Severus Piton & Alan Rickman Fan Forum

Il primo giorno, Seguito de "La prima sera"

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Camelia.
view post Posted on 1/7/2011, 23:47




Bene, bene... a quanto pare non riesco a fare a meno di immaginare cosa succede nei momenti che la Rowling non ha raccontato ^_^
E' un vizio che ho avuto fin da piccola, quello di appassionarmi a una storia letta su carta e poi ricamare con la fantasia su tutto ciò che accade ai personaggi e che nel libro non aveva trovato spazio.

Nello specifico della saga di HP, mi intriga molto Severus bambino, dal momento che è nella sua infanzia che si trovano tutti gli elementi scatenanti del suo futuro ego adulto e anche perché è stato un bambino molto triste e sfortunato e mi piace poterlo seguire più da vicino.

Questa storia formerà un dittico con la mia precedente ff La prima sera. Ora cercherò di introdurla con un breve specchietto illustrativo

Autore: Camelia
Personaggi: Severus bambino, allievi e professori di Hogwarts, personaggi del passato o del mondo babbano
Rating: per tutti
Riassunto: in questa ff seguirò passo passo la prima giornata di Severus undicenne a Hogwarts
Note: come già detto, si tratta del seguito ideale a La prima sera, ma ancora non so se ci saranno pesanti incursioni nel passato come nell'altra ff. Per ora ho scritto solo il primo capitolo, è un po' come se fossi al fianco di Severus e osservassi man mano cosa succede, sono curiosa quanto lui di scoprire questo nuovo giorno pieno di incognite :)

_________________________________________

Capitolo 1

Per qualche istante Severus fissò il serpente sopra la sua testa senza davvero vederlo. Si sentiva completamente intontito, la testa era pesantissima e così affondata nel cuscino da inghiottirgli le orecchie in un abbraccio soffice: quel cuscino era ben diverso da quello che aveva usato per anni a Spinner’s End, duro e sottile.
Doveva essere presto, non sentiva rumori. Prendendo lentamente coscienza del proprio corpo e del calore delle coperte che lo ricoprivano, rimase immobile a rimirare lo stemma di Serpeverde sul baldacchino sopra di lui, questa volta con attenzione, e a poco a poco una sensazione di orgoglio cominciò a diffondersi nel suo corpo, che prese progressivamente ad allungare fino ad arricciare le dita dei piedi e a stirare quelle delle mani con un piccolo grugnito soddisfatto.
Sentì che dalla mano destra veniva rilasciato qualcosa e tastò per capire cos’era.
La bacchetta!
La sua bacchetta, si era addormentato tenendola stretta in mano tutta la notte. Sfilò la mano da sotto le lenzuola e rimirò quel sottile pezzo di legno con qualcosa che era più che affetto; provò la netta sensazione che quel mondo di possibilità che gli si era spalancato davanti la sera prima fosse distante da lui esattamente “11 pollici e mezzo”, gli risuonò nella testa la voce di Olivander.
Girò il capo e godette della carezza del cuscino sulla guancia, strofinandocela sopra. Quel piccolo movimento parve liberargli la testa dal peso che sembrava riempirla e anche la sensazione di oppressione che gli gravava addosso da quando aveva riaperto gli occhi svanì come fumo da tutto il suo corpo.
Chiuse le palpebre e una serie di immagini troppo veloci gli riempirono la mente all'istante. Tavoli scuri, porte massicce, buio e luce, il dondolio di un’altalena e una risata lontana, una voce fredda e un improvviso fiotto di paura…
Aprì gli occhi, spaventato. La tenda verde che gli chiudeva alla vista il resto della stanza era ferma e silenziosa.
Corrugò la fronte nello sforzo di ricordare il suo sogno; perché adesso era sicuro di aver sognato qualcosa e di aver provato angoscia; era stato il sogno, o meglio l’incubo, a farlo svegliare con una sensazione di pesantezza nel cuore che si era diffusa anche alle sue membra. Non ricordava i particolari, non ricordava nulla, però ora si sentiva a disagio e con una leggera nausea.
Sbatté velocemente le palpebre e in quel fugace istante vide un lampo di luce, due saettanti bagliori rossastri e un ancor più rapido ma morbido movimento di capelli rossi. Ricordò.
Lily.
Senza accorgesene si ritrovò seduto sul letto, una mano a scostarsi la coperta di dosso, il respiro leggermente accelerato. Il ricordo della cerimonia dello Smistamento avvenuta la sera prima avanzò prepotente nella sua testa. Piegò le ginocchia sotto le lenzuola e vi si appoggiò con i gomiti, afferrandosi il capo tra le mani. Ecco cos’era che non andava, che cosa gli premeva addosso, ecco l’imperfezione che gli stava impedendo il risveglio grandioso che avrebbe meritato in quel suo primo, glorioso, giorno a Hogwarts.
Severus Piton era felice di essere finalmente alla Scuola di Magia e Stregoneria d’Inghilterra e non poteva essere più soddisfatto di essere stato smistato a Serpeverde, oh se lo era, la Casa migliore della scuola! Ma…
Scostandosi i capelli dal viso, avvertì qualcosa di appena ruvido sotto le dita, sugli zigomi ossuti, e grattò via quelle che sembravano leggere pellicine bianche. Scivolò fuori dalle coperte e aprì la tenda alla sua destra, inspirando profondamente, cercando di fare ordine nei suoi pensieri. Rimase qualche istante a far penzolare le gambe seduto sul letto, cogliendo un leggero odore di resina.
Mentre infilava i piedi nelle pantofole, alzò gli occhi sulla parete di fronte e notò che il fuoco scoppiettava allegramente: qualcuno doveva aver ripulito il camino nella notte, perché non c’era quasi cenere e i ciocchi di legno erano grossi, sicuramente messi da poco in sostituzione di quelli della sera precedente, assieme a dei pezzi di carbone.
Il bambino osservò con soddisfazione la bruciatura sul tappeto davanti al focolare e l’orgoglio per la sua impresa della sera prima gli strappò perfino un sorriso: quell’incidente era stato il suo lasciapassare privilegiato nella considerazione di Avery e Mulciber.
Pensò a sua madre e realizzò che avrebbe dovuto scriverle. Cosa le avrebbe scritto? Non si vedeva a iniziare una lettera con “Cara mamma…” e per la prima volta in vita sua si pose la questione dei propri sentimenti nei confronti di Eileen. Non poteva definirli affetto. Non le voleva propriamente bene, non come la frase “voler bene alla mamma” poteva significare ad esempio per Lily. Non ricordava di averla mai abbracciata negli ultimi anni; solo quando era molto piccolo le braccia di Eileen erano state un agognato rifugio da suo padre.
Mentre rifletteva corrucciato su quest’argomento, lievemente imbarazzato dal ricordo di se stesso che cercava aiuto e riparo, lo sguardo cadde sul baule accanto al letto e il cuore gli sussultò tra le costole. Con un balzo fu vicino al baule, alla divisa che si trovava esattamente dove l’aveva lasciata il giorno prima, ma… qualcuno ci aveva cucito sopra uno stemma, lo stemma della sua Casa! La afferrò, stringendo la stoffa tra le dita e ammirandola con la gioia sul volto, provando improvvisa la voglia di infilarsela, di rivestire il proprio corpo con quell’uniforme, per sentirsi definitivamente parte del mondo magico in ogni più piccolo dettaglio.
Niente più abiti babbani, scadenti e pure male assortiti; basta con pantaloni logori e cappotti da portare anche col caldo soffocante dell’estate, per coprire la vergogna di vecchie camicette a fiori.
Senza pensarci, si diresse quasi correndo alla porta della camera, gettando appena uno sguardo ai due compagni che ancora dormivano, ascoltando distrattamente il brontolio basso e regolare dell’uno e il leggero sibilo dell’altro.
Si ritrovò nel corridoio e per un istante fu sopraffatto da una sensazione di pericolo, paura e angoscia.
Qualcosa gli attraversò rapida la mente: comprese che le confuse visioni notturne stavano tornando in superficie e suo malgrado si voltò a destra a guardare la porta chiusa che conduceva alla sala comune. Una risata lontana echeggiò nella sua testa. Abbassò lo sguardo e vide una fila ordinata di tappeti lungo tutto il corridoio, poi si voltò con decisione e si inoltrò alla sua sinistra, attraverso una fila di altri ritratti di ex prefetti che la sera prima non aveva guardato. Il corridoio era molto lungo e a metà era attraversato perpendicolarmente da un altro altrettanto profondo, che si allungava in entrambe le direzioni; a quanto pareva, il dormitorio maschile era formato da quattro blocchi di stanze che si aprivano su un corridoio a croce. I bagni del primo anno erano appena dietro l’angolo del braccio in cui si trovava lui e Severus vi entrò spingendo piano la porta. Non c’era nessuno.
Sia le pareti che il pavimento erano ricoperti da lustre piastrelle verdi, ma di diverse sfumature, così che l’effetto generale era quello di un colore uniforme e al tempo stesso cangiante, quasi in movimento.
Severus ricordò con una piega amara sulle labbra i muri ammuffiti lungo gli angoli, spogli e scrostati del piccolo bagno della casa in cui aveva abitato fino alla mattina prima.
Niente a che vedere con il luogo dove ora si trovava, con ordinati cubicoli su un lato e una fila di lavabo lungo l’altro, ciascuno dotato di un grande specchio ovale sulla parete. I rubinetti erano ricurvi e la ceramica, anche se bianca, appariva verdognola per il riflesso delle piastrelle; sotto ogni lavabo era sistemato un piccolo piano d’appoggio.
Non era che un bagno, eppure Severus si sentì inspiegabilmente immerso nel lusso in un ambiente del genere, dominato anche dall’ordine e dalla pulizia. Nessuna macchia agli angoli in alto e tutto, pur se antico e freddo, dava comunque l’impressione di un gradevole lustro.
Aveva appena appoggiato con cura la divisa sotto un lavabo quando udì un leggero tonfo di fuori, come se fosse caduto qualcosa. Incuriosito, aprì la porta del bagno e vide una piccola creatura sollevarsi sulle ginocchia e affannarsi a recuperare pezzi di carbone sparsi su un tappeto. Li gettava velocemente dentro un secchio, cercando di fare meno rumore possibile e quando finì, ripulì per bene il tappeto dalla polvere scura rimasta, ne sistemò le corte frange e fece per andare via.
Quando si accorse del bambino dai capelli lisci e scuri che lo fissava sulla porta del bagno, lo spavento allargò gli occhi già grandi di quello che Severus capì essere un elfo domestico, anche se non ne aveva mai visto uno dal vivo. La creatura era molto magra e la pelle bruna sembrava tesa sulle membra ossute; una tunica linda di cotone spesso, con una grande H ricamata sul petto, rivestiva il corpicino nervoso e ai lati del capo sporgevano due grandi orecchie come ali di pipistrello. L’elfo era impaurito e come incrociò lo sguardo di Severus si fece ancora più piccolo, ingobbendosi e farfugliando a capo chino delle scuse.
“Frongy chiede perdono, Signore, Frongy è desolato per aver rovesciato il carbone e aver disturbato il giovane Signore.”
Severus stava per ribattere, sorpreso dalla reazione dell’elfo e pronto a chiarire che non considerava grave l’aver inciampato su un tappeto, quando dal corridoio a sinistra si sentirono dei passi e Lucius Malfoy apparve in un lucido pigiama di seta grigio scuro, con i capelli sciolti appena scomposti e la divisa al braccio. L’elfo improvvisamente rabbrividì e parve ancora più intimorito. Si piegò in un inchino servile e prese a scusarsi anche con Malfoy, balbettando con voce tremante.
Gli occhi grigi del ragazzo si restrinsero con disprezzo e Malfoy disse a denti stretti:
“A quest’ora gli elfi dovrebbero essere in cucina, non a perdere tempo nei nostri corridoi. Come osi essere ancora qui a quest’ora?” La voce era tagliente e rabbiosa.
“Frongy chiede scusa, Frongy chiede scusa al Signore…”
“Io sono un Prefetto” sibilò Malfoy e rimanendo rigidamente in piedi, allungò un braccio verso l’elfo a mostrargli la spilla dorata con la P incisa sopra, appuntata sul petto della divisa. Non era che un ragazzo, ma il tono della sua voce era terribilmente autoritario.
“Frongy implora il perdono del Signore Prefetto” pigolò l’elfo e Malfoy parve gonfiarsi e godere dell’umiliazione della piccola creatura. Le labbra si incurvarono in un sorrisetto compiaciuto.
“Forse Hogwarts merita servitori più capaci…” soffiò piano Malfoy e l’elfo rimpicciolì così tanto da sembrare grande quanto il secchio che gli stava accanto.
Severus assisteva alla scena imbarazzato. Temette per un istante che Malfoy si aspettasse man forte da parte sua e sentì un fiotto di panico attanagliargli lo stomaco; non gli sembrava poi tanto grave quello che aveva fatto l’elfo, ma a quanto pareva Malfoy non era dello stesso avviso. E Severus voleva (doveva?) fare buona impressione al Prefetto della sua casa, Mulciber aveva detto che gliel’avrebbe presentato…
“Tornatene in cucina” ordinò all’improvviso Malfoy, con durezza, e Severus sussultò, osservando l’elfo agguantare il manico del secchio e allontanarsi con rapidi inchini, camminando a ritroso. Giunto alla svolta del corridoio, si girò e lo sentirono correre via a passettini veloci e lievi.
“Sei mattiniero, per essere uno del primo anno” osservò rigido Malfoy, abbassando gli occhi a studiare Severus dall’alto in basso, ma senza il disprezzo che aveva riservato all’elfo. Il suo sguardo era indagatore nel volto pallido e col mento arrogantemente sollevato e indugiò qualche secondo sul modesto pigiama di sottile flanella del bambino.
Piton si costrinse a guardare Lucius negli occhi e soffocò la necessità di giustificarsi che gli stava spontaneamente salendo alle labbra. Non stava facendo nulla di male e non era un elfo domestico. Notò che sulle guance del prefetto vi era una leggera peluria ruvida.
“Volevo mettermi la divisa” disse infine con sincerità, ma adottando un tono che fece sembrare la frase molto meno infantile di quello che era.
Malfoy parve approvare lo zelo di quel bambino dall’aria un po’ patita e dimessa, ma con lo sguardo scuro stranamente penetrante ad accendergli il volto pallido. Con un impercettibile cenno del capo si accomiatò da lui e sparì nel corridoio a fianco. Severus rimase ancora sulla porta del bagno e con sorpresa udì Malfoy entrare nella sala comune.
Quando il silenzio tornò ad avvolgere i dormitori, Severus chiuse la porta e tornò al lavabo. Si spogliò e cominciò a lavarsi.

Edited by Camelia. - 9/8/2011, 15:43
 
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Camelia.
view post Posted on 5/8/2011, 23:58




Ho trovato finalmente il tempo di proseguire, anche se il capitolo è breve. Spero di andare avanti con il primo giorno di Severus al più presto :)


Capitolo 2


L’acqua era fresca, trasparente, pulita.
Severus rimase a torso nudo, mezzo insaponato, a osservarla. La lasciò scorrere dai rubinetti, ascoltandola scrosciare, sentendola gorgogliare nel risucchio dello scarico. Chiuse gli occhi e inspirò, sempre più lentamente, la pelle inumidita che rabbrividiva ad ogni movimento dei suoi polmoni, godendosi quel rumore che pareva lavare via dalla sua mente il ricordo della miseria di Spinner’s End in cui aveva vissuto fino al giorno prima. Una miseria che non era la sola povertà materiale, ma qualcosa di più disumano, la disperazione della solitudine e della paura.
Tobias.
Un’onda bollente e selvaggia si sollevò dentro Severus al pensiero che non avrebbe visto suo padre per mesi; le labbra si stirarono in un sorriso trionfante.
Eppure sentiva che quell’uomo poteva nuocergli anche da lontano. Era un babbano. Il che faceva di lui, Severus, un mezzosangue.
Aveva potuto assaggiare la sera prima quanto fosse importante, essenziale, la purezza di sangue nella sua Casa; aveva avuto a che fare con poche persone, è vero, ma il campione era stato assolutamente unanime sulla questione del sangue e delle famiglie.
Ancora con gli occhi chiusi, strinse la saponetta tra le dita.
Se proprio doveva essere un mezzosangue, sarebbe stato meglio che il babbano fosse sua madre, almeno così lui non avrebbe avuto un cognome così traditore delle proprie origini.
Riaprì gli occhi e vide il proprio volto affilato nello specchio, incorniciato dai capelli lisci.
Oppure, ancora meglio, sarebbe stato magnifico avere il cognome di Eileen! “Mezzo Prince” l’aveva apostrofato Mulciber la sera prima, con il rispetto e la deferenza nella voce.

“Severus Prince” mormorò, osservando il movimento delle proprie labbra riflesso davanti a sé.

Suonava bene, accidenti se suonava bene. “Prince”… Vide la delusione afflosciargli tutti i muscoli del viso.
No, “Piton”. Severus Piton, così si chiamava lui.

Un brivido più forte gli ricordò di essere ancora mezzo nudo e bagnato; posò la saponetta e si accorse di avere del sapone sotto le unghie, l’aveva stretta troppo forte.
Era stato il pensiero di suo padre, si disse stizzito, doveva imparare a chiuderlo fuori da sé, doveva diventarne impermeabile. Nessuna parte del suo corpo doveva minimamente reagire al pensiero di Tobias, senza che lui ne fosse cosciente.
Tolte le morbide schegge di sapone dalle unghie, riprese a lavarsi, aprendo anche il rubinetto dell’acqua calda. Prese da sotto il lavandino un asciugamano pulito -ovviamente color argento e verde e con lo stemma di Serpeverde- e vi si avvolse. Com’era morbido, ed era anche piacevolmente tiepido! Probabilmente gli elfi domestici incantavano gli asciugamani dopo averli accuratamente piegati e ordinati in fila.
Severus affondò il volto nella spugna soffice e quando ne riemerse sussultò. Su un angolo, a lucidi ricami argento, era apparso il suo nome. Stupito, osservò le lettere eleganti, combattuto tra la meraviglia di quella magia inaspettata, l’orgoglio del proprio nome ricamato a identificare una proprietà e il ribrezzo per il proprio cognome che scintillava beffardo sotto i suoi occhi.
Qualcuno si prendeva gioco di lui!
Aveva appena preso la risoluzione di cancellare suo padre dalla mente e un asciugamano (!!!) si prendeva il gusto di sbatterglielo sotto il naso.
Si morse un labbro e serrò gli occhi. No, stavolta non avrebbe ceduto. Doveva essere superiore, quella magia lo stava mettendo alla prova… Lui avrebbe vinto, perché voleva vincere quella sfida lanciatagli dal caso.

Era solo un cognome e lui era molto di più.

Non sarebbe rimasto incastrato nelle cinque lettere del cognome di suo padre, non erano che segni, semplici segni.
“Io sono Severus” si disse con forza. “Io sarò un grande mago e i grandi maghi affrontano sfide molto più grandi di questa.” Immaginò duelli, draghi, magie complesse, pozioni terribilmente complicate, incantesimi potentissimi e micidiali.

Improvvisamente, la pochezza del sentimento che lo aveva investito nel leggere il proprio cognome gli apparve nella sua giusta dimensione. Non era niente, ora era in grado di guardarlo a distanza e poteva chiaramente vedere quanto fosse minuscolo, inconsistente.
E se era riuscito a farlo valere per sé, ci sarebbe riuscito anche con gli altri, tutti gli altri, chiunque altro.
Aggrottò la fronte, deciso.

Severus non lo sapeva, ma pochi bambini di undici anni sarebbero stati capaci di uno sforzo mentale del genere, in pochi secondi. Pochi davvero avrebbero avuto la lucidità di immaginarsi adulti e percepire come “cosa di poco conto” quella bagatella da bambini.
Ma Severus era diverso da tutti gli altri bambini della sua età e presto sarebbe stato evidente a chiunque.

Abbassò lo sguardo sull’asciugamano e una strana pace gli invase tutto il corpo. Lo posò e, come toccò il piano d’appoggio sotto il lavandino, l’asciugamano si piegò da solo, lasciando un lembo piegato, il lembo con il suo nome.
Sorrise, con la determinazione negli occhi.
Sì… lui, Severus-Mezzo-Prince, avrebbe trovato il modo di vincere quella magia.



 
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Sibilla Piton
view post Posted on 6/8/2011, 12:14




Bella bella bella bella!!!!!!
 
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Camelia.
view post Posted on 6/8/2011, 15:47




Uh, grazie emoticon_blush
 
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Sibilla Piton
view post Posted on 6/8/2011, 18:19




C'è bisogno di arrossire?

Io direi di.........NO.Non fare la modesta!Scrivi benissimo e la tua fan fiction è bella bella bella bella!!Punto.
 
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try-try
view post Posted on 6/8/2011, 18:44




Ammazza scrivi bene! Mi piace davvero molto e la storia si può dire che è inedita. mi piace sul serio. Brava!
 
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Camelia.
view post Posted on 7/8/2011, 11:25




Che bello essere stimolati così! :)

Ecco a voi il Capitolo 3:


Si vestì e si infilò la divisa, che frusciò sulla sua testa e lungo il suo corpo: la lisciò con le mani e allungò il collo per vedersi il più possibile nello specchio. Per quanto si sforzasse, riuscì a vedersi appena sotto le spalle, così prese a saltellare cercando di catturare la vista di se stesso completamente rivestito di nero e con lo stemma di Serpeverde sul petto.
Una macchia scura prese a danzare su e giù nello specchio e quello che dopo un po’ si fermò ansante fu un Severus felice, orgoglioso.
Osservò il suo viso ridente attraverso i capelli scompigliati, una visione per lui nuova. Il cuore gli batteva forte, si sentiva pieno di gioia, di energia, di…

Un’altra volta gli era capitato di sentirsi così e si bloccò nel ricordare ancora una giornata di sole in cui le sue mani e quelle di Lily erano state il perno di un mondo fatto solo di pura esultanza.

Improvvisamente non sorrideva più e la sua bocca pareva una crepa su un muro vecchio; il respiro gli si era mozzato e solo i battiti del suo cuore martellavano dentro di lui, anche se sempre più lenti e regolari.
Voleva, doveva, rivedere Lily e prima di fare colazione, decise.

Era passata solo una notte e gli pareva che fosse una vita.
Poté percepire la distanza dilatarsi tra quel sotterraneo e la torre dove si trovavano i dormitori di Grifondoro. Una paura irrazionale si impossessò di lui, temette che lei l’avesse dimenticato, che non gli avrebbe rivolto parola quando si fossero incontrati di lì a poco nella Sala d’Ingresso o in Sala Grande.
Ma rapidamente come quei pensieri neri si erano insinuati nella sua mente, l’idea della Sala d’Ingresso lo mise di buon umore.
Le loro sale comuni erano distanti, è vero, ma si sarebbero incontrati a metà strada, il che accorciava lo spazio tra lo loro e per qualche oscura ragione rendeva meno probabile che Lily fosse diventata un’estranea nel giro di una nottata.

Rinfrancato, Severus prese il pigiama e uscì dal bagno.
Nessun movimento nel corridoi, nessuno, a parte il Prefetto Malfoy, aveva ancora lasciato il tepore delle coperte. Avviandosi verso la sua camera, gli unici rumori che sentiva erano i morbidi tonfi delle sue pantofole sui tappeti in fila.
Con la mano sulla maniglia si fermò un attimo a sbirciare la porta in fondo che portava alla sala comune e, come appena sveglio, un ridda di sensazioni spiacevoli gli ribollì dentro rapidissima. Scosse con forza il capo per liberarsi di quei residui di un incubo notturno che non aveva nessuna voglia di ricordare nei particolari, se i soli frammenti che riaffioravano ogni tanto erano così angoscianti.
Aprì la porta, risoluto, e chiuse dietro di sé paure e pensieri pesanti.

Avery e Mulciber dormivano ancora della grossa; probabilmente, se fosse dipeso da loro, si sarebbero alzati solo a mattina inoltrata. Severus pensò divertito a cosa sarebbe successo se i due non si fossero presentati al primo giorno di lezione e decise che li avrebbe svegliati lui, se non avessero dato cenno di voler abbandonare il proprio sonno.
Aveva raggiunto il proprio letto e dopo aver piegato con cura il pigiama sul cuscino, si era messo calzini e scarpe, lasciando le pantofole ai piedi del baule.

Prese in mano la bacchetta, osservando il fuoco nel camino e il tappeto bruciato. Gli venne in mente sua madre, una figura magra, perennemente impaurita, che sembrava cercasse sempre il modo di non farsi notare, di confondersi con l’aria che la circondava.
Anche lei era stata in Serpeverde, ma ora Severus realizzò che non le aveva mai chiesto -né lei gli aveva mai parlato- di come si era sentita il suo primo giorno lì e non solo. Si rese conto che da sua madre aveva appreso un milione di informazioni su Hogwarts, ma mai, mai, avevano parlato di lei.

Ora che doveva scriverle, non sapeva da che parte cominciare, non c’era un terreno comune di emozioni.

Pensò a cosa Lily avrebbe scritto ai suoi genitori, certamente lo avrebbe fatto con l’entusiasmo e l’affetto che la contraddistinguevano e per di più aveva tutto da raccontare, mentre lui non aveva che i propri sentimenti da esprimere, dato che Eileen conosceva già tutto quello che era cornice e contenitore di una vita nuova.

Severus da tempo non esprimeva le proprie emozioni con i suoi genitori.
I Piton erano quasi tre estranei legati loro malgrado da un rapporto che era fatto di tutto tranne di ciò che di solito definisce il concetto di famiglia.
Eileen però, anche se non affettuosa come la madre di Lily e poco incline a manifestazioni di amore materno, a modo suo era stata una buona madre. Aveva sempre difeso Severus, anche fisicamente quando era piccolo, e solo adesso lui apriva gli occhi, solo ora comprendeva l’enormità di quegli atti e la disperazione di dover dividere la vita con un uomo come Tobias. Non poteva esistere un matrimonio più sbagliato: come era finita Eileen Prince, Serpeverde, nelle grinfie del violento babbano Piton?
Ora Severus si chiese se l’insofferenza e certe sbrigative risposte di Eileen su Hogwarts, quando lui la pungolava di avide domande, non fossero dovute al dolore di sapersi lontana per sempre da quella realtà così meravigliosa, relegata a ricordo perduto.

Severus chiuse gli occhi e provò a immaginare di uscire da scuola e non tornarci mai più, per finire in un posto come Spinner’s End e in compagnia di un uomo come Tobias.

L’angoscia degli evanescenti ricordi del suo incubo notturno non fu più nulla di fronte alla bestialità di quel pensiero.
Solo ora vedeva davvero sua madre.
La sua freddezza, la stanchezza che le avviluppava l’anima e che si traduceva nella perenne sconfitta sul volto sempre teso e impaurito e mai sorridente… tutto ora gli appariva sotto la giusta e impietosa luce.
Provò l’impulso di abbracciarla, come aveva fatto secoli prima, tanti anni fa, quando Eileen era il suo unico riparo, prima che lui la sostituisse con la solitudine di una stanza vuota o di vagabondaggi fuori casa.
Eppure sapeva bene che se sua madre fosse stata lì, davanti a lui, in quel preciso momento, non l’avrebbe abbracciata affatto. Non avrebbe nemmeno fatto il più piccolo cenno di intenzione.
Ora che non era più con lei, solo ora la capiva davvero, ma non era in grado di colmare con gesti affettuosi la distanza emotiva che era la cifra della “famiglia” Piton.
Tuttavia le avrebbe scritto, e non come dovere, ma per onorare la scoperta e la comprensione dei suoi sentimenti.

Severus si diresse alla sua scrivania, dove la sera prima aveva sistemato libri, inchiostro e pergamena. Accese la lanterna e si sedette sulla sedia dallo schienale rigido. Sapeva cosa doveva fare e, mentre srotolava la pergamena, apriva la boccettina scura e saggiava la punta acuminata della sua piuma, pensò intensamente a quali parole avrebbe usato.
Rimase per un po’ immobile, gli occhi fissi sul niente, completamente immerso nei suoi pensieri mentre con il braccio teneva tesa la pergamena che si arrotolava sugli angoli.

“Cara…”
No, “Cara mamma” no.
“Ciao mamma, io…”
Severus si soffermò incerto sulla parola “mamma”, ma dopo lunghe riflessioni e una spasmodica ricerca di alternative, una più improbabile dell’altra, non trovò nulla con cui sostituirla.
Pensò anche al resto delle cose che avrebbe scritto, mordicchiandosi il labbro inferiore e giocherellando con la piuma, sentendosi a disagio laddove gli pareva di sconfinare troppo nel sentimentalismo, anche se si trattava solo di una fredda cronaca di viaggio.

Mulciber si rigirò nel letto e Severus fu strappato dalle sue riflessioni. Non voleva che i suoi compagni lo trovassero a scrivere a sua madre.
Intinse la piuma nell’inchiostro e cominciò a grattare la pergamena con una grafia minuta e nervosa:

Ciao mamma,
ti scrivo che è ancora mattina presto, i miei compagni dormono ancora.
Ieri sera c’è stato lo Smistamento e sono un Serpeverde.


Dopo qualche secondo di titubanza, aggiunse una sottile linea sopra il punto. Fu l’unica concessione a un’emozione, anche se si pentì subito di questa debolezza.
Ma non voleva che ci fossero cancellature, quindi proseguì.

… Serpeverde! Il Preside Silente ci ha fatto un discorso dopo cena e ancora non ho conosciuto nessun insegnante, anche se mi hanno detto che il professor Lumacorno ci insegnerà Pozioni ed è anche il direttore della nostra Casa.

Tralasciò di scrivere “Come ai tuoi tempi?”, così come stava tralasciando qualsiasi parola o espressione che potessero tradire una vicinanza.
Mulciber grugnì, rigirandosi di nuovo.

Forse lo vedrò oggi. Ho già conosciuto il nostro prefetto, si chiama Lucius Malfoy. E i miei compagni stanza, Avery e Mulciber.

Si fermò e prese ad accarezzarsi il mento con la piuma.
Doveva scrivere qualcos’altro, la lettera era davvero breve!
Pensò a Frongy e a quanto era capitato nel corridoio poco prima, ma rifletté che parlare di elfi domestici a una donna che viveva nella miseria non fosse una gran mossa.
Poi si ricordò dell’impresa del giorno prima e intinse in fretta la piuma, eccitato, ma un attimo prima di tracciare qualsiasi segno, si fermò.
Voleva raccontarlo, ma allo stesso tempo si rifiutava di farlo.
Era una cosa sua.
E dei suoi compagni. Una cosa di Hogwarts, del suo nuovo mondo, che non voleva sporcare mandandola a Spinner’s End.

No… Non gliel’avrebbe scritto.

Oggi avrò le prime lezioni e mi hanno detto che ci distribuiranno gli orari a colazione.

Che cosa arida da scrivere… perché non le scriveva che voleva cercare la biblioteca e dare un’occhiata al parco prima di immergersi nella lettura di qualche libro adatto a ragazzi più grandi, di cui però eguagliava il livello di conoscenze?
Quel giorno poi anche aveva in mente di passare molto tempo con Lily, ma questo non l’avrebbe assolutamente scritto.
Eileen forse aveva capito che suo figlio conosceva quella bambina babbana, quando erano stati al binario 9 e tre quarti il giorno prima, e forse aveva anche capito qual era stata la meta delle sue lunghe assenze da casa, ma non aveva detto niente e Severus a sua volta aveva continuato a non mettere in comunicazione il mondo di Lily con quello di Spinner’s End, neppure nel momento del distacco da sua madre.
Era difficile scrivere quella lettera per un bambino abituato a dividere la propria vita in tanti pezzi che si curava rimanessero ben indipendenti l’uno dall’altro.

Spedirò questa lettera più tardi, devo prima capire dove si trova esattamente la guferia della scuola. E comunque penso che sia meglio se la lettera arriva di notte.

L’ultima frase l’aggiunse senza riflettere, scrivendo di getto a lettere più scomposte e più minute ancora. A quanto pareva, era solo nel timore delle reazioni di Tobias che riusciva a manifestare un po’ di empatia.
Severus non si soffermò a pensarci, ma gli fece bene scriverla.
Come fece bene a Eileen leggerla, quando la lettera arrivò quella notte, con un gufo che molto discretamente frusciò piano con l'ala scura sul vetro sudicio della finestra della cucina, mentre suo marito non c’era.

Anche Avery si mosse sotto le lenzuola, mentre Mulciber si grattava negli ultimi rimasugli di sonno.

Ciao,” decise infine di scrivere, a grande fatica. “Severus

Arrotolò stretta la pergamena e la legò con un cordino proprio mentre Mulciber allungava un braccio fuori dalle coperte e si esibiva in un colossale, sonoro sbadiglio.

Edited by Camelia. - 24/7/2013, 14:36
 
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Sibilla Piton
view post Posted on 7/8/2011, 13:53




Che bellooooooooooo........brava!
 
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Camelia.
view post Posted on 9/8/2011, 00:59




Capitolo 4


“Grnaumph” udì Piton alle sue spalle.

Si voltò e vide Mulciber sollevarsi dal letto e fare strane smorfie nel tentativo di aprire le palpebre, che non parevano però essere molto collaborative. I capelli scuri gli stavano tutti ritti e schiacciati da una parte, mentre un reticolo di segni rossi gli copriva la guancia su cui aveva dormito. Il ragazzo prese a stropicciarsi gli occhi con sempre maggior vigore e, solo dopo un minuto buono da che si era messo seduto, fu in grado di aprirli.
Ma potevano essere ancora chiusi, dall’espressione vuota che mostravano, una pesante cortina di sonno li velava ancora, facendoli sembrare opachi.

Severus, contento di aver finito con la lettera prima i compagni si destassero, lo osservò reprimendo una risatina. Mulciber era davvero buffo, si muoveva e grugniva senza sapere come e perché, completamente intontito e incapace sia di articolare parole che di compiere movimenti sensati.
Mentre si stiracchiava spalancando nuovamente la bocca (lo sbadiglio più lungo della storia pensò Severus, che fissava il compagno bloccato in una comica posa plastica), anche nell’altro letto cominciarono a intensificarsi i rumori: Avery si stava svegliando e, a quanto pareva, il processo era un po’ più rapido e composto rispetto a Mulciber. Nessun gesto plateale, ma un pacato sollevare la schiena e aprire lentamente gli occhi su cui ricadevano finissimi capelli castani che si accendevano ogni tanto di riflessi dorati nel movimento delle fiamme del caminetto.
Avery rimase per qualche istante inebetito a fissare apparentemente Severus, in silenzio. Poi ricadde di schianto sul materasso, senza un suono; Severus fece fatica a non ridere e camuffò il suono che gli uscì di bocca fingendo di schiarirsi la gola.

Ripensò alla sera prima e a tutti i loro bei discorsi su “un certo tipo di magia” e sui “maghi coi controfiocchi come Lui” (Severus ripensò anche al ritratto del giovane in corridoio e due lampi rossastri gli attraversarono rapidi la mente, provocandogli un brivido)…
Per tutti i folletti, quei due davvero pensavano di esplorare i più oscuri recessi della magia, se non erano neppure in grado di svegliarsi?
Si alzò dalla sedia facendo volutamente rumore e con la coda dell’occhio vide due fessure tra le palpebre gonfie di Mulciber e scorse Avery rimettersi nuovamente seduto.

“Scei già sveglio?” biascicò quest’ultimo.
“Oh sì. Da un po’.” rispose Severus, apparentemente con noncuranza, ma calcando le ultime parole, mentre si dirigeva al proprio letto e nascondeva la lettera per sua madre nel baule.
“E sei anche già vestito!”
Avery scrollò il capo nel debole tentativo di schiarirsi le idee.
“Già.”, rispose asciutto Severus, dirigendosi verso il baule per prendere la bacchetta e infilarla nella tasca interna della divisa.
“Umph”, mugugnò Mulciber, con voce arrocchita. “È troppo presto… a casa non mi sono mai dovuto svegliare così presto, se quell’elfo domestico ci provava, le prendeva.”

Avery parve trovare divertente l’idea di Mulciber che picchiava un elfo e sghignazzando scese finalmente dal letto, stiracchiandosi in piedi. Dei due, era senz’altro quello meno rozzo nel modo di muoversi. Anche fisicamente era più raffinato, aveva lineamenti sottili e delicati e una corporatura snella, anche se non gracile come quella di Severus. Detto questo però, poteva essere il gemello di Mulciber, quanto a visione della vita.

“Beh, io vado in bagno” annunciò, prendendo vestiti e divisa.
“A… ashhpettami” sbadigliò Mulciber che tra un’imprecazione e l’altra era riuscito nell’impresa di mettersi in piedi e di infilarsi le pantofole, anche se invertite.
Ciabattando, seguì l’amico fuori dalla stanza, mentre bofonchiava ancora qualcosa sullo svegliarsi all’alba.
Quando i due aprirono la porta per uscire, dei rumori annunciarono che anche altrove nel dormitorio gran parte dei Serpeverde si stava svegliando.

Rimasto solo, Severus si godette quei momenti di pace e, preso un libro dalla sua scrivania, si accomodò sulla poltrona di fronte al camino, sprofondandoci dentro e dondolando i piedi verso il fuoco. Anche se era pronto già da un po’, non voleva entrare in sala comune da solo.
Anzi, a dire il vero lo voleva, ma pensò che l’avere al fianco Avery e Mulciber –che sembravano già popolari e ben inseriti- gli avrebbe risparmiato un po’ di spiegazioni che non aveva intenzione di dare.
Quei due non erano al suo livello, ormai l’aveva capito, tuttavia avevano qualcosa che a lui mancava: la purezza del sangue e la considerazione della Casa, a prescindere. La loro vicinanza era il modo più rapido ed efficace per ovviare a questa deficienza.

Sfogliando distrattamente il libro, all’improvviso pensò che Lily era completamente babbana.
Gli occhi di Severus si spalancarono di botto e il volume gli scivolò tra le dita, rimanendo placidamente aperto sulle sue ginocchia.
Lily.
Lily… non avrebbe mai rinunciato a lei, ma come poteva giustificarla ai suoi nuovi compagni? Si vergognò un po’ di quel pensiero, eppure avvertiva l’urgenza di risolverlo.
Era strano, fino ad allora era stato lui a sentirsi in dovere di giustificare la propria esistenza quando andava al parco o a casa di lei. In territorio babbano era lui il pesce fuor d’acqua, la nota stonata, l’ospite sgradito di casa Piton, assieme a Eileen.

“Quell’inutile, dannato ragazzino! È tale e quale a te!!” aveva gridato un giorno Tobias.
Il ricordo di suo padre lo incupì. Si sforzò di non pensarci e corrugò tutti i muscoli del viso nello sforzo di non pensare a quelle braccia maledettamente forti, a quegli scatti d’ira incendiaria, alla violenza di quell’uomo volgare.

***


“Che cos’hai da guardare tu?” ringhiò l’uomo.
Severus strinse ancora più forte le ginocchia al petto e, quando Eileen gridò di nuovo, serrò gli occhi e si tappò le orecchie con le mani piccoline e magre. Ombre presero ad agitarsi davanti alle sue palpebre chiuse, urla rumori e tonfi lo raggiunsero attutiti, mentre si spingeva sempre più con la schiena contro il muro, disperato e impaurito.
Poi ci fu qualche secondo di silenzio e tutto parve sospendersi in un incredibile niente. Il bambino rimase immobile, terrorizzato all’idea di guardare.
Poi udì dei passi pesanti allontanarsi e lo schianto della porta d’ingresso sbattuta con violenza lo fece sussultare.
Il silenzio che ne seguì fu subito rotto dai respiri affannosi che provenivano a poco più di un metro di distanza da lui.

Severus aprì piano gli occhi, mentre le membra si scioglievano dalla morsa che le aveva rattrappite fino a quel momento e vide il corpo rivestito di scuro, riverso a terra su un fianco, immobile, a parte il movimento rapido e ansante del torace. Si mise in ginocchio e avanzò timoroso in quella direzione, verso la schiena che si alzava e abbassava convulsamente.
“…Mamma?”
Un suono soffocato e poi una mano bianchissima fece capolino sopra la testa della donna; i capelli che erano stati raccolti in ordine, ora pendevano sfilacciati dal nodo allentato che prima li stringeva. Le dita magrissime tremavano, ma afferrarono saldamente la gamba di una sedia rovesciata.
La donna fece forza e riuscì a sollevarsi e mettersi seduta, continuando a non voltarsi verso il bambino. Ora i suoi respiri si fecero più lenti, la donna si stava sforzando di calmarsi. Piangeva?

Severus, ancora spaventatissimo per il litigio dei suoi, si sentì stranamente a disagio. Voleva andare da lei, ma percepiva un ostacolo tra loro, un muro che gli sembrava indecente superare.
Era troppo piccolo per comprendere cos’era, sapeva solo che c’era e non era in grado di capire cosa fare. Lo spavento gli pulsava ancora dentro.
Dietro di lei, la vide armeggiare con qualcosa e quando Eileen finalmente si voltò, ancora aggrappata alla sedia, stringeva tra le dita un lembo del grembiule logoro e rattoppato e i suoi occhi incavati nel volto scarno erano arrossati. Ma il viso era asciutto, non vi era traccia di lacrime.

“…M-Mamma?” osò, esitante.
Forse capiva che non avrebbe dovuto parlare, addirittura che non avrebbe dovuto stare lì, ma era rimasto e aveva parlato.
Di più, la stava guardando.
Vide la mano di Eileen stringere il grembiule. Ora erano inginocchiati uno di fronte all’altro, e Severus era combattuto tra la disperata voglia di una rassicurazione e la sensazione che avrebbe dovuto lasciarla sola.

Eileen allungò un braccio verso il suo bambino. Severus si avvicinò un po’, timoroso.
“C’è un po’ da rimettere a posto” sospirò la donna, facendo vagare lo sguardo sul disastro che regnava in cucina; la sua voce era monocorde, stanca.

Poi Eileen si voltò di scatto.

La sedia le era scivolata tra le dita e ora era in piedi di fianco a lei, raddrizzata. Severus era ancora vicino al muro, con gli occhi spalancati.
“Mamma?” domandò ancora, ma stavolta non c’era paura nella voce, bensì sorpresa e incredulità.

Eileen si portò le mani alla bocca e stavolta sì, stavolta Severus vide le lacrime spuntarle negli occhi e traballare sulle ciglia.
Eileen lo sollevò e lo mise seduto sulla sedia, accucciandosi davanti a lui, tenendogli le braccine tra le mani e fissandolo intensamente negli occhi. I piedi del bambino arrivavano giusto sul bordo.

“La sedia si è tirata su” disse lui, per rompere quel silenzio imbarazzante.
“No.”
Severus la guardò interrogativo. Come no? Come “No”? Come poteva sua madre negarlo, era appena accaduto, l’aveva appena vist…
“No, Severus, non si è tirata su.”
Eileen non gli staccava gli occhi di dosso e il respiro le si fece grosso.
“Sei stato tu.”

Severus si spaventò a morte.
Quella era una frase maledetta, la pronunciava suo padre tutte le volte che lui faceva cadere qualcosa per sbaglio ed era sempre l’anticamera di qualcosa di brutto, molto brutto e molto doloroso. Per questa ragione, il bambino trattenne il fiato spaventato, ma quando alle parole non seguì nulla di quello che era consuetudine accadesse con Tobias, Severus suo malgrado si tranquillizzò e osservò meglio la madre.

Le sue mani gli stringevano salde le braccia, ma non era una stretta violenta, non sentiva male.
Un ciuffo di capelli le era scivolato davanti al viso e si muoveva al ritmo del respiro che le usciva sonoro dalla bocca aperta.
Sembrava che Eileen volesse comunicare qualcosa al figlio con la forza dello sguardo e, proprio quando il bambino aprì bocca per chiederle qualcosa, lei disse, fredda:
“Ti porto a letto Severus, tuo padre si arrabbierà molto se ti trova ancora sveglio quando torna.”

Suo padre sarebbe tornato. Tornava sempre e non era mai una buona notizia.
Severus si dibatté all’idea, disperato. Non... non c’era modo di evitarlo? Non si poteva chiudere bene la porta e non farlo rientrare mai più? Mentre seguiva Eileen su per le scale tenendole la mano, immaginò suo padre che non riusciva ad entrare in casa e la visione di una porta sfondata e di un Tobias parecchio alterato lo fece tremare.
Allora forse era meglio andare via. Ecco, se lui e sua madre fossero andati via, allora Tobias non avrebbe trovato nessuno quando sarebbe tornato!

Guardò sua madre, proprio mentre erano arrivati in camera e lei lo aveva messo in piedi sul letto dalla testata di ferro, iniziando a spogliarlo per mettergli il pigiama.
“… Mamma?” azzardò timidamente.
“Uhm?”
“’diamo via?”

Le mani di Eileen si bloccarono e Severus rimase con la testa dentro la maglia del pigiama. Dopo qualche secondo di silenzio in cui rimase immobile, riemerse da solo e vide sua madre con una strana espressione stampata sul volto. Per un attimo gli parve quasi di leggervi qualcosa di simile alla speranza, ma quell’attimo fu subito sostituito dalla consueta rassegnazione, che invase rapidissima il volto stanco di Eileen e parve rinsecchire anche tutto il suo corpo.

Poi, lei disse qualcosa di incredibile.

Tu te ne andrai, Severus.”
Il bambino non ebbe il tempo di aprire quasi la bocca.
“Non subito” lo anticipò lei. “A undici anni.”
“Perché?”
La voce di Severus tremava di paura e somigliava vagamente ad un piagnucolio.
“Non mi chiedi dove andrai?”
Il bimbo rimase interdetto qualche secondo.
“Dove?”
“A Hogwarts” rispose Eileen in un sussurro e qualcosa nel modo in cui lo disse tradì solennità e al tempo stesso un’infinita pacatezza.
“Dov’è?”
“Non mi chiedi cos’è?”
Anche stavolta Severus studiò per qualche secondo il volto della madre e nei suoi grandi occhi scuri vide un mondo di risposte che aspettavano solo la domanda giusta.
“Cos’è?”
“È una scuola.”
Tutto il senso di aspettativa di Severus si sgonfiò un pochino. Sai che notizia. Anche se aveva solo tre anni, lo sapeva che i bambini vanno a scuola, li aveva visti quelli più grandi di lui nel quartiere, con dei libri sottobraccio. Ma poi tornavano sempre a casa!

“È una scuola per bambini maghi.”

Cosa?? Severus guardò la madre dritto negli occhi, arrabbiato. Si stava prendendo gioco di lui ed era una cosa che non sopportava.

“Prendilo dai! Non lo prendi? Non lo vuoi? Non ci arrivi? Eh, non ci arrivi? Eh?”
Tobias aveva l’abitudine di sfilargli dalle mani qualsiasi oggetto lui avesse trovato per giocare e di tenerlo alto, fuori dalla sua portata. Severus odiava a morte essere canzonato a quel modo e vedere suo padre godere dei suoi sforzi disperati di recuperare ciò che gli era stato tolto.


“Non guardarmi così. Hai capito bene: una scuola per giovani maghi. Tu sei un mago, Severus.”
Qualcuno doveva aver lanciato un sasso dentro di lui, perché ora sentiva delle onde incresparsi e allargarsi nella sua pancia.

“Hai rimesso tu la sedia dritta, anche se non te ne sei reso conto.”
Severus non capiva nulla, non aveva neppure percezione del suo corpo, adesso. Eileen gli infilò le braccia nelle maniche del pigiama. Sospirò.
“Mettiti sotto le coperte”, gli disse.
Lui obbedì e lei si sedette sul letto, tenendogli una manina tra le sue.

“Anche io sono andata lì. Io sono una strega.”
E prima che lui avesse il tempo di reagire in qualunque modo, sfilò qualcosa da dentro il vestito, un sottile pezzo di legno e, dopo che lo ebbe agitato con un piccolo movimento del polso, Severus vide i poveri vestiti che si era appena tolto sollevarsi a mezz’aria, piegarsi e andarsi a posare sul casettone lì a fianco, in ordine.
Fu troppo, non poté impedirsi di scattare immediatamente seduto.
“Ma io… ma come… cosa devo?... mamma…? E quella?” riuscì a dire infine, fissando a bocca aperta la bacchetta di Eileen.
“Questa è una bacchetta magica, ma non puoi averla prima di aver compiuto undici anni.”
Severus la fissava come si fissa la cosa più bella, più bella del mondo.

“Io non lo sapevo che lo eri anche tu” mormorò Eileen e Severus fu sorpreso da tanta confidenza.
Succedevano cose strane, quella sera.
Improvvisamente gli salirono alle labbra un’infinità di domande, ma sua madre dovette capirlo e lo bloccò subito.

“Severus, ora non ho tempo” e con la punta delle dita gli scostò i lisci capelli neri dalla fronte. “Devo rimettere a posto le cose in cucina prima ch… Devo rimettere in ordine” tagliò corto.
“Con quella?” chiese Severus indicando la bacchetta.
“Io…” fece Eileen, pensierosa.
“Sì… potrei…” riflettè tra sé e sé, ma lo sguardo involontario che lanciò alla porta fece capire qualcosa a Severus.
Capì che usare la bacchetta era una cosa che avrebbe fatto infuriare Tobias e allora capì anche un’altra cosa. Tobias non poteva farlo.

“E…” azzardò, perché doveva assolutamente avere la conferma a questo sospetto. “E… lui?”
Eileen si voltò bruscamente e fece per nascondere la bacchetta.
“No!” gridò Severus, allungando la mano, ma fermandosi appena prima di toccarla, come se non si sentisse degno di tanto onore.
“È babbano”, mormorò infine Eileen, dopo una lunga pausa.
“Non è come noi” aggiunse, in risposta allo sguardo interrogativo del figlio.

Stavolta la bocca di Severus si spalancò mentre lui tratteneva forte il respiro; gli sembrò di veder disegnarsi attorno a sé una realtà diversa e perfino i muri vecchi della sua stanza gli parvero accoglienti.
Ma Eileen si era alzata e gli stava rimboccando le coperte.
“Mi… mi posso guardare solo una cosa?” farfugliò Severus, che sentiva di non farcela proprio a starsene disteso buono lì e tentava di respingere le coperte.
Eileen capì, perché dopo un attimo di esitazione stese la mano verso di lui, che schizzò letteralmente fuori dal letto e la seguì nuovamente di sotto, in cucina.
“Una sola”, chiarì lei.
Severus la guardò da sotto in su e annuì, serio e determinato. Attento.
Eileen si guardò intorno, incerta, e poi indicò a suo figlio i vetri infranti di un bicchiere. Severus si concentrò.

REPARO”, disse lei, puntandoci contro la bacchetta.

I vetri sparpagliati furono sollevati da una forza invisibile, anche le schegge più piccole, e si incontrarono a mezz’aria saldandosi tra loro. Un attimo dopo, un bicchiere perfettamente intatto si posava sul tavolo.
Severus si molleggiava sulle ginocchia, al settimo cielo.
Eileen lo fissò, inclinando leggermente il capo per ricordargli la promessa e lui, sì, avrebbe obbedito, tra un attimo. Si gettò contro la gambe di sua madre, stringendole tra le piccole braccia e affondando il volto nel grembiule.

Loro due non erano come Tobias... Il mondo poteva essere bello.

***



Edited by Camelia. - 24/7/2013, 15:20
 
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Sibilla Piton
view post Posted on 9/8/2011, 13:49




Belloooooooooooo continua!!!!!Mi fai piangere.......mi piace quando parli di Eileen,mi dà molte emozioni.Povera cara......
 
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Camelia.
view post Posted on 9/8/2011, 22:58




Grazie! :) :)


Capitolo 5


Severus scosse il capo per scacciare quel ricordo. Era stato secoli fa, era stato un altro bambino.

Da quanto non c’era più un contatto fisico con sua madre?
Il giorno prima, quando era salito sull’Espresso per Hogwarts, Eileen aveva allungato una mano verso di lui, forse voleva accarezzargli la testa, forse no, fatto sta che Severus si era irrigidito e anche sua madre era parsa stupita del movimento del proprio braccio. Gli aveva stretto appena la spalla tra la punta delle dita e gli occhi vuoti da anni si erano per un istante riempiti di qualcosa che Severus non ricordava di averci mai visto.
Era stato imbarazzante, per entrambi, eppure si erano detti tutto quello che avevano vergogna di dirsi, vergognandosi di averlo fatto.

Sul binario, intanto, Lily si lasciava stritolare dalle braccia di suo padre e di sua madre, mentre Petunia se ne stava in disparte, col broncio, saettando sguardi attorno. Le si leggeva in faccia che stava friggendo dalla voglia di andarsene via di lì, non faceva che spostare il proprio peso da un piede all’altro, lanciando occhiate disgustate ai genitori e alla sorella e cercando di non guardare tutto il caos lì intorno e l’andirivieni di tutte quelle persone squilibrate, vestite con abiti dalla foggia e dai colori pazzi; per sbaglio, aveva incrociato per un attimo gli occhi di Piton, affacciato alla porta del vagone, e invisibili scintille d’odio furono scambiate con reciproca soddisfazione.

“Mi scriverete, vero?” stava dicendo Lily trepidante.
“Ma certo, tesoro” disse dolcemente la signora Evans, dandole l’ennesimo bacio sulla guancia. “Scrivici anche tu, piccola, mi raccomando. Raccontaci tutto!”
Le accarezzò i capelli rossi e il viso insieme eccitato e spaurito.
“E sii brava.”
“Sì, mamma!” Lily si gettò di nuovo tra le sue braccia.

Non potendone a farne a meno, Severus aveva spostato l’attenzione sulla famiglia felice (beh, sorella babbana a parte) e anche Eileen, seguendo lo sguardo di suo figlio, aveva suo malgrado posato l’occhio sul gruppetto abbracciato, ascoltandone il brandello di conversazione.
Madre e figlio sussultarono nello scoprirsi a guardare qualcosa che loro due erano incapaci di riprodurre. Le dita di Eileen scivolarono via dalla spalla ossuta di Severus e la donna tentò di dire qualcosa.
“Fai presto” pensava il bambino, a disagio, evitando di guardarla.
Non ce la faceva più a sostenere quella situazione di tensione.

“…Scrivimi...” gli disse infine Eileen, con voce piatta, fissando un punto sopra la sua spalla.
Non era un ordine, era più una frase fatta, qualcosa che andava detto, eppure portò con sé l’eco velata di una preghiera.
La donna allungò la mano di nuovo e la bloccò a mezz’aria. Sempre senza guardarlo, con un gesto meccanico sfiorò il petto del figlio, spazzolando rapida con la mano la divisa di Severus, anche se non c'era nulla da togliere.
“Quando… quando arrivi, intendo” aggiunse a voce più alta e sicura, come per escludere qualsiasi coinvolgimento e rimarcare il fatto che scrivere a casa fosse nulla più che una consuetudine, qualcosa da fare e basta.
“Va bene.”
Severus mosse un passo indietro. Non vedeva l’ora di chiudere, non poteva dirle nient’altro, anche se sentiva di essere villano.

Si erano guardati un’ultima volta, gli occhi pieni di speranza di Severus contro quelli spenti per sempre di Eileen, dopodiché il bambino si era voltato ed era corso subito a prendere la divisa dal suo bagaglio, sgomitando nel vagone affollato.
Fu l’unico a non sporgersi dal finestrino, urlante, per salutare sua madre, immobile sul binario.
La vide alzare di scatto una mano e deviarla immediatamente a grattarsi il collo, gli occhi scuri grandissimi nel viso scarno e scolorito, mentre tutti gli altri genitori si sbracciavano attorno a lei e alcuni seguivano anche il movimento lento del treno che sbuffava più che mai.
Un’impenetrabile cortina di vapore bianco oscurò i finestrini e solo allora Severus si prese una pausa dalla gioia infinita di essere accanto a Lily e guardò verso il binario che non poteva vedere; alzò le dita di una mano, per un attimo.

Undici anni di sofferenza assieme non potevano produrre differenti manifestazioni di affetto materno e filiale tra Eileen Prince Piton e Severus.
Probabilmente, l’unico “sentimento” che si poteva riscontrare nel rapporto tra lui e sua madre era il rispetto. Gli abbracci erano spariti da tempo, Severus aveva imparato a farne a meno ed Eileen… beh, lei era stanca, sfiancata dagli anni trascorsi accanto a Tobias, senza più alcuna volontà. Non lottava più, neppure per suo figlio, da quando Severus aveva imparato a difendersi da solo, ed era accaduto molto presto.

Eppure, nonostante gli anni di sottomissione e silenzio, Severus fu certo che lei avrebbe lottato ancora se il marito non avesse acconsentito, per puro dispetto, a mandare il bambino a Hogwarts. Ma perfino Tobias aveva visto più vantaggio nel liberarsi del ragazzino che tenerselo a casa… In ogni caso sarebbe rimasta la moglie, non gli sarebbe mancato qualcuno su cui sfogare il suo animo bestiale.
La mattina della partenza, quando Eileen e Severus si erano preparati in fretta per uscire, Tobias non aveva detto nulla, ma una volta sulla soglia, aveva sputato per terra guardando moglie e figlio allontanarsi uno di fianco all’altra, trascinando un baule.

Severus si chiese cosa aveva subito la madre, al suo ritorno a casa. Mentre lui era sul treno, con Lily e quei due bambini antipatici, mentre era Hogsmeade, o mentre si dirigeva alle barche, o nei meravigliosi momenti impiegati ad attraversare il Lago Nero… che cosa era successo a Eileen?
Si vergognò di non aver pensato a lei neanche un attimo, il giorno prima. Quale disperato coraggio le aveva fatto varcare la soglia di quella casa maledetta quando aveva fatto ritorno alla desolazione di Spinner’s End? Che avrebbe fatto da sola, con Tobias? Cosa le avrebbe detto quel babbano? Cosa le avrebbe… fatto?

Severus si afferrò il capo tra le mani.

***

Quella notte di otto anni prima, quando era venuto a sapere l’esaltante verità della sua natura di mago, Severus era ritornato nel suo letto con il cuore a mille e una valanga di pensieri.
Si era messo sotto le coperte, ma per circa mezz’ora era rimasto seduto, eccitato, tentando di muovere una sedia lì vicino. Non c’era stato verso, la sedia era rimasta ferma dov’era, sotto la finestra. Un po’ deluso, era stato improvvisamente colto da una pesante stanchezza. Doveva aspettare fino al giorno dopo, l’indomani avrebbe chiesto a sua madre come fare, oh sì. Anche lei era magica.
A quella rivelazione, gli era sembrato di aver cancellato Tobias dalla sua esistenza.
Certo, era durato molto poco. Era bastato che suo padre tornasse a casa perché i muri tornassero a essere brutti e freddi. Lo sentì, nella camera accanto.

La cucina era stata riordinata, Severus aveva sentito sua madre rimettere tutto a posto, anche se poteva giurare che non aveva usato la magia. Per paura, come capì solo parecchio tempo dopo.
Eppure quell’uomo aveva trovato da ridire, come sempre, e le grida erano continuate anche di sopra. Ma quella fu la prima volta che Severus ebbe un vago pensiero felice su cui focalizzarsi, anche se la paura e le lacrime tornarono a fargli compagnia, mentre si raggomitolava sotto le coperte in preda all’angoscia e si sforzava di non sentire, non sentire…

***


Severus si riscosse, staccando le mani dalla testa. Non aveva più tre anni, per Merlino.
Si limitò a provare una fitta dolorosa al petto al pensiero di Tobias. O meglio, di sua madre sola con lui. Maledetto babbano.
Babbano... Tornò subito a pensare a Lily; era per questo che il Cappello Parlante non l’aveva messa a Serpeverde? Al banchetto di benvenuto Lucius Malfoy aveva definito quelli come Lily “rifiuti babbani”.
L’agitazione scosse Severus.

Chiuse di schianto il libro, lo rimise a posto e fece per uscire dalla porta, risoluto. Al diavolo la sala comune, i compagni Serpeverde, l’ansia di piacere a Malfoy… Solo per oggi, sarebbe salito da solo fino alla Sala d’Ingresso e l’avrebbe aspettata, sperando che non ci fosse troppa gente.
Aveva già la mano sulla maniglia della porta, quando udì delle voci vicinissime e con un balzò si portò di nuovo presso le poltrone.

Avery e Mulciber entrarono ridacchiando, le facce un po’ più sveglie. Evidentemente l’acqua aveva fatto il miracolo.
“Ehilà!”, lo apostrofò Mulciber, ora in grado di connettersi con la realtà e di pronunciare parole di senso compiuto. “Avevo appena detto ad Avery che secondo me potevi già essere in classe ad aspettare la prima lezione...” E rise.
Severus cercò di ridere anche lui. Mulciber era davvero scemo.
Lo vide lanciare le pantofole verso il letto e così pure il pigiama, che rimase penzoloni sulle coperte in disordine. Lo stesso fece Avery, anche se ebbe la decenza di posare le sue cose.

“Ah, bene!” Mulciber face un gran sospiro con le mani sui fianchi, fissando Severus.
“Secondo me tu ci farai guadagnare un sacco di punti, diventerai il cocco dei professori. Aspetta solo che si sappia cosa hai fatto ieri sera…”
Piton si sentì pungolare dal compiacimento, ma non lo diede a vedere e si voltò verso il camino.
Sentì i suoi compagni avvicinarsi e un’esclamazione uscì ancora dalla bocca di Mulciber.
“Ma cosa fai, l’elfo domestico? Guarda che non occorre che sistemi il letto e il pigiama. E le pantofole, guarda Avery, ha messo in ordine le pantofole!”
Severus odiò quel bambino.
Avery si rese conto che Mulciber stava esagerando e gli fece cenno di star zitto. Come aveva fatto il compagno la sera prima, cinse le spalle di Severus con un braccio, spingendolo verso una poltrona.

“Non avete mai avuto un elfo domestico a casa?”
Severus lo guardò; Avery forse era meno bestia di Mulciber nei modi, ma il suo parlare piano e lo sguardo troppo comprensivo, traditore di una grande malizia, erano forse più difficili da digerire.
Si sentì a disagio: come sempre, quel bambino non faceva domande, ma affermazioni.
“No. Ma ho messo a posto per abitudine...” Severus passò al contrattacco, parlando col tono più indifferente che riuscì ad adottare.
Fissò il tappeto, come per sbaglio.
Certe cose mi vengono senza pensarci.

Bingo.

Ora Avery non aveva più niente da dire e Mulciber si avvicinò a loro, gettando uno sguardo al tappeto pure lui. Anche se non li guardava, Severus percepiva che la loro abitudine al lusso e alla ricchezza si sarebbe sempre inesorabilmente infranta contro le sue capacità superiori.
Si grattò la testa e li graziò, scegliendo di non umiliarli oltre. Doveva tenerseli buoni.
“A che ora si va di sopra?”
“Verso le 8, credo” rispose Avery gentilmente.
Mulciber emise un lamento.
“Beh, almeno oggi, no? La prima lezione è alle 9, ma devono darci gli orari e tutto… Andiamo a vedere se Malfoy è già in sala comune.”
“È uscito” li informò Severus.
“Perché, l’hai visto?”
“Sì, l’ho incontrato in corridoio.”
“Ah già!” Mulciber si diede una manata in fronte. “È un Prefetto, i Prefetti hanno il loro bagno.”
Questa poi. Bagni riservati.
Ecco una cosa di Hogwarts che Severus non sapeva (perché sua madre non gliene aveva mai parlato?) ed ecco spiegato l’arcano su Malfoy che all’alba usciva dalla sala comune in pigiama.
“Beh, andiamo?” fece Avery, annoiato. “Tanto qui non c’è niente da fare.”

Severus si alzò dalla poltrona, lievemente agitato. Mentre il terzetto usciva dalla stanza, finse di grattarsi il torace, per sentire la bacchetta contro il petto.
Stava per essere presentato come si deve al Prefetto della sua casa, nonché a un ragazzo che doveva appartenere a una famiglia magica molto importante.

Edited by Camelia. - 24/7/2013, 20:32
 
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laracroft950
view post Posted on 10/8/2011, 11:11





Molto bello il tuo racconto su Severus bambino. Complimenti!
Aspetto con ansia il seguito della storia.
 
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Sibilla Piton
view post Posted on 10/8/2011, 13:07




Bello!Mi fa una tristezza Eileen.......si sa così poco di lei!Ma tu me la stai facendo immaginare meglio,davvero!

Però i pensieri di Severus sono giusti,mentre lui è lì a divertirsi,chissà quanto male avrà fatto Tobias a Eileen.....
 
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Camelia.
view post Posted on 10/8/2011, 15:00




Grazie ragazze! :)

Eileen e Tobias erano spuntati fuori anche nella fiction precedente che sarebbe la prima parte di questa, "La prima sera".

E' strano, non riesco a pensare alla storia prima di scriverla, sta venedo fuori da sé man mano che procedo :)
 
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Camelia.
view post Posted on 11/8/2011, 22:14




E intanto vediamo che succede nel dormitorio e nella sala comune Serpeverde... buona lettura! :)

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Capitolo 6


Uscirono dalla stanza e Avery e Mulciber percorsero il corridoio non facendo che darsi spinte, saltarsi addosso e ridere.
Severus non si unì a quel gioco, era pensieroso e camminava lentamente qualche passo dietro a loro; passando davanti al ritratto del giovane dal nome sconosciuto, non poté impedirsi di sollevare il capo e lanciargli un’occhiata. Il ragazzo lo fissò di rimando e il bambino dai capelli neri troppo lunghi rivisse tutte le sensazioni della sera prima, ma stavolta non scappò.
Ora sapeva cos’era diventato quel ragazzo e interpretò la sua espressione non più come superba, bensì trionfante.
Lord Voldemort”, mormorò pianissimo tra sé e sé, davanti al quadro.

Chissà come ci si doveva sentire a essere temuto e rispettato da tutti, pensò Severus, e senza accorgersene sfilò la bacchetta dalla veste e si mise in posa come il giovane, a braccia conserte, fissando i propri occhi scuri in quelli altrettanto scuri dipinti su un volto di raffinata bellezza che lo guardavano dall’alto, muti.
Se ne sentì trafiggere, ma non si mosse, anzi, raddoppiò la forza del proprio sguardo pensando solo quattro parole: “Anche io lo farò”.
Un gridolino più forte degli altri lo riscosse: i suoi compagni avevano raggiunto la porta d’ingresso dei dormitori e stavano entrando in sala comune. Abbandonò il ritratto.

“Muoviti, dai!” gli fece Mulciber voltandosi indietro.
Severus affrettò il passo riponendo la bacchetta al suo posto e sentì il cuore battergli forte. Alcune porte si aprivano alle sue spalle e ragazzi in pigiama si trascinavano lungo il corridoio per raggiungere i bagni, chi in trance, chi più vispo.
“Dieci galeoni che entro stasera il vecchio Luma mi inviterà a cena!” gridò una voce bassa. “Eh Nott, ci stai?”
Severus accelerò, ricordando bene lo sguardo freddo di Nott quando gli era finito addosso, la sera prima. Mentre entrava in sala comune, udì una voce annoiata rispondere: “Venti che lo chiederà prima a me, McNair.”

Chiusosi la porta alle spalle, Severus fu colto per un momento da una lieve vertigine sentendo una risata provenire da una poltrona. O aveva immaginato di sentirla?
Avery e Mulciber erano i soli nella stanza e stavano davanti a una vetrina osservandone il contenuto, bisbigliando.
Ricordò qualcosa, oppure no… prima di capire, la sensazione svanì. Gli venne in mente solamente Lily e si agitò, combattuto tra la preoccupazione e la contentezza: stava per rivederla.
Si avvicinò ai compagni e nella teca vide, tra oggetti vari, una piccola coppa d’argento con lo stemma non della sua Casa, ma dell’intera Hogwarts, sotto cui era anche inciso su un cartiglio il motto “DRACO DORMIENS NUNQUAM TITILLANDUS”.

“In realtà quella vera sta nell’ufficio di Lumacorno” li informò un ragazzo poco più grande di loro, che non avevano sentito arrivare.
“Questa è una copia, più piccola. Mio padre dice che a Lumacorno fa piacere che anche in sala comune ci sia la Coppa delle Case, così ci viene voglia di conquistarne una nuova ogni anno.”
Il nuovo venuto guardava i tre bambini del primo anno con l’aria vissuta di chi non era più matricola.
“Rosier”, aggiunse, tendendo la mano.
“Avery” rispose prontamente una voce di fianco a Severus e i due si strinsero la mano.
“E questi sono Mulciber…” altra stretta di mano accompagnata da un “Ahh” da parte di Rosier “… e Piton.”

Rosier corrugò la fronte cercando di scovare nella sua mente qualche informazione su quel cognome che, era chiaro, non gli diceva niente, tuttavia strinse anche la mano di Severus che nascose molto bene il fatto di sentirsi sulle spine.
Rosier non gli staccava gli occhi di dosso.
Era piuttosto in carne, anche se non grasso, e i folti capelli biondastri pettinati con estrema cura con un’impeccabile riga in parte gli davano l’aria di un funzionario del Ministero con la faccia da bambino.
“In effetti i nostri genitori si conoscono…” prese a dire Rosier, guardando solo Avery e Mulciber che si scambiarono uno sguardo d’intesa “...ma col fatto che abitiamo in un castello un po’ isolato in Scozia non vi avevo mai conosciuti, voi due.”
“Io conosco Malfoy!” disse prontamente Avery.
“Sì… Malfoy conosce tutti i purosangue...” fece Rosier con un sorrisetto.

Severus si sentì avvampare, terribilmente a disagio.
Non sapeva che dire e non osava guardare negli occhi quel ragazzino così sicuro di sé, ma proprio mentre la porta della sala comune scivolò di lato aperta dall’esterno, fu Mulciber a trarlo d’impaccio. Per una volta, non parlò a sproposito, con un tempismo perfetto:
“Ehi, lo sai che questo qui sa fare magie da terzo anno?” disse, balzando in ginocchio su una poltrona, sporgendosi dallo schienale e dando una manata a Severus, che barcollò un attimo, preso alla sprovvista.
Rosier guardò il bambino pallido, con una cortina di capelli troppo lunghi e mal tagliati spartiti in due bande lisce e scure, un po' unte; anche con il corpo ricoperto dalla divisa, la magrezza di Severus era evidente e il suo aspetto suggeriva la necessità di qualche abbondante pasto caldo e magari di abiti nuovi, più che capacità magiche straordinarie.

“Come ti chiami?” fece una voce strascicata e tutti e quattro si voltarono.
Malfoy era appena tornato, altero e autorevole nella divisa su misura che gli cadeva addosso con principesca eleganza, la pelle del viso liscia per la fresca rasatura e i capelli raccolti in una coda, perfettamente pettinati. La spilla da Prefetto mandava bagliori verdastri nella luce della sala comune.
I suoi occhi grigi erano puntati sul bambino male in arnese che la sera prima non aveva notato e che quella mattina aveva trovato in piedi prestissimo, smanioso di cominciare la sua vita a Hogwarts.
“Severus Piton.”
“E che magie sai fare?” Malfoy tralasciò di approfondire quel cognome sconosciuto, incuriosito dalle parole che aveva sentito entrando.
“Ha spento il fuoco in camera nostra!” si inserì non richiesto Mulciber, avido di raccontare i fatti della sera prima, come se gli appartenessero.
“Il tappeto stava andando a fuoco e lui l’ha spento!”
Un sopracciglio si sollevò leggermente sul viso di Malfoy.

Ragazzi e ragazze entravano alla spicciolata in sala comune, chiacchierando tra loro: i dormitori cominciavano a svuotarsi. Nessuno però badò ai ragazzini del primo anno, anche se tutti rivolsero uno sguardo al loro nuovo Prefetto.
“Dovevi vederlo!” stava proseguendo Mulciber, un fiume in piena.
“Ha tirato fuori la bacchetta velocissimo e ZAM! L’ha spento!” continuò, mimando la scena.
“È stato un fulmine” concesse pacatamente Avery, forse un po’ invidioso di quel nuovo compagno, ma anche abbastanza scaltro da capire che uno così poteva tornargli molto utile.
“Molto bene…” approvò Malfoy, colpito. “Non sono molti gli studenti del primo anno in grado di produrre magia di quel livello, specialmente in situazioni di emergenza. Chi te l’ha insegnato?”
Stavolta Avery e Mulciber ebbero il buon gusto di lasciarlo rispondere.
Severus si sentiva intimidito dal fatto che ci fossero parecchie persone ora nella stanza, eppure sentiva anche l’orgoglio lambirgli le viscere con vampate sempre più calde.
“Ho visto mia madre farlo una volta” disse infine, fissando gli occhi grigi di Malfoy, come aveva fatto davanti al bagno.
“E ha anche letto tutti i libri!”
La capacità di Mulciber di starsene zitto si era già esaurita.
“E mica solo quelli del primo anno!!”

Rosier assunse un’espressione incredula; Severus percepì che il chiacchiericcio intorno a loro si era diradato un poco; con la coda dell’occhio, vide che alcuni gruppetti di ragazzi guardavano nella sua direzione, cercando di ascoltare. Mulciber stava parlando sempre più forte, dimenandosi sulla poltrona.
Alzò lo sguardo su Malfoy. Per quanto cercasse di mantenere un contegno austero, il Prefetto non poté impedire che lo stupore si impossessasse di lui. Quel ragazzino da niente si stava rivelando una sorpresa.
“Chi è tua madre?” domandò.
“Eileen Prince.”
Severus si sentì decisamente a suo agio nel pronunciarlo. Si rilassò, sentendo ogni tensione scivolargli di dosso; ora che il discorso si era spostato sull’unico membro degno della sua famiglia, non gli dava più fastidio l’attenzione degli altri, anzi.

***


“Non sai nemmeno attaccare un bottone come si deve, donna!” sbraitava Tobias sventolando davanti al naso di sua moglie una camicia.
“È la seconda volta che ne perdo uno, mi fai sentire uno straccione!”
Eileen non si azzardò a dire che la camicia era vecchia, usurata, talmente lisa che attaccarci un bottone era come attaccare un bottone sul niente. Come tutte le altre camicie del marito, l’aveva rattoppata innumerevoli volte e i rammendi avevano richiesto molto tempo e infinita pazienza, mettendole a dura prova gli occhi; aveva rivoltato polsini e colletto, rifatto gli orli… ma la verità era che quella camicia era arrivata al capolinea, ne serviva una nuova.
Poteva confezionarla lei (alla babbana, così come i rammendi, ovviamente), ma la stoffa costava e a casa Piton il denaro era talmente poco da non assicurare nemmeno il pranzo e la cena, anche se era sempre sufficiente a garantire le bevute di Tobias.
“Buona a niente, sei... troppo Principessa per questo umile lavoro?” la schernì urlando l’uomo, storpiando il cognome della moglie e gettandole la camicia in faccia.
“Bell’affare sposare una come te…” continuò, pieno di disprezzo, sedendosi di schianto a gambe larghe su una sedia, mentre il viso pallido di Severus faceva timidamente capolino sulla porta alle sue spalle, guardando Eileen, immobilizzata dalla paura, che stringeva tra le mani una camicia stropicciata.

***


Prince?”
Una ragazza bruttissima, bassa e tozza, con la voce rasposa e gli occhietti piccoli e pungenti abbandonò il gruppo di amiche che stavano facendo i complimenti alla loro Prefetto e si avvicinò a Severus. Dalla faccia, poteva essere dell’ultimo anno, o del penultimo.
“Uhmmm, Prince… Mi sa che mia madre la conosce, è un nome che le ho sentito dire una volta quando parlava della squadra di Gobbiglie.”
E fece un sorriso che mise a nudo la dentatura più brutta e storta mai vista. Somigliava più a una creatura marina che a una donna…
“Alecto Carrow” si presentò; Avery e Mulciber mormorano qualcosa di fianco a Piton.
“Dirò a mia madre di scriverle, non si sono più viste dopo la scuola da quello che so… Dove abitate?” chiese, con tono un po’ troppo indagatore, gli occhi che scrutavano la divisa evidentemente non nuova del bambino.
Con un ghigno continuò: “Se non sbaglio ha sposato un…”
Severus ripiombò nel panico, ma fu Malfoy a salvarlo.

“Alecto, di’ a tuo fratello di non presentarsi tardi alle lezioni, come al solito” le disse.
Rosier trattenne una risatina.
“Non tollererò di perdere punti a questo modo, quest’anno.”
Parlò con calma, ma con tono tagliente, l’essere Prefetto pareva autorizzarlo ad avere il controllo su ogni cosa.
“Malfoy…” cominciò lei.
“Lucius?”
Una voce fredda ed elegante stroncò la replica in gola ad Alecto.
La giovane alta e bionda che la sera prima aveva cenato e poi chiacchierato in sala comune con Malfoy, si era avvicinata a loro silenziosamente, algida e bella. Accanto a lei, Alecto veniva definitivamente classificata nel regno bestiale e si defilò, andando a spettegolare con altre ragazze, dimenticandosi anche di Severus, “per sempre” sperò lui.

“Narcissa, tu già conosci Avery e Mulciber…” fece Malfoy con un gesto della mano verso i due, che alzarono la propria in segno di saluto, Mulciber aggrappato allo schienale della poltrona. Narcissa piegò appena il capo.
“Ti presento un nuovo compagno, Severus Piton”, continuò Malfoy.
“Pare sia un… come definirlo?”
Lo guardò, abbassando gli occhi grigi sul viso del bambino leggermente ansioso.
“…un precoce talento…” concluse in un sussurro, con voce di seta.
Narcissa, con lo sguardo azzurro altezzoso, tese la mano a Severus che si sentì fiero e onorato.

Era bello sentirsi accettato, era bello essere riuscito in una sola notte a scardinare il potere del cognome paterno con la forza del proprio talento.
Il Prefetto della sua Casa lo presentava agli altri… la giornata iniziava sotto i migliori auspici.

Edited by Camelia. - 25/7/2013, 00:18
 
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