CITAZIONE (» romi; @ 18/2/2011, 20:54)
io invece sono convinta, anche dopo aver letto il settimo libro, che Severus quando era giovane abbia anche lui ucciso e torturato qualcuno (dopotutto in quel periodo era convinto di della sua scelta di mangiamorte)...altrimenti non riuscirei a spiegarmi questo suo odio profondo verso se stesso, capisco che era distrutto per essere stato la causa della morte di Lily, ma credo che sotto sotto ci sia molto di più. Quel suo "e la mia anima Albus?" (o qualcosa del genere) credo che lo dica perchè non si vuole macchiare di nessun'altra morte, soprattutto se l'uomo da uccidere è un suo amico. Almeno, io la penso così...u.ù
Non so, comunque non mi crea nessun problema. Del resto sarebbe troppo facile perdonarlo solo di essersi fatto fare un tatuaggio. Io Piton l'ho accettato con tutte le sue colpe e i suoi difetti, lo amo così. Quelli che non vogliono vedere questo lato di lui, in effetti non amano il vero Piton.
CAP. 4: Ultime notizie
Un forte rumore di vetri infranti lo svegliò quando era ormai quasi mezzogiorno, il sole filtrava attraverso le fessure delle imposte.
Ancora stordito assaporò per un istante quel leggero tepore, poi la consapevolezza di ciò che lo aveva svegliato lo fece trasalire. Balzò giù dalla poltrona e, afferrando la bacchetta, si precipitò su per le scale e spalancò la porta della camera, Iris era inginocchiata per terra e contemplava i frammenti di quello che era stato il vaso preferito di sua madre, che luccicavano sul pavimento di legno.
“Mi dispiace, non l’ho fatto apposta,” mugolò. “Io, io credo di aver avuto un incubo, il vaso era là sul comodino, io non so, credo di averlo urtato, mi dispiace.”
Severus la guardò incredulo, sembrava fin troppo dispiaciuta per un banale oggetto di vetro
“Era solo un vaso,” disse fissandola imbambolato. “Solo un vaso”.
Iris tirò su col naso, sembrava una bambina.
“Sta calma, è comprensibile, dopo quello che è successo, che tu abbia avuto un incubo e poi i vasi si aggiustano.” puntò la bacchetta: “Reparo!” disse, poi rimase ad osservare con aria malinconica i piccoli frammenti avvicinarsi fra loro e ricomporsi in un vaso finemente decorato.
Sospirò: se solo avesse potuto rimediare a tutto con quel semplice incantesimo.
Iris si alzò e guardò stupita la sua nuova camicia da notte: non si era ancora accorta di non indossare più la sua tunica nera.
“Sei stato tu?” disse afferrando un lembo di stoffa e tendendola verso il mago.
“Beh, ho pensato che saresti stata più comoda, non volevo essere invadente.”
“E’ carina!” sorrise.
“Già, ora puoi rivestirti,” disse secco. “Come ti ho già detto, c’è una casa disabitata in questo quartiere. I vicini non faranno domande, potrai stare lì finché vorrai.”
Fece per andarsene, ma si voltò di nuovo
“Ah, mi sono procurato una chiave, questo è un quartiere Babbano, non è il caso che ti vedano aprire la porta con la magia, te la lasciò qui,” la posò sulla mensola e uscì seguito dallo sguardo di Iris.
Quando fu pronta, la giovane maga lo raggiunse.
Severus era di nuovo sulla sua poltrona e contemplava i mattoni anneriti nel caminetto spento; la fuliggine che ricopriva quelle pareti faceva sembrare quell’apertura più profonda di quanto non fosse in realtà.
Ricordò che da bambino lo trovava davvero pauroso, un antro buio dal quale sarebbe uscito un giorno un essere altrettanto oscuro e pericoloso.
Improvvisamente il suo volto s’indurì: quel mostro indefinito che lo spaventava tanto da piccolo, ora appariva nitido e orrendo nella sua mente, indossava una maschera d’argento.
I passi dietro di lui lo fecero voltare di scatto, Iris era lì in piedi, aveva di nuovo la sua semplice tunica nera e, in mano, stringeva la chiave della sua nuova casa.
Severus la guardò per un attimo poi riprese a fissare il camino.
“Non c’è bisogno che ti accompagni, la casa è in fondo alla strada, la troverai facilmente,” disse con voce fredda.
Iris fece qualche passo verso di lui e, abbassando lo sguardo, sussurrò:
“Grazie!”
Severus si afferrò ai braccioli della poltrona e si alzò di scatto guardando la ragazza con ira.
“Di cosa mi stai ringraziando,” ringhiò. “Di aver contribuito ad un massacro? Di non aver avuto il coraggio di uccidere anche te?”
Poi si avvicinò.
“Sono io che dovrei ringraziarti per avermi avvertito della maledizione… ” disse e allungò improvvisamente la mano fin quasi a sfiorare il viso di lei.
Iris indietreggiò di scatto fissandolo incredula, ma lui, per tutta risposta, piego le labbra in un sorriso triste
“… però, non sono sicuro che tu mi abbia fatto un favore, quindi non lo farò”. Si voltò dando le spalle alla ragazza.
“Ora vattene!”
Iris restò a guardare il mago per qualche istante, avrebbe voluto rispondergli, ma cosa poteva dire? Severus aveva ragione: era piombato nella sua vita insieme a quel mostro di suo padre, aveva sterminato un’intera famiglia.
Sì, lui aveva ragione, avrebbe dovuto odiarlo, non ringraziarlo.
Eppure, sentiva che quel ragazzo era solo un’altra vittima, come lei.
Probabilmente per lui sarebbe stato molto peggio. Lei doveva solo nascondersi, non aveva nessun valore per Voldemort, presto non l’avrebbero più cercata. Severus, invece, era un Mangiamorte, un servo, e lo sarebbe stato per sempre.
Iris sapeva bene cosa significasse portare quel marchio: Voldemort aveva molti seguaci, molti erano amici di suo padre, quindi li conosceva bene.
Aveva visto alcuni diventare spietati assassini, altri invece non avevano resistito, dopo aver visto i loro ideali naufragare nel sangue, avevano voltato le spalle al Signore Oscuro pagando con la vita il loro tradimento.
Abbassò lo sguardo, preferì fare come lui le aveva chiesto, si avviò verso la porta in silenzio e uscì.
* * *
Severus era rimasto sulla sua poltrona per tutta la mattina, cominciava ad avere fame.
Si alzò di malavoglia avviandosi verso la cucina, quando qualcuno bussò alla sua porta.
Non era uno qualunque, quei colpi erano provocati da un oggetto di metallo, il giovane riconobbe immediatamente il manico in argento del bastone di Lucius Malfoy.
Questo gli strappò una smorfia: Lucius aveva cominciato a portare il bastone da passeggio, appena lasciata la scuola. Aveva sempre cercato di distinguersi in qualche modo, e quel piccolo oggetto alla moda serviva a ricordare a tutti, compreso Severus, la superiorità della sua casata.
Il mago non si avvicinò alla porta, ma la aprì con un gesto della mano.
Non si era sbagliato, Lucius era là fuori.
Il suo aspetto era impeccabile come sempre: i capelli erano raccolti in un codino e indossava un elegante mantello nero chiuso da preziosi alamari, dal quale spuntavano i polsini e il colletto di pizzo di una candida camicia.
Prima di varcare la soglia, esaminò la stanza con malcelata repulsione, ma il suo, ormai, era divenuto un gesto quasi inconsapevole, lo faceva tutte le volte che lo andava a trovare.
Severus osservò le sue labbra assumere una piega disgustata, mentre gli occhi scrutavano pigramente ogni singola suppellettile.
Infine, Malfoy entrò, avvicinandosi all’altro che lo fissava con un’espressione interrogativa. Senza distogliere lo sguardo dal padrone di casa, infilò la mano nella tasca interna del mantello, tirò fuori un giornale arrotolato e lo gettò sul tavolo.
Gli occhi del mago bruno indugiarono su un titolo della prima pagina di quello che doveva essere un giornale Babbano. Una scritta molto grande recitava: Intera famiglia trucidata, forse per rapina.
Poi, un po’ più in basso: Iniziata la caccia agli ignoti ladri”.
“Tre persone, Severus,” la voce di Malfoy era calma, quasi musicale. “Quel giornale parla di tre persone, ma noi sappiamo che ce n’erano quattro in quella casa: tre Babbani e una strega.”
Severus osservò gli occhi incredibilmente azzurri del suo amico: non tradivano nessuna emozione, come del resto la sua voce. Non era un rimprovero il suo, questo lo sapeva, eppure in quelle parole c’era qualcosa di più e di peggio di una semplice osservazione, qualcosa che gli gelò il sangue.
Era come un animale che, scoperto il punto debole della sua preda, si prepara a farla cadere in trappola.
“Cosa stai cercando di dirmi, Lucius?” domandò brusco.
“Mi chiedevo solo se… ”
Il mago bruno si avvicinò fissando lo sguardo nel ghiaccio dei suoi occhi.
“Ho già riferito tutto quello che è successo stanotte al Signore Oscuro, ora non vedo la necessità di dover riprendere il discorso con te.”
Dopo lo scatto iniziale, anche la voce di Severus era tornata calma e controllata.
“La mia non era un’accusa, Severus, era solo un’avvertimento, come tuo amico. Come ho saputo io, anche lui sarà venuto a conoscenza della notizia. Il Signore oscuro non è certo della tua fedeltà e, il fatto che tu sia fuggito, non depone a tuo favore”.
Severus continuava a fissarlo, irritato.
“I vigliacchi hanno la spiacevole abitudine di tradire,” continuò “Questa era la tua prima missione e, guarda caso, fallisce in circostanze misteriose. Non vorrei proprio essere nei tuoi panni”.
“Lucius, te lo dirò una volta sola e non lo ripeterò più: quando siamo arrivati, in quella casa c’erano solo tre persone, io non ho visto Streghe, Elfi o creature magiche di nessun genere, solo Babbani. Abbiamo fatto quello che lui ha ordinato. Non avevo nessuna ragione di rimanere a farmi ammazzare dagli Auror, non sarebbe stato affatto coraggio, Lucius, ma stupidità.”
“Forse!” mormorò distrattamente l’altro, poi il suo sguardo prese a vagare qua e là per la stanza, mostrando un eccessivo interesse per i banali soprammobili. Si avvicinò alla libreria e afferrò un piccolo libricino con la punta delle dita, quasi a non volersi sporcare con quell’oggetto di chiara origine Babbana.
“Tuttavia…” si fermò di nuovo e prese a sfogliare il piccolo volumetto, come se cercasse in quelle pagine le parole per proseguire.
“Tuttavia?” gli fece eco l’altro, con impazienza.
“Beh, come dire? Il Signore Oscuro cercherà ugualmente di metterti alla prova.” si voltò improvvisamente verso il suo interlocutore.
“Non ti piacerà, Severus.”
Il cuore del mago bruno sussultò, cosa mai voleva dire metterlo alla prova? Non gli era bastato penetrare nella sua mente come un fiume in piena, calpestando la sua dignità. Cos’altro avrebbe preteso? E, soprattutto, cosa mai avrebbe potuto convincerlo definitivamente della sua fedeltà?
Cercò di mantenere ferma la sua voce, anche se il suo cuore sembrava impazzito.
“Il Signore Oscuro, non ha motivo di dubitare di me, io non sono un vigliacco e glielo proverò.”
Malfoy lo fissò per un po’ senza parlare, poi, con indifferenza, come se il mago bruno gli avesse appena dato un informazione sul clima, gli voltò le spalle
“Bene! Arrivederci, Severus.”
Piton lo seguì con lo sguardo, mentre si avviava lentamente ed elegantemente verso l’uscita, per poi Smaterializzarsi appena fuori dalla porta, senza minimamente preoccuparsi di essere visto da eventuali Babbani nelle vicinanze.
* * *
Severus rimase per un po’ a fissare il punto nel quale era sparito, poi abbassò lo sguardo sul giornale che Malfoy aveva lasciato sul tavolo. In prima pagina spiccava la foto dell’uomo che aveva ucciso quella notte.
La foto era fissa, non era una foto magica, tuttavia quella piccola immagine in bianco e nero mostrava chiaramente un uomo felice: sorrideva.
Il giovane strinse i pugni, era furioso e disgustato, come aveva potuto ucciderlo?
Quel vecchio Babbano non chiedeva altro che poter vivere sereno con la sua famiglia, non aveva alcuna colpa. Come aveva potuto assassinare un uomo indifeso? Con che diritto era piombato nella sua casa, nella sua vita, distruggendola?
Gli ordini, certo, quei maledetti ordini. Quella parola era risuonata nella sua testa come un tuono fino a fargli perdere la ragione, alimentando la sua paura e la sua rabbia finché questa non era schizzata fuori dalle sue labbra come veleno, uccidendo quel poveretto.
Aveva solo obbedito, ma per lui quegli ordini non avevano alcun significato.
Cosa era diventato? Si era comportato come un fantoccio, una marionetta nelle mani di un altro uomo, un mago potente sì, ma sempre un uomo.
La sua sete di sapere valeva davvero questo prezzo?
Si sentì uno stupido: aveva acquistato conoscenza, ma aveva perso se stesso.
Per un anno era restato chiuso in quella cantina a Notturn Alley a distillare veleni. Era stato facile far finta di non vedere, di non sapere, ma a cosa serve un veleno se non ad uccidere?
Era stato così cieco, volutamente cieco, era così affascinante ammirare gli ingredienti mentre si trasformavano, per effetto del calore, in ciò che lui desiderava.
Era più di una magia, era una nuova sfida con se stesso. Trovare nuove soluzioni, nuove combinazioni, era scienza ed era arte insieme.
Era sempre stato bravo in Pozioni: voleva essere il migliore.
Da quando era ancora studente, non si era mai limitato al sapere scolastico, conosceva così bene la materia, che erbe e radici non avevano segreti per lui. Le sue mani si muovevano con una tale disinvoltura, mentre sminuzzava e mescolava gli ingredienti, che sembravano seguire il ritmo di una musica. Avrebbe saputo riconoscere la qualità di una Pozione solo saggiandone la consistenza con il mestolo.
L’unica cosa che desiderava era essere apprezzato come mago e come Pozionista e, lavorando per Voldemort, finalmente aveva realizzato il suo sogno: un altro uomo aveva riconosciuto le sue capacità, quell’uomo era il più grande mago vivente.
Un mago eccezionale, temuto e rispettato, condivideva la sua passione per i libri e la sua sete di sapere. Anche il sapere oscuro, quello che tanti temevano, per lui era solo sapere, nulla di più che semplice conoscenza della quale non era mai sazio.
Quello era ciò che voleva, lo aveva desiderato così tanto che non aveva pensato alle conseguenze; ora quelle conseguenze lo fissavano dalla pagina di un giornale Babbano.
Quegli occhi lo accusavano, e non erano i soli.
Quella notte aveva usato per la prima volta la Maledizione Senza Perdono, aveva ucciso, ma quella non era la sua prima vittima, no, non lo era.
Strinse i pugni: ogni suo preparato era costato delle vite, era inutile, ormai, far finta di non sapere.
Quanti ne aveva uccisi prima di quel vecchio Babbano? Quanti morti aveva sulla coscienza?
Il mago afferrò con rabbia il giornale e fissò ancora quegli occhi.
Dietro quello sguardo si nascondevano decine di altri sguardi: occhi che non avevano potuto vedere il volto dell’uomo che li aveva strappati alla luce.
Non avevano visto il loro assassino, mentre gridava una maledizione mortale, ma ugualmente lo accusavano e chiedevano giustizia, fissandolo da quella pagina di giornale.
Il mago si portò una mano sui capelli e si lasciò cadere in ginocchio.
“Quanti?” gridò. “Quanti sono?”
* * *
Severus era rimasto immobile, con quei fogli arrotolati in mano, così a lungo che le ginocchia avevano cominciato a fargli male, si spostò di lato, mettendosi seduto sul pavimento e distendendo le gambe intorpidite. Stava tremando.
Continuò a fissare quel volto sul giornale, mentre lacrime silenziose presero a scivolare sulle guance pallide, non aveva voglia di alzarsi, non aveva voglia di fare assolutamente nulla.
Anche respirare gli sembrava inutile; se la respirazione fosse stato un atto volontario, probabilmente, avrebbe comandato al suo petto di cessare quel ritmico e fastidioso movimento.
Il suo corpo, tuttavia, continuava a svolgere le sue funzioni, continuava ostinatamente a vivere, e presto anche quella nuova posizione divenne insopportabilmente scomoda, il giovane dovette cedere al dolore, e, faticosamente, si rimise in piedi, le dita sempre strette intorno a quelle pagine giallastre e gli occhi persi a contemplare quella testimonianza della sua follia.
Sotto la foto del Babbano, un lungo articolo, riempiva almeno tre colonne.
Il mago s’impose di distogliere lo sguardo dall’immagine del vecchio, ne era, infatti, come ipnotizzato, e prese a leggere quello che era scritto in caratteri minuscoli più in basso.
Improvvisamente, le sue labbra si spalancarono: il nome di Iris appariva nell’articolo.
I Babbani erano a conoscenza della sua esistenza, questo complicava ancora di più le cose.
Il volto del mago divenne improvvisamente cupo e concentrato: i Babbani la stavano cercando, doveva avvertirla, immediatamente. Non poteva permettersi di piangere e macerarsi nel rimorso, ora doveva pensare a lei.
Richiuse il giornale e si Smaterializzò.
Riapparve poco lontano, in un salottino arredato in modo piuttosto eccentrico: una vecchia credenza azzurra con la vernice scrostata faceva bella mostra di sé al centro della parete, con tutto il suo contenuto di tazzine multicolori e oggettini vari, per lo più inutili soprammobili pieni di polvere.
Tutto era avvolto nella penombra, infatti l’unica fonte di luce, una piccola finestra, era completamente oscurata da un’orrenda tenda rossa con fiori gialli.
Il rumore della materializzazione attirò l’attenzione della maga che si trovava nella stanza accanto. Dalla porta socchiusa, fece capolino una testa avvolta in un asciugamano di spugna.
Iris guardò il mago bruno con un’espressione di curiosità mista a timore. Sentiva di potersi fidare di quel giovane, ma la sua intrusione improvvisa nel suo rifugio non prometteva nulla di buono.
“Severus, cosa… ”
Il giovane porse alla maga il giornale Babbano, accennando con lo sguardo all’articolo in prima pagina.
“Ti cercano,” disse. “I Babbani ti credono complice degli assassini”.
Iris scorse velocemente l’articolo: il ragazzo aveva ragione, i Babbani erano convinti che la strage di quella notte, fosse il risultato di un tentativo di rapina.
Il fatto che il suo corpo non fosse stato trovato in quel giardino con gli altri, faceva di lei la prima sospettata o per lo meno una probabile complice: la misteriosa ospite che, approfittando della buona fede di quella gente, aveva aiutato i ladri ad introdursi in quella casa, per poi fuggire con loro.
“Ma certo,” sospirò la giovane. “Avrei dovuto immaginarlo”.
“Questo è un quartiere Babbano, qui sei abbastanza al sicuro dagli uomini del Signore Oscuro, loro non ti cercheranno a due passi da casa mia, ma io non posso fare niente contro la polizia Babbana, faresti meglio a non uscire di casa per un po’.”
“Non posso restarmene rinchiusa,” scattò. “Qui dice che domani ci saranno i funerali, ed io voglio esserci.”
“Sarebbe una sciocchezza, cosa racconterai a quella gente, che sei un strega? Che tuo padre ha ucciso un’intera famiglia, perché un mago oscuro glielo aveva ordinato?”
Le labbra del mago si curvarono in una smorfia
“Oh sì, probabilmente ti risparmieranno la prigione, solo per chiuderti in un manicomio,” disse sarcastico gettando sull’altra un occhiata provocatoria.
Le dita di Iris strinsero con forza il giornale, la schiettezza del giovane la irritava, soprattutto perché sapeva che aveva ragione, ma non si sarebbe arresa.
“Troverò un modo, quei Babbani erano la cosa che più si avvicinava ad una famiglia per me, io sarò là domani.”
Era pazza, non c’era altra spiegazione, Severus la fissò stupito, non poteva credere che la ragazzina tremante che aveva visto quella notte potesse nascondere tanta determinazione.
“D’accordo,” sospirò. “Ci andrai, ma nessuno dovrà vederti. Ti ho portato qui per nasconderti, non lascerò che tu vada in giro a svelare a tutti che sei ancora viva, non ho nessuna intenzione di farmi ammazzare per colpa tua. Posso aiutarti: ti preparerò una pozione che ti renderà invisibile per ventiquattro ore. Sarà meglio per te se non farai stupidaggini domani”.
Iris sorrise: quell’atteggiamento da duro proprio non si addiceva al ragazzo.
Anche se lo aveva visto con indosso quella maledetta maschera d’argento, sapeva che non c’era un briciolo di malvagità in lui, lo sentiva.
Gli voltò le spalle togliendosi l’asciugamano dai capelli; ma come era finito fra i Mangiamorte? Come può un ragazzo apparentemente tranquillo, persino timido, decidere di diventare uno spietato assassino?
“Prenderò la tua pozione, saresti capace di legarmi alla sedia per non farmi uscire,” disse sottilmente divertita.
Severus non rispose, anche se era evidente che la maga si stava prendendo gioco di lui, non si sentì offeso. Forse era meglio così, il loro incontro non era avvenuto nelle migliori circostanze e, il fatto che Iris cercasse di sdrammatizzare, lo faceva sentire meglio. Sorrise a sua volta.
“Tornerò fra qualche ora con la pozione.” si Smaterializzò.
Iris si voltò nuovamente fissando il luogo in cui era sparito. Quel ragazzo era davvero un mistero per lei. Cosa aveva detto? Stava andando a preparare una pozione dell’invisibilità?
La maga strinse nervosamente l’asciugamano che teneva in mano, appallottolandolo, cominciò a passeggiare avanti e indietro misurando a grandi passi quella piccola stanza.
Una pozione dell’invisibilità non era una cosa semplice da preparare, ricordava di averne sentito parlare da sua madre. Certo quel ragazzo doveva aver frequentato Hogwarts, una delle migliori scuole di stregoneria, ma, nonostante tutto, quello che si era proposto di fare aveva dell’incredibile e lui ne parlava come se si fosse trattato di preparare un the.
Forse in quel mago c’era molto di più di quello che appariva, e se si fosse sbagliata su di lui? Se fosse stato veramente pericoloso? Scosse il capo, no, un bravo mago non è necessariamente malvagio. Probabilmente erano state proprio le sue capacità ad attirare l’attenzione di Voldemort su di lui. Certo, doveva essere andata proprio così. Gettò l’asciugamano sul divano e si infilò in bagno.
Severus tornò esattamente due ore dopo, con una boccetta di vetro in mano, non attese di darle la pozione personalmente, ma la posò sul tavolino del salotto, facendo abbastanza rumore perché Iris notasse la sua presenza e si Smaterializzò immediatamente.
Iris si avvicinò lentamente alla piccola ampolla. Il liquido all’interno aveva un colore rosso acceso, sembrava quasi brillare di luce propria, non aveva mai visto una pozione come quella, rimase a fissarla incantata, rapita da quel colore incredibile, poi allungò una mano e l’afferrò con delicatezza.
“Grazie!” mormorò.
Continua…