Severus Piton & Alan Rickman Fan Forum

Traditore

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Astry
view post Posted on 14/5/2011, 19:16





TRADITORE


Autore/Data: Astry, Maggio 2005/Settembre 2008
Beta - reader: Nykyo, Ida59 e Starliam.
Personaggi: Severus, Harry, Draco, Voldemort.
Rating: Giallo.
Riassunto: “Ti prego, tienilo lontano da questa guerra.” La sua voce si fece ancora più bassa e roca, quasi un sussurro.
“Il Signore Oscuro non ha dimenticato il suo fallimento. Io resterò vivo finché Lui penserà di aver bisogno di me, ma non riuscirei a proteggere tuo figlio questa volta.”

Note: Questa storia è il prequel di “Dopo la vittoria” ma, essendo stata la mia prima Fan Fiction, ho deciso di riscriverla da capo.
Traditore è nata nel 2005 subito dopo l'uscita del "Principe", quindi ho scelto, riscrivendola, di non tenere conto degli avvenimenti del settimo libro.


CAP. 1: Fuggiaschi



“Perché è intervenuto, io ci sarei riuscito!”
Draco e il gruppo di Mangiamorte si erano materializzati nella foresta protetti dal fitto merletto di rami scuri. S’incamminarono velocemente verso un crepaccio scavato nella roccia dal tempo e dai cataclismi naturali milioni di anni prima della loro nascita.
La terra sembrò inghiottirli nelle sue viscere, Draco e Severus seguivano il gruppo mantenendosi a distanza. In effetti il mago bruno sembrava in difficoltà, non reagì allo sfogo violento del ragazzo che lo precedeva urlando e sferrando calci a ciottoli, sassi e qualunque cosa si fosse trovato davanti.
Ormai erano stati distanziati parecchio dal gruppo che era scomparso alla loro vista, quando Draco si voltò di scatto e marciò dritto verso il suo muto interlocutore
“Sa almeno quello che ha fatt...” le parole gli morirono in gola.
Severus era scivolato inginocchio, il suo corpo coperto di ferite sanguinava copiosamente.
“Professore!” d’un tratto la sua voce tornò quella del ragazzino spaventato che aveva pianto di fronte a Mirtilla. “Professor Piton.”
Il ragazzo afferrò il mago prima che potesse cadere e lo aiutò ad adagiarsi sulla fredda roccia.
“Corro a chiamare gli altri”
“No!” Piton lo bloccò, prendendolo per un braccio e trattenendolo.
Quando il ragazzo s’ inginocchiò accanto a lui, proseguì, la voce ridotta ad un sussurro “Non è sicuro per te… stare con loro... Draco... non...”
Draco gli sollevò la testa poggiandola sulle proprie ginocchia; una profonda ferita gli deturpava il viso e il sangue colò sulle gambe del giovane mago.
“Il maledetto uccello di Potter” ringhiò” questa me la paghi, Harry!”
Malfoy tremava di rabbia e paura. Si guardò intorno: erano penetrati molto a fondo nella roccia, era umido e freddo, non era prudente uscire poiché la zona ormai doveva essere battuta palmo a palmo dagli uomini di Silente, nè poteva proseguire.
Piton aveva ragione, i Mangiamorte stavano andando dritti da Voldemort e per prima cosa avrebbero riferito del suo fallimento.
Cosa avrebbe fatto allora? Come si sarebbe giustificato col Signore Oscuro?
Si sentì gelare, aveva fallito, lui aveva fallito.
Anche se Piton non fosse intervenuto, lui non avrebbe ucciso Silente.
Non voleva ammetterlo, non voleva accettare di non aver avuto il coraggio di pronunciare due semplici parole, doveva fare solo quello.
Non c’era riuscito.
Silente non era in grado di difendersi, era circondato di Mangiamorte. Il grande mago Albus Silente era ai suoi piedi, un vecchio ferito e niente di più. Eppure, non aveva potuto, era stato debole e ora aveva paura, un terrore folle.
Scosse il capo violentemente.
“ Cosa devo fare? Come… come faccio, ora?” si portò una mano ai capelli arruffati, stringendoli
con forza nel pugno chiuso.
Fissava il suo insegnante con gli occhi sbarrati e velati dalle lacrime.
Non poteva essere successo davvero, no, lui ora non era lì, non stava stringendo tra le braccia il suo mentore orribilmente ferito.
Serrò e riaprì le palpebre più volte, sperando di cancellare quell’immagine tremenda, ma questa era sempre ostinatamente di fronte a lui a ricordargli che quello non era un terribile incubo, ma la cruda realtà. Una realtà che aveva costruito con le sue stesse mani.
In tutti quei giorni trascorsi a riparare l’armadio svanitore, era questo che stava preparando? Era davvero questo che voleva?
Poi la voce di Piton lo distolse dai suoi pensieri.
“ Draco” l’uomo era stremato, il ragazzo dovette abbassarsi per sentirlo. “Draco... Devi correre da tua madre... lei... lei sa, ti proteggerà”
Malfoy s’irrigidì.
“Ma, io non posso lasciarla qui.”
“ Non preoccuparti...quando non ci vedranno arrivare torneranno a cercarci… Io me la caverò. – Il ragazzo lo guardò per qualche istante: come poteva lasciarlo lì da solo? Era umido e faceva freddo in quei cunicoli.
“Professore…”
L’uomo tremava leggermente, Draco sospirando appoggiò delicatamente la testa di Piton sulla roccia e si rialzò da terra.
Non aveva scelta, il suo insegnante aveva ragione, come sempre.
Non c’erano scusanti per il suo comportamento, Voldemort non ammetteva errori, ora poteva solo fuggire. Fece qualche passo indietro, i suoi occhi erano fissi in quelli del suo professore che, pur velati dalla stanchezza, lo incoraggiarono a smaterializzarsi, e così fece.



* * *




Il giovane mago era ritto di fronte al vetro appannato della finestra. Era impossibile vedere qualcosa attraverso quel velo opaco, eppure i suoi occhi non avevano smesso di fissarlo.
Non era il paesaggio estraneo che, sapeva, estendersi all’infinito al di là delle piccole ante di legno, ad interessarlo, per lui non c’era niente dietro quel vetro umido.
Nulla che potesse riempire il vuoto terribile che si sentiva nel cuore.
I boschi e le montagne là fuori, così diverse da quelle della sua Inghilterra, lo facevano sentire terribilmente solo.
Se solo il suo sguardo avesse potuto spingersi molto più lontano, fino alla sua casa o fino a Hogwarts. Era persino grato per quel sipario di minuscole gocce di umidità che gli donavano l’illusione di trovarsi ancora là.
Erano passati solo due giorni da quando aveva lasciato Piton ferito nella grotta ed era fuggito come un vigliacco, dopo aver sconvolto la propria vita e l’intero mondo magico.
Era corso da sua madre, come un bambino spaventato dai dispetti dei compagni di scuola, ma questa volta non si trattava di una banale marachella, questa volta sua madre non lo avrebbe abbracciato sussurrandogli all’orecchio di non preoccuparsi, di sorridere perché tutto sarebbe andato a posto.
Narcissa lo aveva accolto con gli occhi pieni di lacrime, Piton aveva ragione: lei sapeva, era al corrente di tutto.
Non poteva immaginare come e quando le loro vite sarebbero state travolte, ma era certa che sarebbe successo.
Non aveva detto nulla, lo aveva fissato per pochi istanti e aveva capito: tutto era cambiato.
Era stato lui a portare a termine gli ordini del Signore Oscuro? Era stato Piton? Oppure avevano fallito entrambi? Qualunque cosa fosse accaduta, ora loro dovevano solo fuggire, lontano dagli Auror o forse, ancora peggio, lontano da Voldemort.
La strega si limitò a fare un gesto al piccolo Elfo domestico, che, evidentemente era stato preavvisato e conosceva alla perfezione le istruzioni della sua padrona. Infatti, sparì e riapparve dopo pochi istanti portando con sè un grosso baule. Quella notte stessa Draco e sua madre lasciarono Malfoy Manor per una terra lontana.
Avevano delle proprietà in Romania in un paese vicino a Bucarest. Una piccola tenuta abbastanza isolata dal mondo babbano e allo stesso tempo confusa con l'ambiente a sufficienza da passare inosservata anche ai maghi.
Neppure Voldemort conosceva tutte le proprietà dei suoi adepti. E lì, madre e figlio avrebbero potuto vivere al sicuro.
Un tonfo improvviso fece sussultare Draco che si voltò di scatto.
Di fronte a lui, il suo Elfo domestico, chino accanto ad un mucchio di libri, lo fissava con un espressione colpevole e terrorizzata.
Normalmente il giovane Malfoy lo avrebbe insultato per la sua sbadataggine, ma la vista dei grossi tomi, che l’Elfo stava riordinando nella nuova casa, lo lasciò senza fiato.
Non aveva nemmeno notato cosa il suo piccolo servo aveva messo tra i bagagli di viaggio.
S’irrigidì, stringendo con forza i pugni: ma certo, i suoi libri di scuola, i compiti per le vacanze e…
Scosse il capo, mentre il piagnucolare della piccola creatura, avvolta in un sudicio straccio grigio, continuava a ferirgli le orecchie.
Non era adirato con lui, come l’Elfo immaginava, avrebbe voluto gridargli di stare zitto, di non scusarsi, invece continuava a rimanere immobile alimentandone così la paura.
“Vattene!” riuscì infine a gridare. “Fuori di qui!”
Aveva fatto uno sforzo per pronunciare quelle poche parole, il nodo alla gola gli impediva persino di respirare.
L’elfo si smaterializzò immediatamente, probabilmente ringraziando di non essere stato punito. In quello stesso istante il giovane mago si lasciò cadere in ginocchio, come se, la tensione accumulata negli ultimi giorni, l’avesse improvvisamente abbandonato, lasciandolo senza forze. In quei volumi c’era il suo passato, ormai, ma lui non era affatto pronto a rinunciare all’infanzia e ai giorni di scuola.
Ogni estate attendeva le vacanze con trepidazione, solo per prepararsi ad un nuovo anno ad Hogwarts, nuovi insegnanti, nuovi incantesimi da imparare, ma quest’anno sarebbe stato tutto diverso.
No, non era affatto pronto.
“Draco” la voce di sua madre lo distolse dai suoi pensieri.
Sollevò lo sguardo, Narcissa lo fissava spaventata. Sapeva che per Draco non sarebbe stato facile, ma vederlo lì prostrato era qualcosa che non poteva sopportare.
Piton c’era riuscito, aveva salvato suo figlio come lei gli aveva chiesto. Lo aveva supplicato di portare a termine gli ordini del Signore Oscuro al posto di Draco, e ora? Severus era probabilmente morto, e il suo ragazzo era comunque condannato per non essere stato capace di eseguire gli ordini.
Tremò: era quello il futuro che li aspettava? Una vita da fuggiaschi?
Si avvicinò al giovane mago che se ne stava ritto sulle ginocchia, gli occhi fissi in quelli di lei ad implorare una sua parola, un’inutile frase di circostanza.
Aveva bisogno di sentirsi dire che tutto sarebbe andato a posto e che quello che era successo non era stato colpa sua.
Narcissa, tuttavia non parlò. Si avvicinò a suo figlio e, semplicemente, s’inginocchiò accanto a lui e lo strinse tra le braccia.
Tanto bastò perché Draco scoppiasse in un pianto dirotto.
“Mamma, mamma, è morto, Piton è morto ed è colpa mia, è tutta colpa mia!” singhiozzò, “l’ho lasciato solo.”
Poi anche la pietosa bugia arrivò.
“No, non è colpa tua, Draco, non potevi fare altrimenti. Severus sa come cavarsela, sono certa che è salvo e, sicuramente, è più preoccupato per te che per se stesso.”
Ma fu tutto inutile; il giovane mago si afferrò con maggior vigore al pesante velluto dell’abito di sua madre.
Perché non si sentiva affatto meglio?
“Piton sa come cavarsela”, “Non è colpa tua”: quanto avrebbe voluto essere ancora un bambino, i bambini si fidano completamente della propria madre. Ad un bambino sarebbero bastate quelle parole per ritrovare la serenità.
“Va tutto bene, Draco non è successo niente” era questo che lei gli diceva da piccolo, quando si faceva male cadendo dalla sua piccola scopa giocattolo, e lui dimenticava persino il dolore, perché, se la mamma diceva che non era successo niente e non c’era nulla di cui preoccuparsi, doveva essere così.
Improvvisamente, il suo volto si fece di pietra, si alzò e, fissando la donna ancora inginocchiata, disse deciso:
“Sì invece, la colpa è mia, solo mia. Avrei dovuto obbedire all’Oscuro, non dovevo permettere a Piton di intromettersi. Madre, perdonami, non sono stato capace di difendere la mia famiglia. Io ho fallito.”
Si voltò e uscì dalla stanza sbattendo la porta, mentre Narcissa, incapace di pronunciare una sola parola, restava a fissare immobile la porta chiusa.




* * *




Erano passati due mesi da quel giorno, madre e figlio li avevano trascorsi immersi nei libri e in lunghe conversazioni.
Quella sera qualcuno bussò al grande portone di quercia.
Narcissa era intenta a dipingere, una passione che coltivava fin da bambina, sollevò il viso, che in quel clima freddo aveva assunto un colorito rosato, e fissò la porta con una certa preoccupazione. Nessun mago conosceva il loro rifugio e i Babbani non potevano di certo essere interessati a quella casa che dall’esterno appariva disabitata da anni.
Posò i pennelli e si avvicinò all’ingresso cercando di fare meno rumore possibile, sperando che il visitatore, chiunque fosse, avrebbe rinunciato, ma quello bussò di nuovo. Narcissa allora, immaginando che sarebbe stato più prudente non usare la magia, prese a sollevare uno alla volta i pesanti catenacci che bloccavano l’uscio, e aprì.
Un uomo, completamente avvolto in un mantello nero, col capo chino, in modo da nascondere il volto, era immobile di fronte a lei.
Narcissa trattenne il respiro; no, non era possibile.
Scosse il capo come a voler scacciare un’allucinazione dalla mente, ma l’uomo sollevò lentamente il cappuccio, scoprendo il viso bianchissimo sul quale spiccavano, dure e impenetrabili, due gocce di nero ghiaietto.
“Severus!” le braccia della maga ricaddero lungo i fianchi e lei rimase a fissarlo inebetita “Non mi fai entrare… Narcissa?” Il visitatore pronunciò il suo nome come se volesse accarezzarlo con le labbra.
Narcissa avrebbe voluto gettagli le braccia al collo come una bambina, ma lei era una Malfoy, e l’affetto sbandierato non si addice ai Malfoy, nemmeno quando ritrovano un vecchio amico che si credeva perduto per sempre.
Restò ad ammirarlo ancora per qualche istante: il viso scarno ora era solcato da due profonde cicatrici. Draco le aveva raccontato che Piton era stato gravemente ferito nello scontro con Fierobecco il quale, solo per poco, non l’aveva accecato.
Lo sguardo della strega percorse il profondo sfregio sulla sua pelle fino a lasciarsi inghiottire da quegli incredibili occhi che, nonostante tutto, erano misteriosi e penetranti come sempre. “Severus, vieni, accomodati, mentre io vado a chiamare Draco” disse indicando il divano coperto di una folta pelliccia che faceva bella mostra di sé al centro del salotto.
Piton l’afferrò per la manica della tunica.
“No” Disse piano, ”non chiamarlo, non voglio che sappia che sono stato qui.”
“Ma… perché? Draco era molto preoccupato per te, temeva che tu fossi morto.”
“E deve continuare a crederlo. Ora so che sta bene ed è al sicuro.”
Poi, afferrando Narcissa per le spalle, aggiunse “Ti prego, tienilo lontano da questa guerra.”
La sua voce si fece ancora più bassa e roca, quasi un sussurro.
“Il Signore Oscuro non ha dimenticato il suo fallimento. Io resterò vivo finché Lui penserà di aver bisogno di me, ma non riuscirei a proteggere tuo figlio questa volta.”
Si voltò e fece per allontanarsi, ma la maga s’interpose fra lui e la porta.
“No, ti prego resta ancora. Draco non scenderà prima di cena: se ne sta chiuso per ore nella sua stanza, da solo. Non ti vedrà, non lo chiamerò se non vuoi, ma, ti scongiuro, resta ancora un istante.”
La voce tremava, mentre gli occhi si velavano di lacrime.
Severus sospirò “Cosa vuoi da me, Narcissa? Io sono un pericolo, per te e per Draco. Mi hanno trovato svenuto nella grotta, è stato facile lasciar credere a quegli uomini che non sapevo dove fosse il ragazzo, ma se solo sospettassero che ho a che fare con la sua fuga…”
“Oh, Severus…” singhiozzò la strega coprendosi il volto con le mani.
Piton prese delicatamente le piccole mani della strega tra le sue, costringendola ad abbassarle e scoprendo le sue guance rigate di lacrime.
Sospirò, non aveva mai sopportato di vederla piangere, lei e Lucius, in fondo erano stati quello che più si avvicinava ad una famiglia per lui. Narcissa era molto più di un’amica, la considerava come una sorella e sapeva che lei provava altrettanto affetto per lui.
Si chinò il tanto necessario perché i suoi occhi fossero perfettamente immersi in quelli di lei.
“Sai che non vi tradirei mai. Non volontariamente…” le sussurrò. “Severus, Severus, perché ci è stato fatto questo? Draco è ancora un bambino, come potrà sopportare una vita da fuggiasco?”
“Draco è forte” un sorriso piegò appena le labbra del mago. “Assomiglia a suo padre naturalmente, supererà ogni cosa e dimenticherà.”
“E tu? Tu dimenticherai?”
Il mago s’irrigidì e, istintivamente, distolse lo sguardo. Si sentiva, improvvisamente, come se l’avessero spogliato della sua maschera.
Possibile che quella donna fosse riuscita dove il suo Signore aveva sempre fallito? Narcissa aveva letto nella sua mente?
Scosse il capo. No, la maga di fronte a lui era semplicemente una donna sensibile, non aveva letto nei suoi pensieri, ma probabilmente vedeva chiaramente nel suo cuore, un cuore lacerato da un dolore immenso.
Di fronte al silenzio di Piton, Narcissa continuò “Lo so, Severus, so quanto ti è costato salvare mio figlio. Tu non volevi ucciderlo, non è vero?”
Il mago bruno continuava a fissarla, incapace di parlare.
Avrebbe dovuto negare, continuare la sua recita odiosa, fingendosi contento per la morte del più grande nemico del suo Signore. Avrebbe dovuto mostrarsi orgoglioso di averlo servito bene, ma non ci riuscì.
Sapeva quanto poteva essere pericolosa quella situazione, certo la maga non poteva immaginare fino a che punto avesse ragione, in fondo, lui non aveva mai mostrato particolare entusiasmo nell’uccidere anche se, troppe volte, vi era stato costretto, ma, se solo avesse intuito quanto quel vecchio mago fosse stato importante per lui, se avesse scorto solo una minima parte dell’immenso dolore che provava, per lui sarebbe stata la fine.
Narcissa, gli voleva bene, Piton non aveva dubbi sulla sincerità dei suoi sentimenti, ma lei era prima di tutto una madre: se si fosse trovata a dover difendere il proprio figlio, avrebbe sicuramente sacrificato il suo segreto barattandolo con la vita di Draco.
In fondo era quello che lei aveva fatto a Spinner’s End: aveva chiesto la sua anima al posto di quella del proprio ragazzo e lui l’aveva accontentata.
“Ti sbagli” questo fu tutto quello che riuscì a dire, la voce sembrava esserglisi bloccata in gola.
Narcissa sollevò lentamente una mano e sfiorò le cicatrici sul volto di Piton, due profondi solchi paralleli che partivano dal sopracciglio per arrivare fino alla mandibola.
“Non li hai curati, perché?”
Severus si scansò bruscamente “Il mio viso non è importante” rispose secco.
Poi, improvvisamente, s’udì, un rumore di passi. Gli occhi del mago saettarono verso la porta chiusa che immetteva sulle scale.
Draco, evidentemente, aveva deciso di scendere prima del solito quella sera.
“Devo andare, abbi cura di lui” si affrettò e, prima che lei potesse replicare, le voltò le spalle, infilando il massiccio portone, e si allontanò velocemente, frustando l’aria con il lungo mantello. Narcissa fissò a lungo la sua schiena e la cappa nera che ondeggiava dietro di lui, mentre percorreva il sentiero alberato.
“Grazie” mormorò, ma il mago era ormai lontano, troppo lontano per poterla sentire.





Continua…







 
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J è
view post Posted on 18/5/2011, 01:07




Bellissimo questo inizio!
Che carini che sono Narcissa e Severus, soprattutto quest'ultimo quando ricorda Silente.
L'affetto che provava per lui era immenso, è innegabile, Silente è stato l'unico a dargli fiducia e a conoscerlo per chi era realmente.
Complimenti Astry!!
Sono curiosa di sapere come va avanti!! :)
 
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Astry
view post Posted on 31/5/2011, 15:03




Scusa per il ritardo Jè, ma, con la fine dell'anno scolastico, non so dove mettere le mani. Forse nei capelli? Ma come avrà fatto Piton a pensare a Voldemort e pure agli scrutini?



Cap 2 Il segreto di Voldemort



La guerra, intanto, aveva già mietuto molte vittime da entrambe le parti. Voldemort aveva riunito i suoi fedelissimi in un castello isolato nel nord dell’Inghilterra; un’altra proprietà dei Malfoy gentilmente offerta per la causa.
Da tre giorni Piton era chiuso nei sotterranei a cercare di distillare un nuovo veleno per il suo padrone.
L’aria era irrespirabile: il calderone bolliva ininterrottamente ormai da trentasei ore emanando un odore disgustoso.
Severus non aveva mai distolto lo sguardo dalle fiamme rianimandole continuamente e cercando di mantenere sempre inalterata la temperatura: il più piccolo errore e la pozione sarebbe stata inservibile.
La sua fronte era imperlata dal sudore e gli occhi arrossati dal fumo. Era sfinito ma doveva assolutamente finire il suo lavoro in tempo.
Il Signore Oscuro non avrebbe accettato scuse.
Quando la pozione raggiunse una colorazione verde marcio e la giusta densità, Piton estinse le fiamme con un colpo di bacchetta e si massaggiò il collo indolenzito, poi, sempre con la stessa cura, prese travasare la pozione in piccole ampolle di vetro.
Lo sguardo concentrato di Severus seguì il liquido che scivolava vischioso sulla superficie trasparente della piccola fiala, e si perse in quei rivoli densi e verdastri, mentre tristi pensieri prendevano il sopravvento nella sua mente.
Chissà a chi sarebbe toccato, questa volta?
Un veleno terribile quello che il suo padrone gli aveva ordinato, qualcosa che solo lui era in grado di distillare.
C’erano miriadi di modi per uccidere un uomo, ma quel mostro voleva anche che le sue vittime soffrissero a lungo.
Le labbra di Piton si piegarono appena in un sorriso amaro: il suo preparato non avrebbe deluso le aspettative, il malcapitato avrebbe davvero sofferto le pene dell’inferno, ma almeno, non avrebbe rivelato alcun segreto.
Voldemort aveva chiesto qualcosa che fosse più potente del Veritaserum e nello stesso tempo uccidesse lentamente la vittima, ma la sua pozione avrebbe creato una tale confusione mentale in chiunque fosse stato costretto a berla, che quello avrebbe sì parlato, ma dando solo informazioni false e distorte.
Doveva solo sperare che tali confessioni non fossero talmente infarcite di assurdità da rivelare il suo sabotaggio.
Sospirò; in tal caso avrebbe presto provato su se stesso l’efficacia del suo veleno.
Scosse il capo, rendendosi conto che una tale eventualità non lo spaventava affatto.
Al contrario, immaginare in quale modo Voldemort l’avrebbe ripagato per il suo tradimento, lo faceva sentire in un certo senso padrone della situazione.
Poteva decidere come e quando porre fine al suo tormento, semplicemente rivelando la verità al suo Signore.
Qualche ora di agonia non era un prezzo troppo alto da pagare per avere finalmente la pace.
Eppure non poteva permetterselo.
Aveva un compito da svolgere, la sua vita aveva uno scopo, solo quello era importante: doveva distruggere l’Oscuro Signore.
Se il suo corpo doveva continuare a respirare e a vivere per farlo, allora lui l’avrebbe tenuto in vita, l’avrebbe custodito, come si custodisce una preziosa arma, il lucido pugnale che, alla fine, avrebbe cancellato l’ultimo brandello dell’anima di Voldemort.
D’un tratto la piccola porta di legno, che immetteva nel locale da una scala ripida e resa scivolosa dall’umidità, si mosse leggermente come spostata da una corrente d’aria.
Piton immaginò che qualcuno fosse penetrato in quell’ala del castello e si accingesse a scendere nel sotterraneo. Posò le sue boccette e si affrettò verso la porta, la spalancò sporgendosi per vedere chi avesse avuto interesse ad andarlo a visitare in un simile luogo.
Quando vide la figura che scendeva le scale si prostrò istintivamente al suolo.
“Mio Signore” la sua voce era ridotta ad un sussurro.
Voldemort si guardò attorno e poi si diresse verso il calderone maleodorante e ancora rovente.
Per un tempo, che al mago, rimasto in ginocchio sulla soglia sembrò interminabile, non lo degnò di uno sguardo, poi si voltò e fece qualche passo verso di lui.
“Non sarà rimanendo in ginocchio che mi servirai.”
Lo sguardo di Piton era sempre chino, ma ad un cenno di Voldemort si alzò e lo guardò negli occhi.
Il Signore Oscuro continuò con una voce strascicata simile al sibilo di un serpente “Vedo che hai terminato il tuo lavoro.”
Poi, avvicinandosi ulteriormente all’altro mago aggiunse, “Sai...” le sue labbra sottili s’incurvarono in un ghigno, “pare che il tuo amico Potter abbia giurato di ucciderti.”
Mentre parlava i suoi occhi fissavano quelli di Piton.
“Ho sentito dire che ormai sia questa la sua priorità, per lui è diventato più importante che uccidere Lord Voldemort.”
Pronunciò il proprio nome con particolare enfasi.
Il mago più giovane sapeva quello che il suo padrone stava cercando di fare: il discorso su Potter era solo un mezzo per mantenere il contatto visivo, mentre la mente dell’Oscuro Signore scandagliava i più intimi pensieri della sua vittima.
Piton non distolse lo sguardo, sarebbe stato inutile, ma concentrò la mente impedendogli l’accesso ai pensieri che lo avrebbero tradito.
Voldemort continuò il dialogo ancora per diversi minuti come se la sua bocca agisse separata dalla mente, che ora aveva raggiunto ciò che voleva vedere.
Piton poteva ancora sentirlo come un eco lontano, ma davanti ai suoi occhi, Voldemort stava riportando alla luce gli avvenimenti di quella dannata notte, la notte nella quale aveva ucciso Silente.
Il mago rivide se stesso con la bacchetta puntata, mentre pronunciava l’odiosa maledizione.
Avrebbe dato fino all’ultima goccia di sangue pur di non rivivere ancora quella scena, la stessa che lo perseguitava ogni notte.
Eppure sapeva, dal momento in cui aveva percepito la mente di Voldemort sfiorare la sua, che avrebbe dovuto lasciar riemergere quelle immagini terribili permettendo all’altro mago di conoscere ogni minimo dettaglio del suo incubo. Non poteva, non doveva sottrarsi, ma si sentì morire.
Sapeva che avrebbe rivisto ogni cosa esattamente come quando l’aveva vissuta la prima volta, come se si trovasse ancora sulla Torre di Astronomia.
Nuovamente i suoi occhi avrebbero incrociato lo sguardo dell’uomo che aveva considerato un padre.
Per un istante avrebbero sfiorato l’azzurro intenso delle sue iridi. Solo un attimo infinito prima che dalle sue labbra sgorgasse di nuovo l’incantesimo maledetto che aveva reso quegli occhi improvvisamente vitrei, come quelli di una bambola babbana di porcellana.
Quelle orribili bambole con gli occhi di vetro, tanto realistici quanto inquietanti.
Era l’insulto peggiore per Albus, nel cui sguardo si rifletteva tutta la sua intelligenza e vitalità.
Ed era stato lui a privare quegli occhi della loro luce, lui, la persona che più di tutti doveva a Silente la propria riconoscenza.
Continuava a vederlo, mentre nella mente risuonava ancora come un tuono l’esortazione del vecchio. Una preghiera che era stata più forte di qualunque ordine avesse mai ricevuto, come se Silente stesso con quel “ti prego” gli avesse strappato a forza di bocca l’anatema che lo aveva ucciso.
Quelle stesse parole nella mente di Voldemort risuonavano piacevoli come musica: il suo nemico si umiliava supplicando per la propria vita.
Severus percepì la gioia del suo Signore e ne fu disgustato.
Lo sentì godere di quel momento e assaporarne ogni minimo particolare.
Tuttavia, le intenzioni di Voldemort andavano ben oltre il semplice compiacersi della propria vittoria.
Con l’ingordigia e la ferocia di una belva che strappa la carne della sua preda ancora viva, il mago affondò sempre più il morso nei ricordi dell’uomo che aveva di fronte, cercando le risposte alle proprie domande.
Aveva richiamato molte volte quelle memorie nella mente di Piton, ma lui non gli aveva mai permesso di andare oltre, non doveva vedere lo scontro con Potter nè, tantomeno, il suo coinvolgimento nella sparizione di Draco.
Questa volta però, Voldemort, era deciso a vedere anche il resto; voleva sapere.
Aveva smesso persino di parlare, mentre, con le lunghe dita artigliate, l’afferrava per i capelli sollevandogli la testa verso di sè.
Gli occhi rossi dilatati a pochi centimetri da quelli di Piton sembravano volergli perforare le pupille.
Severus ormai respirava con affanno e la testa pulsava dolorosamente, dovette ricorrere a tutta la propria abilità di Occlumante e si concentrò sul ricordo di Fierobecco: il dolore delle ferite che l’ippogrifo gli stava infliggendo, gli artigli affilati come rasoi che penetravano la carne.
Strinse i pugni fino a far sbiancare le nocche, tremando in modo incontrollato. Poi, all’improvviso, gettò la testa all’indietro, gli occhi erano spalancati e lucidi di febbre e un grido liberatorio gli sfuggì dalle labbra.
Anche Voldemort fu investito dal dolore e perse la concentrazione.
Per un attimo i ruoli s’invertirono, Piton vide ricordi che non riconobbe, ricordi non suoi, potè guardare nella mente di Voldemort.
“AAAAARGH!” Il mago più anziano allontanò Piton con una spinta, mandandolo a sbattere contro la parete.
I suoi occhi erano due fessure, guardò il suo servo riverso a terra e gli puntò addosso la bacchetta. Piton s’irrigidì, sperò ardentemente che il mago oscuro non si fosse accorto dell’intrusione nella sua mente, altrimenti non avrebbe avuto scampo: Lord Voldemort non poteva permettersi una simile debolezza.
Tuttavia, con grande sorpresa di Piton, Voldemort ripose la bacchetta e, come se nulla fosse successo, gli si rivolse, mentre Severus cercava di rimettersi in piedi appoggiandosi al muro.
“Domani sapremo se il tuo preparato funziona, nel qual caso ne voglio dell’altro... e molto!” e si allontanò.
Severus restò a guardare la scala ormai deserta per diverso tempo, mentre cercava di mettere a fuoco le poche immagini che era riuscito a strappare dalla mente di Voldemort.
Aveva visto una grotta o qualcosa che sembrava una grotta. Il luogo era illuminato dalla fioca luce di candele, c’era qualcosa che si muoveva, qualcosa di molto grosso, poi un'altra immagine si sovrappose alla prima: colonne finemente scolpite sostenevano un basso soffitto, alle pareti spiccavano insegne araldiche incise sulla pietra. Cercò di riconoscerle, ma delle fiamme si alzarono improvvisamente impedendogli di vedere oltre.
Non riusciva a credere che un mago potente come Voldemort non si fosse accorto di quello che era successo. Probabilmente il suo Padrone sapeva benissimo ciò che lui aveva visto nella sua mente e lo stava mettendo alla prova.
In ogni caso non era questo a preoccupare Severus quanto il fatto di come poter utilizzare ciò che aveva scoperto. Quei luoghi dovevano nascondere qualcosa di grande valore e non c’era modo di rivelare all’Ordine le informazioni.
Chi avrebbe creduto a un traditore?
Quasi certamente sarebbe stato catturato e spedito ad Azkaban ancora prima di poter pronunciare una sola parola.
Con questo pensiero si avviò distrattamente verso una panca dove il suo mantello giaceva scomposto, lo afferrò e infilò la piccola porta di legno senza neppure prendersi la briga di richiuderla dietro di sè.




* * *




Sì precipitò all’esterno, aveva bisogno d’aria e, soprattutto, doveva allontanarsi il più possibile dalla fortezza dell’Oscuro Signore. Non riusciva a togliersi quelle immagini dalla testa.
Le insegne araldiche. A quale famiglia appartenevano quelle insegne?
Era certo di averle gia viste, ma non riusciva a concentrarsi, la Legilimanzia alla quale era stato appena sottoposto l’aveva lasciato completamente svuotato e stordito.
Sì guardò attorno: il castello era circondato da una fitta foresta, non era sicuramente un luogo pericoloso come la foresta proibita, tuttavia aveva la sua parte di miti e leggende e alla luce della luna acquistava un certo fascino.
Severus decise d’inoltrarsi fra gli alberi secolari, cercando un punto abbastanza appartato dove smaterializzarsi, quando la voce di Bellatrix Lestrange lo trattenne.
“Un luogo insolito per una passeggiata, non trovi, Severus?”
Le labbra sottili del mago si piegarono in un sorriso malinconico. “Non per noi Bella, noi siamo spiriti delle tenebre.”
Bellatrix scoppiò in una risata sguaiata, lui la guardò disgustato.
Era così diversa da sua sorella: la nobiltà che traspariva da ogni gesto di Narcissa, in lei si trasformava in arroganza e odio. Azkaban aveva solo accentuato questo suo aspetto. No, non era solo pazzia la sua, era disprezzo verso tutto e tutti.
Severus cercò di immaginare cosa potesse legare Bellatrix e Rodolphus. Non era di certo amore, quella donna non sapeva cosa volesse dire un simile sentimento.
Bellatrix si avvicinò al mago con un atteggiamento ambiguo, sollevò una mano sfiorando col dorso la cicatrice sul viso di Piton e permettendo alla manica della tunica di scivolare lasciando scoperto il teschio dalla lingua di serpente.
Gli occhi del mago indugiarono su quel marchio odioso, lei lo sentì rabbrividire e, molto lentamente, con la mano destra scese a sfiorare il braccio dell’uomo. Gli occhi erano fissi in quelli di lui, mentre gli denudava il braccio sinistro dove anch’egli era stato marchiato.
Improvvisamente Bellatrix affondò le unghie nell’avanbraccio del mago strappandogli un gemito soffocato, Severus sussultò appena, ma continuò a fissarla senza sottrarsi.
“Non ne sei degno!” La strega sputò le parole traboccante di disprezzo. “Tu l’hai tradito, Lui te lo strapperà dal braccio ed io sarò al suo fianco quando lo farà.”
“Il Signore Oscuro sa quello che fa” disse il mago con voce calma e controllata, “evidentemente ritiene ancora validi i miei servigi e non saranno le calunnie di una pazza esaltata a fargli cambiare idea.”
“Pazza? Oh, io non sono affatto pazza. Tu lo sei se credi di poterlo sfidare impunemente. Morirai Severus, lui ti ucciderà o, forse, lascerà a me questo piacere.”
Gli occhi neri del mago percorsero la figura magra e nervosa che aveva di fronte.
Azkaban non era stata clemente con la donna, né col suo corpo, né con la sua mente.
Compiacere l’Oscuro Signore, sembrava essere diventata la sua unica ragione di vita, e liberarlo dai suoi nemici, tra i quali sembrava proprio voler annoverare anche lui, ormai era divenuta un’ossessione.
“Un piacere, Bella? E’ questo che proveresti uccidendomi?” Afferrò la mano della strega che era ancora dolorosamente stretta sul suo braccio e la allontanò da sé.
Bellatrix prese la bacchetta e la puntò fulminea al petto dell’altro, che le sorrise tranquillamente.
“Vorresti uccidermi ora? Il Signore Oscuro non approverebbe: io godo della sua massima fiducia, essendo stato molto più utile di te ultimamente, ma, forse, è questo che ti da fastidio, non essere più la sua prediletta. E’ qualcosa che non riesci proprio ad accettare, non è così?”
“T’illudi Severus, tu non sei il prediletto, lui ti ha usato. Oh certo, gli hai reso un bel servigio uccidendo Silente… una cosa che poteva fare anche un ragazzino… a quanto ho sentito il vecchio era disarmato e ferito…”
Il cuore nel petto del mago sussultò.
“…credi che questo sia sufficiente per guadagnarti la sua stima? Tu sei solo un traditore e un codardo, hai approfittato della debolezza di Silente per metterti in luce.”
“Perché non pronunci le tue accuse davanti a lui, Bella? Forse perché non ne sei certa, oppure pensi che lui non ti crederebbe. Stai sottovalutando il Signore Oscuro, sei ancora convinta che io riesca ad ingannarlo in questo modo?”
“Non so perché il mio Signore ha deciso di fidarsi di te, avrà senz’altro le sue ragioni, ma…”
Le labbra del mago si piegarono in un sorriso sarcastico.
“Mi spiace, Bella, deludere i tuoi progetti di morte nei miei confronti, ma devo dire che appoggio in pieno le “ragioni” del Signore Oscuro e ti consiglierei di non contraddirlo, non vorrei essere io a ricevere l’ordine di ucciderti. A differenza di te, io non sono altrettanto assetato di sangue. Ora, se non ti dispiace, chiuderei qui questa piacevole conversazione.”
Fece per andarsene, ma la strega lo afferrò nuovamente, trattenendolo.
“Non sfidarmi Severus” ringhiò.
Piton la fissò negli occhi, il volto improvvisamente indurito.
Sentì l’odio e la rabbia prendere il sopravvento: era stata lei a costringerlo a quello sciagurato patto, con i suoi maledettissimi sospetti. Cosa avrebbe potuto fargli di peggio di quel che aveva già fatto? Ucciderlo?
Se solo avesse potuto l’avrebbe pregata di farlo.
Con uno scatto si divincolò dalla sua stretta, allontanando la strega con il braccio. Bellatrix barcollò all’indietro annaspando nel mantello.
Improvvisamente un bagliore attirò l’attenzione di Piton: un piccolo gioiello appeso ad una sottilissima catenina era scivolato a terra e ora brillava alla debole luce della luna.
Il brusco movimento di Bellatrix, doveva aver spezzato il delicato girocollo.
Il mago si piegò e lo raccolse.
Era un anello, un semplice monile che, però, lo lasciò senza fiato.
Vi era inciso uno stemma, uno scudo con una spada e due stelle. Indubbiamente doveva essere quello della famiglia dei Black.
Si ricordò di averlo visto in altre occasioni, ma, solo ora, si rendeva conto di quanto somigliasse a ciò che aveva appena intravisto nella mente di Voldemort.
Come aveva potuto non capirlo subito? Certo, Voldemort doveva essere stato informato sulle proprietà dei suoi adepti, approfittandone per nascondere i propri tesori.
Bellatrix, sempre più stizzita, si avventò contro il mago.
“Ridammelo” gridò e, con poco garbo, gli strappò l’anello dalle mani.
Severus, tuttavia, era ormai del tutto perso nei suoi pensieri. Non fu affatto turbato dall’aggressione di Bellatrix, bensì lasciò che lei si riappropriasse del ciondolo senza opporre alcuna resistenza. Il gioiello scivolò via dalle mani del mago, come se queste avessero improvvisamente perduto ogni forza.
La cripta, quel luogo misterioso, protetto da una strana barriera di fiamme, era l’unica cosa alla quale riusciva a pensare finché la voce acuta di Bellatrix, che non aveva smesso di ingiuriarlo, lo riportò al presente.
“Ora basta, Bella” sibilò infastidito e, soprattutto, ansioso di liberarsi di lei il più in fretta possibile.
“Insultando me, tu insulti l’Oscuro Signore. Lui mi onora della sua fiducia e io non tollererò oltre la tua mancanza di rispetto e il tuo continuo mettere in dubbio la capacità di giudizio del tuo Padrone.”
La strega si morse il labbro, avrebbe voluto sputargli in faccia tutto il proprio veleno, ma, prima che potesse aggiungere una sola parola, Piton era già sparito.





Continua…

 
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Camelia.
view post Posted on 1/6/2011, 00:26




Spero che continuerai presto, è molto intrigante. Hai pienamente reso il carattere orrendo di Bellatrix.

Mi è molto piaciuto questo passaggio:
CITAZIONE
Quelle orribili bambole con gli occhi di vetro, tanto realistici quanto inquietanti.
Era l’insulto peggiore per Albus, nel cui sguardo si rifletteva tutta la sua intelligenza e vitalità.

:)
 
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Astry
view post Posted on 2/6/2011, 09:47




Eheheh! Carattere orrendo di Bellatrix? Ma se è una donnina adorabile ;)

Buona lettura!

Cap. 3: Stelle e Blasoni



Severus si guardò attorno, la via, denominata Grimmauld Place, era ancora piuttosto affollata per quell’ora della notte. Si avvicinò cauto al numero 12 e rimase a fissare il vecchio edificio che era la sede del quartier generale dell’Ordine.
Se esistevano documenti sulle proprietà della famiglia, dovevano trovarsi per forza in casa Black.
Ricordava di aver visto parecchi libri recanti lo stemma della casata e anche pile di pergamene coperte di polvere, dalle quali ciondolavano sigilli aggrappati ormai solo per magia a nastri lisi e scoloriti. Ma uno in particolare poteva fare al caso suo: un grosso volume con la copertina nera che raccoglieva l’elenco delle proprietà dei Black, comprese tombe e cappelle di famiglia.
Sulla strada sembrava che ci fosse un certo movimento e, dato che la pozione dell’invisibilità lo avrebbe coperto ancora per alcune ore, si appostò in un angolo e attese.
Non capiva come mai riusciva ancora a vedere il fabbricato, evidentemente nessuno si era preso l’onere di diventarne il Custode Segreto dopo la morte di Silente o, forse, la vecchia dimora dei Black era solo uno specchietto per le allodole nel caso in cui lui, il traditore, avesse cercato di condurvi i Mangiamorte.
Immaginò che la sede dell’Ordine fosse stata spostata altrove, comunque la cosa aveva poca rilevanza dato che, al momento, era interessato all’edificio più che ai suoi abitanti.
Dopo circa venti minuti, all’interno del numero 12 sembrava fossero rimaste poche persone.
Vide Tonks uscire. Reggeva a fatica un grosso scatolone e urtò violentemente contro il bidone dell’immondizia di fronte alle scale, rovesciando sulla strada ogni sorta di porcheria.
Piton ghignò sommessamente: quella ragazza era davvero maldestra. Si chiese come fosse riuscita a diventare un Auror fra i migliori.
Strinse la bacchetta e la puntò contro l’ignara maga.
“Perdonami Ninfadora” sussurrò beffardo, poi, appena fu certo di non avere scomodi testimoni, con un balzo le si parò davanti
“Imperius” Tonks vacillò per un attimo poi riacquistò l’equilibrio, ma il suo sguardo ora era fisso nel vuoto.
Severus le si avvicinò sussurrandole all’orecchio “Va a prendere il libro sulle proprietà della famiglia Black, il grosso libro nero sullo scaffale e portamelo… vai!”
Tonks si mosse come un automa, entrò in casa e ne uscì dopo cinque minuti con il grosso volume tra le mani. Piton afferrò il libro e tornò a nascondersi, lasciando la strega immobile in mezzo alla strada.
“Finite Incantatem” bisbigliò e Ninfadora tornò ad occuparsi del piccolo disastro che aveva combinato, senza ricordarsi di niente.




* * *




L’effetto della pozione stava cominciando a svanire, Piton vide il suo riflesso sul vetro lurido di un Pub, ma ormai era a casa, se Nocturne Alley si poteva chiamare casa.
Entrò in una locanda di dubbia moralità e ordinò una stanza.
Il mago basso dietro il bancone lo guardò sospettoso, poi un sorriso sghembo si dipinse sulla sua faccia, allorché l’altro gli gettò un sacchetto colmo di monete.
Il piccolo ometto lo afferrò e prese a controllarne il contenuto.
Piton si voltò: c’erano molte persone nella sala, tutte apparentemente intente a conversare fra loro, eppure, ogni volta che il mago dava loro le spalle, sentiva i loro sguardi posarsi su di lui.
Non impiegò molto tempo a capire cosa destasse il loro interesse.
Alzò gli occhi e lo vide: un mago arcigno paludato in una impeccabile tunica nera lo fissava da un manifesto attaccato storto su una trave.
Ignorando il piccolo oste che aveva di fronte e che ora gli porgeva soddisfatto la chiave della stanza, si avvicinò alla foto, la sua foto, sulla quale campeggiava una scritta molto grande: Piton Severus, Mangiamorte e assassino.
“Assassino” mormorò voltandosi di scatto verso la folla di curiosi.
Li fissò negli occhi uno ad uno, detestandoli.
Nessuno di loro, infatti, lo avrebbe mai denunciato, lo sapeva.
Sapeva di essere un assassino fra assassini e, addirittura, si era conquistato il loro rispetto per aver ucciso il più potente mago del mondo.
Disgustato, afferrò bruscamente la chiave, che l’altro gli porgeva da almeno cinque minuti. e si avviò velocemente verso la scala di legno che conduceva alle camere del secondo piano. Entrò e poi chiuse con rabbia la porta dietro di sè.
Assassino, quella parola lo perseguitava ogni momento, soprattutto di notte, nel sonno, quando la sua volontà era più debole e i rimorsi prendevano il sopravvento.
Era stata solo la sua determinazione a permettergli di andare avanti negli ultimi mesi, doveva ad ogni costo portare a termine il proprio compito, doveva fare il suo dovere fino in fondo.
La sua anima ormai era perduta, ma quelle morti non sarebbero state vane.
Si accasciò sul piccolo sgabello traballante di fronte allo scrittoio sospirando e tenendosi la testa fra le mani. Doveva solo resistere, ma per quanto?
Era inesorabilmente costretto ad andare avanti, trascinato dagli eventi in un vortice di morte dal quale non sarebbe mai più uscito.
Come un uomo che si getta da una rupe, poteva solo sperare di raggiungere il fondo e morire prima possibile, augurandosi di non travolgere altri innocenti nella sua folle caduta.
Restò immobile per molto tempo, prima di rivolgere nuovamente l’attenzione al libro che aveva appoggiato sulle ginocchia.
La mano scese a sfiorare il rilievo sulla copertina.
Il dannato stemma era anche lì, uno scudo bandato, con una spada nel mezzo e due stelle agli angoli superiori. Il tutto sorretto da due cani rampanti.
Le labbra del mago si piegarono in una smorfia. Quel libro sembrava volergli rinfacciare tutta la sua indegnità di fronte all’antichissima e nobile casata dei Black.
Avrebbe riso di questo se, effettivamente, non si fosse sentito tremendamente umiliato, ormai ridotto alla stregua di un comune ladro. Era arrivato al punto di dover trafugare una proprietà di Sirius, dell’uomo che aveva odiato ferocemente, ora ereditata da un ragazzo verso il quale provava altrettanta insofferenza.
Tuttavia, nulla aveva più importanza se non trovare la soluzione che lo avrebbe portato più vicino alla fine.
Dal momento in cui aveva deciso di morire, l’unica preoccupazione di Silente erano stati quei maledetti Horcrux. Aveva cercato di preparare il giovane Potter, fornendogli tutte le informazioni che possedeva e che gli avrebbero permesso di continuare la ricerca.
Ciò nonostante, il ragazzo non ce l’avrebbe mai fatta da solo; anni di ricerche non erano bastati a Silente per scoprire il nascondiglio di tutti i brandelli dell’anima di Voldemort.
Questo, il vecchio mago lo sapeva.
Quando gli aveva ordinato di restare in vita, condannandolo a quell’inferno, sapeva che solo il proprio assassino avrebbe potuto avvicinarsi al Signore Oscuro abbastanza da carpirne i segreti.
Ed ora uno di quei segreti era lì, stretto nelle sue mani.
Posò il libro sul ripiano tarlato del vecchio mobile e lo aprì con la delicatezza dovuta alle pagine ingiallite e rese fragili dall’inesorabile azione dei secoli.
Era scritto a mano: un minuzioso elenco di nomi accomunati dall’essere stati presi in prestito al firmamento.
Una nuova smorfia si disegnò sul volto del mago, chissà perché i Back amavano chiamarsi con nomi di Stelle?
Si sforzò di concentrarsi nello studio sfogliando più volte il volume.
Più avanti erano elencati i beni di famiglia, le acquisizioni dovute a matrimoni, di terreni, palazzi e infine le tombe con la località e il nome di chi vi era sepolto.
Era certo che la soluzione dovesse trovarsi in quel libro, aveva la netta sensazione che le immagini nella mente di Voldemort fossero legate alla famiglia Black.
Lo stemma riportato sul volume, somigliava in modo impressionante a quello inciso sull’anello di Bellatrix. Apparteneva certamente alla sua famiglia, anche se doveva essere molto più antico, ma quanto?
Nell’insegna che aveva visto scolpita in quella che sembrava una cripta, mancavano i sostegni, i due cani, e questo poteva farla risalire al periodo precedente il secolo XV.
Controllò quindi tutte le cappelle e, in particolare, le tombe fino a quel periodo.
Una lo colpì particolarmente, la data corrispondeva e si trovava in un luogo piuttosto impervio, un ottimo nascondiglio per qualcosa di prezioso.

Ora restava solo da scoprire se il Black sepolto in quella cappella aveva un blasone simile a quello che aveva visto. Tornò indietro più volte controllando tutti i rami della famiglia e ogni più piccolo indizio sulle loro insegne.
Poi lo riconobbe: uno stemma araldico appartenuto ad un lontano antenato di Sirius.
Non c’era l’immagine, ma la descrizione corrispondeva a quello inciso sulle mura della cripta: Una sola stella e la spada posizionata diagonalmente.
Sollevò la testa dalle pagine ingiallite, sospirando, finalmente l’aveva trovato. La Cripta era quella, ora sapeva esattamente dove trovarla.
Piton si domandò se i Black fossero al corrente dell’uso che il Signore Oscuro faceva delle loro proprietà. Provò un senso di disgusto immaginando quanto Bellatrix si sarebbe sentita onorata dal fatto che Voldemort avesse scelto una sua cappella di famiglia per i propri scopi.
Ora conosceva l’origine della seconda immagine, ma la grotta? Dove si trovava la grotta con quella grossa bestia a fare da guardiano? Piton richiuse il libro e si strofinò gli occhi, rimandando ulteriori ricerche al giorno dopo.
Si avviò verso il letto a baldacchino, fece una smorfia, trovandolo fin troppo sudicio per il prezzo pagato, e si distese.
La stanza non era riscaldata e un brivido lo percorse, mentre un pensiero nostalgico lo riportò a Hogwarts, al calore delle fiamme verdi del grande camino nel suo ufficio, alle spesse mura del castello che tenevano lontano i gelidi inverni inglesi e rendevano quel sotterraneo in un certo senso accogliente.
Si addormentò cullato da quelle immagini familiari, ma il sogno durò poco, per trasformarsi, come tutte le notti, in un incubo.
La scena era sempre la stessa: il vecchio Preside era lì a terra, sfinito, Draco era di fronte a lui con la bacchetta puntata e il gruppo di Mangiamorte lo incitava a portare a termine il proprio compito.
Vide Narcissa che lo implorava, vide l’orgoglio del ragazzino costretto a crescere troppo in fretta.
No, lui non poteva permetterlo, Draco non sarebbe stato trascinato in quel mondo di odio, non sarebbe stato come lui, un assassino tra assassini. Lui doveva impedirglielo, Silente glielo aveva chiesto.
“Severus, ti prego.”
“AVADA KEDAVRA!”
Un lampo, il viso di Silente, la torre, l’espressione piena di odio di Potter …
“NOOOOOO!” Si svegliò di soprassalto, era fradicio di sudore, sentiva il cuore battere così rumorosamente che, istintivamente, si portò le mani alle orecchie.
Respirava con affanno e impiegò diverso tempo a rendersi conto che il dolore che sentiva proveniva dal marchio sul suo braccio.
Si artigliò la manica con rabbia, se solo avesse potuto strappar via quel dolore assieme all’infamia che deturpava la sua carne.
Strinse le palpebre con forza e, scendendo dal letto, si piegò in avanti scuotendo la testa: non poteva fare nulla per attenuare il bruciore, nè tantomeno aveva il potere di cancellare ciò che il marchio rappresentava.
Non che non ci avesse provato: aveva tentato con le pozioni di spezzare il legame con il suo padrone, aveva persino cercato di strapparlo via con le unghie, ma nulla era servito.
Durante gli anni in cui Voldemort era scomparso, era quasi riuscito a guardarlo senza provarne disgusto, un’ombra sulla sua pelle, quasi completamente sbiadita, ma, dopo la morte di Silente, quel segno sul suo braccio era divenuto ancor più insopportabile, un legame con il suo passato che lo aveva precipitato nel più orrido inferno, ricordandogli ogni momento la sua scelta terribile, i suoi errori e le sue colpe.
Con uno scatto lasciò il braccio e, col cuore in gola, come ogni volta che era chiamato a ripeter la sua recita odiosa di fronte a Voldemort, prese a raccogliere in fretta le sue cose: doveva nascondere al sicuro il libro e ogni traccia delle sue ricerche, per poi precipitarsi al cospetto del suo Signore.





Continua…





 
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Camelia.
view post Posted on 2/6/2011, 11:27




...continua presto! :)


(Una curiosità sul tuo avatar: è la Regina della Notte?)
 
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Astry
view post Posted on 2/6/2011, 12:07




CITAZIONE (Camelia. @ 2/6/2011, 12:27) 
(Una curiosità sul tuo avatar: è la Regina della Notte?)

Si, è Astrifiammante da cui ho preso il mio Nick: Astry ^_^
 
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Astry
view post Posted on 5/6/2011, 16:21




E passiamo velocemente al 4° capitolo

Cap. 4: L'onore dei Malfoy



Narcissa era seduta davanti al grosso camino in pietra scolpita, stringeva tra le mani arrossate dal freddo una tazza di tè bollente e si lasciava cullare dal balletto scoppiettante di quelle lingue di fuoco. I suoi occhi blu erano come ipnotizzati dalle fiamme che oscillarono, quando una corrente d’aria attraversò la stanza.
La porta d’ingresso era stata spalancata, e un vento freddo la fece rabbrividire.
Draco era in piedi dietro di lei con una lettera in mano,
“Mio padre è tornato” disse.
Narcissa non si voltò, ma le sue mani tremarono e la tazza scivolò a terra, rompendosi in mille pezzi.
“Da quando i Dissennatori si sono uniti al Signore Oscuro, evadere da Azkaban non è poi così difficile” continuò il ragazzo porgendo la lettera a sua madre. “Lui vuole che lo raggiunga.”
Narcissa si alzò di scatto e scansò rabbiosamente il braccio di Draco, facendogli cadere di mano la lettera. Draco la fissò stupito, come se non si aspettasse quella reazione.
“Madre, voglio che tu sia orgogliosa di me.”
Narcissa scoppiò a piangere, sapeva che non avrebbe potuto fermarlo: ora che Lucius era tornato, i Malfoy avrebbero riacquistato il loro posto al fianco del Signore Oscuro, era il loro destino. Ma lei era prima di tutto una madre, sua madre.
Lo guardò con le lacrime agli occhi e, afferrando con ira la manica della sua tunica, la sollevò, scoprendo il marchio oscuro.
“E’ questo Draco l’onore dei Malfoy, essere marchiati come bestie, è questo che desideri?”
“Io farò ciò che devo. Quello che avrei dovuto fare quel giorno se Piton non me lo avesse impedito, il mio Signore saprà la verità.”
“No!” Narcissa lo afferrò per le spalle “NO! Non puoi, Lui l’ucciderà.”
Draco si allontanò da lei, come se fosse stato colpito da una scossa elettrica, il suo sguardo si fece di ghiaccio.
“Piton è vivo?” urlò. “E’ vivo e tu lo sapevi?”
Narcissa cadde in ginocchio e, aggrappandosi alla veste di Draco, continuò tra i singhiozzi “Lui l’ha fatto per te, l’Oscuro ti voleva morto, voleva punirci per il fallimento di tuo padre, Draco ti prego…” Draco si liberò con uno strattone.
“Tu… voi mi avete ingannato!” poi, riflettendo ad alta voce, continuò. “Ora capisco: Piton è tornato nelle grazie del Signore Oscuro addossando a me la colpa. Ma certo... il ragazzino ha fallito e lui ha dovuto finire il suo lavoro, è questo che gli avrà raccontato, ed io ho fatto il suo gioco nascondendomi in questo posto sperduto.”
Fissò con ira il volto di Narcissa, ormai completamente rigato dalle lacrime, poi si voltò di scatto e, afferrando un lembo del mantello, se lo gettò sulla spalla,
“Sono stato uno stupido, ma rimedierò, salverò l’onore dei Malfoy” disse, mentre varcava il portone e si allontanava senza voltarsi.




* * *




Severus si era appena materializzato in quella che sembrava la navata di una cattedrale gotica, alte colonne slanciate sostenevano un soffitto con volte a crociera. I muri tuttavia erano privi delle vetrate istoriate tipiche delle chiese, le pareti spoglie recavano, unicamente delle aperture strette, collocate molto in alto, dalle quali filtravano sottili fasci di luce azzurra che rendevano il luogo piuttosto lugubre. I fumi delle torce salivano verso l’alto, incuneandosi tra i capitelli, e creando delle strane ombre sul soffitto. In fondo alla navata, infine, su una specie di trono di pietra sedeva Voldemort, avvolto in una tunica nera finemente lavorata.
Era circondato dai suoi fedeli Mangiamorte che, come Severus, erano accorsi appena avevano sentito il marchio bruciare. Tra loro riconobbe molti dei Mangiamorte catturati all’Ufficio Misteri che, come Malfoy, appena fuggiti da Azkaban, erano tornati a servire il loro Signore.
Piton si avvicinò e, come era consuetudine, s’inginocchiò a baciare la veste del suo Signore.
Lucius Malfoy era in piedi alla destra di Voldemort. Improvvisamente si fece da parte, permettendo al ragazzo dietro di lui di fare un passo avanti.
In quel momento Severus riconobbe Draco e il suo cuore sobbalzò.
Lucius poggiò orgogliosamente la mano sulla spalla del ragazzo, ed entrambi lo fissarono con una smorfia di disgusto dipinta sul volto pallido.
Il mago inginocchiato non tentò nemmeno di nascondere il suo stupore, non ne aveva motivo: aveva sempre raccontato di non sapere nulla della sparizione di Draco.
Ma la paura no, quella doveva nasconderla.
Non temeva per se stesso, ma per quello che sarebbe potuto succedere al ragazzo, costretto ad obbedire agli ordini di un assassino.
Draco se ne stava ritto e silenzioso davanti a lui, lo sguardo fiero e determinato, lo stesso sguardo che aveva avuto Severus stesso alla sua età.
Gli occhi del mago osservarono l’esile figura del giovane, fino a posarsi sulle mani, delicate e bianchissime, che si contorcevano nervosamente, stropicciando la stoffa della tunica.
Il ragazzo non era poi così bravo a mentire, pensò Severus, mentre anche le sue dita si serravano con forza, celate sotto l’ampio mantello.
L’unica cosa che riusciva a pensare in quel momento, era che, se anche una sola goccia di sangue avesse macchiato quelle giovani mani, il sacrificio di Silente sarebbe stato vano.
Non poteva permetterlo. Troppo era stato sacrificato per quel ragazzino. Non aveva gettato via l’ultimo brandello della sua anima, per perdere anche quella di Draco.
Doveva preservarlo ad ogni costo, era l’ultima cosa preziosa per lui, l’unica per la quale valesse ancora la pena vivere.
Si sforzò di distogliere gli occhi dal suo ex allievo, per tornare ad immergersi nelle iridi infuocate del suo Signore.
Dovette far ricorso a tutto il proprio autocontrollo per mantenere la solita freddezza, mentre gli occhi indagatori di Voldemort tentavano di carpire ogni sua più piccola emozione: il suo padrone lo stava nuovamente mettendo alla prova.
Per diversi secondi, intorno ai due maghi calò il gelo.
Gli occhi neri di Piton erano incatenati a quelli rossi di Voldemort; la pupilla verticale del mago più anziano si era allargata come quella di un gatto al buio.
Improvvisamente, urla raccapriccianti, provenienti da un pozzo scavato nel pavimento, attirarono l’attenzione dei presenti.
L’apertura era larga circa un metro ed era chiusa da una grata.
Severus si voltò di scatto e fissò la fossa, rimanendo in ginocchio, mentre gli altri Mangiamorte, compreso Lucius Malfoy, si avvicinavano al pozzo, ridendo sguaiatamente.
Alzandosi da terra Piton rivolse lo sguardo al ragazzo che era rimasto al fianco del Signore Oscuro. Era pallido come un cencio.
Il mago sapeva cosa stava provando in quel momento: lui c’era già passato.
Quando aveva udito per la prima volta le grida di morte di un uomo, aveva quasi la stessa età di Draco, eppure, anche dopo molti anni, quell’urlo disperato era ancora dolorosamente impresso nella sua memoria.
Si strinse nel mantello, imprigionando il suo corpo in quella stoffa ruvida, come se fosse l’unico modo per opporsi all’istintivo bisogno di precipitarsi verso il pozzo e cercare di impedire la tragedia che lì si stava consumando.
Lui, era abituato a tenere a bada i suoi sentimenti, sapeva farlo.
Ma Draco avrebbe resistito?
Le grida si facevano sempre più acute e strazianti.
Gli occhi di Severus erano intenti a scrutare ogni minima reazione del giovane. Sentiva che, nonostante l’apparente determinazione a voler compiacere suo padre, stava per cedere alla paura: stava tremando.
Improvvisamente Draco si voltò verso il suo ex insegnante, nel suo sguardo un’inequivocabile richiesta d’aiuto.
Era come se i suoi occhi cercassero disperatamente rifugio in quelli dell’altro: unica certezza, unico sostegno in quel nuovo mondo che non gli apparteneva, nonostante la presenza di suo padre.
Le sue iridi chiarissime erano incatenate a quelle scure come la notte del mago più anziano, e Severus non distolse lo sguardo: non lo avrebbe privato di quel sostegno.
Le sue labbra si strinsero in un filo sottile. Se solo avesse potuto impedirgli di ascoltare.
Una parte di lui avrebbe desiderato trascinarlo via da quel luogo, allontanandolo dal macabro spettacolo. Severus sapeva che, in quel momento, il giovane aveva abbassato tutte le sue difese.
Avrebbe potuto usare la Legilimanzia. Avrebbe addirittura potuto tentare un incantesimo, sfruttando il canale che l’altro aveva lasciato aperto, e offuscare i suoi sensi abbastanza da impedirgli di rendersi conto di quello che stava succedendo.
Poteva proteggerlo e sembrava che, nonostante il suo atteggiamento iniziale, il ragazzo, stesse chiedendo esattamente quello.
Ma Draco non era più un bambino, doveva capire fino in fondo l’assurdità di quella guerra, doveva vedere con i propri occhi cosa significava essere un Mangiamorte.
Vedere, certo, al ragazzo sarebbe bastato per capire, doveva essere sufficiente, non gli avrebbe mai permesso di andare oltre, la sua anima doveva restare integra.
Lui non aveva avuto nessuna possibilità di scelta: era stato costretto ad obbedire.
Prima per paura e poi per dovere aveva obbligato le proprie mani a stringersi attorno all’elsa del pugnale d’argento e ad affogarne la lama nel sangue innocente. Ma lui era solo.
Per Draco sarebbe stato diverso. Severus avrebbe fatto in modo che fosse diverso.

Voldemort, intanto, pareva godere di quelle urla come se ascoltasse della musica.
Quando le grida cessarono, Severus vide il volto del ragazzo farsi nuovamente duro, e lo sguardo, spaventato fino all’istante prima, tornare a colmarsi di odio nei suoi confronti.
Chinò il capo, interrompendo quel contatto che, pur non avendo nulla di magico, era stato più potente di qualunque incantesimo avrebbe mai potuto usare per aiutare Draco a superare quel momento.
Chiuse finalmente gli occhi, sospirando. Per ora il suo protetto non aveva più bisogno di lui, ma ben presto, avrebbe nuovamente messo da parte l’orgoglio, cercando ancora rifugio nel buio delle sue iridi.
L’improvviso rumore della materializzazione lo fece voltare verso il nuovo venuto: Rodolphus Lestrange era apparso nella sala e, con aria soddisfatta, si apprestava a raggiungere il suo padrone, apparentemente per fare un rapporto di quello che era appena accaduto.
Dopo aver scambiato qualche parola con Rodolphus, infatti, Voldemort si rivolse a Piton parlando con una lentezza esasperante,
“Vedo che non hai perso il tuo tocco, Severus. Sei un servo davvero prezioso.”
Poi, rivolgendosi più a se stesso che al mago, continuò “Una pozione dieci volte più efficace del Veritaserum e che alla fine uccide, perfetto!”
Il mago bruno accennò appena col capo in segno di gratitudine per l’apprezzamento che il suo padrone gli dimostrava.
Non era la prima volta che Voldemort si degnava di lodare il suo lavoro. L’aveva servito bene e, anche questa volta, lui non aveva mancato di mostrare la sua soddisfazione di fronte a tutti.
Severus vide le espressioni livide d’invidia nei volti dei suoi compagni. Quanti dei presenti potevano vantarsi di aver meritato la gratitudine del loro padrone? Quanti avrebbero voluto avere le sue capacità per compiacerlo?
Severus, invece, sentiva solo un altro peso nel petto: ora aveva un'altra vittima da annoverare tra quelle che popolavano i suoi incubi.
Un moto di rabbia lo assalì, immaginando quanto ognuno di quegli uomini si sarebbe sentito onorato al suo posto, mentre lui aveva persino dimenticato il significato della parola “onore”.
Aveva dovuto sacrificare un altro uomo per non perdere la sua copertura. Quale onore poteva esserci in quello che aveva fatto?
La dedizione alla sua missione, il dovere, erano le uniche cose che gli restavano, mentre l’onore, il suo orgoglio e persino la sua umanità, li calpestava ogni giorno.
Ogni volta che obbligava le sue ginocchia a piegarsi di fronte all’uomo che odiava.
Fissò nuovamente il volto serpentesco di Voldemort, il suo Signore sembrava pensieroso, chissà cosa gli aveva riferito Lestrange?
Indubbiamente, la vittima aveva parlato, e l’uomo doveva aver preso sul serio le sue parole. Il fatto di essere ancora vivo gliene dava la certezza.
Anche questa volta aveva vinto lui.
Se non si fosse trovato ad un metro dal Signore Oscuro, sarebbe scoppiato in una risata amara, era proprio una triste vittoria la sua, ma in fondo era giusto così: qualunque fosse stato l’esito di quella guerra, Severus Piton aveva perso comunque.

Voldemort si portò al centro della sala, quindi, richiamando l’attenzione della sua platea, mostrò loro le sue istruzioni facendo comparire davanti ai loro occhi il luogo dove intendeva sferrare il prossimo attacco.
“Hogsmeade” sussurrò Lucius Malfoy, un mormorio si levò nella sala dopo che Voldemort si fu smaterializzato Rodolphus si avvicinò a Piton con un ghigno beffardo stampato sul viso,
“I miei complimenti! Come sempre, ti sei dimostrato un ottimo pozionista, peccato che mi hai tolto tutto il divertimento: sai... gli Auror preferisco ucciderli con le mie mani.”
“Farti divertire non rientra nelle mie mansioni, Rodolphus”. Rispose brusco.
L’altro sorrise sprezzante e si allontanò.
Severus attese immobile che tutti i Mangiamorte si fossero smaterializzati; Draco e Lucius furono gli ultimi.
Il ragazzo lo guardò disgustato, ma il mago lo vide abbassare tristemente gli occhi, appena un istante dopo che Lucius ebbe lasciato la sala, solo per un attimo, prima di sparire anche lui come suo padre.
“E’ una maschera pesante da sopportare, non è vero Draco?” mormorò, Piton, ormai rimasto solo.
Preso da un’improvvisa sensazione di freddo, si strinse maggiormente nel mantello e si avvicinò con passo incerto alla botola. C’era dell’acqua sul fondo, doveva trattarsi, infatti, di una vecchia cisterna.
Si sporse per vedere meglio: riverso nel fango c’era il corpo di un uomo, il volto deformato da un’espressione di grande sofferenza.
Serrò forzatamente le palpebre, come colto da una fitta dolorosa: ecco, quella era la sua vittoria.
Senza neppure accorgersene il mago era scivolato in ginocchio e aveva preso a fissare inorridito i palmi delle sue mani, assolutamente candidi, ma che ai suoi occhi apparivano grondanti di sangue.
Provò una sensazione di nausea; per quanto ancora avrebbe potuto continuare?
Sentì nuovamente la rabbia crescere in lui. Era arrabbiato con se stesso, ma anche con Silente.
Perché il vecchio preside aveva scelto di morire al suo posto? Perché aveva voluto che fosse lui il suo carnefice? Perché non aveva chiesto semplicemente a qualcun’ altro di ucciderlo?
Tutto sarebbe finito quel giorno, quel maledettissimo giorno.
Sarebbe morto o, forse, si sarebbe solo svegliato da quell’incubo che chiamava vita.
Scosse il capo, non era andata così purtroppo, ed ora lui era lì, ancora una volta, a fissare negli occhi la sua ennesima vittima. Un’altra pedina sacrificata per la causa.
Era rimasto solo nella sala, nessuno sarebbe entrato in quel luogo ancora per molte ore, ne era certo, come sapeva che nessuno si sarebbe degnato di spostare da lì il cadavere dell’Auror: era il loro trofeo.
Finalmente, poteva guardare quell’uomo senza la sua maschera, poteva guardare in faccia la sua colpa e provarne disgusto.
Poteva odiarsi, senza dover nascondere i sentimenti in fondo al baratro tenebroso dei suoi occhi.
Ora poteva piangere.
Rimase per diverso tempo inginocchiato a vegliare quel corpo ormai freddo. Due rivoli silenziosi di lacrime gli rigavano le guance, le braccia abbandonate lungo i fianchi, e sulle labbra un’unica parola sussurrata ossessivamente:
“Perdonami!”





Continua…



 
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Camelia.
view post Posted on 5/6/2011, 18:44




Accidenti, mi piace, mi piace davvero molto come descrivi la sofferenza di Piton e il suo conflitto interiore!
 
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Astry
view post Posted on 8/6/2011, 13:00




Descrivere Piton vuol dire descrivere sofferenza, ahimè! ma lo amo tanto per questo.
Ed ora un capitolo più movimentato ^_^ Buona lettura!

Cap. 5: Attacco a Hogsmeade



Severus prese la cassa di legno e la posò sul letto a baldacchino di quella che era diventata la sua camera, da quando era fuggito da Hogwarts.
Restò a contemplarla per molto tempo, prima di decidersi ad aprirla.
Al suo interno, una tunica nera era stata ripiegata con cura e accanto era stata sistemata una maschera d’argento: la maschera dei Mangiamorte.
Non la toccava da diciotto anni.
La mente tornò alla sua giovinezza, quando, pieno d’orgoglio, l’aveva indossata per la prima volta e, inevitabilmente, al suo viso di ragazzo si sostituì nella memoria quello di Draco.
Nei suoi occhi Piton aveva riconosciuto lo stesso orgoglio, ma vi aveva visto anche tanta tristezza. Si chiese se sarebbe mai riuscito a strapparlo al suo destino. Ora che Lucius era di nuovo libero il suo compito si faceva più difficile.
“E’ bella non è vero?” Draco era appoggiato con le spalle allo stipite della porta e fissava incantato il riflesso argenteo della maschera.
Nell’udire la sua voce, il mago più anziano sussultò e gli rivolse uno sguardo sbieco.
“Non ti hanno insegnato a bussare, Draco?” disse freddo, mentre i suoi occhi tornavano a posarsi sul macabro oggetto.
Draco ignorò il rimprovero di Piton e proseguì “Non ho raccontato al Signore Oscuro quello che è successo a Hogwarts.”
Piton, si voltò di scatto verso il suo interlocutore. Si sentì sollevato nel sentire quelle parole, ma non lo diede a vedere, e fissò il ragazzo con aria sprezzante.
“L’ho fatto per mia madre,” cercò di giustificarsi l’altro.
“Bene, se sei venuto per dirmi questo, ora te ne puoi andare” la voce di Piton si fece più bassa e gelida.
“No, c’è dell’altro...” fece una lunga pausa. “Lui mi ha chiesto di accompagnarla in questa missione”.
Piton si avvicinò al ragazzo, sovrastandolo completamente.
“Sei venuto per spiarmi Draco?” sibilò.
Draco non rispose: sapeva che sarebbe stato inutile negare, in fondo era esattamente quello che Voldemort gli aveva ordinato.
I due si guardarono in silenzio, no, le parole non servivano, anche Piton ne era consapevole.
Le labbra del mago più anziano si piegarono impercettibilmente: era difficile stabilire chi dei due fosse stato mandato a spiare l’altro.
Erano legati alla stessa fune che, se anche solo uno di loro avesse commesso il minimo errore, li avrebbe trascinati entrambi nel baratro.
“Bene!” Severus gli voltò le spalle e prese a dispiegare il mantello nero sul letto. “Va a prepararti, allora: partiamo fra poco”.




* * *




Il gruppo di Mangiamorte si ritrovò in una radura vicino al villaggio di Hogsmeade, erano presenti tutti i più fidati servitori di Voldemort tra i quali: Bellatrix e Rodolphus Lestrange, Lucius Malfoy nonché Draco, Piton e un inquieto Peter Minus.
Piton si diresse verso Codaliscia, oltrepassandolo lo urtò violentemente tanto che l’Animagus rischiò di finire a terra.
“Scansati sorcio!” intimò, spintonando Minus fino a farlo sbattere contro un albero.
“Ehi! Mocciosus chi ti credi di essere?” urlò Codaliscia che, pentendosi immediatamente del suo piccolo atto di coraggio, squittì nervoso: “Ehi, ehi! Va bene, sta calmo sei... sei tu che mi hai urtato.”
Piton rise malignamente, sotto gli occhi stupiti di Draco. che non riusciva a concepire che il suo severo professore potesse comportarsi come un bullo qualunque.
Mentre si avviavano verso un luogo adatto per smaterializzarsi, Severus, osservò disgustato la bacchetta che aveva sfilato a Codaliscia sostituendola con la sua e pronunciò sottovoce l’incantesimo di trasfigurazione. Scambiò così l’aspetto delle due bacchette in modo che il legittimo proprietario dell’oggetto non si accorgesse della sostituzione. Appena il gruppo di Mangiamorte si materializzò nel villaggio, si scatenò il panico tra gli abitanti, maghi urlanti correvano in tutte le direzioni, scagliando incantesimi a caso, che spesso finivano per colpire oggetti inanimati, causando i risultati più strani.
Approfittando della confusione, Piton si nascose dietro un muro, puntò la bacchetta di Minus verso il cielo e, sperando che facesse il proprio dovere anche in mano sua, gridò: “Mosmordre!”
Immediatamente il marchio nero apparve nel cielo di Hogsmeade con un rombo simile ad un tuono.
“No!” Lucius Malfoy si guardò intorno preoccupato cercando di individuare l’autore del marchio. “E’ troppo presto.”
Poi, rivolto ai suoi compagni: “Via di qua, fra poco gli Auror ci saranno addosso”.
Infatti, qualche istante dopo, una frotta di Maghi a cavallo di scope si lanciò su di loro.
Piton vide Tonks piombare su Codaliscia e schiantarlo. Si precipitò verso di lui, apparentemente per aiutarlo, ma, celato dietro l’ampio mantello, scambiò nuovamente le bacchette. Nel frattempo Tonks aveva fatto un giro con la scopa, e ora era di nuovo sopra di lui.
Severus si voltò di scatto gridando “Stupeficium!”, e l’altra scivolò all’indietro priva di sensi. Il mago si guardò attorno: Lucius sembrava molto occupato con Alastor Moody, Kingsley aveva appena schiantato Bellatrix e ora stava tenendo a bada Rodolphus. Draco dopo aver fatto discretamente la sua parte si era riparato sotto un carretto.
Non poté fare a meno di notare che le fila degli Auror si erano assottigliate e, inevitabilmente, il suo pensiero corse all’uomo catturato e ucciso da Lestrange, ucciso con il suo veleno.
A quante altre morti aveva contribuito?
Un servitore leale dell’oscuro avrebbe fatto meno danni di lui in quella guerra. Si chiese fino a che punto avrebbe dovuto spingersi: quando il prezzo di vite umane sarebbe stato così alto da diventare inaccettabile? Esisteva un limite?
Probabilmente no, Voldemort doveva essere fermato ad ogni costo. Era questo che Silente gli aveva ripetuto fino all’ultimo.
Nel momento in cui la sua mente si perdeva in questi pensieri, sentì un colpo violento alla schiena, mentre la sua bacchetta volava a qualche metro di distanza.
Voltandosi istantaneamente vide Malocchio che si era liberato di Lucius, e ora puntava la sua arma su di lui. Nel volto sfigurato dell’Auror si dipinse un’espressione di trionfo, intanto che le sue labbra pronunciavano l’incantesimo di richiamo.
La bacchetta di Piton schizzò nelle mani callose dell'altro, che la sollevò in aria come un trofeo.
Severus trattenne il respiro, fissando Moody attraverso la maschera d'argento.
Attese immobile che fosse l’Auror a fare la prima mossa.
Avrebbe tentato di schiantarlo? Certo, i “buoni” non uccidono a sangue freddo un uomo disarmato. Forse avrebbe solo cercato di renderlo inoffensivo. Tuttavia Alastor era un avversario di tutto rispetto, e il mago non avrebbe mai fatto l’errore di sottovalutarlo: farsi prendere, o uccidere in quel momento poteva vanificare tutto quello che era stato fatto fino ad allora, e lui non poteva permetterlo.
Piton si concentrò sull'uomo che aveva di fronte e sulla sua mano che, stringendo la bacchetta, si sollevava quasi a rallentatore puntandola su di lui.
Un raggio luminoso uscì dalla piccola asticella. Nello stesso momento, Piton sollevò il braccio tenendo la mano con il palmo rivolto verso l’Auror e gridò: “Protego!”
Il raggio s’infranse contro la barriera invisibile creata da Piton e, immediatamente, fu riflesso all’indietro verso Moody, che si buttò a terra per evitare il colpo.
Il vecchio Auror fissò il suo avversario sbigottito: non aveva mai visto un mago respingere un incantesimo a mani nude, fatta eccezione per Silente e Voldemort.
“Chi sei?” domandò, con un filo di voce.
Piton, nel frattempo aveva recuperato la sua bacchetta che, durante la caduta, l’altro si era lasciato sfuggire di mano. Si avvicinò e, molto lentamente, si tolse la maschera.
“Felice di rivederti Alastor.”
”Tu?” l’Auror si alzò di scatto, puntando nuovamente la sua arma quando…
“Stupeficium!” Harry Potter, che aveva appena raggiunto il luogo della battaglia, si era messo in mezzo, liberandosi del suo compagno e lasciando Piton sbalordito.
“Hai fatto una cosa davvero stupida Potter,” lo schernì il mago.
“Tu sei mio, sarò io ad ucciderti.”
“Non puoi battermi, Potter, non sei abbastanza bravo” continuò Severus con la voce carica di sarcasmo.
“Lo vedremo. Stupeficium!”
Piton parò il colpo, e quelli successivi, senza alcuno sforzo, come aveva fatto mesi prima a Hogwarts.
Il ragazzo però non si arrese: continuò a lanciare incantesimi, ma la rabbia e l’odio, verso l’uomo che aveva di fronte, divennero sempre più forti, fino a prendere il sopravvento.
Non si rendeva nemmeno più conto di ciò che le sue labbra pronunciavano, era completamente senza controllo, in balia del suo avversario.
Questo non fece altro che esasperare Piton: possibile che l’intero mondo magico dovesse essere nelle mani di quel ragazzino? Era una pazzia, una folle speranza, che li avrebbe portati tutti alla rovina. Maledizione, no, non era possibile.
“E’ così che pensi di battermi Potter? Il nostro ultimo incontro non ti ha insegnato niente? Sei solo uno sciocco ragazzino arrogante”.
“Lurido assassino!” gridò Harry con tutta la voce che aveva. “Pagherai per quello che hai fatto. Insultami, non m’importa. Lui si fidava di te e tu l’hai tradito. Ti odio, ti odio! ”
E, puntando nuovamente la bacchetta: “Crucio!”
Piton vacillò appena poi, fissò il ragazzo con un’espressione di disgusto.
“Cerchi di battere un Mangiamorte con le sue stesse armi, Potter? Non provarci, non ne sei capace”.
“Perché non stai zitto e combatti? Non mi ritieni un degno avversario? Il grande Severus Piton preferisce uccidere solo i vecchi, feriti e disarmati”.
Un’espressione di collera deformò Il viso di Piton che mosse la bacchetta, mandando Potter a sbattere contro un muro.
“Silencio!” sibilò e, improvvisamente, dalla bocca di Harry non uscì più alcun suono, nonostante lui si sforzasse.
Il ragazzo aveva l’impressione di gridare a squarciagola, ma dalle sue labbra usciva solo il fischio dell’aria.
Piton guardò soddisfatto il risultato della sua magia.
“Con la mente, Potter. Non hai bisogno della voce per scagliare incantesimi, ricordi? ” lo istigò. Nel frattempo Draco era uscito dal suo nascondiglio e stava fissando i due maghi.
Notò con preoccupazione che Piton aveva pericolosamente abbassato la bacchetta e sembrava incitare il suo avversario a colpirlo.
Harry puntò la sua, socchiudendo gli occhi nello sforzo di concentrarsi.
Un raggio partì dalla bacchetta sfiorando i capelli di Piton che si mosse appena per evitare di essere colpito, mentre la scia luminosa continuava la sua corsa finendo per sgretolare il muro di una vecchia casa in fondo al vicolo.
Il mago si voltò ad osservare la piccola esplosione provocata dalla magia di Harry Potter, e poi si rivolse nuovamente al suo ex allievo con un sorriso sghembo “Bene, Potter! Forse non sei del tutto stupido!”
Harry, incoraggiato dal suo piccolo successo, marciò verso il suo avversario, pronto a scagliare un secondo incantesimo, ma, questa volta, fu preceduto.
Due raggi luminosi colpirono contemporaneamente Piton, scaraventandolo contro la grossa ruota di legno del carretto.
Draco, che era in piedi lì accanto, si voltò di scatto e vide Lupin e Kingsley avvicinarsi velocemente.
Immediatamente sfoderò la sua bacchetta, ma Piton, che si era sollevato in ginocchio aggrappandosi alla sponda del carro, lo afferrò per la tunica, facendolo cadere a terra.
“Stanne fuori, Draco!” ruggì, spingendolo al riparo.
Il ragazzo si accucciò nuovamente dietro la grossa ruota di legno, appena in tempo, prima che un nuovo incantesimo colpisse, come la scarica di un fulmine, la strada dove si trovava solo un istante prima, facendo schizzare in aria le pietre come schegge impazzite.
Severus, si voltò portandosi istintivamente il braccio a coprire il volto, mentre, il pesante mantello veniva lacerato come carta dai frammenti del selciato.
Sollevò appena lo sguardo: Potter era a pochi metri da lui.
Alla vista di Lupin e Kingsley, un sorriso trionfante era comparso sulle sue labbra. La gioia dovuta alla certezza di una vittoria imminente gli si poteva leggere nello sguardo.
Altri incantesimi, furono scagliati contemporaneamente su Severus, che, ormai, poteva solo cercare di proteggersi.
Era impossibile rispondere agli attacchi simultanei di tre maghi e, questo, i suoi avversari lo sapevano bene.
Erano davvero decisi a prenderlo. Avevano persino trascurato di aiutare i loro compagni in difficoltà, pur di non lasciarsi sfuggire l’assassino di Silente.
“Arrenditi!” gridò Remus Lupin, puntando di nuovo la sua arma. “E’ finita, lo sai anche tu.”
Piton, che si era appoggiato al carro, ansimante, fece roteare la bacchetta, innalzando per l’ennesima volta lo scudo di protezione, ma sentiva che le forze lo stavano abbandonando.
Lo schermo che, oltre a coprire lui, si estendeva fino ad includere Draco al suo interno, proteggendolo e, nello stesso tempo, impedendogli di intervenire, stava diventando sempre più debole.
Appena fu raggiunto dagli incantesimi, vibrò rumorosamente e, come se fosse stato fatto di cristallo, esplose in una miriade di frammenti traslucidi.
“Sul carro, va sul carro!” strillò il mago, voltandosi di scatto verso il ragazzino accoccolato a terra.
Draco non se lo fece ripetere, rotolò fuori dal suo nascondiglio e, scavalcando la sponda di legno, si gettò all’interno del carretto.
Una scia di raggi colorati saettò a pochi centimetri dalla sua testa, mentre Piton, che era riuscito ad evitarli per un soffio tuffandosi di lato, afferrò la bacchetta con entrambe le mani e la conficcò con tutta la forza in una fessura tra le pietre che pavimentavano la stradina.
La piccola asticella nera scricchiolò pericolosamente come se fosse sul punto di spezzarsi, ma, immediatamente, il terreno cedette alla pressione e il selciato prese a ribollire e a vorticare.
Il mago si aggrappò alla sponda del carro, mentre la strada si trasformava in un fiume in piena sotto i suoi piedi.
Il carretto fu sbalzato in aria da un’ondata e, come se fosse una zattera, venne trascinato dalla corrente tra le vie strette di Hogsmeade.
Piton scavalcò la sponda e, una volta al sicuro all’interno della piccola barca improvvisata, rivolse uno sguardo ai suoi avversari che annaspavano ancora tra le rapide. Uno alla volta riuscirono ad afferrarsi alle pareti delle case e ad uscire illesi dall’acqua.
Quando furono abbastanza lontani dal luogo della battaglia, Severus annullò l’incantesimo e, nuovamente, dure pietre tornarono a comparire sotto le ruote del carro che arrestò la sua folle corsa contro un muro.
I Mangiamorte, intanto, si erano diretti verso il bosco trasportando Lucius ferito. Piton poté vederli da lontano.
“Andiamo!” disse rivolto a Draco e, saltando giù dal carro, lo afferrò per un braccio trascinandolo con sé, mentre correva per raggiungerli.
Tutti recitarono la formula di smaterializzazione e sparirono tra gli alberi.





Continua…





 
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Camelia.
view post Posted on 8/6/2011, 22:57




WOW!! Letto tutto d'un fiato, mi piace sempre di più!
 
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Astry
view post Posted on 12/6/2011, 13:14




Un altro capitoletto per la mia fedele lettrice.

Cap. 6: Un aiuto inatteso



“AAAAAAAAAAH!” Codaliscia si contorceva sul pavimento di pietra all’interno del cerchio dei Mangiamorte.
L’incantesimo del Prior Incantatio aveva rivelato, senza ombra di dubbio, che era stata la bacchetta di Peter Minus ad evocare il marchio in anticipo quindi a far fallire la missione, e Lucius Malfoy aveva avuto l’onore di impartire la punizione.
Draco, che era in piedi al fianco di Piton, davanti a suo padre che torturava l’uomo con la Cruciatus, istintivamente distolse lo sguardo, ma Piton lo afferrò alla nuca e lo costrinse a vedere.
“Dovrai abituarti: se vuoi essere uno di noi non puoi permetterti un cuore tenero.” sibilò. Draco strinse i pugni fino a farsi diventare bianche le nocche, sforzandosi di sembrare impassibile. Suo padre lo stava guardando, gli aveva rivolto uno sguardo compiaciuto, gli sorrideva, mentre continuava a tenere la bacchetta puntata contro Codaliscia che non smetteva di urlare.
Il ragazzo strinse i denti con forza.
Piton mosse appena gli occhi verso Draco, fingendo di non notare che il suo respiro si era fatto affannoso.
In realtà si sentiva orgoglioso di lui: si era mostrato molto più maturo della sua età.
Non era la paura a trattenerlo, ma l’amore per la sua famiglia. Erano motivazioni indubbiamente più valide di quelle che avevano incatenato un giovane Severus a quel mostro assassino.
Nel suo sguardo si poteva leggere facilmente l’orrore e il dolore che provava nel vedere suo padre torturare un uomo.
Draco stava imparando: una lezione terribile, qualcosa che avrebbe preferito risparmiargli, qualcosa che lo avrebbe presto costretto a fare una scelta dolorosa e persino rischiosa.
Piton serrò con forza le palpebre: il pensiero che il ragazzo avrebbe potuto rischiare di essere ucciso se si fosse rifiutato di obbedire agli ordini del Signore Oscuro, lo fece rabbrividire.
Avrebbe salvato la sua anima, certo, questa era la volontà di Silente, e lui ci stava riuscendo, anzi, Draco ci stava riuscendo, ma Severus non era affatto certo che sarebbe riuscito a salvare anche la sua vita.
Gli sembrava di impazzire, immaginando quello che sarebbe potuto succedere al ragazzo se qualcuno avesse scoperto la sua vera natura: Draco non era un assassino.
Forse, lui stesso lo stava spingendo verso la morte, mentre cercava di allontanarlo da Voldemort.
Sapeva che non era sbagliato quello che stava facendo, continuava a ripeterselo.
Lui sapeva bene che la morte sarebbe stata preferibile ad una vita di rimorsi, ma come poteva arrogarsi il diritto di scegliere per un'altra persona? Solo perché c’era già passato? Cosa avrebbe fatto se per colpa sua fosse successo qualcosa a Draco?
Si augurò, in quel caso, di non dover vivere abbastanza da scoprirlo.
Intanto, Minus continuava a dimenarsi sul pavimento, cercando, ogni volta che il suo torturatore sollevava la bacchetta, di sgusciar via tra i piedi dei Mangiamorte in circolo. Di fronte a quei disperati tentativi di fuga, i suoi stessi compagni rispondevano con risa ed insulti.
Improvvisamente, l’Animagus si gettò verso Draco, che fece un balzo indietro.
Gli occhi erano spalancati dal terrore, mentre Minus, che era riuscito ad aggrapparsi alla stoffa della sua tunica, continuava a strattonarlo, supplicando il ragazzo perché lo aiutasse.
Una supplica inutile, tutti lo sapevano, forse lo stesso Minus, nella sua follia, era consapevole che il giovane mago non avrebbe potuto far niente per mitigare il suo supplizio.
Draco afferrò con entrambe le mani la propria veste per strapparla alla presa dell’altro, ma le tozze dita di Codaliscia si erano chiuse con una tale forza su quel lembo di stoffa, che il giovane Malfoy fu costretto a piegarsi in avanti, trascinato dal peso dell’altro.
Era sul punto di perdere l’equilibrio: sarebbe caduto e avrebbe urtato violentemente contro le grosse pietre squadrate che rivestivano il pavimento di quella sala. Il suo corpo precipitava, ma anche la sua mente era come inghiottita con l’Animagus da quell’incubo alimentato dal suo stesso padre: stava di nuovo cedendo alla paura.
Improvvisamente, si sentì afferrare per le spalle e spingere indietro: un altro strattone più violento degli altri e finalmente la stoffa fu strappata via dalle mani di Peter Minus, che ricadde di schiena all’interno del cerchio.
Un’ombra nera si era messa fra i due maghi, separandoli.
Draco sollevò lo sguardo: occhi bui, gli occhi di Severus Piton, lo fissavano, mentre il viso del mago più anziano assumeva un’espressione preoccupata.
“Stai bene?” domandò con un filo di voce.
Il ragazzo era pallidissimo e non rispose subito; il suo ex insegnante era lì di fronte a lui, le mani strette sulle sue braccia con una tale forza da fargli male, eppure sembrava terribilmente lontano, così come la sua voce, che gli arrivava confusa e distorta, soffocata e quasi cancellata dal rumore assordante delle grida di Minus che ancora rimbombavano nella sua testa.
Senza nemmeno rendersene conto, Piton prese a scuoterlo.
“Draco, stai bene?” ripetè.
Il giovane mago si limitò ad annuire, poi, come se le loro menti fossero state attraversate contemporaneamente dallo stesso pensiero, entrambi si voltarono verso Voldemort.
Il Signore Oscuro stava osservando la scena con un espressione curiosa: sembrava quasi divertito dalla situazione, più che irritato. Stava studiando le reazioni del ragazzo, no, ancora peggio, stava gustando quella scena come se si trovasse di fronte a degli attori: uomini che, per compiacere il proprio pubblico, fanno delle emozioni la loro bandiera.
Piton chinò appena il capo, proprio come un bravo attore deve fare, come il giullare di un mostro che non conosce la vera essenza di ciò che tanto lo diverte.
L’affetto e la preoccupazione erano questo per Voldemort: un semplice divertimento, una distrazione, una sfumatura di colore in una realtà fatta solo di nero terrore e dolore.
Severus lasciò cadere le braccia che ancora erano tese a sostenere il giovane.
Lo spettacolo era finito, almeno per quel giorno: Lucius Malfoy aveva liberato la sua vittima dalla maledizione e si era avvicinato ai due. Gli occhi di ghiaccio corsero a cercare l’approvazione del suo padrone prima di incontrare quelli dell’amico.
Piton lo fissò quasi trattenendo il respiro, finché le labbra di Lucius si piegarono appena in un sorriso.
Sorrideva?
Perché sorrideva?
Era gratitudine quella che, per un attimo, aveva intravisto dietro i suoi gelidi occhi?
Forse sì, in fondo, Lucius era prima di tutto un padre, un padre severo, che non avrebbe mai dimostrato il suo affetto per il figlio, specialmente di fronte a Voldemort, ma, evidentemente, apprezzava il fatto che il suo ragazzo potesse contare sulla protezione dell’amico.
Severus ricordava bene quanto era stato importante per lui il sostegno di Malfoy: gli era stato vicino durante il suo apprendistato come Mangiamorte.
Allora gliene era stato grato, anche se ora avrebbe preferito che non l’avesse mai fatto.
Ricordava lo sguardo del suo amico: occhi duri come gelidi diamanti, ai quali si era aggrappato tante e tante volte. Di quegli occhi si era fidato e, senza nemmeno rendersene conto, si era lasciato trascinare nel baratro. Aveva ridotto in brandelli la sua anima, lacerandola con un pugnale d’argento, e il suo migliore amico aveva guidato la sua mano mentre lo faceva.
Eppure, non era mai riuscito ad odiarlo, in fondo era stata una sua scelta: lui voleva essere un Mangiamorte, voleva diventare un seguace del più grande mago vivente, voleva la gloria e aveva perso se stesso.
Il mago bruno abbassò lo sguardo: ecco, era lì, davanti ai suoi occhi, la gloria dei Mangiamorte in tutto il suo splendore.
Codaliscia continuava a contorcersi e a mugugnare sul pavimento, nonostante il supplizio fosse ormai cessato.
Non era durato che pochi minuti, anche se a Severus erano sembrati un’eternità. Un tempo infinito in cui, per l’ennesima volta, ricordando la sua scelta scellerata, si era sentito uno stupido.
Nessuno, nemmeno quel viscido ometto, meritava un simile trattamento, eppure lui aveva scelto volontariamente di diventare servo di quel mostro, esattamente come Minus.
Fissò la figura sgraziata ai suoi piedi con un misto di pena e disgusto, finché Codaliscia, sfinito e piagnucolante, fu trascinato via.
Il cerchio dei Mangiamorte si sciolse e, uno alla volta, gli adepti di Voldemort lasciarono la stanza.
Piton fu l’ultimo, rivolse uno sguardo malinconico al ragazzo e si Smaterializzò.




* * *




Il sole era tramontato ormai da alcune ore. Si udiva da lontano il rombo del temporale imminente e il vento aveva preso a sconquassare le ante di legno della finestra.
Severus era seduto alla scrivania tenendosi la testa fra le mani, sentiva che il suo passato era più vicino che mai. Quando Silente lo aveva accolto a Hogwarts, aveva creduto di poter riparare alle colpe commesse come Mangiamorte facendo la spia per l’Ordine, ma ora era tutto finito: aveva ucciso l’unica persona che si fidava di lui ed era dovuto fuggire. Era stato come tornare indietro di diciotto anni, con quell’azione orrenda si era riguadagnato il suo posto al fianco del Signore Oscuro: lui era un Mangiamorte .
“No!” afferrò di scatto il calamaio scagliandolo contro la parete.
“Professore?”
Draco era ancora una volta appoggiato alla sua porta, il calamaio lo aveva mancato di poco.
Piton, che non si era accorto prima della sua presenza, trasalì.
“Da quanto tempo eri li?” domandò brusco.
“Abbastanza.” si staccò dallo stipite e fece qualche passo verso di lui.
“Non volevo spiare.”
“Ah no?” le labbra si piegarono in una smorfia.
“No! Ero venuto per parlare con lei.”
Piton si appoggiò allo schienale della sedia e incrociò le dita.
“Avanti, ti ascolto.”
Draco esitò cercando, forse, le parole più adatte, ma sembrava non trovarle, quindi Piton decise di dargli una mano:
“Volevi parlare di quello che è successo oggi?”
Il ragazzo annuì, allora l’altro si alzò dalla sua sedia e, dandogli le spalle, si avvicinò ad uno scaffale fissando, senza alcun interesse, una cosa viscida che galleggiava in un recipiente di vetro.
Il momento era arrivato.
Lo aspettava.
Forse non così presto, ma, da quando aveva visto il giovane Mago accanto al padre, dopo il suo ritorno da Notturn Alley, l’orrore che aveva letto nei suoi occhi gli aveva dato la certezza che Draco non sarebbe mai diventato un assassino.
Ora era di fronte ad una scelta, una scelta che un ragazzo della sua età non avrebbe mai dovuto fare.
Severus strinse i pugni nascondendoli alla vista dell’altro. Le sue mani, infatti, tremavano leggermente, mentre l’ossigeno sembrava essere diventato insufficiente.
Nei minuti successivi, in quella stanza, si sarebbe deciso il futuro del ragazzino: un futuro di servitù o un futuro di morte?
Certo, c’era poco da illudersi e sperare: nonostante le lezioni di Occlumanzia di Bellatrix, Draco non avrebbe mai potuto opporsi a Voldemort. Sarebbe stato smascherato facilmente e avrebbe tradito anche lui.
Eppure, Silente era morto per quello, perché l’anima del giovane mago non venisse macchiata. Era importante quanto distruggere Volodemort, e per lui, per Severus Piton, forse era ancora più importante.
Rivedeva se stesso in Draco: un ragazzo trascinato in un mondo di odio e di morte, un Severus, capace, però, di opporsi e fermarsi in tempo.
Probabilmente, la sua era solo una pietosa illusione. Quella che gli dava la forza di andare avanti, anche se sapeva benissimo che la sua anima era perduta e salvare il figlio di Lucius non gliel’avrebbe restituita.
Niente avrebbe potuto dargli indietro quello che aveva distrutto con le proprie mani, niente.
Non cercava un’assoluzione: non la voleva.
Ma il suo debito doveva essere comunque pagato e lui avrebbe continuato a pagarlo, fino alla fine,
con la sua vita e con la salvezza di Draco.
Sospirò sommessamente, quell’anima ancora integra era un gioiello prezioso e fragile allo stesso tempo: non poteva rischiare di frantumarlo fra le dita.
Doveva stare attento a non esporsi troppo, ma doveva anche assicurarsi che la decisione di Draco fosse definitiva.
“Tuo padre ha fatto quello che il Signore Oscuro gli aveva ordinato.” mormorò, voltandosi appena per osservare la sua reazione.
“Se è questo che Voldemort chiede ai suoi Mangiamorte…” nel sentire il nome del Signore Oscuro, Piton strinse i denti, ma non lo interruppe.
“…allora non voglio obbedire,” concluse tutto d’un fiato.
Un lampo attraversò gli occhi neri dell’uomo.
Dunque, Draco aveva deciso.
Piton lo fissò senza parlare per qualche secondo: sapeva che stava dicendo la verità, non aveva bisogno di leggergli nella mente, oltretutto sapeva che Draco sarebbe riuscito ad impedirglielo.
Se solo fosse stato altrettanto abile a nasconderlo!
La barriera, che il giovane mago aveva imparato ad innalzare a protezione dei suoi pensieri, era così evidente che Voldemort avrebbe capito facilmente il suo inganno.
“Tua zia Bellatrix ti ha insegnato davvero bene l’Occlumanzia, Draco,” disse, infine, più per provocarlo.
“Non le sto mentendo, se è questo che pensa”.
No, non lo pensava affatto: Draco non stava mentendo, almeno, il suo cuore non mentiva. Non aveva mai mentito, nemmeno quella notte sulla torre.
Tuttavia, Severus sapeva che ci voleva molto coraggio per ammettere i propri sentimenti, soprattutto con se stessi: doveva essere sicuro che il ragazzo fosse consapevole del pericolo che avrebbe corso.
Fece qualche passo verso di lui.
“Ammesso che tu dica la verità, perché vieni a raccontare a me che vuoi tradire l’Oscuro Signore? Sai che potrei informarlo?”
“Ho visto come guardava mio padre oggi: lei non è uno di loro”.
Ci fu un lungo silenzio, poi Piton sospirò di nuovo e più profondamente.
Sì lui non era uno di loro, non più, almeno. Eppure doveva continuare a fingere.
Aver lasciato trapelare i suoi sentimenti in modo che Draco potesse coglierli, era stata una debolezza da parte sua: non sarebbe dovuto accadere.
Si stropicciò il viso: era stanco.
La tentazione di gettare la maschera si faceva ogni giorno più forte ed ora, sapere che dalle sue decisioni sarebbe dipesa anche la vita del rampollo del suo migliore amico lo faceva star male.
Per un attimo fu tentato di convincere il ragazzo a rinunciare ai suoi propositi di tradimento.
Ma non era così che doveva andare.
Alla fine decise: Draco aveva il diritto di scegliere la sua strada, e il suo coraggio meritava tutta la sua fiducia.
Doveva sapere la verità e, forse, anche lui aveva bisogno di condividere il suo segreto con un’altra persona. Ora che non c’era più Silente, si sentiva solo come non mai: certe volte gli sembrava davvero di impazzire.
Fissò il giovane che aveva di fronte. I suoi occhi neri, finalmente sinceri, mostrarono tutto il suo dolore e la sua preoccupazione.
“Io non posso aiutarti, Draco! Questo è un gioco pericoloso e noi due ci siamo dentro fino al collo.”
“Non sono qui per chiedere il suo aiuto, ma per offrirle il mio”.
Le labbra dell’uomo si spalancarono, mentre il suo volto s’illuminava: non si aspettava tanta determinazione, Draco era davvero cresciuto.
“Ti metterai contro tuo padre, hai pensato a questo?”
“Non prendo questa decisione alla leggera, io amo mio padre, ma non riuscirei mai ad uccidere un uomo se me lo chiedesse. Ora me ne rendo conto, non avrei mai ucciso Silente e lei questo lo sapeva. Forse mi conosce meglio di quanto mi conosca mio padre. Probabilmente lui mi riterrebbe un debole, ma io non ho paura”.
Poi, abbassando la testa, prese a fissarsi le scarpe.
“Le devo molto, non volevo ammetterlo, ma credo di sapere quanto le è costato il giuramento fatto a mia madre.”
A quelle parole, il mago bruno strinse gli occhi, come se provasse dolore, e mormorò, quasi a se stesso
“Lui non aveva il diritto di sporcare la tua anima come ha fatto con la mia.”
Si voltò e sedette nuovamente alla scrivania studiando il ragazzo che aveva di fronte, poi, schiarendosi la voce, cominciò:
“Ho saputo che Lucius vuole mandarti a Durmstrang perché tu possa completare la tua istruzione.”
“Si, lo so… ma io non voglio andarci.” disse risoluto.
“Non interrompermi, Draco!” Scattò “Dunque… dicevo, ora che non puoi tornare ad Hogwarts, sarà quella la tua scuola. Come sai, lì non disdegnano le arti oscure e, specialmente ora che Igor Karkaroff è stato eliminato, il suo nuovo preside si guarderà bene dall’inimicarsi l’Oscuro Signore.” “Una ragione in più per non andarci, non crede?”
Piton sorrise.
“Una ragione in più per andarci, invece.” Sussurrò.
Draco lo guardò perplesso. Piton si era nuovamente alzato e ora si sporgeva verso di lui appoggiandosi al tavolo.
“Mi hai offerto il tuo aiuto? Bene, io l’accetto. In quella scuola c’è qualcosa che io voglio e tu dovrai portarmela”.





Continua…




 
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Camelia.
view post Posted on 12/6/2011, 14:55




Eccomi, evviva non vedevo l'ora di leggere un nuovo capitolo! Scrivi davvero bene, incateni il lettore fino alla fine.
Draco non mi è mai piaciuto, vederlo così maturo e capace di compiere una scelta è strano, ma la storia è davvero avvincente.

Non posso che dire: ancora ancora ancora! image
 
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Astry
view post Posted on 15/6/2011, 12:38




CITAZIONE (Camelia. @ 12/6/2011, 15:55) 
Eccomi, evviva non vedevo l'ora di leggere un nuovo capitolo! Scrivi davvero bene, incateni il lettore fino alla fine.
Draco non mi è mai piaciuto, vederlo così maturo e capace di compiere una scelta è strano, ma la storia è davvero avvincente.

Non posso che dire: ancora ancora ancora!

Nemmeno a me è piaciuto Draco nell'ultimo libro, ma questa ff , o almeno la prima versione , è stata scritta prima dell'uscita del libro, quindi questo Draco è un po' il Draco che avrei voluto, quello riconoscente per il sacrificio di Severus, quello che alla fine si riscatta. La Row ha deciso diversamente, ma secondo me ha sprecato una buona occasione per rivalutare un po' il biondino Serpeverde. Ma si sa, a lei i serpeverde non piacciono proprio.
Tutto quello che leggerai comunque non tiene conto dell'ultimo libro, quindi sarà tutto diverso.... :rolleyes: molto diverso.


Cap. 7: Lacrime



Erano passati alcuni mesi dalla partenza di Draco. Quel giorno c’era stata una furiosa battaglia fra Auror e Mangiamorte, una battaglia alla quale aveva preso parte anche Severus.
Questa volta non era riuscito ad evitare che ci fossero delle vittime: gli Auror avevano avuto molte perdite.
Nella confusione lui era riuscito almeno a non uccidere nessuno e a non essere riconosciuto. Un’ombra nera fra le tante. Nessuno aveva fatto caso a tutti i suoi attacchi a vuoto. Nessuno lo aveva visto, mentre schiantava alcuni dei suoi stessi compagni.
Ora, finalmente, il tramonto sembrava aver portato via con sé l’eco delle grida di battaglia e il sibilo degli incantesimi.
L’unico suono che si poteva udire era lo scrosciare della pioggia; nemmeno gli animali notturni emettevano i loro versi.
Era come se l’intero mondo magico si fosse fermato a piangere i propri morti prima di assistere impotente al prossimo massacro.
Quella sera, Severus non si era ritirato nella sua stanza. I Mangiamorte si erano riuniti dopo la battaglia e lui aveva assistito al resoconto dello scontro senza intervenire.
I suoi compagni erano soddisfatti: la loro missione sembrava aver dato i suoi frutti, gli Auror avevano subito un duro colpo ed erano in molti ad essere caduti nelle mani dei seguaci di Voldemort.
Più prigionieri significava più possibilità di ottenere informazioni utili.
Per Severus invece voleva dire nuove pozioni, nuovi veleni, significava dover sprofondare sempre di più nell’oscurità, fino a diventare egli stesso parte di quelle tenebre.
Aveva ascoltato muto i suoi compagni farsi beffe di quegli uomini, dei morti e dei prigionieri, finché qualcuno non aveva iniziato ad insultare Albus Silente.
Lo sguardo del mago si era sollevato lentamente, inespressivo, mentre le mani si erano strette con forza in un pugno, ben nascoste sotto il mantello.
Poi lo sguardo si era spostato sul suo padrone: Voldemort non sembrava trovare divertenti quegli insulti, lui era interessato a ben altro.
Fissava lo sguardo su di loro, eppure le sue iridi infuocate erano rapite da altre visioni.
L’Oscuro Signore permetteva a quegli uomini di trastullarsi con i vinti, un modesto premio per i suoi schiavi. Sciocchi maghi che si lasciavano usare come burattini, inebriati dal miraggio di un potere che non avrebbero mai avuto.
No, quello spettava a Lord Voldemort, loro dovevano solo servirlo ed immolare al loro padrone la propria anima e la vita, mentre Lui preparava la sua immortalità.
Erano come cani intorno ad un osso, mentre fra urla e insulti si appropriavano del misero premio che gli veniva concesso, illudendosi di essere migliori degli uomini che avevano sconfitto in battaglia, e fingendo che il loro sangue fosse più prezioso di quello che avevano sparso.
Quando finalmente Severus fu libero di lasciare i suoi compagni, l’unica cosa che desiderava era allontanarsi il più possibile da quel luogo, dalle grida e lamenti che si udivano provenire dalle molte celle sotterranee di quel posto maledetto.
Si Materializzò ai margini della Foresta Proibita e da lì raggiunse le sponde del Lago Nero.
La pioggia lo aveva aggredito non appena comparso all’aperto infradiciando i suoi abiti.
Oltre il lago, la scuola era completamente avvolta dalla nebbia.
Severus aveva l’impressione che il castello avesse deciso di negarsi ai suoi occhi.
Probabilmente se così non fosse stato, non avrebbe osato alzare lo sguardo su quelle mura.
La Torre di Astronomia era fra le più alte del castello, le sue luci sarebbero state ben visibili anche a quella distanza.
Non voleva rivederla, avrebbe solo sporcato ulteriormente quei bastioni con il suo sguardo.
Gli stessi occhi che ogni giorno erano costretti a vedere le cose più atroci, non meritavano di posarsi su Hogwarts.
Seguitò a camminare curvo, con gli occhi fissi sul fiume di fanghiglia che serpeggiava tra le rocce. Il percorso era in salita e la terra ormai impregnata di pioggia si muoveva scivolandogli incontro e trascinando con sé ciottoli e pietrisco.
Le sue gambe sembravano diventare più pesanti ad ogni passo. Il mantello bagnato e infangato si tendeva dietro le sue spalle, risucchiato in quel fiume di melma, tanto che la stoffa fradicia pareva doversi strappare da un momento all'altro.
Per contrastare il peso che lo trascinava all’indietro, il mago si curvò maggiormente.
I lunghi capelli neri davanti al viso erano divisi in ciocche tra le quali l’acqua si lasciava guidare nel suo percorso sulle guance scavate per poi scivolare sul mento e sul collo.
Severus socchiuse le labbra, il sapore dolce e fresco della pioggia gli riempì la bocca. Era piacevole e ne sentiva il bisogno.
Gli sembrava di avere un fuoco in gola e, forse, era così.
Quando il Mangiamorte aveva insultato Silente, per un attimo aveva avuto l’impressione che il suo autocontrollo l’avesse abbandonato.
Stava per gridargli contro con tutta la sua rabbia, e di certo non si sarebbe limitato a quello.
Forse era colpa della tensione e la stanchezza: la battaglia era stata davvero terribile.
D’altra parte aveva dovuto assistere a scene ben peggiori, aveva visto i seguaci di Voldemort uccidere e torturare, e non era la prima volta che la memoria dell’uomo che aveva considerato come un padre veniva calpestata, ma quella sera qualcosa era scattato dentro di lui.
Quella sera, le parole del Mangiamorte avevano riportato in superficie tutta la rabbia che aveva provato la notte dell’omicidio.
Aveva stretto i denti, impedendo all’odio di manifestarsi, aveva trattenuto quel fuoco dentro di sé, ma continuava a sentirlo bruciare.
Non sapeva, non capiva come era potuto succedere. Fortunatamente il suo Signore non aveva usato la Legilimanzia su di lui, altrimenti avrebbe visto tutto.

Il suo piede scivolò ingoiato dalla melma e Severus cadde in ginocchio. Le mani, che erano corse a frenare la caduta, ora affondavano nel fango fino al polso.
Rimase in quella scomoda posizione per diversi minuti, mentre le dita si stringevano rabbiosamente sul terreno molle.
Ormai era arrivato alla sua destinazione. Poco più avanti, nascosta alla sua vista ormai solo da alcuni alberi, c’era la sua tomba.
Silente era lì vicino. Avrebbe solo dovuto alzarsi dal fango e fare ancora qualche passo, ma sembrava che qualcosa lo trattenesse.
Non si era mai spinto così vicino al suo sepolcro: non ne aveva mai avuto la possibilità, almeno era quello che continuava a ripetersi.
C’era una guerra, avrebbero potuto vederlo, si diceva, ma il vero motivo ora si stava mostrando in tutta la sua cruda realtà: lui non ne aveva il coraggio.
Ora che si trovava così vicino a quel candido marmo, le sue gambe si rifiutavano di proseguire. Cosa sarebbe successo se si fosse alzato, se avesse superato la piccola salita e gli arbusti che pietosamente gli impedivano di vedere quel monumento alla sua colpa?
Sapeva esserci una pianura di fronte a lui, un vasto prato nel quale era stata collocata la tomba di marmo bianco, eppure aveva l’impressione che lì ci fosse solo un pauroso precipizio.
Una sensazione di vertigini lo assalì. Le mani affondarono ancora di più nella melma, tentando inutilmente di trovare un appiglio sicuro.
No, non sarebbe mai riuscito ad avvicinarsi più di così. Sentiva già di precipitare in quel baratro. Strinse gli occhi cercando di contrastare la nausea.
Forse non avrebbe dovuto nemmeno arrivare tra quegli alberi. Era stato stupido ed inutile trascinarsi fin lì.
In quel prato non c’era niente, solo una fredda pietra, nulla di più.
Posare gli occhi su quel marmo significava solo rivedere ciò che gli incubi gli mostravano ogni notte.
Allora perché si trovava lì, inginocchiato nel fango, sotto una pioggia scrosciante?
Severus non sapeva darsi una spiegazione, non sapeva cosa lo aveva spinto.
Aveva solo sentito il bisogno improvviso di recarsi sulla quella riva, come se Silente stesso lo avesse chiamato.
Era stata la disperazione ad obbligarlo a cercare il conforto della sua vittima?
Forse, aveva solo bisogno di posare le mani sulla sua tomba, toccarla, magari sfogare tutta la sua rabbia su quella maledetta pietra. Aveva bisogno di rendere solido il suo incubo per poterlo affrontare o esserne sopraffatto definitivamente.
Certamente non poteva più andare avanti come aveva fatto fino a quel momento, non poteva più continuare ad agire come un automa, non più.
Era dalla partenza di Malfoy che Severus aveva cominciato a sentirsi sempre peggio, era preoccupato per lui.
Aveva sempre dovuto rischiare solo la sua vita. Era pronto a farlo, specie dopo la notte dell’omicidio del Preside.
Da allora quella vita per lui non aveva più avuto alcun valore: Severus Piton era morto sulla torre di Astronomia. Era precipitato insieme alla sua vittima.
Ma ora, qualcosa era cambiato, ora improvvisamente non era più solo.
Un’altra persona dipendeva dalle sue azioni: Draco si era fidato di lui e aveva scelto di aiutarlo.
Aveva fatto da solo la scelta giusta, Severus si era sentito orgoglioso di lui, gli aveva affidato un compito, eppure l’idea del grave rischio che avrebbe corso il ragazzo lo faceva star male.
Gli voleva bene, Silente lo aveva praticamente implorato di salvare la sua anima e lui lo aveva fatto, immolando la propria.
Il figlio di Lucius non si sarebbe sporcato le mani di sangue, ora ne era certo, come era certo, però, che quella scelta poteva costargli la vita.
Non poteva accettarlo, e soprattutto non riusciva ad accettare il fatto di poter essere responsabile di un’altra morte.
La causa prima di tutto, Silente non aveva esitato a sacrificarsi per ottenere ciò che voleva ed aveva vinto di nuovo. Albus aveva vinto: l’anima di Draco era salva.
Anche Draco aveva vinto, aveva scelto da solo di non essere un assassino.
Draco aveva vinto, ma lui?
Lui molto probabilmente avrebbe avuto anche la morte di un ragazzino di diciassette anni sulla coscienza.
Chiuse gli occhi come a voler scacciare quel pensiero dalla sua mente.
Draco era al sicuro finché restava a Durmstrang, in fondo si trattava sempre di una scuola.
Ma se l’avessero scoperto? Se suo padre avesse sospettato qualcosa?
Il mago scosse il capo: no, Lucius non avrebbe mai denunciato suo figlio al Signore Oscuro.
Certo non si sarebbe fatto gli stessi scrupoli nei confronti del suo migliore amico.
Le labbra del mago si piegarono in un sorriso amaro.
Poco importava: di tutte le conseguenze e gli scenari che si era prefigurato per il futuro, la propria morte per mano di Lucius o di Voldemort non gli sembrava la peggiore delle ipotesi.
Draco, invece avrebbe sofferto e lui poteva ben immaginare quanto.
Sapeva cosa significava trovarsi dalla parte sbagliata di una guerra, essere odiato dalle persone per le quali avrebbe rischiato la propria vita. Essere solo.

Severus chinò il capo, fissando il proprio volto deformato nella pozzanghera che si era formata intorno a lui. Nonostante fosse notte e la luna fosse completamente oscurata dalle nuvole, un riflesso luminoso rischiarava il suo viso abbastanza perché questo potesse specchiarsi nell’acqua.
La luce proveniva dalla tomba dietro gli alberi.
Sulla sommità del monumento, infatti, era stata collocata una lanterna magica, un fuoco che nemmeno tutta quella pioggia era stata in grado di spegnere.
Il temporale si stava allontanando, il mago si passò la mano sul viso portandosi i capelli indietro, mentre continuava a guardare il proprio riflesso.
Le ultime lacrime di quel cielo nero lo facevano ondeggiare e luccicare, mentre si tuffavano nel piccolo avvallamento che il mago aveva scavato col peso del suo corpo.
Impossibile riconoscere il viso di un uomo tra quei lampi colorati.
Impossibile distinguere il suo pianto da quello della natura.
Severus sollevò lo sguardo vuoto verso la luce che filtrava tra l’intreccio nero dei rami.
“Perché mi hai lasciato solo?” la sua voce era appena un rauco sussurro, senza alcuna inflessione. Era fredda quanto il suo volto era una maschera inespressiva.
“Hai messo la vita di quel ragazzo nelle mie mani, io non voglio questa responsabilità.” ansimò prendendosi la testa fra le mani sporche, mentre la sua voce diventava sempre più acuta. “Se mi trovassi a scegliere tra la missione e la sua vita, cosa farò? Dimmi cosa dovrei fare.” gridò.
Strinse gli occhi con forza, poi le sue labbra si piegarono e lui scoppiò in una risata forzata mista a singhiozzi.
“Certo, oh sì, sì lo so, maledizione, lo so cosa mi diresti: mi chiederesti di ucciderlo con le mie stesse mani per il bene della causa, se fosse necessario.” continuò a ridere. “Io sono quello capace di farlo, a me lo puoi chiedere: io sono un assassino”.
Si alzò di scatto e, incespicando sul mantello, si gettò contro il grosso albero di fronte a lui, colpendolo con i pugni.
“Non voglio farlo! Mi hai sentito? Non voglio, io… io non volevo farlo.” gemette.
Di nuovo sollevò il viso, la tomba era lì a pochi passi da lui. Ora la vedeva.
La rabbia era riuscita a muovere le sue gambe abbastanza da permettergli di raggiungere la cima della salita.
Severus era pietrificato, la tomba bianca era come l’aveva immaginata, ma la sensazione che provò guardandola non era la stessa di quando la vedeva nei suoi incubi.
Era bella: la luce tremolante della fiamma sulla sommità del monumento si rispecchiava nella pietra lucida tingendola di rosso, e il fumo formava una nuvola colorata che volteggiava festosa intorno al sepolcro, quasi a volerlo proteggere.
Si pulì il viso dalle lacrime con la manica della tunica, prese un profondo respiro e si costrinse a percorrere i pochi metri che lo separavano dal monumento.
Aveva le labbra socchiuse e un’espressione di stupore dipinta sul volto stanco.
“Albus!” mormorò.
Le sue gambe continuarono a muoversi, incerte, come un bimbo ai suoi primi passi. Tremavano, sembrava che non avessero la forza di sostenere il peso del suo corpo.
Quando si trovò abbastanza vicino alla tomba, allungò il braccio fino a sfiorarne la superficie bagnata.
“Albus, non ce la faccio, ho paura di non essere abbastanza forte. Lo so, ho promesso, ho giurato che avrei fatto di tutto perché l’Oscuro Signore non potesse più far del male.”
Strinse il pugno con rabbia.
“Vorrei essere come questo marmo, vorrei non provare niente, vorrei...” sospirò chinando il capo. “Vorrei non voler bene a quel ragazzo.”
Si appoggiò con entrambe le mani alla tomba e lasciandosi cadere nuovamente in ginocchio.
“Vorrei non aver voluto bene a te.” mormorò con voce strozzata.
Gli occhi si spalancarono come se il mago fosse stupito dalle sue stesse parole.
Di nuovo l’ira si impossessò di lui e Severus colpì il marmo con i pugni.
“Perché?” ringhiò serrando i denti. “Perché mi hai fatto questo?” scosse il capo. “Non voglio più provare quello che ho provato quella notte, preferirei uccidermi con le mie stesse mani. Non voglio più sentire la mia anima bruciare, udire il suo grido disperato, mentre la morte rigurgita come un veleno dalla mia gola.”
Poggiò la fronte sulla parete fredda, chiudendo gli occhi.
“Se solo quelle parole maledette mi avessero soffocato prima di uscire dalle mie labbra!” Inconsapevolmente prese ad accarezzare la pietra, mentre calde lacrime sgorgavano dalle palpebre forzatamente serrate.
“Perché non mi hai strappato il cuore, prima di chiedermi di ucciderti?” gemette. “Hai lasciato che fosse quel raggio verde a cavarmelo dal petto.”
Di nuovo chiuse le dita sottili in un pugno e lo scagliò con tutta la forza contro il gelido marmo.
“Mi hai precipitato all’inferno,” gridò.
Seguì un lungo silenzio, il mago sollevò il capo e fissò la pietra come se questa potesse rispondergli, poi si rimise in piedi, le braccia lungo i fianchi.
“Te ne sei andato. Hai voluto lasciarmi da solo a prendermi cura di un ragazzo che potrebbe essere mio figlio, sapendo che potrei perdere anche lui.”
Tremava e pareva respirare a fatica.
“E sapevi anche che arriverò fino in fondo, non è vero? Vorrei solo fuggire e morire, ma non lo farò perchè tutto questo è colpa mia. Questo è il prezzo per i miei errori, ed io lo pagherò.” mormorò con voce roca.
Senza distogliere lo sguardo da quel marmo, quasi riuscisse a vedere, attraverso la lucida superficie, l’uomo che aveva amato come un padre, il mago annuì, rispondendo alla muta richiesta dei suoi fantasmi.
“Quel giorno io ho messo la mia vita e la mia anima nelle tue mani. Ho lasciato che te ne servissi per vincere questa guerra. Ora non te le chiederò indietro.”
Stese il braccio verso il sepolcro, sfiorandolo con la punta delle dita.
“Questa tomba non dovrà essere un monumento ai miei errori, Albus. Non permetterò che la tua morte diventi un sacrificio inutile. Arriverò fino in fondo. Se dovrò dilaniare ancora quel poco che resta della mia anima, lo farò per te…” le sue labbra tremarono. “… padre!”
Abbassò immediatamente lo sguardo, come se avesse l’impressione di essersi spinto troppo oltre, pronunciando la parola che fino a quel momento aveva tenuto nascosta nell’angolo più segreto del suo cuore.
Si strinse nel mantello bagnato, non tanto per proteggersi dal freddo quanto per poter sparire nella sua ombra nera.
Le tenebre lo attendevano. Lo avevano accolto nel loro abbraccio dopo la notte dell’omicidio e lui, ombra fra le ombre, si era lasciato inghiottire fino a dimenticare persino di essere ancora vivo.
Solo l’affetto che provava per Draco gli aveva ricordato che forse il suo cuore c’era ancora e lo aveva spinto fino al luogo dove riposava Silente: l’unica persona che avesse dimostrato altrettanto affetto per lui.
Probabilmente non sarebbe più tornato in quel prato. Diede un ultimo sguardo al monumento poi fissò le pieghe del suo mantello: la fiamma che risplendeva sulla cima del sepolcro si rispecchiava sulla stoffa resa lucida dall’acqua.
Sorrise, forse un po’ di quella luce sarebbe rimasta con lui.
Albus Silente non lo aveva abbandonato.
Si Smaterializzò.





Continua…

 
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Camelia.
view post Posted on 15/6/2011, 17:44




Ma che bello!!! :o: Sono senza parole!

La strazio di Piton contro Silente mi ha ricordato la scena nell'orto del Getsemani di Jesus Christ Superstar.
 
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26 replies since 14/5/2011, 19:16   209 views
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