa.
“Non è come noi” aggiunse, in risposta allo sguardo interrogativo del figlio.

Stavolta la bocca di Severus si spalancò mentre lui tratteneva forte il respiro; gli sembrò di veder disegnarsi attorno a sé una realtà diversa e perfino i muri vecchi della sua stanza gli parvero accoglienti.
Ma Eileen si era alzata e gli stava rimboccando le coperte.
“Mi… mi posso guardare solo una cosa?” farfugliò Severus, che sentiva di non farcela proprio a starsene disteso buono lì e tentava di respingere le coperte.
Eileen capì, perché dopo un attimo di esitazione stese la mano verso di lui, che schizzò letteralmente fuori dal letto e la seguì nuovamente di sotto, in cucina.
“Una sola”, chiarì lei.
Severus la guardò da sotto in su e annuì, serio e determinato. Attento.
Eileen si guardò intorno, incerta, e poi indicò a suo figlio i vetri infranti di un bicchiere. Severus si concentrò.

REPARO”, disse lei, puntandoci contro la bacchetta.

I vetri sparpagliati furono sollevati da una forza invisibile, anche le schegge più piccole, e si incontrarono a mezz’aria saldandosi tra loro. Un attimo dopo, un bicchiere perfettamente intatto si posava sul tavolo.
Severus si molleggiava sulle ginocchia, al settimo cielo.
Eileen lo fissò, inclinando leggermente il capo per ricordargli la promessa e lui, sì, avrebbe obbedito, tra un attimo. Si gettò contro la gambe di sua madre, stringendole tra le piccole braccia e affondando il volto nel grembiule.

Loro due non erano come Tobias... Il mondo poteva essere bello.

***



Edited by Camelia. - 24/7/2013, 15:20
 
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