Severus Piton & Alan Rickman Fan Forum

Amando il vento, Severus/nuovo personaggio

« Older   Newer »
  Share  
Astry
icon12  view post Posted on 14/2/2011, 13:37




Oggi è San Valentino, credo proprio che sia la giornata giusta per iniziare a postare questa storia, l'unica ff d'amore che ho scritto.
Naturalmente, chi mi conosce potrà immaginare che non sarà una storia pucciosa, tutta rose e fiori. Se Piton non soffre un po' che gusto c'è? :unsure:

AMANDO IL VENTO



Autore: Astry
Beta - reader: Niky (alias Nykyo) e Ida.
Genere: Drammatico, romantico.
Personaggi: Seveus Piton, Lucius Malfoy, Voldemort, Silente, personaggio originale (Iris).
Pairing: Severus/Iris.
Avvertimenti: Questa storia è stata scritta prima dell'uscita dei Doni della Morte, quindi non tiene conto degli avvenimenti narrati in quel libro.
Riassunto: “Solo in quel momento Severus, si rese conto che il responsabile di quell’orrore era ancora in quella stanza. Sollevò lo sguardo e la vide: una giovane donna era rannicchiata in un angolo e fissava il Mangiamorte tremando e mugolando qualcosa di incomprensibile.”
I fatti si svolgono durante gli anni che precedono la morte dei Potter e la caduta di Voldemort.
Severus Piton è un giovane Mangiamorte alle prese con i suoi rimorsi e un amore impossibile. Sarà un Piton insolito, un Piton ragazzo, che commette errori, che ha paura e che farà quelle scelte sbagliate che lo renderanno, in futuro, l'uomo tormentato e solo che tutti conosciamo.


CAP. 1: La prima missione



“AVADA KEDAVRA!”
Quella formula era sgorgata dalle sue labbra con una tale energia che il giovane Mangiamorte rimase pietrificato a fissare il risultato della sua magia con la bacchetta ancora puntata, le dita strette intorno a quel sottile bastoncino di legno.
Il Babbano era a terra, era morto, lui sapeva che era morto, non aveva bisogno di chinarsi per accertarsene.
Sentì la sensibilità abbandonare le sue dita, mentre la bacchetta stava per scivolargli dalle mani, non riusciva a muoversi. Intorno a lui ora c’era solo il silenzio, ma nella sua testa rintronavano ancora le grida disperate di quelle persone che tentavano inutilmente di fuggire verso gli alberi di fronte alla casa, gente che non aveva mai saputo dell’esistenza di un mondo magico.
Aveva riconosciuto il terrore nei loro occhi, il terrore di chi è consapevole della propria fine.
Poi l’esortazione del suo compagno, mentre correva su per le scale di quella casa Babbana.
“Severus, uccidilo, che aspetti?” aveva gridato voltandosi di scatto verso di lui.
Avevano attaccato quella famiglia, di notte; era successo tutto in pochi minuti.
Il suo compagno aveva ucciso le due donne, forse madre e figlia, mentre lui era rimasto a guardare.
Pur nella disperazione all’anziano Babbano non era certo sfuggita questa sua debolezza, si era lanciato verso il mago, cercando un inutile via di scampo, cercando quella pietà che lui non poteva dargli.
Severus aveva fissato quell’uomo provando un senso di orrore e di repulsione: Gregorius si era divertito parecchio con lui.
Il ragazzo guardava quella sgraziata figura barcollante e coperta di sangue, mentre, con gli occhi sgranati e la bocca spalancata in un grido muto, si gettava su di lui aggrappandosi alla sua tunica come all’ultima speranza.
Il mago non capiva cosa stesse provando in quel momento, sentiva la nausea togliergli il respiro, avrebbe solo voluto fuggire lontano da quell’orrore, eppure era pietrificato come se il corpo non fosse il suo.
No, lui non era lì, non poteva essere vero: quello era solo un incubo.
“Vattene, va via, non mi toccare,” disse, la voce strozzata e tremante.
Singhiozzava come un bambino terrorizzato cercando di divincolarsi dall’abbraccio disperato dell’uomo.
“Lasciami, lasciami!” aveva cominciato ad urlare, mentre cercava di spingerlo lontano imbrattandosi sempre di più col suo sangue.
Voleva solo farlo smettere, non sopportava più quella vista, invece l’uomo sembrava impazzito, continuava ad annaspare afferrandosi con le unghie al suo petto, Severus si sentiva soffocare da tutto quel sangue, poteva sentirne l’odore misto a quello del sudore e della paura.
“Basta, ti prego lasciami, non voglio, no!” Il ragazzo aveva chiuso gli occhi, puntando la sua bacchetta, sentiva rimbombare nella sua testa la voce di Voldemort, l’esortazione del suo compagno e le grida assordanti di quell’uomo, doveva fermarlo, voleva che smettesse di gridare, avrebbe fatto qualsiasi cosa perché tacesse, gli sembrava di impazzire.
Improvvisamente un pensiero aveva spazzato via ogni altra emozione: “Gli ordini”.
Sì, doveva eseguire quei maledetti ordini, doveva solo obbedire e tutto sarebbe finito, si sarebbe svegliato da quel brutto sogno.
Quel pensiero, il desiderio che tutto finisse lo aveva reso folle, in quel momento Severus Piton aveva cessato di esistere, cancellato dal terrore, era diventato quello che Voldemort voleva: solo un mezzo, un’arma nelle sue mani.
Il Signore Oscuro aveva dato i suoi ordini. Sapeva quello che faceva, quando gli aveva chiesto di partecipare a quella missione, sapeva che spingendolo ad agire lo avrebbe incatenato ancora di più a sé.
Severus aveva giurato di servire la sua causa, si era guadagnato l’onore del marchio, ora non poteva più tirarsi indietro.
“Devo farlo, è la volontà del mio Signore,” aveva mormorato, stringendo con sempre più forza la piccola asticella di legno, fino quasi a spezzarla fra le dita.
L’uomo era ancora aggrappato alla sua tunica quando la maledizione, pronunciata a distanza così ravvicinata, gli aveva stappato l’ultimo alito di vita, rischiando di uccidere anche chi l’aveva scagliata, ma il mago non se n’era preoccupato: aveva agito come un automa senza pensare alle conseguenze.
Aveva urlato quell’Avada Kedavra con la forza della disperazione. Aveva gridato quelle parole con quanto fiato aveva in corpo, temendo che, altrimenti, non sarebbero uscite dalla sua bocca.
Aveva ucciso il vecchio Babbano cancellando insieme a quella vita anche il proprio futuro.
Nell’istante in cui quelle parole maledette erano sgorgate come fuoco dalla sua gola aveva compreso di aver varcato quel confine dal quale non sarebbe più potuto tornare indietro, aveva immolato la sua giovinezza alla causa di un mostro.
Quel corpo scomposto ai suoi piedi ora era tutto ciò che restava dei suoi sogni di ragazzo, della sua innocenza, della speranza di diventare un grande mago.
Severus lo fissò come chi guarda in uno specchio la propria immagine deformata, quello era lui, quelli erano i suoi sogni, solo un corpo senza vita, orribilmente sfigurato, come la sua anima.




* * *




Improvvisamente un grido terribile, inumano, spezzò quel silenzio di morte.
Il mago bruno sollevò la testa di scatto: c’era ancora qualcuno in casa.
Severus si avvicinò all’ingresso, si sentiva morire ad ogni passo, cos’altro aveva fatto quell’animale del suo compagno? Non era ancora finita?
“No ti prego, non un'altra volta” Severus si portò una mano al petto; il cuore batteva così forte da fargli male.
Le grida non sembravano arrestarsi, ma tra quei versi inarticolati gli sembrò di sentire il suo nome, un uomo lo stava chiamando, quell’uomo era Gregorius
Il mago accelerò maggiormente il passò finché non prese a correre su per le scale, ansimava, non sapeva se gioire o temere, qualcuno era riuscito a fermare il suo assassino e ora era quest’ultimo a gridare e chiedere aiuto.
Continuò a correre verso quelle grida, finché non si trovò di fronte ad una porta, la spinse con tale forza da farla sbattere contro la parete.
Rimase senza fiato, gli occhi spalancati, un misto di terrore, disgusto e insana gioia lo assalirono: il Mangiamorte giaceva a terra, il suo viso era deformato da una smorfia di dolore, gli occhi spalancati e vitrei.
Dalla sua bocca, innaturalmente aperta, vomitò il suo ultimo respiro insieme ad un rauco “che tu sia maledetta”.
Solo in quel momento Severus, si rese conto che il responsabile di quell’orrore era ancora in quella stanza. Sollevò lo sguardo e la vide: una giovane donna era rannicchiata in un angolo della stanza e fissava il Mangiamorte tremando e mugolando qualcosa di incomprensibile.
I suoi lunghi capelli neri ricadevano scompigliati davanti al viso e in parte si attaccavano alle guance bagnate dalle lacrime. Indossava solo una leggera camicia da notte bianca che rendeva ancora più irreale l’intera figura, era come vedere un fantasma.
Severus fece qualche passo verso di lei, ma si bloccò immediatamente, quando la ragazza si tirò ancora più indietro appoggiandosi alla parete; il suo volto era di un pallore spaventoso, fissò il mago con gli occhi terrorizzati e arrossati dal pianto
Severus cercò di rassicurarla:
“Non ti succederà niente,” disse, provando di nuovo ad avvicinarsi, ma lei come un animale in trappola si allontanò carponi rifugiandosi nell’angolo della stanza più lontano. Ogni volta che provava a fare un passo verso di lei, la ragazza sgusciava via.
Improvvisamente si rese conto di indossare ancora la terribile maschera dei Mangiamorte, se la strappò dal viso dandosi dello stupido: quella ragazza era spaventata a morte ed era lui la causa del suo terrore.
Lui era un Mangiamorte come l’uomo che ora era riverso sul pavimento con gli occhi spalancati, era stato mandato lì per ucciderla.
“Sta calma, non ti farò alcun male” proseguì tentando di dare alla sua voce un tono rassicurante. No, non le avrebbe fatto del male, ora che il suo compagno era morto, non aveva nessuna intenzione di eseguire quell’ordine.
Avrebbe trovato un modo per nasconderla; nessuno l’avrebbe saputo. Poteva farlo, ci sarebbe riuscito.
“Sta’ tranquilla, io non sono…” Stava per dire: non sono uno di loro. In effetti non riusciva a concepire di aver potuto prendere parte ad un simile massacro, ma lui era un Mangiamorte, esattamente come il suo compagno morto.
Si morse il labbro: aveva appena ucciso un uomo, come aveva potuto arrivare a tanto? Che razza di mostro era diventato?
“Non devi avere paura di me, voglio aiutarti,” disse, poi, abbassando gli occhi.
“L’uomo là fuori era tuo padre?”
La ragazza continuava a tacere e tremare fissando il mago con gli occhi pieni di lacrime.
“Perdonami!” seguitò con un filo di voce, parlando più a se stesso che alla ragazza, come se avesse bisogno di pronunciare quelle parole, ma non fosse pronto a farlo davanti a qualcuno.
Era convinto che la causa di Voldemort fosse giusta, si era unito all’uomo che ammirava, a quello che considerava un maestro, ma ora non era più sicuro di aver fatto la scelta giusta, non poteva essere quella la via.
Non aveva mai ucciso nessuno prima di quella sera. Era stato facile in fondo: solo due parole. Allora perché si sentiva morire dentro? Si sentiva come se avesse ucciso una parte di se stesso insieme a quel Babbano?
Guardò la ragazza, non c’era tempo, doveva convincerla a muoversi e nasconderla in un posto sicuro: gli altri Mangiamorte non erano lontani, avrebbero scoperto molto presto ciò che era successo in quella casa.
“Per favore, permettimi di aiutarti,” disse provando di nuovo a porgerle la mano, ma lei sembrava proprio non volerne sapere.
Si avvicinò ulteriormente e questa volta con fare più deciso allungò la mano verso di lei, ma ciò che ottenne fu un solo urlo assordante, si sforzò di ignorarla tentando di afferrare il suo braccio, quando lei prese a tirargli addosso tutto quello che aveva a portata di mano.
“NO!” gridò con quanta voce aveva “non toccarmi, sta’ lontano ti prego, no, no, non voglio, morirai anche tu, non volevo, è orribile”
Il mago si fermò immediatamente, la fissò sbigottito, mentre cercava di dare un senso a quelle parole: lei si stava preoccupando di non ucciderlo, non aveva paura per sé, ma per lui.
“Che significa?” si lasciò sfuggire dalle labbra, forse con troppa impazienza, si pentì di aver usato quel tono e tornò a ripetere con tutta la dolcezza che riuscì a trovare
“E’ di me che ti preoccupi? E’ questo che vuoi dire? Non ti toccherò se non vuoi, ma dobbiamo allontanarci da qui, per ora puoi solo nasconderti, penserò io ai tuoi genitori, non lì lascerò là fuori” disse indicando, con un cenno del capo, i corpi nel giardino.
Quelle parole sembrarono scuoterla: la giovane si alzò avvicinandosi al cadavere del Mangiamorte, lo guardò con un’espressione che il mago non seppe decifrare, non era odio e non era paura, poi sollevò gli occhi fissando le iridi nere del mago.
“Lui era mio padre,” mormorò.
Un lampo di terrore attraversò gli occhi del giovane Mangiamorte. Quella ragazza non doveva avere più di vent’anni, forse meno, probabilmente erano coetanei, aveva appena ucciso un Mangiamorte, uno dei più abili servitori di Voldemort, l’aveva ucciso in un modo del tutto inspiegabile e ora gli stava dicendo che quel Mangiamorte era suo padre.
Il mago non riusciva a capacitarsene, rimase immobile a fissare i suoi occhi, ma vi lesse solo un grande dolore, come era possibile?
Infine decise che era ora di agire, cercò di assumere un’aria risoluta.
“Mettiti addosso qualcosa e poi raggiungimi in giardino, gli altri Mangiamorte arriveranno presto, se vuoi salvarti dovrai fidarti di me,” disse deciso.
Lei non rispose, ma si avviò verso l’armadio e afferrò in fretta una semplice tunica nera. Si voltò verso il mago cercando la sua approvazione; per fuggire di notte i colori scuri erano certamente i più indicati, Severus fu d'accordo, si voltò e scese in fretta le scale.
Quando fu di nuovo nel giardino si guardò attorno, i tre corpi giacevano lì in terra, le due donne erano vicine l’una abbracciata all’altra in un estremo tentativo di proteggersi. Più vicino a lui c’era il vecchio Babbano, lo guardò per un attimo, come a voler fissare quell’immagine nella sua memoria; non conosceva quell’uomo, ma il suo viso sarebbe rimasto impresso nella sua mente per il resto della sua vita. Sentiva di dovergli restituire almeno in parte quello che gli aveva tolto, non poteva restituirgli la vita, ma poteva preservarne la memoria: non l’avrebbe dimenticato.
Il mago agitò la bacchetta e i tre corpi sparirono nel nulla, non rimase neppure il loro sangue sull’erba: non voleva che i seguaci di Voldemort potessero fare scempio dei loro corpi per puro divertimenti, voleva lasciargli almeno la loro dignità.
“Dove sono? Dove li hai portati?” Severus trasalì, la giovane era apparsa improvvisamente alle sue spalle ed ora lo fissava con rabbia.
“Ho, solo reso invisibili i loro corpi per ventiquattro ore, perché non li trovino, ma sono ancora qui, domani i loro vicini Babbani li rinverranno e daranno loro una sepoltura. Non possiamo fare altro per loro, mi dispiace!”
L’espressione della ragazza cambiò improvvisamente e la rabbia lasciò il posto allo stupore prima, poi alla preoccupazione
“Come spiegherai tutto questo al tuo padrone,” pronunciò la parola “padrone” con profondo disprezzo.
Un brivido percorse il mago bruno, non aveva idea di come sarebbe uscito da quella situazione: un Mangiamorte morto e la famiglia che dovevano sterminare sparita nel nulla.
Sapeva che Voldemort non si sarebbe accontentato di una banale scusa, avrebbe fatto di tutto per scoprire la verità, con i suoi mezzi, ma ormai doveva andare fino in fondo, a qualunque costo.
Sollevò lo sguardo lentamente, abbozzando qualcosa che doveva assomigliare ad un sorriso
“Non preoccuparti, so quello che faccio,” poi, porgendole la mano. “Ora fa’ presto, dammi la mano, ci smaterializzerò in un posto sicuro.”
Lei scosse il capo facendo un passo indietro.
“Tu non capisci, non hai capito quello che è successo a mio padre? Tu non puoi toccarmi, nessun Mangiamorte può farlo,” accennò col capo ad una piccola porta che doveva essere l’ingresso di un ripostiglio. “Dovremo usare le scope.”
Severus annuì rimandando eventuali chiarimenti ad un altro momento.
La giovane donna corse nello sgabuzzino e ne uscì dopo pochi secondi portando con sé due vecchie scope. Ne diede una al mago che vi salì immediatamente e restò a guardarla, mentre si chinava a strappare un ciuffo d’erba riponendolo amorevolmente in una tasca.
“Andiamo, guidami,” disse, montando a sua volta sulla scopa.





Continua…



Edited by Astry - 14/2/2011, 20:00
 
Top
» romi;
view post Posted on 14/2/2011, 15:27




Una nuova Fan Fiction, meraviglioso!! *-*
Dunque, questo primo capitolo mi ha incuriosito parecchio, sia per il modo in cui descrivi Severus (sempre ottimo) sia per il nuovo personaggio...soprattutto quest'ultimo, per il fatto che ha detto: “Tu non capisci, non hai capito quello che è successo a mio padre? Tu non puoi toccarmi, nessun Mangiamorte può farlo” sono curiosa di sapere come mai...U_u
Insomma, un buon inizio non c'è che dire, e un Severus così tormentato mi piace...^^
Complimenti per il primo aspetto il seguito! :felix:

Laura.
 
Top
Astry
view post Posted on 16/2/2011, 13:16




CITAZIONE (» romi; @ 14/2/2011, 15:27) 
Una nuova Fan Fiction, meraviglioso!! *-*
Dunque, questo primo capitolo mi ha incuriosito parecchio, sia per il modo in cui descrivi Severus (sempre ottimo) sia per il nuovo personaggio...soprattutto quest'ultimo, per il fatto che ha detto: “Tu non capisci, non hai capito quello che è successo a mio padre? Tu non puoi toccarmi, nessun Mangiamorte può farlo” sono curiosa di sapere come mai...U_u
Insomma, un buon inizio non c'è che dire, e un Severus così tormentato mi piace...^^
Complimenti per il primo aspetto il seguito! :felix:

Laura.

Ecco, gia in questo capitolo avrai le prime risposte alla tua curiosità. Per Severus i guai sono appena cominciati. Intanto sarei curiosa di conoscere il tuo parere sulla sciottina che ho postato qualche giorno fa, quella che ti dicevo con Lucius e Severus, si intitola "non voglio il tuo aiuto" (stacchetto pubblicitario :rolleyes: ). Presto Lucius farà la sua comparsa anche in Amando il Vento, che gusto ci sarebbe altrimenti senza Malfoy tra i piedi? :lol:


CAP. 2: Ospite involontaria



Atterrarono in un vicolo buio. Severus si avviò velocemente verso un portone facendo cenno a lei di seguirlo. Appena entrambi ebbero varcato la soglia, il mago si assicurò di non essere stato seguito e chiuse la porta bloccandola con la magia.
I due giovani si guardarono in silenzio, cosa avrebbero fatto ora?
Severus scrollò il capo e, senza dire una parola, si voltò cominciando ad accendere una ad una le candele sparse un po’ per tutta la stanza; avrebbe potuto illuminare completamente quel luogo con un solo colpo di bacchetta, ma aveva bisogno di tempo per pensare e accendere candele era meglio che continuare a guardare negli occhi la sua involontaria ospite.
In che razza di guaio si era cacciato? Lui era un Mangiamorte, un servo fedele del Signore Oscuro. Il più grande mago di tutti i tempi gli aveva affidato un compito e lui non solo non aveva eseguito gli ordini, ma si era portato a casa la persona che avrebbe dovuto uccidere: doveva essere impazzito.
Si voltò di nuovo verso la ragazza che continuava a fissarlo immobile
“Come ti chiami?” disse, per rompere il silenzio e perché essere fissato in quel modo da una sconosciuta lo metteva a disagio.
“Iris, mi chiamo Iris Windblow”.
“Iris!” ripetè meccanicamente, continuando a fissare i suoi occhi spaventati.
In realtà era stupito che la ragazza lo avesse seguito volontariamente; era incoscienza la sua?
Sapeva che non le avrebbe fatto del male, lui lo sapeva, ma per quella ragazza lui era solo un Mangiamorte, come era possibile che si fidasse così ciecamente da averlo seguito fino a casa sua?
Improvvisamente desiderò sapere: voleva capire quello che era successo quella notte.
Sentì la rabbia crescere in lui, una rabbia insensata dettata unicamente dalla paura.
Era arrabbiato con lei? Ma di cosa la incolpava? Di essere sopravvissuta? No, non poteva prendersela con lei, in realtà ce l’aveva con se stesso, con la sua incapacità: non sapeva cosa fare e questo lo faceva star male.
“Perché tuo padre ti voleva morta?” disse brusco.
La giovane si morse il labbro e chiuse gli occhi, restò così, immobile, per un tempo che al giovane sembrò infinito. Tuttavia, Severus preferì non aggiungere altro e attese che la giovane maga decidesse spontaneamente di rispondere: aveva l’impressione che sarebbe scoppiata in lacrime da un momento all’altro e l’ultima cosa che voleva era vederla piangere.
Dopo quello che era successo, infatti, fu grato per l’atteggiamento freddo e controllato che la ragazza aveva tenuto dal momento che avevano lasciato la sua casa, ma quanto sarebbe durato?
Improvvisamente Iris aprì gli occhi e si avvicinò alla finestra e, voltando le spalle al mago, prese a fissare il vicolo deserto.
“Non credo che volesse uccidermi,” disse con un filo di voce. “Questa, forse, era la volontà del suo padrone, ma non sua. Lui aveva i suoi piani. E’ per questo che è salito da solo in camera mia, voleva rapirmi, non uccidermi. Mi voleva con sé”.
Si voltò di nuovo verso il suo interlocutore come se aspettasse la sua prossima domanda e, infatti, questa non tardò ad arrivare:
“Lui…lui ti amava?” lo stupore rese il tono della sua voce quasi infantile.
Lei sorrise, osservando il Mangiamorte che aveva di fronte, dopotutto era solo un ragazzo, forse era più spaventato di lei, poi l’odio e la rabbia presero il sopravvento.
“Sì, lui mi amava,” disse. “Come può amare un mostro. Ha distrutto la nostra vita: mia madre si è uccisa per colpa sua. Io lo odiavo per questo, ma non volevo ucciderlo, non volevo.” scoppiò in lacrime.
Severus aveva atteso quelle lacrime, sapeva che sarebbero arrivate. Erano state la tensione e la paura a frenarle, ma ora era giusto così: doveva sfogarsi.
Cosa avrebbe dato per poter fare altrettanto, ma lui ora doveva essere più forte, Materializzò un bicchiere d’acqua su un piccolo tavolino traballante vicino al divano e le fece cenno di servirsi, lasciando che quel pianto liberatorio si calmasse prima di proseguire.
Iris si lasciò cadere sul divano, afferrò il bicchiere con entrambe le mani portandoselo alle labbra, ma non bevve, fissò l’acqua come se vedesse attraverso uno specchio, come se rivedesse la scena terribile di cui era stata testimone tra i riflessi di quel liquido trasparente.
Infine si asciugò le lacrime e sollevò lo sguardo, Severus era immobile, le sue mille domande a torturargli la mente: doveva sapere.
Gli occhi della ragazza lo invitarono a proseguire, anche lei sentiva il bisogno di parlare con qualcuno di ciò che era successo, e il giovane sembrava ansioso di ascoltare.
“E quelle persone? Le due donne e il vecchio Babbano?” domandò il mago, cercando di dare alla sua voce il tono più gentile che riuscisse a trovare.
“Innocenti, che si sono trovati sulla sua strada. Mi hanno accolto in casa dopo la morte di mia madre. Loro non sapevano che era una strega. Non avrei mai dovuto accettare la loro ospitalità. deve essere stato mio padre ad attirare l’attenzione di Voldemort su di loro”.
Nel sentire quel nome il giovane Mangiamorte sussultò, ma non disse nulla.
“Erano una famiglia tranquilla e felice finchè… ” abbassò gli occhi, portandosi una mano in tasca ad afferrare il ciuffo d’erba che vi aveva gelosamente riposto e prese a stringerlo con forza.
“E noi? Perché hai detto che nessun Mangiamorte può toccarti?” i suoi occhi neri scintillarono impazienti.
Iris non rispose subito. Sembrava che non riuscisse a distogliere lo sguardo da ciò che stringeva nel palmo, poi si alzò di scatto e, con un gesto deciso della mano, sollevò la manica sinistra della tunica dell’altro.
Il mago automaticamente afferrò la stoffa tentando di trattenerla, ma fu inutile: quella si arrotolò da sola lasciando scoperto l’avambraccio.
Il Marchio Nero spiccava nitidamente.
Entrambi fissarono quel macabro disegno, sembrava una cicatrice dovuta ad un’ustione. Era molto scuro e pulsava come se fosse vivo.
Iris si avvicinò lentamente e un’espressione di disgusto si dipinse sul suo viso.
“E’ il Marchio,” disse senza distogliere lo sguardo da quel segno. “Chiunque lo porta, se mi tocca muore”.
Strinse gli occhi come a voler scacciare l’immagine di suo padre che si contorceva nel pavimento. “Tu hai visto, in che modo orrendo io uccido,” fece una lunga pausa, poi riprese:
“E’ stata mia madre a fare quest’incantesimo, prima di morire. L’ha fatto per proteggermi da lui, da mio padre.
Il mago contemplò in silenzio il suo braccio, poi, con rabbia, abbassò di nuovo la manica della tunica.
Perché si sentiva a disagio? Perché lo sguardo di quella ragazza che si posava su quel simbolo era quasi doloroso?
Si era sentito onorato quando Voldemort l’aveva impresso sul suo braccio, era il modo di ricompensarlo per il lavoro che aveva svolto per lui come pozionista. Il suo Signore era contento di lui. Severus si era sentito finalmente apprezzato per le sue doti di mago.
Eppure gli occhi della giovane maga bruciavano più della terribile magia che l’aveva inciso profondamente nella sua carne.
Quanto odio doveva aver provato sua madre, quanta rabbia verso suo marito, verso l’uomo che l’aveva lasciata per unirsi alla causa dell’Oscuro? E, nello stesso tempo, quale grande amore poteva aver scatenato una tale vendetta contro tutti quelli che, come lui, avevano scelto di diventare schiavi di quel marchio?
Un sospiro sfuggì dalle sue labbra.
“Puoi restare qui stanotte, domani… ” la voce del mago tremò: sarebbe dovuto andare da Voldemort quella notte. L’idea di trovarsi davanti al suo signore senza una valida spiegazione non lo rendeva molto propenso a fare progetti per il giorno dopo.
Fece una smorfia osservando la ragazza, per quel che importava poteva anche restare lì quanto voleva, certo i suoi vicini di Spinner’s End non avrebbero avuto nulla da obbiettare sulla nuova abitante di quella casa, se lui non fosse tornato. Probabilmente tutto il quartiere ci avrebbe guadagnato nello scambio.
Si diede dello sciocco, ma c’era qualcosa in Iris che lo turbava piacevolmente: non avrebbe permesso a nessuno di girovagare per casa sua in sua assenza, specialmente un’estranea, ma sentiva che lei avrebbe rispettato quelle mura.
“Domani?” intervenne Iris a distoglierlo dai suoi pensieri.
“Domani dovrai trovarti una sistemazione: non puoi certo tornare a casa tua. C’è una casa libera in fondo a questa strada, potrai stare lì quanto vorrai,” poi, indicando una scala di legno:
“Al piano di sopra c’è una camera”.
Senza aggiungere altro si voltò dando le spalle alla maga, indossò nuovamente la maschera deciso a smaterializzarsi.
“Aspetta,” la voce di Iris lo bloccò. “Il tuo nome, non mi hai detto il tuo nome.”
“Severus!” disse senza guardarla e sparì.





Continua…




 
Top
» romi;
view post Posted on 16/2/2011, 14:29




Oddio, non l'avevo notata quell'altra shot! Corro a leggerla appena finito qui! **
Comunque, anche questo è un bel capitolo davvero, e alcune cose trovano già una spiegazione, per esempio la cosa che se un mangiamorte tocca Iris muore...Certo che sono sempre le madri a proteggere i figli..XD
Comunque, cavolo, spero solo che l'incontro con Voldy non sia distruttivo per il nostro Sev...>_<
E non vedo l'ora di vedere Lucius... :fiore: *adorazione per quell'uomo*
Ancora i miei complimenti, anche per il modo in cui scrivi, come al solito è ottimo! **

Baci baci,
Laura.
 
Top
Natalie_S
view post Posted on 17/2/2011, 14:16




Devo ammettere che ho già letto la storia su EFP, però la rileggo volentieri! ^_^

Sono stata un po' stupita di vedere Piton uccidere qualcuno (a parte Silente, ovviamente)... voglio dire, non mi sembra il tipo e leggendo il settimo mi ero fatta l'idea che non avesse ucciso nessuno. Comunque è bello vederlo nei primi anni di mangiamortato!

Intrigante l'idea dell'incantesimo anti-mangiamorte (anche se in effetti un mago potrebbe tranquillamente ucciderla anche senza toccarla, o sbaglio?).

Ciao, a presto!!!
 
Top
Astry
view post Posted on 18/2/2011, 16:25





CITAZIONE (» romi; @ 16/2/2011, 14:29) 
...Comunque, cavolo, spero solo che l'incontro con Voldy non sia distruttivo per il nostro Sev...>_<
E non vedo l'ora di vedere Lucius... :fiore: *adorazione per quell'uomo*
Ancora i miei complimenti, anche per il modo in cui scrivi, come al solito è ottimo! **

Ora saprai come andrà l'incontro con Voldemort. Non ti anticipo niente quindi. Per vedere il caro Lucius dovrai attendere ancora un capitolo. ;)

CITAZIONE (Natalie_S @ 17/2/2011, 14:16) 
Sono stata un po' stupita di vedere Piton uccidere qualcuno (a parte Silente, ovviamente)... voglio dire, non mi sembra il tipo e leggendo il settimo mi ero fatta l'idea che non avesse ucciso nessuno. Comunque è bello vederlo nei primi anni di mangiamortato!

Intrigante l'idea dell'incantesimo anti-mangiamorte (anche se in effetti un mago potrebbe tranquillamente ucciderla anche senza toccarla, o sbaglio?).

Si, leggendo il settimo libro, sembra proprio che il nostro prof abbia mantenuto, per così dire, le mani pulite e la sua anima intatta durante il suo periodo Mangiamortesco (infatti si preoccupa di non perdere la sua anima uccidendo Silente, quindi è chiaro che uccidere non era nelle sue abitudini).
Tuttavia questa storia è stata scritta prima dell'uscita del settimo libro, e sul passato da Mangiamorte di Piton gravava anche questo dubbio: ha mai ucciso qualcuno? In questa storia lo ha fatto, è stata dura scriverlo, ma ho voluto provare anche l'ipotesi peggiore. Ovvio che ho gongolato come un piccione innamorato all'uscita dell'ultimo libro nel sapere che, dopotutto, Severus non ha mai fatto le cose orride che spesso si leggono nelle ff.

Riguardo alla maledizione anti mangiamorte, in effetti non doveva servire a proteggere Iris dall'essere uccisa, ma solo evitare che suo padre potesse portarla con sè. Era una maledizione fatta per vendicarsi e uccidere lui, più che per proteggere sua figlia. Infatti il Mangiamorte in questione non voleva ucciderla, ma riprendersela e portarla con sé, ma toccandola ci ha lasciato le penne.


CAP. 3: Un segreto prezioso



Si trovava all’interno del cerchio. Lo sguardo del suo Signore era fisso su di lui.
Come un serpente prima di colpire la sua preda, era immobile, silenzioso, ma il suo silenzio non faceva presagire nulla di buono.
Severus si sforzò di non mostrare la sua paura, si chinò a baciare l’orlo della veste di Voldemort e rimase in ginocchio a capo chino, aspettando quella domanda, aspettando che il Signore Oscuro gli chiedesse la verità su quello che era successo in quella casa babbana, quella verità che lui avrebbe cercato di nascondere.
Non sapeva se ci sarebbe riuscito, Voldemort era un Legilimante eccezionale e lui era solo un ragazzino che aveva usato l’Occlumanzia unicamente per proteggere i suoi piccoli segreti di adolescente da qualche mago mediocre.
Cercò di regolare il respiro, il suo affanno rivelava chiaramente la sua colpa, poi la domanda arrivò e così la sua menzogna.
“Non so cosa sia successo a Gregorius. Gli Auror sono intervenuti ed io sono fuggito, sono stato un codardo, invoco il vostro perdono, mio Signore.”
Voldemort si alzò lentamente dal suo trono e prese a camminare intorno al suo servo inginocchiato, quando si trovò di nuovo di fronte a lui, allungò il braccio e con le dita lunghe e bianchissime, fece cenno al mago di sollevare la testa e lui cosi fece.
Improvvisamente, l’uomo più anziano colpì l’aria col dorso della mano e, come se fosse stata toccata da quello che assomigliava ad uno schiaffo, la maschera d’argento sul volto di Piton fu scaraventata in terra a qualche metro di distanza.
Il giovane Mangiamorte guardò negli occhi il suo padrone, ora avrebbe saputo se la sua capacità di chiudere la mente sarebbe stata sufficiente, non avrebbe avuto un’altra possibilità.
Si concentrò dimenticando ogni altro pensiero, ogni altra emozione.
La scena di quella notte apparve nella sua mente, ma non come era avvenuta realmente, bensì come lui voleva mostrarla a Voldemort. Vide gli Auror attaccare, vide se stesso fuggire e vide i cadaveri di quelle persone sparire nel nulla per mano di un mago sconosciuto.
Quello vide Voldemort, quando fissando le iridi nere del giovane Mangiamorte, penetrò nella sua mente come una lama infuocata.
Con violenza e ingordigia frugò nei suoi pensieri come un ladro che mette a soqquadro ciò che il padrone di casa aveva riposto con cura. Senza rispetto, senza preoccuparsi di distruggere ogni cosa pur di trovare il suo bottino.
Il ragazzo inginocchiato prese a tremare, non aveva mai provato nulla di simile, non riusciva a muovere un muscolo: era come incatenato a quelle orribili pupille. Non poteva distogliere lo sguardo, ne chiudere gli occhi; li sentì bruciare come se si trovasse troppo vicino al fuoco, un fuoco che stava consumando tutta la sua energia.
Era sempre più difficile mantenere la concentrazione, non ce la faceva più, i ricordi di quella notte stavano riemergendo.
Un lamento soffocato sfuggì dalle sue labbra. Doveva resistere, non poteva sottrarsi e non poteva chiudere la mente, Voldemort se ne sarebbe accorto.
Doveva confonderlo, doveva riuscirci a tutti i costi, lui non doveva sapere, non doveva vedere Iris.
Ormai quella presenza nella sua testa stava diventando insopportabile, dolorosa. Sapeva che non avrebbe resistito ancora per molto.
In un ultimo sforzo cercò di richiamare alla memoria avvenimenti estranei a quelli di quella notte, qualsiasi cosa potesse distrarre l’attenzione del Signore Oscuro.
D’improvviso tutto divenne buio.
Severus si ritrovò bocconi sul freddo pavimento di pietra, perdeva sangue dal naso, evidentemente si era ferito cadendo.
Sentì i Mangiamorte, uno alla volta lasciare la stanza. Quando anche Voldemort si fu smaterializzato, il ragazzo si sollevò faticosamente in ginocchio e si pulì il viso dal sangue con la manica della tunica.
Un’espressione d’incredulità era dipinta sul volto pallido: c’era riuscito, aveva ingannato il Signore Oscuro, lui, un mago diciannovenne era riuscito a bloccare il più grande Legilimante vivente.
Era talmente stupito di essere ancora vivo che per un po’ rimase in quella posizione fissando il punto in cui Voldemort era sparito.
Cosa avrebbe fatto adesso? Era così sicuro che Voldemort l’avrebbe ucciso quella notte che non aveva pensato al dopo.
La sua involontaria ospite lo aspettava a casa, doveva trovare il modo di nasconderla, se qualcuno l’avesse vista in casa sua, non sarebbe bastata l’Occlumanzia a salvarlo.
Si alzò e, barcollando, fece qualche passo verso il muro appoggiandosi alla parete. Raccolse la sua maschera e ansimando pronunciò la formula di smaterializzazione: le fredde mura del covo dei Mangiamorte sparirono per lasciare il posto alle pareti tappezzate di libri della sua casa.
Immediatamente gettò in terra la maschera e si piegò in avanti, mentre un capogiro e una forte sensazione di nausea lo assalivano, cadde in ginocchio e rimase immobile cercando di contrastare il senso di vertigini.
L’intrusione di Voldemort nella sua mente l’aveva lasciato con un fortissimo mal di testa e l’impressione di aver perso qualcosa di prezioso: i suoi sogni, le sue fantasie, i suoi ricordi erano stati profanati, calpestati solo per ottenere un’informazione.
Severus li aveva fatti riemergere dal profondo del suo cuore, come uno scudo.
Piccole cose: ricordi di sua madre e della sua fanciullezza, ricordi tristi e ricordi felici.
Li aveva dovuti usare, per distrarre l’attenzione di Voldemort da quello che era successo realmente quella notte. Il suo Signore aveva così ottenuto solo una visione distorta dell’attacco, confusa in miriadi di quelle che lui considerava sciocchezze: i baci di sua madre, i litigi fra i suoi genitori, le umiliazioni subite a scuola.
Stava per abbandonarsi ad un pianto liberatorio, quando vide Iris addormentata su una poltrona.
Perché non era salita in camera? Lo aveva aspettato? Severus si rimise faticosamente in piedi aggrappandosi ad una sedia.
Si avvicinò alla ragazza addormentata, osservandola per la prima volta quella notte.
Era una figura molto esile di un pallore quasi spettrale, tanto da far sembrare il suo un colorito olivastro. I capelli lunghissimi e scuri erano scompigliati come quando l’aveva lasciata qualche ora prima, le labbra piccole, ma ben disegnate, erano leggermente socchiuse.
Gli occhi del giovane Mangiamorte, percorsero tutta la sua figura: la maga aveva la testa piegata su un lato e un braccio pendeva abbandonato dalla poltrona. Sorrise, immaginando quando si sarebbe svegliata con un gran bel torcicollo.
Si chinò verso di lei, stava quasi per afferrarla, quando si ricordò della maledizione.
Si bloccò, estrasse la bacchetta e, con un impercettibile movimento del polso, la sollevò delicatamente da quello scomodo giaciglio e si avviò su per le scale, tenendo il braccio teso davanti a sé, mentre la maga galleggiava a pochi centimetri dalla sua bacchetta.
Iris si mosse appena mugolando qualcosa che fece sorridere Severus, ma non si svegliò. Neppure quando il mago, dopo averla adagiata sul letto, trasfigurò i suoi vestiti in qualcosa di più comodo: alla ruvida tunica nera si sostituì una leggera camicia da notte verde chiaro, semplice, ma graziosa.
Il mago la osservò per qualche istante poi, la sua iniziale espressione soddisfatta, si cambiò in una smorfia di disgusto: decisamente quel colore non era adatto a lei.
Abbinata alla sua carnagione pallida, quella tonalità di verde le dava un aspetto malaticcio.
Si sentì improvvisamente impacciato, non aveva idea di cosa potesse piacere ad una ragazza.
Certo questo avrebbe dovuto essere l’ultimo dei suoi problemi in un momento simile, eppure desiderava farle piacere in qualche modo.
Contemplò la sua carnagione bianchissima: quel viso sembrava di porcellana, anzi, le sue guance, leggermente rosate, ricordavano i petali di un fiore.
Le labbra del giovane si spalancarono, ma certo, un fiore, l’iris. Era questo il suo colore: il rosa delicato dei fiori che piacevano tanto a sua madre.
Ne aveva avuti sempre tanti in giardino e, quando fiorivano, questo assumeva una sfumatura di colori che andavano dal bianco, al rosa fino al violetto, facendo assomigliare quello squallido cortile ad un lembo di arcobaleno.
Mosse la bacchetta fendendo l’aria come a voler cancellare un’immagine da una lavagna, e il verdino divenne un color rosa tenue con le sfumature dell’iride.
Sorrise: un colore sicuramente poco Serpeverde, ma doveva ammettere che le stava davvero bene.
Dopo aver dato un ultimo sguardo compiaciuto alla sua ospite, Severus uscì dalla camera chiudendosi la porta alle spalle, scese le scale, deciso a prepararsi qualcosa che lo facesse star meglio.
Entrò in una piccola stanza alle cui pareti erano fissati dei rozzi scaffali di legno pieni di polvere e di contenitori di vetro di forme e dimensioni diverse. Ne prese alcuni con sicurezza, senza neppure fermarsi a leggere l’etichetta, e si diresse verso un calderone arrugginito, già pronto in un angolo.
L’aveva posizionato sotto una finestra, in modo tale da non riempire di fumo e odori poco gradevoli la sua modesta dimora babbana. Infatti, per prima cosa, scostò appena le ante in modo da lasciar entrare un po’ d’aria fresca. Avrebbe potuto ovviare all’inconveniente dei cattivi odori con la magia, ma preferiva questo modo più naturale.
Acceso il fuoco, cominciò a versare il contenuto delle piccole ampolle nel calderone.
Era una pozione molto semplice, gli ingredienti erano praticamente già pronti da mescolare, niente da sminuzzare o pestare nel mortaio. Solo pochi minuti alla giusta temperatura e la pozione sarebbe stata pronta.
Severus guardò quell’intruglio con una smorfia: una pozione per il mal di testa, niente che quel rimedio che i Babbani chiamavano “Aspirina” non potesse risolvere.
Ricordò che suo padre usava spesso quelle piccole pastiglie miracolose, tuttavia non ne aveva in casa, non erano cose che si potessero trovare a Nocturn Alley e, nel suo quartiere babbano, non c’era la farmacia.
Appena il suo miscuglio fu pronto, lo versò direttamente in un bicchiere, si poteva bere anche caldo, perciò non attese e lo ingoiò in pochi sorsi.
Il sapore non era dei migliori, ma non lo sentì: il liquido era talmente bollente che per poco non si ustionò il palato.
Ripulì tutto con un colpo di bacchetta e si avviò verso la poltrona dove poco prima aveva trovato la sua ospite addormentata. Decise di seguire il suo esempio.
La pozione avrebbe fatto effetto nel giro di mezzora, nell’attesa si accomodò poggiando la testa sullo schienale e chiuse gli occhi.




Continua…




 
Top
» romi;
view post Posted on 18/2/2011, 20:54




Davvero un bel capitolo! ** E sono contenta che Severus non abbia patito le pene dell'inferno quando si è dovuto presentare a Voldemort, gli sono rimasti un forte mal di testa e un pò di stupore...meglio di qualche tortura...>_<
Molto carina la scena di lui che arriva a casa e trova Iris addormentata e poi la sposta in camera e resta li a pensare a quale colore le si potesse adattare meglio alla sua carnagione! :fiore:
Ancora complimenti per questo capitolo, aspetto il prossimo aggiornamento e aspetterò pazientemente l'arrivo di Lucius! *OO*

Ps: io invece sono convinta, anche dopo aver letto il settimo libro, che Severus quando era giovane abbia anche lui ucciso e torturato qualcuno (dopotutto in quel periodo era convinto di della sua scelta di mangiamorte)...altrimenti non riuscirei a spiegarmi questo suo odio profondo verso se stesso, capisco che era distrutto per essere stato la causa della morte di Lily, ma credo che sotto sotto ci sia molto di più. Quel suo "e la mia anima Albus?" (o qualcosa del genere) credo che lo dica perchè non si vuole macchiare di nessun'altra morte, soprattutto se l'uomo da uccidere è un suo amico. Almeno, io la penso così...u.ù

Baci baci,
Laura.
 
Top
Astry
view post Posted on 20/2/2011, 16:18




CITAZIONE (» romi; @ 18/2/2011, 20:54) 
io invece sono convinta, anche dopo aver letto il settimo libro, che Severus quando era giovane abbia anche lui ucciso e torturato qualcuno (dopotutto in quel periodo era convinto di della sua scelta di mangiamorte)...altrimenti non riuscirei a spiegarmi questo suo odio profondo verso se stesso, capisco che era distrutto per essere stato la causa della morte di Lily, ma credo che sotto sotto ci sia molto di più. Quel suo "e la mia anima Albus?" (o qualcosa del genere) credo che lo dica perchè non si vuole macchiare di nessun'altra morte, soprattutto se l'uomo da uccidere è un suo amico. Almeno, io la penso così...u.ù

Non so, comunque non mi crea nessun problema. Del resto sarebbe troppo facile perdonarlo solo di essersi fatto fare un tatuaggio. Io Piton l'ho accettato con tutte le sue colpe e i suoi difetti, lo amo così. Quelli che non vogliono vedere questo lato di lui, in effetti non amano il vero Piton.



CAP. 4: Ultime notizie



Un forte rumore di vetri infranti lo svegliò quando era ormai quasi mezzogiorno, il sole filtrava attraverso le fessure delle imposte.
Ancora stordito assaporò per un istante quel leggero tepore, poi la consapevolezza di ciò che lo aveva svegliato lo fece trasalire. Balzò giù dalla poltrona e, afferrando la bacchetta, si precipitò su per le scale e spalancò la porta della camera, Iris era inginocchiata per terra e contemplava i frammenti di quello che era stato il vaso preferito di sua madre, che luccicavano sul pavimento di legno.
“Mi dispiace, non l’ho fatto apposta,” mugolò. “Io, io credo di aver avuto un incubo, il vaso era là sul comodino, io non so, credo di averlo urtato, mi dispiace.”
Severus la guardò incredulo, sembrava fin troppo dispiaciuta per un banale oggetto di vetro
“Era solo un vaso,” disse fissandola imbambolato. “Solo un vaso”.
Iris tirò su col naso, sembrava una bambina.
“Sta calma, è comprensibile, dopo quello che è successo, che tu abbia avuto un incubo e poi i vasi si aggiustano.” puntò la bacchetta: “Reparo!” disse, poi rimase ad osservare con aria malinconica i piccoli frammenti avvicinarsi fra loro e ricomporsi in un vaso finemente decorato.
Sospirò: se solo avesse potuto rimediare a tutto con quel semplice incantesimo.
Iris si alzò e guardò stupita la sua nuova camicia da notte: non si era ancora accorta di non indossare più la sua tunica nera.
“Sei stato tu?” disse afferrando un lembo di stoffa e tendendola verso il mago.
“Beh, ho pensato che saresti stata più comoda, non volevo essere invadente.”
“E’ carina!” sorrise.
“Già, ora puoi rivestirti,” disse secco. “Come ti ho già detto, c’è una casa disabitata in questo quartiere. I vicini non faranno domande, potrai stare lì finché vorrai.”
Fece per andarsene, ma si voltò di nuovo
“Ah, mi sono procurato una chiave, questo è un quartiere Babbano, non è il caso che ti vedano aprire la porta con la magia, te la lasciò qui,” la posò sulla mensola e uscì seguito dallo sguardo di Iris.
Quando fu pronta, la giovane maga lo raggiunse.
Severus era di nuovo sulla sua poltrona e contemplava i mattoni anneriti nel caminetto spento; la fuliggine che ricopriva quelle pareti faceva sembrare quell’apertura più profonda di quanto non fosse in realtà.
Ricordò che da bambino lo trovava davvero pauroso, un antro buio dal quale sarebbe uscito un giorno un essere altrettanto oscuro e pericoloso.
Improvvisamente il suo volto s’indurì: quel mostro indefinito che lo spaventava tanto da piccolo, ora appariva nitido e orrendo nella sua mente, indossava una maschera d’argento.
I passi dietro di lui lo fecero voltare di scatto, Iris era lì in piedi, aveva di nuovo la sua semplice tunica nera e, in mano, stringeva la chiave della sua nuova casa.
Severus la guardò per un attimo poi riprese a fissare il camino.
“Non c’è bisogno che ti accompagni, la casa è in fondo alla strada, la troverai facilmente,” disse con voce fredda.
Iris fece qualche passo verso di lui e, abbassando lo sguardo, sussurrò:
“Grazie!”
Severus si afferrò ai braccioli della poltrona e si alzò di scatto guardando la ragazza con ira.
“Di cosa mi stai ringraziando,” ringhiò. “Di aver contribuito ad un massacro? Di non aver avuto il coraggio di uccidere anche te?”
Poi si avvicinò.
“Sono io che dovrei ringraziarti per avermi avvertito della maledizione… ” disse e allungò improvvisamente la mano fin quasi a sfiorare il viso di lei.
Iris indietreggiò di scatto fissandolo incredula, ma lui, per tutta risposta, piego le labbra in un sorriso triste
“… però, non sono sicuro che tu mi abbia fatto un favore, quindi non lo farò”. Si voltò dando le spalle alla ragazza.
“Ora vattene!”
Iris restò a guardare il mago per qualche istante, avrebbe voluto rispondergli, ma cosa poteva dire? Severus aveva ragione: era piombato nella sua vita insieme a quel mostro di suo padre, aveva sterminato un’intera famiglia.
Sì, lui aveva ragione, avrebbe dovuto odiarlo, non ringraziarlo.
Eppure, sentiva che quel ragazzo era solo un’altra vittima, come lei.
Probabilmente per lui sarebbe stato molto peggio. Lei doveva solo nascondersi, non aveva nessun valore per Voldemort, presto non l’avrebbero più cercata. Severus, invece, era un Mangiamorte, un servo, e lo sarebbe stato per sempre.
Iris sapeva bene cosa significasse portare quel marchio: Voldemort aveva molti seguaci, molti erano amici di suo padre, quindi li conosceva bene.
Aveva visto alcuni diventare spietati assassini, altri invece non avevano resistito, dopo aver visto i loro ideali naufragare nel sangue, avevano voltato le spalle al Signore Oscuro pagando con la vita il loro tradimento.
Abbassò lo sguardo, preferì fare come lui le aveva chiesto, si avviò verso la porta in silenzio e uscì.




* * *




Severus era rimasto sulla sua poltrona per tutta la mattina, cominciava ad avere fame.
Si alzò di malavoglia avviandosi verso la cucina, quando qualcuno bussò alla sua porta.
Non era uno qualunque, quei colpi erano provocati da un oggetto di metallo, il giovane riconobbe immediatamente il manico in argento del bastone di Lucius Malfoy.
Questo gli strappò una smorfia: Lucius aveva cominciato a portare il bastone da passeggio, appena lasciata la scuola. Aveva sempre cercato di distinguersi in qualche modo, e quel piccolo oggetto alla moda serviva a ricordare a tutti, compreso Severus, la superiorità della sua casata.
Il mago non si avvicinò alla porta, ma la aprì con un gesto della mano.
Non si era sbagliato, Lucius era là fuori.
Il suo aspetto era impeccabile come sempre: i capelli erano raccolti in un codino e indossava un elegante mantello nero chiuso da preziosi alamari, dal quale spuntavano i polsini e il colletto di pizzo di una candida camicia.
Prima di varcare la soglia, esaminò la stanza con malcelata repulsione, ma il suo, ormai, era divenuto un gesto quasi inconsapevole, lo faceva tutte le volte che lo andava a trovare.
Severus osservò le sue labbra assumere una piega disgustata, mentre gli occhi scrutavano pigramente ogni singola suppellettile.
Infine, Malfoy entrò, avvicinandosi all’altro che lo fissava con un’espressione interrogativa. Senza distogliere lo sguardo dal padrone di casa, infilò la mano nella tasca interna del mantello, tirò fuori un giornale arrotolato e lo gettò sul tavolo.
Gli occhi del mago bruno indugiarono su un titolo della prima pagina di quello che doveva essere un giornale Babbano. Una scritta molto grande recitava: Intera famiglia trucidata, forse per rapina.
Poi, un po’ più in basso: Iniziata la caccia agli ignoti ladri”.
“Tre persone, Severus,” la voce di Malfoy era calma, quasi musicale. “Quel giornale parla di tre persone, ma noi sappiamo che ce n’erano quattro in quella casa: tre Babbani e una strega.”
Severus osservò gli occhi incredibilmente azzurri del suo amico: non tradivano nessuna emozione, come del resto la sua voce. Non era un rimprovero il suo, questo lo sapeva, eppure in quelle parole c’era qualcosa di più e di peggio di una semplice osservazione, qualcosa che gli gelò il sangue.
Era come un animale che, scoperto il punto debole della sua preda, si prepara a farla cadere in trappola.
“Cosa stai cercando di dirmi, Lucius?” domandò brusco.
“Mi chiedevo solo se… ”
Il mago bruno si avvicinò fissando lo sguardo nel ghiaccio dei suoi occhi.
“Ho già riferito tutto quello che è successo stanotte al Signore Oscuro, ora non vedo la necessità di dover riprendere il discorso con te.”
Dopo lo scatto iniziale, anche la voce di Severus era tornata calma e controllata.
“La mia non era un’accusa, Severus, era solo un’avvertimento, come tuo amico. Come ho saputo io, anche lui sarà venuto a conoscenza della notizia. Il Signore oscuro non è certo della tua fedeltà e, il fatto che tu sia fuggito, non depone a tuo favore”.
Severus continuava a fissarlo, irritato.
“I vigliacchi hanno la spiacevole abitudine di tradire,” continuò “Questa era la tua prima missione e, guarda caso, fallisce in circostanze misteriose. Non vorrei proprio essere nei tuoi panni”.
“Lucius, te lo dirò una volta sola e non lo ripeterò più: quando siamo arrivati, in quella casa c’erano solo tre persone, io non ho visto Streghe, Elfi o creature magiche di nessun genere, solo Babbani. Abbiamo fatto quello che lui ha ordinato. Non avevo nessuna ragione di rimanere a farmi ammazzare dagli Auror, non sarebbe stato affatto coraggio, Lucius, ma stupidità.”
“Forse!” mormorò distrattamente l’altro, poi il suo sguardo prese a vagare qua e là per la stanza, mostrando un eccessivo interesse per i banali soprammobili. Si avvicinò alla libreria e afferrò un piccolo libricino con la punta delle dita, quasi a non volersi sporcare con quell’oggetto di chiara origine Babbana.
“Tuttavia…” si fermò di nuovo e prese a sfogliare il piccolo volumetto, come se cercasse in quelle pagine le parole per proseguire.
“Tuttavia?” gli fece eco l’altro, con impazienza.
“Beh, come dire? Il Signore Oscuro cercherà ugualmente di metterti alla prova.” si voltò improvvisamente verso il suo interlocutore.
“Non ti piacerà, Severus.”
Il cuore del mago bruno sussultò, cosa mai voleva dire metterlo alla prova? Non gli era bastato penetrare nella sua mente come un fiume in piena, calpestando la sua dignità. Cos’altro avrebbe preteso? E, soprattutto, cosa mai avrebbe potuto convincerlo definitivamente della sua fedeltà?
Cercò di mantenere ferma la sua voce, anche se il suo cuore sembrava impazzito.
“Il Signore Oscuro, non ha motivo di dubitare di me, io non sono un vigliacco e glielo proverò.”
Malfoy lo fissò per un po’ senza parlare, poi, con indifferenza, come se il mago bruno gli avesse appena dato un informazione sul clima, gli voltò le spalle
“Bene! Arrivederci, Severus.”
Piton lo seguì con lo sguardo, mentre si avviava lentamente ed elegantemente verso l’uscita, per poi Smaterializzarsi appena fuori dalla porta, senza minimamente preoccuparsi di essere visto da eventuali Babbani nelle vicinanze.




* * *




Severus rimase per un po’ a fissare il punto nel quale era sparito, poi abbassò lo sguardo sul giornale che Malfoy aveva lasciato sul tavolo. In prima pagina spiccava la foto dell’uomo che aveva ucciso quella notte.
La foto era fissa, non era una foto magica, tuttavia quella piccola immagine in bianco e nero mostrava chiaramente un uomo felice: sorrideva.
Il giovane strinse i pugni, era furioso e disgustato, come aveva potuto ucciderlo?
Quel vecchio Babbano non chiedeva altro che poter vivere sereno con la sua famiglia, non aveva alcuna colpa. Come aveva potuto assassinare un uomo indifeso? Con che diritto era piombato nella sua casa, nella sua vita, distruggendola?
Gli ordini, certo, quei maledetti ordini. Quella parola era risuonata nella sua testa come un tuono fino a fargli perdere la ragione, alimentando la sua paura e la sua rabbia finché questa non era schizzata fuori dalle sue labbra come veleno, uccidendo quel poveretto.
Aveva solo obbedito, ma per lui quegli ordini non avevano alcun significato.
Cosa era diventato? Si era comportato come un fantoccio, una marionetta nelle mani di un altro uomo, un mago potente sì, ma sempre un uomo.
La sua sete di sapere valeva davvero questo prezzo?
Si sentì uno stupido: aveva acquistato conoscenza, ma aveva perso se stesso.
Per un anno era restato chiuso in quella cantina a Notturn Alley a distillare veleni. Era stato facile far finta di non vedere, di non sapere, ma a cosa serve un veleno se non ad uccidere?
Era stato così cieco, volutamente cieco, era così affascinante ammirare gli ingredienti mentre si trasformavano, per effetto del calore, in ciò che lui desiderava.
Era più di una magia, era una nuova sfida con se stesso. Trovare nuove soluzioni, nuove combinazioni, era scienza ed era arte insieme.
Era sempre stato bravo in Pozioni: voleva essere il migliore.
Da quando era ancora studente, non si era mai limitato al sapere scolastico, conosceva così bene la materia, che erbe e radici non avevano segreti per lui. Le sue mani si muovevano con una tale disinvoltura, mentre sminuzzava e mescolava gli ingredienti, che sembravano seguire il ritmo di una musica. Avrebbe saputo riconoscere la qualità di una Pozione solo saggiandone la consistenza con il mestolo.
L’unica cosa che desiderava era essere apprezzato come mago e come Pozionista e, lavorando per Voldemort, finalmente aveva realizzato il suo sogno: un altro uomo aveva riconosciuto le sue capacità, quell’uomo era il più grande mago vivente.
Un mago eccezionale, temuto e rispettato, condivideva la sua passione per i libri e la sua sete di sapere. Anche il sapere oscuro, quello che tanti temevano, per lui era solo sapere, nulla di più che semplice conoscenza della quale non era mai sazio.
Quello era ciò che voleva, lo aveva desiderato così tanto che non aveva pensato alle conseguenze; ora quelle conseguenze lo fissavano dalla pagina di un giornale Babbano.
Quegli occhi lo accusavano, e non erano i soli.
Quella notte aveva usato per la prima volta la Maledizione Senza Perdono, aveva ucciso, ma quella non era la sua prima vittima, no, non lo era.
Strinse i pugni: ogni suo preparato era costato delle vite, era inutile, ormai, far finta di non sapere.
Quanti ne aveva uccisi prima di quel vecchio Babbano? Quanti morti aveva sulla coscienza?
Il mago afferrò con rabbia il giornale e fissò ancora quegli occhi.
Dietro quello sguardo si nascondevano decine di altri sguardi: occhi che non avevano potuto vedere il volto dell’uomo che li aveva strappati alla luce.
Non avevano visto il loro assassino, mentre gridava una maledizione mortale, ma ugualmente lo accusavano e chiedevano giustizia, fissandolo da quella pagina di giornale.
Il mago si portò una mano sui capelli e si lasciò cadere in ginocchio.
“Quanti?” gridò. “Quanti sono?”




* * *




Severus era rimasto immobile, con quei fogli arrotolati in mano, così a lungo che le ginocchia avevano cominciato a fargli male, si spostò di lato, mettendosi seduto sul pavimento e distendendo le gambe intorpidite. Stava tremando.
Continuò a fissare quel volto sul giornale, mentre lacrime silenziose presero a scivolare sulle guance pallide, non aveva voglia di alzarsi, non aveva voglia di fare assolutamente nulla.
Anche respirare gli sembrava inutile; se la respirazione fosse stato un atto volontario, probabilmente, avrebbe comandato al suo petto di cessare quel ritmico e fastidioso movimento.
Il suo corpo, tuttavia, continuava a svolgere le sue funzioni, continuava ostinatamente a vivere, e presto anche quella nuova posizione divenne insopportabilmente scomoda, il giovane dovette cedere al dolore, e, faticosamente, si rimise in piedi, le dita sempre strette intorno a quelle pagine giallastre e gli occhi persi a contemplare quella testimonianza della sua follia.
Sotto la foto del Babbano, un lungo articolo, riempiva almeno tre colonne.
Il mago s’impose di distogliere lo sguardo dall’immagine del vecchio, ne era, infatti, come ipnotizzato, e prese a leggere quello che era scritto in caratteri minuscoli più in basso.
Improvvisamente, le sue labbra si spalancarono: il nome di Iris appariva nell’articolo.
I Babbani erano a conoscenza della sua esistenza, questo complicava ancora di più le cose.
Il volto del mago divenne improvvisamente cupo e concentrato: i Babbani la stavano cercando, doveva avvertirla, immediatamente. Non poteva permettersi di piangere e macerarsi nel rimorso, ora doveva pensare a lei.
Richiuse il giornale e si Smaterializzò.
Riapparve poco lontano, in un salottino arredato in modo piuttosto eccentrico: una vecchia credenza azzurra con la vernice scrostata faceva bella mostra di sé al centro della parete, con tutto il suo contenuto di tazzine multicolori e oggettini vari, per lo più inutili soprammobili pieni di polvere.
Tutto era avvolto nella penombra, infatti l’unica fonte di luce, una piccola finestra, era completamente oscurata da un’orrenda tenda rossa con fiori gialli.
Il rumore della materializzazione attirò l’attenzione della maga che si trovava nella stanza accanto. Dalla porta socchiusa, fece capolino una testa avvolta in un asciugamano di spugna.
Iris guardò il mago bruno con un’espressione di curiosità mista a timore. Sentiva di potersi fidare di quel giovane, ma la sua intrusione improvvisa nel suo rifugio non prometteva nulla di buono.
“Severus, cosa… ”
Il giovane porse alla maga il giornale Babbano, accennando con lo sguardo all’articolo in prima pagina.
“Ti cercano,” disse. “I Babbani ti credono complice degli assassini”.
Iris scorse velocemente l’articolo: il ragazzo aveva ragione, i Babbani erano convinti che la strage di quella notte, fosse il risultato di un tentativo di rapina.
Il fatto che il suo corpo non fosse stato trovato in quel giardino con gli altri, faceva di lei la prima sospettata o per lo meno una probabile complice: la misteriosa ospite che, approfittando della buona fede di quella gente, aveva aiutato i ladri ad introdursi in quella casa, per poi fuggire con loro.
“Ma certo,” sospirò la giovane. “Avrei dovuto immaginarlo”.
“Questo è un quartiere Babbano, qui sei abbastanza al sicuro dagli uomini del Signore Oscuro, loro non ti cercheranno a due passi da casa mia, ma io non posso fare niente contro la polizia Babbana, faresti meglio a non uscire di casa per un po’.”
“Non posso restarmene rinchiusa,” scattò. “Qui dice che domani ci saranno i funerali, ed io voglio esserci.”
“Sarebbe una sciocchezza, cosa racconterai a quella gente, che sei un strega? Che tuo padre ha ucciso un’intera famiglia, perché un mago oscuro glielo aveva ordinato?”
Le labbra del mago si curvarono in una smorfia
“Oh sì, probabilmente ti risparmieranno la prigione, solo per chiuderti in un manicomio,” disse sarcastico gettando sull’altra un occhiata provocatoria.
Le dita di Iris strinsero con forza il giornale, la schiettezza del giovane la irritava, soprattutto perché sapeva che aveva ragione, ma non si sarebbe arresa.
“Troverò un modo, quei Babbani erano la cosa che più si avvicinava ad una famiglia per me, io sarò là domani.”
Era pazza, non c’era altra spiegazione, Severus la fissò stupito, non poteva credere che la ragazzina tremante che aveva visto quella notte potesse nascondere tanta determinazione.
“D’accordo,” sospirò. “Ci andrai, ma nessuno dovrà vederti. Ti ho portato qui per nasconderti, non lascerò che tu vada in giro a svelare a tutti che sei ancora viva, non ho nessuna intenzione di farmi ammazzare per colpa tua. Posso aiutarti: ti preparerò una pozione che ti renderà invisibile per ventiquattro ore. Sarà meglio per te se non farai stupidaggini domani”.
Iris sorrise: quell’atteggiamento da duro proprio non si addiceva al ragazzo.
Anche se lo aveva visto con indosso quella maledetta maschera d’argento, sapeva che non c’era un briciolo di malvagità in lui, lo sentiva.
Gli voltò le spalle togliendosi l’asciugamano dai capelli; ma come era finito fra i Mangiamorte? Come può un ragazzo apparentemente tranquillo, persino timido, decidere di diventare uno spietato assassino?
“Prenderò la tua pozione, saresti capace di legarmi alla sedia per non farmi uscire,” disse sottilmente divertita.
Severus non rispose, anche se era evidente che la maga si stava prendendo gioco di lui, non si sentì offeso. Forse era meglio così, il loro incontro non era avvenuto nelle migliori circostanze e, il fatto che Iris cercasse di sdrammatizzare, lo faceva sentire meglio. Sorrise a sua volta.
“Tornerò fra qualche ora con la pozione.” si Smaterializzò.
Iris si voltò nuovamente fissando il luogo in cui era sparito. Quel ragazzo era davvero un mistero per lei. Cosa aveva detto? Stava andando a preparare una pozione dell’invisibilità?
La maga strinse nervosamente l’asciugamano che teneva in mano, appallottolandolo, cominciò a passeggiare avanti e indietro misurando a grandi passi quella piccola stanza.
Una pozione dell’invisibilità non era una cosa semplice da preparare, ricordava di averne sentito parlare da sua madre. Certo quel ragazzo doveva aver frequentato Hogwarts, una delle migliori scuole di stregoneria, ma, nonostante tutto, quello che si era proposto di fare aveva dell’incredibile e lui ne parlava come se si fosse trattato di preparare un the.
Forse in quel mago c’era molto di più di quello che appariva, e se si fosse sbagliata su di lui? Se fosse stato veramente pericoloso? Scosse il capo, no, un bravo mago non è necessariamente malvagio. Probabilmente erano state proprio le sue capacità ad attirare l’attenzione di Voldemort su di lui. Certo, doveva essere andata proprio così. Gettò l’asciugamano sul divano e si infilò in bagno.
Severus tornò esattamente due ore dopo, con una boccetta di vetro in mano, non attese di darle la pozione personalmente, ma la posò sul tavolino del salotto, facendo abbastanza rumore perché Iris notasse la sua presenza e si Smaterializzò immediatamente.
Iris si avvicinò lentamente alla piccola ampolla. Il liquido all’interno aveva un colore rosso acceso, sembrava quasi brillare di luce propria, non aveva mai visto una pozione come quella, rimase a fissarla incantata, rapita da quel colore incredibile, poi allungò una mano e l’afferrò con delicatezza.
“Grazie!” mormorò.




Continua…



 
Top
» romi;
view post Posted on 20/2/2011, 19:03




Che bello questo capitolo! **
Innanzitutto c'è l'entrata in scena di Lucius! *OO* Impeccabile e semplicemente splendido come al solito...u.ù
Poi ovviamente non poteva essere tutto così semplice, doveva complicarsi la situazione, e Lucius ha portato a Sev la brutta notizia direttamente in casa con il giornale..>_<
Argh, ci mancavano anche i babbani a complicare il tutto...ç__ç
Comunque, molto intensa la parte con i pensieri di Piton, subito dopo che Lucius se ne va da casa sua, davvero molto bella e profonda, soprattutto nella disperazione di Sev...ç_ç
Poi l'ultima parte è un pò più tranquilla, lui che va da Iris e le fa avere la pozione dell'invisibilità, e lei è così stupita da come il mago gliel'abbia preparata con tanta facilità! ^^
Complimenti Astry, aspetto il seguito! **
E spero che le cose per il prof non si complichino troppo...ç__ç

Bacioni,
Laura.
 
Top
Natalie_S
view post Posted on 22/2/2011, 09:31




E' sempre un po' strano rileggere le storie uscite prima del settimo libro (ci metto anche le mie eh!), anche se trovo che quanto a fantasia dessero molta più soddisfazione delle post-Lily, proprio perchè si era meno legati a tutte le rivelazioni che sono state fatte nei "ricordi del principe".
Piton che distilla veleni a Nocturn Alley me lo vedo molto bene, sì sì!!
Lucius... è sempre figo!! :D Mi piace quel suo modo ambiguo di avvertire ma senza esporsi troppo.
Anche se... Astry! Lucius non ha gli occhi azzurri: sono grigi! :D
(sono pistina, lo so: sorry!)
A presto!!
 
Top
Astry
view post Posted on 22/2/2011, 14:45




CITAZIONE (» romi; @ 20/2/2011, 19:03) 
E spero che le cose per il prof non si complichino troppo...ç__ç

Gia, peccato che ho la penna dalla parte del manico, e se non complico le cose al povero Severus non ci provo gusto. Penso che qualche giorno mi si materializzerà davanti e, puntando a bacchetta contro il mio naso, mi obbligherà a riscrivere da capo tutte le mie ff.



CITAZIONE (Natalie_S @ 22/2/2011, 09:31) 
E' sempre un po' strano rileggere le storie uscite prima del settimo libro (ci metto anche le mie eh!), anche se trovo che quanto a fantasia dessero molta più soddisfazione delle post-Lily, proprio perchè si era meno legati a tutte le rivelazioni che sono state fatte nei "ricordi del principe".
Piton che distilla veleni a Nocturn Alley me lo vedo molto bene, sì sì!!
Lucius... è sempre figo!! :D Mi piace quel suo modo ambiguo di avvertire ma senza esporsi troppo.

Si è strano, ma quanto era più divertente scrivere prima di sapere tutta la verità. Anche se l'amore per Lily era nell'aria, potevo fingere di ignorarlo. In effetti avrei preferito di gran lunga una sincera amicizia, più che un amore non ricambiato per Severus. E Lily ci avrebbe guadagnato la mia stima.

CITAZIONE
Anche se... Astry! Lucius non ha gli occhi azzurri: sono grigi! :D
(sono pistina, lo so: sorry!)

Ahahah! Mi hai beccata. :lol:
In effetti lo so che ha gli occhi azzurri, ora lo so. Quando ho scritto questa storia, un po' influenzata dal film, li ho immaginati azzurri. No, il grigio non rendeva certe sue occhiate glaciali. Ammetto che sono stata tentata di correggere la storia, ma un po' per pigrizia (insomma non avevo voglia di cercare tutti gli occhi di Lucius sparsi per la ff) e un po' perchè azzurri mi piacciono di più, ho deciso di lasciarli così. :rolleyes:


CAP. 5: Visita al cimitero



Era quasi mezzogiorno, ma, sotto quel cielo nuvoloso, il paesaggio aveva assunto un unico colore grigio azzurro. Grigio era il marmo di quelle lapidi, grigia era l’erba e il mucchio di terra smossa vicino alle nuove fosse.
Severus si avvicinò ad una piccola cappella, un mazzo di rose bianche galleggiava a mezz’aria dietro una colonna.
“Ti avevo detto di non farti vedere!” sibilò rivolto al piccolo bouquet che sussultò.
Le labbra sottili del mago si curvarono appena per poi ricomporsi in una espressione corrucciata, piuttosto forzata. Fissò il punto in cui, sapeva, doveva esserci Iris e incrociò le braccia assumendo un’aria di rimprovero
“Mi dispiace, sì hai ragione, ma… sì, sì scusa!” borbottarono i fiori, mentre si adagiavano delicatamente a terra seguiti dallo sguardo di lui.
La pozione funzionava alla perfezione: quello strano balletto di rose volanti era decisamente buffo.
Severus si guardò intorno, se qualche Babbano l’avesse visto avrebbe certamente pensato ad un fantasma.
Improvvisamente il suo sguardo si fece cupo: poco più in là, un gruppo di gente circondava tre bare. Una piccola folla composta e silenziosa stava dando l’ultimo saluto a quella sfortunata famiglia.
Si voltò di nuovo verso il punto in cui si trovava la maga, anche se non poteva vedere il suo viso, sapeva che Iris stava piangendo.
Non disse niente, tornò a fissare quelle persone: si abbracciavano o si tenevano per mano, confortandosi a vicenda.
Forse anche Iris avrebbe voluto stringersi a qualcuno, avrebbe desiderato il calore di un abbraccio o, forse, ne aveva bisogno lui.
Avrebbe voluto toccarla in quel momento, farla sentire protetta.
Nemmeno quello gli era concesso.
Le aveva fatto del male e ora non poteva neppure cercare di alleviare il suo dolore.
In fondo era come se continuasse a portare la sua fredda maschera d’argento in sua presenza.
Non gli era permesso un gesto d’affetto, anche se probabilmente non ne sarebbe stato capace: lui era il male, e Iris qualcosa di puro e irraggiungibile, qualcosa che non era degno neppure di sfiorare. Quella maledizione aveva più di un significato, non era solo una protezione per Iris, ma un monito per lui, un modo per ricordargli continuamente cosa aveva comportato la sua scelta.
Lui ormai era la sua maschera, il gelido metallo che non può conoscere il calore di una carezza.
Le persone intervenute al funerale si stavano allontanando, una alla volta lasciavano cadere sulle bare il fiore che avevano tenuto stretto in mano durante il rito.
Il mago si chinò a raccogliere le rose di Iris.
“Se vuoi posso portarle io al tuo posto,” disse sottovoce.
Ci fu un attimo di silenzio, Severus fissò il vuoto davanti a se con aria interrogativa. Forse Iris aveva annuito, ma lui non poteva vederla, quindi attese finché non udì quello che sembrava appena un fruscio.
“Grazie!”
Era come immaginava: Iris stava piangendo. In silenzio, protetta dall’invisibilità, era libera di farlo.
Severus si avviò lentamente verso le tre bare con il suo mazzo di rose in mano.
Nonostante indossasse dei comunissimi abiti babbani, pantaloni e maglione nero, si sentì improvvisamente addosso gli occhi di tutti. Fissò lo sguardo davanti a se e continuò a camminare. Era ingiusto dover nascondere la verità, era ingiusto che Iris dovesse restare nascosta, mentre lui, l’assassino, poteva camminare libero tra quelle persone.
Aveva l’impressione che l’intera sua figura gridasse la sua colpa. Più si avvicinava e più si sentiva indegno di proseguire.
Si bloccò, il respiro si era fatto affannoso.
“No! Non ce la faccio, non posso!” mormorò tra i denti.
Avrebbe voluto fuggire lontano da lì.
Davanti ai suoi occhi apparve l’immagine del vecchio Babbano, lo vide gettarsi nuovamente su di lui, nel suo ultimo disperato tentativo di salvarsi.
“No!” istintivamente fece un balzo indietro e, immediatamente, i suoi occhi corsero a cercare i volti delle persone intorno a lui, temendo di aver attirato la loro attenzione col suo gesto inconsulto.
Molti babbani, infatti, stavano osservando con curiosità quello strano giovane, un parente, forse un amico di famiglia. Li sentiva mormorare, mentre gli rivolgevano sguardi comprensivi e compassionevoli.
Severus strinse con forza il mazzo di rose fino a ferirsi il palmo della mano con le spine, e si obbligò ad avvicinarsi alle tre bare.
Se solo quelle persone avessero saputo la verità, se solo avessero saputo che l’assassino che tutti cercavano ora era lì, di fronte a loro.
Avrebbe voluto gridare a tutti: sono io, sono io che li ho uccisi, guardatemi, è colpa mia.
Improvvisamente udì la voce di Iris alle sue spalle.
“Andiamo a casa Severus.”
Era appena un sussurro, ma gli sembrò la cosa più dolce che avesse mai sentito. La mano del mago si rilassò immediatamente, mentre un rivolo scarlatto scivolò a macchiare i candidi petali.
“Sì andiamo a casa,” ripetè quasi meccanicamente, lasciando cadere i fiori sulla bara del vecchio Babbano.
Voleva solo andar via da quel posto, sapeva di non poter comunque fuggire da suoi incubi, tuttavia, in quel cimitero questi sembravano aver preso il sopravvento, erano così solidi e reali che desiderò avere le mura della propria casa intorno.
Iris lo aveva capito e si era avvicinata silenziosamente al mago.
La sua reazione di fronte a quelle bare era stata più eloquente di tante parole: ora sapeva che Severus non era malvagio, che il suo rimorso era sincero. Provò compassione per lui, sapeva benissimo cosa provava in quel momento.
Quella orrenda notte aveva cambiato le loro vite. Voldemort era il colpevole, lui aveva fatto di loro degli assassini, ma entrambi avrebbero pagato per il loro gesto. Quel sangue avrebbe chiesto il suo tributo.
Una tremenda colpa li legava. Insieme, forse, un giorno avrebbero potuto vincere o esserne definitivamente sopraffatti… insieme.
Si smaterializzò.
Qualche minuto dopo, il mago si diresse curvo verso una grossa statua. Celato dietro quel marmo sparì anche lui.



* * *




Iris l’aveva preceduto e si affannava intorno ad un fornello elettrico.
Come immaginava, Severus l’aveva raggiunta nel suo provvisorio rifugio in fondo alla strada.
Sorrise, ma, essendo ancora sotto l’effetto della pozione, gli occhi di Severus poterono vedere solo un insolito movimento di pentole.
Iris senza parlare afferrò un grembiule e se lo cinse alla vita, ora alle pentole volanti si accompagnava anche il balletto di quel pezzo di stoffa che si agitava avanti e indietro per la cucina, ma, almeno, il mago non avrebbe rischiato di scontrarsi con lei inavvertitamente.
Ma cosa stava facendo? Severus si avvicinò e, con un espressione curiosa, annusò il contenuto di quelle pentole: non stava cucinando, quella era decisamente una pozione.
Iris scoppiò in una risata cristallina, evidentemente, pensò Piton, la sua faccia doveva avere un che di buffo.
“Non temere,” disse la giovane strega. “Non cercherò di avvelenarti. Non sono una brava pozionista, ma questa è una ricetta di mia nonna e non servono neanche ingredienti particolari, solo cose che si trovano in una normale cucina babbana.
Gli occhi di Piton scorsero i piccoli contenitori allineati sul banco, varie erbe, per lo più spezie e poi, cos’era quello? Aglio? Ma certo, il rimedio della nonna non era altro che un semplice calmante, era poco più di una camomilla, però era quello di cui entrambi avevano bisogno in quel momento.
Si avvicinò ulteriormente alla maga o, piuttosto si avvicinò al mestolo che sbattucchiava in modo tutt’altro che elegante immerso in quel liquido dall’aspetto poco invitante.
“Lascia, continuo io,” disse dolcemente, avvicinando una mano al mestolo senza però toccarlo, nel timore di sfiorare involontariamente le dita di lei.
Iris si allontanò dai fornelli lasciando che Piton prendesse in mano la situazione.
Lo osservò stupita: il giovane prese a mescolare lentamente il liquido con movimenti precisi e regolari.
C’era così tanto amore in quel semplice gesto: era come se Piton considerasse quella brodaglia, al pari del nettare più prezioso.
Improvvisamente, la domanda che le torturava l’anima dal momento in cui l’aveva conosciuto, le sfuggì dalle labbra:
“Perché sei diventato uno di loro?”
La mano di Severus tremò appena, poi riprese il suo movimento, ma la sua espressione si fece cupa. Aspettava quella domanda, fu grato di non poter vedere il volto della sua interlocutrice in quel momento. Così era meno penoso.
“Perché la falena si getta tra le fiamme?” mormorò con voce atona, contemplando il liquido che gorgogliava rumorosamente.
Si voltò. L’effetto della pozione, ormai, stava finendo, il viso triste e stanco di Iris si faceva sempre più nitido.
Lei lo stava fissando con un’ espressione, che il mago non riuscì a decifrare. Sembrava persa nei suoi pensieri come se tentasse di dare un senso a qualcosa per lei incomprensibile.
Severus sospirò: non c’era di che meravigliarsi, come avrebbe potuto capire la sua scelta, qualcosa che neppure lui riusciva a spiegarsi?
Ma lei continuò:
“Cosa si prova in sua presenza?” sussurrò.
A quel punto, il mago, lasciò cadere il mestolo e si avvicinò ad una poltrona crollando pesantemente a sedere, sospirò ancora e più profondamente, ma ormai aveva deciso: avrebbe risposto a tutte le sue domande, forse perché quelle stesse domande le aveva già poste a se stesso. Lui per primo aveva bisogno di darsi una risposta.
Sollevò lo sguardo cercando gli occhi di lei.
“E’ come… ” si morse il labbro: era così difficile trovare le parole adatte. “E’ strano, sì è una sensazione strana: ti senti onorato di essere alla sua presenza e nello stesso tempo ti senti una nullità. Lui non è solo un grande mago, lui è la magia, è tutto quello che ho sempre cercato, la sua aura magica è così potente che è come se l’aria prendesse a vibrare intorno a lui.
Sei lì, ai suoi piedi, inginocchiato a baciare l’orlo delle sue vesti, sperando che ti venga concesso di brillare della sua luce riflessa e non ti accorgi, mentre il tuo sguardo è rapito da quella luce, che stai sprofondando in un mare di sangue.”
Si voltò verso il fornello.
“Credo che la ricetta di tua nonna sia pronta, ne prenderei volentieri un po’.”
Iris si voltò di scatto e si precipitò verso il fornello, appena in tempo per togliere la pozione dalla piastra, prima che questa schizzasse fuori dalla pentola.
Gli occhi del mago seguirono ogni suo movimento, mentre si affrettava a versare il liquido in un paio di tazze spaiate. Poi il suo sguardo prese a vagare nella stanza fino alla vecchia credenza azzurra e alle cianfrusaglie ammucchiate al suo interno, non c’era una tazzina uguale all’altra.
Le sue labbra sottili si curvarono appena in un sorriso nostalgico, ricordando l’anziana donna Babbana che abitava quella casa: una vecchietta un po’ matta.
Era morta da pochi mesi alla ragguardevole età, per una Babbana, di novantacinque anni.
Ricordò le sue raccomandazioni ad un bambino eccessivamente magro che non di rado veniva pescato a scavare buche nel suo piccolo orto in cerca di chissà quali misteriosi tesori: Devi mangiare, ragazzino, se non ti decidi a mettere un po’ di carne intorno a quelle ossa, finiranno per scambiarti per una scopa.
“Severus?” Il mago sussultò: Iris si era accomodata sulla poltrona di fronte a lui e gli porgeva un po’ impacciata quella bevanda poco invitante.
“Ecco, bevi”.
Piton afferrò la tazza con entrambe le mani, ma, improvvisamente il suo cuore si fermò: per un attimo le loro dita furono sul punto di sfiorarsi.
I due giovani rimasero immobili, le loro mani su quel piccolo oggetto di coccio reso caldo dalla pozione al suo interno, un istante infinito, nel quale si persero l’uno negli occhi dell’altra. Poi, con uno scatto, Iris ritirò la sua mano riportando il mago bruscamente alla realtà.
“Scusa!” bofonchiò il giovane, sprofondando il viso nella sua bevanda.
La ingoiò in pochi sorsi, senza battere ciglio, poi sollevò lo sguardo aspettando che lei facesse altrettanto. Iris lo imitò, ma a differenza di Severus la sua faccia si contorse in un’espressione disgustata: quella roba aveva un sapore decisamente orrendo. Si sforzò di inghiottire quel miscuglio senza distogliere lo sguardo dal suo ospite che sembrava trovare i suoi sforzi piuttosto divertenti.
Normalmente il giovane mago avrebbe gridato allo scandalo: una pozione preparata, su un fornello elettrico, in una comunissima pentola di alluminio, una pentola babbana. Qualcosa che avrebbe fatto inorridire anche un pozionista mediocre.
Eppure, quell’intruglio rivoltante, gli era sembrata la pozione migliore che avesse mai contribuito a creare: una pozione che non avrebbe causato dolore o morte. Qualcosa che gli ricordava i miscugli che preparava da bambino: pozioni semplici, fatte per gioco con l’aiuto di sua madre. Niente di più che innocui liquidi multicolori. Soprattutto, ricordò le sue piccole mani che, stringendo il mestolo con tutta la forza, continuavano a mescolare senza mai stancarsi, sfidando anche il vapore rovente. Mani bianchissime e ossute, mani innocenti.
Iris continuava a fissarlo, i suoi occhi erano diventati lucidi, mentre faceva forza su se stessa per non sputare la sua bevanda sulla faccia del mago.
Improvvisamente abbassò la tazza.
“Tu lo ammiri?”
Il giovane Mangiamorte chiuse gli occhi, cosa poteva dire? Era ovvio, certo lo ammirava, lo considerava il più grande mago vivente, anche ora, nonostante tutto, era affascinato dalla sua potenza, tuttavia, niente poteva giustificare le sue azioni, quale nobile scopo ci può essere in un omicidio? Preservare la razza dei maghi? Ma cosa significava? Lui era per metà Babbano, eppure Voldemort non aveva rifiutato i suoi servigi.
Strinse nervosamente le dita intorno alla tazza rigirandola tra le mani.
“Io ammiro la magia, io ammiro la conoscenza, lui è tutto questo, ma è anche un uomo, ora so che non è infallibile, lui ci porterà alla rovina e io… ”
“Tu, obbedirai, lo so, ma non devi permettergli di distruggerti, Voldemort cadrà, lui dovrà pagare per quello che ha fatto… ”
“Lui non cadrà mai!” la interruppe brusc. “Tu non hai visto, tu non sai. I suoi seguaci sono ogni giorno più numerosi, ed io non posso farci niente, niente!”
“Un uomo solo non può fermarlo, Severus, ma tu potresti ritrovarti nuovamente a puntare la tua bacchetta, contro un innocente, cosa farai allora?”
“Non lo so.”scosse il capo.
“Io sì: lo salverai, come hai fatto con me, ma ti prego non gettar via la tua vita inutilmente, non metterti contro di lui apertamente, sarebbe inutile, moriresti per niente.”
“Perché mi dici queste cose?”
“Perché so quello che provi, perché so cosa significa uccidere e perché… ” strinse la tazza come in un abbraccio, portandosela al petto. “… non sempre, seguire il cuore è la scelta più giusta. “Pronunciò quest’ultima frase con un filo di voce.”
Severus socchiuse le labbra: cosa voleva dire, non seguire il cuore? Aveva seguito il cuore quando l’aveva portata via dalla sua casa, quando l’aveva nascosta e poi aveva mentito al suo Signore per lei.
“Maledizione, Iris, ma cosa vuoi che faccia? Forse hai ragione, forse il Signore Oscuro verrà sconfitto, ma a me non resterà più un cuore, per quel giorno, o un’anima, ammesso che io ce l’abbia ancora.”
Iris, guardò con meraviglia, le pupille nerissime del giovane mago, sembrarono ad un tratto incendiarsi.
Oh, sì il cuore c’era ancora, poteva vederlo, rischiarato da quelle fiamme. Un cuore che lottava per liberarsi da quella profonda notte, nella quale, il mago aveva deciso di nasconderlo.
Si augurò con tutta se stessa che quel fuoco non dovesse mai spegnersi, ma Severus aveva ragione: perdere la sua vita non era la cosa peggiore che gli sarebbe potuta accadere.
Abbassò lo sguardo e non rispose, in realtà non poteva rispondere, voleva che vivesse, era egoismo il suo? Sapeva che se Piton si fosse rifiutato di obbedire a Voldemort, sarebbe stato ucciso, ne poteva tradirlo e sperare di fuggire: molti avevano tentato e avevano pagato con la vita. Conosceva appena quel giovane, ma gli doveva la sua vita, si sentiva legata a lui, in un modo che non riusciva a spiegare.
Sollevò la tazza e riprese a sorseggiare la sua pozione, ormai fredda.
Quando ebbe terminato di bere, Severus si alzò dalla sua poltrona e si chinò verso di lei.
“Lascia, metto a posto io.” sussurrò, abbozzando, un sorriso.
Stava per afferrare la tazza, quando, improvvisamente, il suo braccio si contorse come colto da un crampo
“No! Ti prego no!” il volto del mago era deformato da una smorfia di dolore, mentre con l’altra mano stringeva spasmodicamente il punto in cui il suo Signore aveva impresso il segno della sua schiavitù.
Iris era scattata in piedi, lo sguardo terrorizzato. Si portò le mani nei capelli: era il Marchio, lo sapeva, quell’orribile Marchio. Voldemort lo stava chiamando.
Si sentiva impotente. Fissò il mago con la bocca spalancata, ma non riuscì a pronunciare una sola parola.
“Devo andare.” disse infine lui con voce roca.
La luce che aveva illuminato il suo sguardo qualche istante prima, era sparita per lasciare il posto alla più fredda e oscura disperazione.
Fece qualche passo indietro e si smaterializzò.





Continua…




 
Top
Natalie_S
view post Posted on 23/2/2011, 10:21




Ciao!

Allora, la cosa che mi è piaciuta di più di questo capitolo è senza dubbio la descrizione di Piton su cosa si prova di fronte a Voldemort.
Trovo che sia un argomento davvero poco sviscerato nel fandom, e invece secondo me è molto interessante.
Certo, Voldemort è malvagio e terrificante, ma del resto se molti l'hanno seguito e hanno affidato a lui la propria esistenza, indubbiamente qualche attrattiva doveva averla.
Il fascino dark che esercita sui suoi seguaci è davvero ben descritto nell'aura di magia talmente potente da far vibrare l'aria. E' un'immagine davvero azzeccata, complimenti!

A presto!!
Natalie
 
Top
Astry
view post Posted on 27/2/2011, 16:48




CITAZIONE (Natalie_S @ 23/2/2011, 10:21) 
Ciao!

Allora, la cosa che mi è piaciuta di più di questo capitolo è senza dubbio la descrizione di Piton su cosa si prova di fronte a Voldemort.
Trovo che sia un argomento davvero poco sviscerato nel fandom, e invece secondo me è molto interessante.
Certo, Voldemort è malvagio e terrificante, ma del resto se molti l'hanno seguito e hanno affidato a lui la propria esistenza, indubbiamente qualche attrattiva doveva averla.
Il fascino dark che esercita sui suoi seguaci è davvero ben descritto nell'aura di magia talmente potente da far vibrare l'aria. E' un'immagine davvero azzeccata, complimenti!

Perdonami per il ritardo nel postare, ma l'ultima settimana è stata peggio della battaglia di Hogwarts. Devo anche commentare la tua storia su EFP, ho letto il cap. Appena mi dannno un po' di respiro, provvedo.
Si, in effetti si parla sempre del pentimento di Piton, del post mangiamortato. Ma si dimentica che c'è stato un momento in cui Piton era convinto della sua scelta. Piton è pieno di risentimento e ha le sue ragioni, ma non è un tipo sanguinario che ammazza e tortura la gente tanto per divertirsi, quindi doveva vederci qualcosa di più di un branco di assasini nei Mangiamorte.

CAP. 6: Servo fedele



Lucius Malfoy sedeva su quei gradini già da due ore, non si era mosso, non aveva battuto ciglio neppure quando, dalla segreta sul fondo delle scale, s’udirono delle grida raccapriccianti.
Il mago biondo sollevò appena la testa e poi riprese a giocherellare con il bastone. Le sue labbra si piegarono in un sorriso compiaciuto e infantile, mentre con le dita affusolate accarezzava la testa di serpente scolpita sul manico, seguendo con l’indice le linee sinuose del prezioso decoro.
Fissò le gemme incastonate negli occhi della piccola scultura.
“Credo che non dovremo attendere ancora a lungo,” disse, rivolto a quell’oggetto inanimato, come se quello potesse ascoltarlo.
In effetti il mago si sentiva più a suo agio di fronte a quel simbolo d’argento che davanti ai suoi simili. Aveva bisogno di sentirsi superiore, soprattutto voleva conquistare la stima del Signore Oscuro: il giorno in cui lui avrebbe imposto le sue regole al mondo magico, Lucius Malfoy sarebbe stato al suo fianco. Era la sua più grande ambizione.
Qualcun’altro, però, aveva attirato le attenzioni di Voldemort: un mago eccezionale per la sua età, un mago che il Signore Oscuro aveva intenzione di plasmare a suo piacimento.
“Severus!” Lucius scattò in piedi: la piccola porticina di legno in fondo alle scale si era aperta.
Severus Piton era appoggiato allo stipite, bianco come un cencio, lo sguardo fisso nel vuoto.
Malfoy scese i pochi scalini che lo separavano dal suo amico, andandogli incontro. Un’espressione curiosa era dipinta sul suo viso.
Fissò il mago bruno che, intanto, si era piegato in avanti colto da un conato di vomito.
Incrociò le braccia e attese: preferì non fare domande e aspettare che l’altro decidesse spontaneamente di raccontargli ciò che era appena accaduto, anche se sapeva benissimo cosa si nascondeva dietro quella piccola porta.
I suoi occhi percorsero l’esile figura del giovane Mangiamorte: aveva solo pochi anni meno di lui, ma la corporatura eccessivamente magra lo faceva apparire molto più giovane della sua età e la sua espressione lo rendeva più simile ad un bambino terrorizzato, che al servitore del più grande mago vivente.
Abbassò lo sguardo: gocce di sangue continuavano a cadere sul pavimento, formando una chiazza rosso scura sulle pietre grezze rese lucide e scivolose dall’umidità.
Il mago biondo arricciò le labbra in una smorfia di disgusto: in effetti c’era sangue un po’ dappertutto, la tunica del giovane Mangiamorte doveva esserne impregnata. Fortunatamente il colore nero riusciva a nascondere bene quello che sarebbe stato certamente un orrido spettacolo. Non si poteva dire lo stesso delle mani, Severus le teneva protese davanti a sé come se cercasse di allontanare il più possibile quell’orrore da lui.
In una stringeva, con eccessiva forza, tanto da sbiancare le nocche, un pugnale d’argento, imbrattato anch’esso fino all’elsa.
Il mago bruno sollevò lentamente lo sguardo verso l’uomo che aveva di fronte, ma i suoi occhi erano spenti, sembravano non vederlo realmente.
“Lui mi ha chiesto di dimostrargli la mia fedeltà…” disse con voce atona, rispondendo, quasi meccanicamente, alla domanda che l’altro non gli aveva ancora rivolto, se non nei suoi pensieri.
“ … ed io l’ho fatto.”
Lucius sollevò un sopracciglio scrutando l’amico con aria perplessa.
“Capisco,” disse con una smorfia. “E tu dimostri il tuo entusiasmo per la causa, vomitando?”
Un lampo infuocato attraversò lo sguardo di Severus, le sue iridi nere saettarono in quelle azzurre dell’altro, con tutto il loro carico di rabbia, rimorso e disgusto, ma ciò non bastò a sciogliere il gelo negli occhi del mago biondo.
Questi se ne stava tranquillo come se di fronte a lui non ci fosse un uomo completamente coperto di sangue che aveva appena commesso chissà quale atrocità, ma, semplicemente, un mago sudicio e in disordine che, al massimo, offendeva il suo senso dell’eleganza.
Le labbra di Piton si mossero come per parlare, ma le parole gli rimasero in gola.
Cosa avrebbe potuto dire? Avrebbe potuto solo gridargli contro tutta la sua rabbia, ma a che sarebbe servito?
Erano così diversi, lui e Malfoy, come aveva potuto sperare nella sua comprensione o nel suo aiuto?
Lucius parlava di entusiasmo quando, invece, lui avrebbe voluto solo che il sangue di cui erano intrise le sue mani fosse il proprio.
Era già la seconda volta che le sue mani e i suoi vestiti si macchiavano del sangue di un altro uomo, come poteva Lucius restare indifferente? Come poteva, il suo amico, non capire ciò che stava provando in quel momento?
Forse davvero il suo cuore era freddo come i suoi occhi.
Severus si guardò le mani: tremavano.
Avevano tremato anche quando, poco prima, sotto gli occhi del suo Padrone, le aveva strette con forza attorno all’elsa del suo pugnale, costringendosi a finire la vittima ormai inerte, fiaccata dalle troppe torture.
Malfoy gli si avvicinò, posandogli una mano sulla spalla
“Era un Babbano?” seguitò cercando, questa volta, di addolcire la sua voce, come se volesse farsi perdonare la precedente mancanza di tatto.
“Era un uomo, Lucius,” scattò Piton, scansando con ira la mano dell'altro. “Un uomo, come te e me.”
“Severus, non credo che tu abbia afferrato pienamente il motivo per cui noi siamo qui.” lo rimproverò. “Ciò che facciamo è necessario: bisogna saper combattere per le proprie idee”. Appoggiò entrambe le mani al bastone protendendosi verso il suo interlocutore.
“Tu condividi quelle idee, non è vero, Severus?”
“Combattere? Questo non è combattere, Lucius,” guardò disgustato il pugnale che stringeva ancora in mano e lo gettò con stizza contro il muro. “Io sono un mago, non un macellaio. Sai bene che posso servire il Signore Oscuro in modo diverso. Per certe mansioni ci sono animali come Grayback, che certo non rifiuterebbero un tale onore. Ho reso sempre degli ottimi servigi alla causa come pozionista, sappiamo entrambi che questa è solo un’inutile punizione.”
“Una punizione, esatto, perciò faresti bene a mostrare un po’ più di entusiasmo a meno che tu non voglia passare il resto della vita a sgozzare Babbani.”
Il mago bruno si gettò improvvisamente contro l’altro e, afferrandolo per il colletto, lo spinse con forza contro la parete.
“Ci sei tu dietro questa storia, Lucius? Stai alimentando i suoi sospetti su di me? Bada a te!” soffiò a pochi centimetri dal suo viso.
“Siamo amici, Severus, sono stato io a portarti da lui, l’hai dimenticato?” le sue labbra si piegarono in un riso preoccupato, mentre tentava di divincolarsi.
Piton lo fissò ansimando, si era lasciato trasportare dall’ira e questo non doveva succedere: era entrato a far parte di un gioco pericoloso, e inimicarsi Malfoy non era una cosa saggia.
Avrebbe trovato da solo una via d’uscita, doveva trovarla a tutti i costi, ma non poteva fidarsi di Lucius, anche se era il suo migliore amico, forse il suo unico amico.
Malfoy era troppo ambizioso, avrebbe calpestato la loro amicizia senza pensarci due volte se questo fosse servito a metterlo in luce di fronte al Signore Oscuro.
Lasciò improvvisamente il colletto e sollevò la mano col palmo insanguinato rivolto verso l’altro.
“Esattamente! Tu mi hai portato qui,” confermò, cupo.
Lucius abbassò lo sguardo fissando con una smorfia disgustata la macchia rossa che ora spiccava sul colletto della sua immacolata camicia di seta.
“E’ sangue Lucius, solo sangue!” lo schernì il mago più giovane allontanandosi.




* * *




Gli occhi di Severus si spalancarono: si era appena Materializzato a Spinner’s End, ma non era a casa sua.
La vecchia credenza azzurra, quella piccola finestra con la tenda assurda, era finito nella casa in fondo al vicolo, la casa dove ora si trovava Iris.
Come era possibile? Cosa lo aveva portato lì?
Improvvisamente la porta di fronte a lui si spalancò, Iris era sulla soglia impietrita, lo sguardo terrorizzato, lo stesso che aveva la notte in cui l’aveva conosciuta.
Erano passate due settimane dal giorno del funerale, quando l’aveva lasciata improvvisamente, per rispondere alla chiamata di Voldemort.
Severus era in condizioni pietose: pallidissimo, sudato, scarmigliato e ancora coperto di sangue.
Si morse il labbro: come aveva potuto essere così stupido? Come aveva potuto presentarsi da lei in quelle condizioni?
La magia gli era sfuggita di mano, non voleva piombare in quella casa in quello stato, non avrebbe mai voluto turbare quella ragazza, dopo tutto quello che aveva dovuto passare a causa sua.
Ora avrebbe solo voluto fuggire, avrebbe voluto che lei non avesse visto, per la seconda volta, le sue mani macchiate di sangue innocente.
Tuttavia rimase immobile con le braccia abbandonate lungo i fianchi, mentre gli occhi si velavano di lacrime.
Iris fece un passo in avanti, ma dovette appoggiarsi al muro per non cadere. Si portò una mano sulla bocca colta da un senso di nausea, non riusciva a distogliere lo sguardo dall’orrore che aveva di fronte, era come rapita da quella visione atroce e nello stesso tempo avrebbe voluto correre via più lontano possibile da quel sangue.
Severus di contro abbassò i suoi occhi come se temesse, guardandola, di insozzare anche lei della sua tremenda colpa.
Ora cominciava a capire, il suo istinto lo aveva portato a Materializzarsi inconsapevolmente di fronte alla persona della quale aveva più bisogno, l’unica persona che conosceva la sua vera natura, l’unica, oltre ai suoi compagni Mangiamorte, a sapere cosa lui era in realtà: un assassino.
Non l’avrebbe mai fatto volontariamente, ma il suo desiderio di vederla era così forte che l’incantesimo della Materializzazione lo aveva portato dove realmente lui voleva andare.
Aveva bisogno di chiedere perdono per ciò che aveva appena fatto, non cercava un’assoluzione, non lo faceva per se stesso, non si sarebbe sentito meglio dopo averlo fatto.
Eppure non poteva farne a meno, lei era legata alla sua prima vittima, alla prima che aveva ucciso consapevolmente, era come se Iris rappresentasse tutti quelli che a causa sua avevano perso una persona cara. Era lo specchio nel quale vedeva riflesso ogni suo delitto, una pagina bianca, incorrotta, nella quale era scritto col sangue il nome di ciascuna delle sue vittime.
Lei gli aveva fatto capire quanto si sbagliava, gli aveva mostrato la verità. Il potere stesso della maledizione che gli impediva di toccarla faceva di quella ragazza, un monito vivente e nello stesso tempo una via di fuga, una punizione e una liberazione.
Se solo lei non l’avesse perdonato, se solo avesse posato la sua mano su di lui, impedendogli di fare altro male.
Un giorno le avrebbe chiesto di farlo, un giorno ne avrebbe avuto il coraggio, ma non ora.
La sua giovane età aveva fatto di lui un vigliacco confondendolo con parole di speranza.
Si detestava per questo. Avrebbe dovuto gridare a Voldemort tutta la sua rabbia, avrebbe dovuto rifiutarsi di obbedire a quell’ordine, invece non l’aveva fatto e, per la stessa ragione, ora non avrebbe implorato lei di abbracciarlo mettendo fine al suo strazio.
Una ragione inconsistente come i sogni: la speranza.
La stessa che aveva visto negli occhi delle sue vittime fino all’ultimo, quella che ancora brillava nei suoi giovani occhi neri.
La stessa speranza lo aveva spinto da lei.
Le sue labbra si mossero appena e la sua richiesta scivolò come un sospiro.
“Perdonami!”
Involontaria, quanto inutile e tardiva, quella parola sfuggita dalle sue labbra sorprese il mago che si ritrasse immediatamente. A cosa poteva servire? Era solo una parola, nessuno avrebbe mai potuto o dovuto perdonarlo per quello che aveva fatto, tanto meno Iris.
Scosse il capo dandosi dello stupido e si apprestò a Smaterializzarsi: non poteva sopportare oltre, di essere visto in quello stato.
“Aspetta!” Iris era scattata verso di lui. “Aspetta, non andartene”.
Il mago si bloccò e, sempre senza guardarla, bisbigliò prima qualcosa di incomprensibile, come se tentasse, senza successo, di mettere insieme un discorso sensato, poi…
“Mi… mi dispiace, sì perdonami, non volevo, non dovevo venire qui, io non so, non capisco, ma non dovevo, mi dispiace averti spaventata…”
“Spaventata? Severus, cosa stai dicendo? Spaventata? Dio mio, ma cos’hai fatto? No, tu non ti stavi scusando per essermi piombato in casa in questo modo, non è vero? Di cosa mi stai chiedendo di perdonarti? Dio di cosa… di chi è quel sangue, Severus? Chi hai ucciso?”
Il giovane, allora, sollevò lo sguardo, lentamente, stringendo gli occhi come chi teme di bruciarli fissando il sole.
“L’ho fatto ancora, come quella notte, ho ucciso un uomo, no, ho fatto di peggio che ucciderlo”.
Si porto le mani a coprire il volto.
“Sono un mostro,” mormorò con la voce incrinata.
Iris si avvicinò, le sue gambe tremavano ancora, ma cercò di farsi forza, ora sembrava più lui ad aver bisogno di aiuto.
“Lui avrebbe ucciso te?” mormorò.
Severus la guardò meravigliato, era una domanda la sua? Cosa voleva dire?
“Ti ho chiesto se Voldemort avrebbe ucciso te!” continuò alzando il tono di voce, poi lasciò scorrere il suo sguardo sull’intera figura del mago fino a fermarsi alle sue mani, sulle quali il sangue raggrumato aveva formato delle chiazze scure e irregolari.
Dato che il giovane continuava a fissarla smarrito, proseguì:
“Puoi anche non dire niente, io so la risposta: sì, lui ti avrebbe ucciso. Tu non puoi scegliere, non più. Una volta che hai scelto di diventare suo schiavo, non puoi tornare indietro.”
“Invece sì, potevo scegliere di non uccidere,” scattò l’altro.
“Certo! Ogni uomo è libero di suicidarsi, ma nessuno potrebbe biasimarlo se non lo fa.”
“Dovresti odiarmi, perché, perché non mi odi? Sarebbe tutto molto più facile.”
“Io odio ciò che sei, odio quello in cui quel mostro assassino ti ha trasformato, odio quella maschera… ” il suo sguardo si posò sull’oggetto metallico che spuntava da sotto il mantello del giovane.
“ … e il marchio che porti sul braccio. Li odio con tutto il cuore: mi hanno portato via la mia famiglia, e hanno fatto di me un’assassina”.
Si voltò dandogli le spalle, non avrebbe sopportato un secondo di più la vista di quel sangue.
Il ricordo della notte nella quale, il giovane Mangiamorte, era piombato in camera sua, sporco del sangue del vecchio Babbano, era ancora vivido nella sua mente, ancora troppo doloroso. Quell’immagine ne portava alla memoria un’altra, ancora più dolorosa e terribile, un viso deformato dal dolore, il viso di suo padre e quelle sue ultime parole, quell’anatema sputato insieme al suo ultimo respiro: “Che tu sia maledetta”.
Strinse i pugni con inaudita forza, fino a ferirsi i palmi delle mani con le unghie.
“Ora, ti prego, cambiati quella tunica, il bagno sai dov’è.”
Un lampo attraversò le iridi nerissime del giovane Mangiamorte.
“E’ per questo, allora.” la consapevolezza si fece strada nella sua mente: lei si sentiva in colpa, per aver ucciso suo padre, si considerava come lui.
“No, non è possibile,” mormorò più a se stesso, scotendo la testa, come poteva paragonarsi a lui? Lei non aveva nessuna colpa, non aveva causato volontariamente la morte di nessuno.
“Iris, come puoi pensare una cosa simile, noi non siamo uguali, io ho ucciso volontariamente, tu non hai fatto niente di male, la morte di tuo padre è stato un incidente, non potevi evitarla.”
La maga non rispose, continuava a voltargli le spalle, Severus immaginò che stesse piangendo, rimase per molto tempo a fissarla in silenzio, poi si sfilò il mantello e si avviò verso il bagno. Avrebbe potuto tornarsene a casa sua in fondo alla strada, ma non voleva restare solo quella sera.




Continua…

 
Top
Natalie_S
view post Posted on 28/2/2011, 22:26




Ciao!
Che angoscia questo capitolo.
Guarda, lo so che la prova di uccidere qualcuno richiesta da Voldemort per dimostrare la propria fedeltà è un po' un topos delle fan fiction (o almeno, con il tempo lo è diventato, non so se lo fosse quando hai scritto la storia), però è una delle cose che proprio non riesco a mandar giù :D
Secondo me Voldemort non è tanto il tipo: mi sa più di uno che fa fare le cose solo se servono, insomma un tipetto pratico, che al massimo unisce l'utile al dilettevole.
E poi molti mangiamorte proprio non me li vedo a uccidere (Lucius? L'unico incantesimo che gli vediamo fare in 7 libri è tipo Tarantallegra nella battaglia finale del 5 libro. Uuuh, che paura!).

Ciò non toglie che mi piaccia molto come hai descritto la reazione di Piton, il suo orrore e lo shock, e anche il fatto che tu abbia deciso di mostrare il momento immediatamente successivo all'uccisione, e far vedere il mago da occhi esterni (cioè Lucius).
Credo che renda la scena molto più drammatica che non mostrare l'omicidio dal punto di vista interno di Piton.

“Invece sì, potevo scegliere di non uccidere,” scattò l’altro.
“Certo! Ogni uomo è libero di suicidarsi, ma nessuno potrebbe biasimarlo se non lo fa.”


Che dire, Iris ha perfettamente ragione!
Basta tormentarti, Pity!! :D

Ciao, a presto!!!

 
Top
Astry
view post Posted on 3/3/2011, 12:51




CITAZIONE (Natalie_S @ 28/2/2011, 22:26) 
Guarda, lo so che la prova di uccidere qualcuno richiesta da Voldemort per dimostrare la propria fedeltà è un po' un topos delle fan fiction (o almeno, con il tempo lo è diventato, non so se lo fosse quando hai scritto la storia), però è una delle cose che proprio non riesco a mandar giù :D
Secondo me Voldemort non è tanto il tipo: mi sa più di uno che fa fare le cose solo se servono, insomma un tipetto pratico, che al massimo unisce l'utile al dilettevole.
E poi molti mangiamorte proprio non me li vedo a uccidere (Lucius? L'unico incantesimo che gli vediamo fare in 7 libri è tipo Tarantallegra nella battaglia finale del 5 libro. Uuuh, che paura!).

Certo, ma, insomma, vogliamo perderci l'occasione di far soffrine un po' Piton? Se gli avessi fatto chiedere da Voldemort di lanciare una Tarantallegra, mi sarei messa a ridere per prima io. Comunque la Rowling è una che le cose le lascia intuire e non le mette mai nero su bianco (per paura di spaventare i suoi giovani lettori? Forse) In ogni caso se tutti i Mangiamorte fossero andati in giro a lanciare solo Tarantallegre, gli Auror non avrebbero avuto tanti problemi.
Ne Piton... tanti rimorsi.


CAP. 7: Fiore mortale



Iris attese di sentire scorrere l’acqua, poi si avviò verso una delle camere e prese a rovistare nella cassettiera.
Per lo più era piena di abiti femminili adatti ad una donna anziana, ma tra i vari scialli e camicette, trovò un abito grigio da uomo, di una taglia piuttosto grande. Lo osservò con occhio critico: doveva essere appartenuto al marito della ex padrona di casa. Lo posò sul letto e afferrò la bacchetta pronunciando l’incantesimo di trasfigurazione: all’abito babbano si sostituirono un paio di pantaloni e una camicia di seta nera con i lacci.
Ammirò soddisfatta la sua creazione.
“Questo per ringraziarti della camicia da notte,” disse, mentre le sue labbra si piegavano in un sorriso malizioso.
Raccolse tutto e lo posò su uno sgabello fuori dalla porta del bagno.
Dopo circa venti minuti, il mago fece capolino dalla porta del soggiorno, con i suoi nuovi abiti addosso.
Teneva gli occhi bassi, si sentiva, infatti, piuttosto a disagio vestito in quel modo: le camice di seta era abituato a vederle indossare al suo amico Lucius e, in quel momento, l’ultima cosa che desiderava era assomigliare a lui.
Tuttavia, l’espressione piacevolmente sorpresa di Iris al suo ingresso, lo rassicurò.
La maga lo fissava sorridendo: decisamente non poteva dirsi un bel ragazzo questo Severus, ma il suo corpo magro, la carnagione chiarissima che contrastava col nero dei capelli bagnati sparsi in piccole ciocche gocciolanti sulle spalle, tutto era messo piacevolmente in risalto da quella camicia slacciata sul davanti.
Poi i suoi occhi si posarono sul viso del mago e le sue labbra si piegarono ulteriormente, certo che aveva proprio un gran naso, pensò.
Improvvisamente, si rese conto che il suo sguardo aveva indugiato per troppo tempo sul corpo del ragazzo, si voltò di scatto e prese ad esaminare con cura il vaso di fiori sul tavolo.
“Scusa, non volevo fissare,” borbottò timida.
Le pupille nerissime di Severus seguirono gli occhi di lei fino a posarsi sui fiori: erano Iris, Iris rosa
“Sono molto belli,” mormorò, cercando di uscire da quella situazione imbarazzante, lei annuì, ma continuava a tenere gli occhi puntati sul vaso come se si aspettasse di vederlo spiccare il volo da un momento all’altro.
“Iris!” Seveus si avvicinò, mettendosi nella traiettoria del suo sguardo, si piegò fino ad incontrare di nuovo gli occhi di lei.
“Grazie, per la… ehm, per i vestiti”.
“Di niente,” sorrise, poi, come destandosi da uno stato di trance, si mosse velocemente verso la poltrona facendo cenno al mago di sedersi. “Beh, accomodati, ti preparo qualcosa…”
“No!” Severus trasalì: l’immagine di una pentola piena di Pozione all’aglio era apparsa improvvisamente nella sua mente. “No, ti prego siediti, voglio solo parlare.”
“Non farlo!” disse Iris, con un tremito nella voce.
“Come? Cosa non devo fare?”
“Non cercare di spiegarmi quello che è successo oggi, ti prego. Lo leggo già nei tuoi occhi ed è abbastanza penoso.”
In realtà si sentiva in colpa per aver desiderato che il mago tornasse vivo, per aver desiderato che qualunque cosa Voldemort gli avesse chiesto di fare, lui non si fosse ribellato
“No, non ti racconterò quello che ho fatto. Vorrei poterlo dimenticare, il solo pensarci mi fa impazzire. Voglio parlare di cose sciocche, voglio parlare di fiori,” accennò al vaso sul tavolo. “voglio parlare della tua pozione all’aglio, voglio…” si prese la testa fra le mani, gli occhi spalancati e fissi nel vuoto.
“…Voglio far finta che non sia successo, per qualche istante, solo per qualche istante.”
Iris fece qualche passo verso di lui, inginocchiandosi davanti al mago.
Per un attimo fu tentata di prendere le mani del giovane fra le sue, era chiaro che, nonostante le parole di Piton, le immagini di quello che diceva di voler dimenticare, erano, invece, ben vivide dinanzi ai suoi occhi. Era come se quella scena orrenda continuasse a ripetersi all’infinito di fronte a lui.
“Severus guardami, ti prego.”
Piton sollevò la testa, non riusciva neppure a piangere, tutto quel sangue, non riusciva a vedere niente altro, il viso di Iris era, solo una piccola luce in un’oceano tinto di morte. Si sentiva soffocare da quel sangue, non ne aveva mai visto così tanto, ne sentiva l’odore, persino il sapore, se lo sentiva ancora addosso come se fosse penetrato nella pelle, e ora scorresse nelle sue stesse vene come un veleno.
Iris sospirò: quanto avrebbe voluto poter cancellare il suo dolore con un colpo di bacchetta.
Fino a che punto Voldemort si sarebbe spinto? Il giovane sembrava aver raggiunto il limite.
Gli occhi scuri della strega si immersero nelle iridi di Severus, sempre più fredde, sempre più buie. Il fuoco, quella fiamma che vi aveva visto solo due settimane prima, si stava lentamente spegnendo.
Si sentiva impotente, tuttavia, persa in quelle tenebre di disperazione, capì che non lo avrebbe lasciato solo: per quanto terribile fosse il peso delle sue colpe, l’avrebbe aiutato a sopportarlo.
Improvvisamente si sentì invadere dalla rabbia: Voldemort, lui avrebbe pagato per tutto il male che stava facendo.
Strinse gli occhi con forza soffocando la voglia di urlare.
“Severus!” sussurrò, la voce rotta in un singulto, mentre una lacrima scivolava lenta sulle sue guance pallide. Forse lui non avrebbe mai pianto, ma poteva farlo lei per entrambi.
“Resta qui, stanotte, domani farà meno male.” mormorò, mentre si accoccolava sul tappeto ai suoi piedi.
Il giovane mago non rispose, guardò il viso pallido di Iris. Un ovale perfetto, ma gli occhi erano profondamente cerchiati, si vedeva che non riposava da diversi giorni, come lui, del resto: come avrebbe potuto dormire, come avrebbe potuto posare tranquillamente la testa su un cuscino, chiedendosi quali atrocità avrebbe dovuto commettere il mattino dopo?
Chiuse gli occhi e rimase immobile con la testa appoggiata allo schienale della poltrona, fingendo di dormire.
Attese che lei scivolasse lentamente nel sonno e poi si alzò in silenzio.
La ragazza era rannicchiata sul tappeto liso, sicuramente non era una posizione comoda, tuttavia sembrava finalmente tranquilla.
Ora ne era certo, Iris era stata in ansia per lui in quelle due settimane.
Era la prima volta che qualcuno aspettava con preoccupazione il suo ritorno: era una bella sensazione.
La fissò con un’espressione di incredulità: quella donna non solo non lo odiava, ma si era preoccupata per lui.
Sorrise: la giovane sembrava stesse sognando, muoveva appena le palpebre.
“Spero che sia un bel sogno.” sussurrò.
Fece per allontanarsi, ma si accorse di non voler distogliere lo sguardo da lei, sarebbe rimasto a guardarla per giorni, dolce balsamo per i suoi occhi feriti da tanto orrore.
Indossava un vestito bianco. Non come la semplice camicia da notte di quando l’aveva conosciuta, questo era un bel vestito lungo, fatto di vari strati di veli trasparenti sovrapposti, la stoffa morbidissima, fasciava il suo corpo e si allargava come una soffice nuvola intorno a lei. La testa era poggiata sul braccio, mentre i capelli neri e lunghissimi ricadevano sparsi sul tappeto.
Si chinò su di lei, allungando la mano fin quasi a sfiorare il suo viso.
“Basterebbe così poco…” sussurrò scotendo la testa. “…così poco!”
Strinse il pugno e, con uno scatto di rabbia, si alzò voltandole le spalle.
Di fronte a lui però, il tavolo con quel bellissimo bouquet di iris, il fiore che portava il suo nome, non fece che accrescere il suo folle desiderio di toccarla.
Cosa gli stava succedendo?
Si stropicciò gli occhi coi palmi delle mani; conosceva quella ragazza da appena due settimane, ma in quel momento avrebbe rinunciato alla sua vita solo per una sua carezza.
Si avvicinò al tavolo e sfilò uno dei fiori dal mazzetto, portandoselo alle labbra, lo baciò sfiorandolo appena, lentamente, poi continuò con sempre più passione.
Si voltò di nuovo verso la ragazza addormentata, sì, ormai era inutile negarlo, era attratto da lei, la desiderava, voleva baciarla, voleva tenere il suo viso tra le mani come ora stava tenendo quel fiore delicato.
Affondò il volto in quei soffici petali, inebriandosi del loro profumo.
Le iridi ardenti posate su corpo di lei, ne percorsero ogni centimetro, seguendo le volute della stoffa del suo abito bianco, insinuandosi fra le sue pieghe, fin dove si facevano più fitte, sognando di introdursi con dolcezza fin nella sua intimità dove solo l’ombra poteva accedere.
Mosse il viso lasciandosi accarezzare le guance dal tocco vellutato di quella rosea corolla, vagheggiando il dolce tepore di quel corpo languidamente sdraiato.
“Iris!” mormorò, le sue labbra tremavano e la voce era appena un soffio, anche se avrebbe voluto gridare quel nome.
Com’era bello pronunciarlo: “Iris, Iris!”
Piegò la testa all’indietro e chiuse gli occhi, le lacrime cominciarono scorrere sulle sue guance.
Lenti, due rivoli sottili, scivolarono lungo il collo fino a bagnare il colletto della camicia.
No, non aveva il diritto di innamorarsi di lei, non dopo quello che le aveva fatto e poi c’era la maledizione, le labbra del mago si piegarono in un sorriso amaro: se mai lei avesse provato qualcosa per lui, se anche il suo cuore non l’avesse odiato, sarebbe stato il suo corpo a decidere per lei.
Per un Mangiamorte sfiorare quella pelle delicata era come toccare il fuoco, quello dell’inferno che lui stesso si era scelto.
Le sue labbra si spalancarono, ma non ne uscì alcun suono, poi tornò a fissare Iris, ancora più lontana ed irraggiungibile vista attraverso quel velo di lacrime.
“No... no…non posso!” le dita sottili si strinsero attorno al piccolo fiore, soffocando e lacerando i suoi petali, insieme al suo sogno impossibile.
La maga si mosse appena, una ciocca di capelli scivolò a coprirle il viso.
Severus provò una fitta dolorosa al cuore che gli fece per un attimo trattenere il fiato, poi, con rabbia, si asciugò gli occhi con la manica della camicia.
“Iris, come puoi accettare quello che sono? Come puoi non odiarmi?” scosse il capo, fissando il rosa intenso del fiore che stringeva tra le dita, lei era proprio così, pura, delicata, ma per lui quel bellissimo fiore era mortale.
Era inutile e stupido sognare quelle carezze che non avrebbe mai potuto avere.
Posò l’iris sul tavolo, aveva bisogno d’aria, si avvicinò all’ingresso e uscì in fretta, chiudendo la porta dietro di se e facendo attenzione a fare meno rumore possibile.




Continua…

 
Top
41 replies since 14/2/2011, 13:37   465 views
  Share