Severus Piton & Alan Rickman Fan Forum

Incatenato alla morte, seguito di "per amore di un figlio"

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Astry
icon9  view post Posted on 10/1/2011, 16:30




INCATENATO ALLA MORTE



Autore/Data: Astry, Luglio 2009.
Personaggi: Severus, Neville, Harry, Lucius, nuovo personaggio.
Rating: per tutti.
Avvertimenti: nessuno
Riassunto: “Ce la faremo anche questa volta, lui non tornerà.” Lo rassicurò, poi fissò la macchia scura sulla parete, accanto al ritratto di Silente. Era ciò che restava della cornice d’argento che ospitava la sua effige, sparita magicamente dopo che Potter l’aveva riportato in vita.
“E farò anche in modo che quella parete resti vuota ancora per molto tempo.” Affermò deciso.

Note: Questo è il seguito di “Per amore di un figlio” ed è dedicato a tutti quelli che hanno storto il naso per finale di quella storia. Evidentemente non mi conoscono bene. A tutti gli altri è severamente sconsigliata la lettura, per il bene dell’autrice che non ama guardarsi le spalle.


Buona lettura... (si fa per dire)

CAP. 1: Una splendida serata



Era l’ora della cena al Castello di Hogwarts. Tutti, professori e studenti, erano riuniti nella sala grande, e davanti a loro erano appena comparse prelibatezze di ogni genere.
Severus Piton quel giorno si sentiva particolarmente euforico. La squadra di Serpeverde aveva giocato una splendida partita, superando di molti punti i rivali Grifondoro.
L’ex Mangiamorte, professore e spia, eroe della guerra contro Voldemort tornato dall’aldilà, ora se ne stava sul suo trono da preside, al centro del tavolo degli insegnanti, beandosi come un bambino delle facce livide di rabbia degli sconfitti.
La professoressa Chapman era una di questi, infatti, oltre ad aver sostituito Minerva McGranitt come insegnante di trasfigurazione e come capo della sua stessa casa, aveva ereditato dalla collega più anziana anche la passione per il Quidditch e per la squadra rosso e oro.
Era seduta accanto a lui, ma, contrariamente al solito, non aveva proferito parola durante la cena, mentre Severus, dal canto suo, non aveva perso occasione di stuzzicarla.
Certo non era come con Minerva: Lucrezia Chapman era una donna giovane, gentile, ma a volte troppo impicciona, come del resto quasi tutti i suoi nuovi colleghi. Piccola e nervosa, pareva sempre sbucare dagli angoli del corridoio nei momenti meno opportuni. A Piton ricordava molto uno strano folletto. Aveva i capelli castani raccolti in uno chignon, piccoli occhiali sul naso e indossava un improbabile tailleur grigio perla che la faceva sembrare un blocco di granito con le gambe.
No, decisamente, non era paragonabile all’austera e saggia Minerva, pensò il mago arricciando le labbra.
Era passato un anno dal suo ritorno in vita, e, da quando aveva ripreso il suo incarico di preside, Piton si era trovato spesso a provare nostalgia della vecchia squadra di professori.
Infatti, a parte Vitius che aveva ripreso ad insegnare incantesimi, e Hagrid, al quale Severus aveva voluto rinnovare l’incarico, più per rispetto del suo predecessore che per fiducia nelle sue capacità di insegnante, tutti gli altri erano stati sostituiti. Qualcuno tornava a scuola di tanto in tanto, come Minerva McGranitt, col ruolo di commissario esterno, in occasione degli esami, ma la maggior parte si stava godendo felicemente la pensione o aveva trovato un’altra occupazione.
E poi c’era Neville Paciock, il nuovo professore di Erbologia. Un serio professionista, doveva ammetterlo, tuttavia non riusciva a non provare un certo disagio in sua presenza, e, probabilmente, Neville era altrettanto imbarazzato di fronte al suo ex insegnante.
Un sorriso sghembo si disegnò sulle labbra del preside, mentre con la coda dell’occhio scrutava l’uomo stempiato e corpulento, seduto in fondo alla tavolata, così diverso dal bambino spaventato che faceva esplodere i calderoni durante le sue lezioni.
Anche Paciock sembrava appena aver subito un lutto. Continuava a giocherellare con la carne nel suo piatto, ma non l’aveva nemmeno assaggiata.
Severus addentò con soddisfazione un pezzo di anatra, ripromettendosi di ricordargli questa sonora sconfitta alla prossima riunione degli insegnanti.
Accanto a Paciock sedeva Estragone Wilkinson, il nuovo docente di Pozioni e attuale capo della casa dei Serpeverde. Era un uomo alto e magro, dalla pelle scura e i lineamenti medio orientali. Indossava una stravagante tunica verde acido, con alamari in oro e un ampio cappuccio pendeva dalle sue spalle come una sorta di mantellina. Aveva la barba e i capelli neri erano raccolti dietro la nuca e fermati da uno strano monile a forma di serpente.
Per tutto il tempo non aveva fatto altro che riempire i bicchieri dei suoi più prossimi commensali, forzandoli, loro malgrado, a brindare alla vittoria di Serpeverde.
Neville, ormai stanco di rifiutare, permetteva a Wilkinson di versargli il vino, per poi farlo sparire, subito dopo, con un annoiato colpo di bacchetta.
Severus si lasciò sfuggire un sospiro di commiserazione. Poi, versandosi anche lui da bere, brindò mentalmente all’insegnante che, era certo, Neville avrebbe voluto avere quando frequentava Hogwarts.
Aveva avuto modo di apprezzare il suo lavoro come Pozionista. I suoi metodi erano alquanto discutibili, per non dire folcloristici, ma il risultato era comunque valido.
Wilkinson non si trovava a proprio agio in ambienti chiusi, indubbiamente l’aula di Pozioni di Hogwarts doveva sembrargli una specie di prigione se preferiva trasferire le sue lezioni all’aperto.
Una cosa che aveva giudicato a dir poco folle, visto le conseguenze imprevedibili che gli elementi atmosferici potevano avere sull’esito della preparazione di una Pozione.
Si era dovuto ricredere: Estragone sembrava addirittura contare sugli effetti del vento, del calore del sole o persino di un improvviso temporale per ottenere straordinarie varianti ai suoi elisir. Li calcolava e predisponeva tutto: la temperatura della fiamma, la posizione dei calderoni nel piazzale, tutto era studiato in modo che i liquidi potessero catturare il vento, o un raggio di sole.
Ad Estragone mancava la sua esperienza e la sua immensa conoscenza delle più antiche formule, ma indubbiamente era un Pozionista di tutto rispetto. Avevano fatto spesso delle piacevoli chiacchierate durante le pause dalle lezioni, scambiandosi pareri e consigli. Tuttavia, Severus aveva sempre preferito tenersi a distanza dalla sua sfrenata espansività. Era ormai convinto che Estragone fosse affetto da allegria cronica. Un morbo che si riacutizzava particolarmente in giornate come quella: la vittoria di Sepeverde lo aveva reso davvero insopportabile.
Severus ringraziò di non occupare il posto di Neville in quel momento, così da potersi godere la cena in tutta tranquillità, festeggiando la vittoria a modo suo.
Si accomodò meglio sul massiccio sedile, appoggiandosi allo schienale, mentre con la meticolosità e la destrezza di un chirurgo si preparava altri piccoli bocconi di anatra, separando la polpa dalle ossa. Per un attimo quell’arrosto squisito occupò completamente ogni suo pensiero, ogni sua sensazione. Non voleva perdersi nulla: il gusto, ma anche il profumo e persino la consistenza della carne. Gli occhi neri erano fissi sul prezioso piatto di porcellana, una particolare luce illuminava il suo sguardo, mentre portava alle labbra anche l’ultimo pezzetto di arrosto.
Era felice. Ecco, forse era l’unica ragione per cui quella pietanza gli era sembrata tanto speciale. Le cene a Hogwarts erano tornate ad essere un piacere, anche per lui che non era mai stato un grande estimatore della tavola.
Aveva impiegato mesi prima di cominciare ad apprezzare la sua nuova vita. Per tutto il primo anno aveva continuato a sentirsi fuori posto. Si era adattato alle disposizioni del suo predecessore, portando avanti il lavoro di Vitius meccanicamente, quasi temesse di imporsi troppo.
In realtà temeva di rivedere nei suoi colleghi gli stessi sguardi che gli avevano rivolto così tante volte durante la sua prima nomina. Sguardi di odio verso un preside imposto loro da Voldemort.
Sapeva che non era più così, ma per molto tempo, nei volti dei ragazzi e degli insegnanti, aveva continuato a vedervi quegli stessi sentimenti di disprezzo. Immagini vive che si frapponevano tra lui e il resto del mondo, come un doloroso schermo che per mesi gli aveva impedito di tornare ad apprezzare la bellezza e l’amicizia.
Ora però, con l’inizio del nuovo anno scolastico, anche quelle ultime immagini dolorose sembravano essere svanite. Ora riusciva a vedere i sorrisi degli amici. Era come se improvvisamente tutti si fossero levati dal viso delle orribili maschere. Maschere che erano esistite solo nella sua immaginazione, obbligandolo alla solitudine.
Un basso grugnito attirò la sua attenzione. Si voltò e vide Lucrezia Chapman che maltrattava il suo arrosto come se avesse nel piatto il colpevole della sconfitta Grifondoro.
“Se solo potessi mettere le mani su quel Potter!” brontolò.
Le labbra di Piton si piegarono leggermente, assumendo una forma bizzarra, come se un filo invisibile le tirasse verso l’alto, opponendosi alla volontà del proprietario.
Il mago lasciò correre lo sguardo per la sala, individuando al tavolo Serpeverde il ragazzino che malauguratamente portava il suo nome.
Continuava a gesticolare, mimando coloriti insulti rivolto a suo fratello che era seduto dalla parte opposta, al tavolo dei Grifondoro.
Il sorriso sul volto di Piton si allargò raggiungendo dimensioni tanto insolite per lui, da farlo sembrare quasi una caricatura di se stesso.
Eccolo, l’oggetto dell’ira della sua collega: James Potter era diventato il nuovo cercatore di Grifondoro. Un’eredità pesante quella dei Potter, troppo pesante per chi come James non era dotato nello sport quanto suo padre e suo nonno, cosa che lo rendeva molto più simpatico agli occhi di Piton, ma, evidentemente, la sua collega non la pensava allo stesso modo.
Distolse lo sguardo dal giovane Grifondoro e tornò ad osservare con curiosità la strega seduta alla sua destra. Era davvero furiosa, e il petto d’anatra che aveva nel piatto ne aveva fatto le spese: era stato tagliato così finemente da assomigliare ad un frullato.
Severus allora decise che non si era ancora divertito a sufficienza, afferrò con noncuranza una grossa fetta di torta al cioccolato, e schiarendosi la voce si rivolse alla donna.
“Professoressa Chapman, mi chiedevo, se lei condivide la scelta del capitano dei Grifoni.”
Un altro grugnito fu tutto ciò che ottenne, ma non si diede per vinto.
“James Potter mi è sembrato un po’ distratto oggi, forse non è ancora pronto per affrontare lo stress di una partita.” Continuò, portandosi alla bocca un pezzo abbondante di dolce.
“Distratto?” strillò lei. “Certo che era distratto. Come si può mettere una come quella fra i battitori?”
“Una come quella?” chiese Piton, ammirando pensieroso il cucchiaio vuoto.
“Sì, sì, la biondina di Serpeverde, miss reginetta della scuola. Lo sanno tutti che Potter ha un debole per lei.”
“Oh, la signorina Jones. Mi è sembrata piuttosto brava.” Ghignò, Piton, rituffando la posata nella torta. “Dovrò ricordarmi di fare i complimenti al capitano Buchan per la scelta.” Mormorò a se stesso, ma in modo che lei potesse sentire.
Lucrezia lo fulminò con gli occhi.
Piton sorrise e afferrò la brocca del vino.
“Vino, Lucrezia?” chiese con voce di seta.
“Sì, grazie!” rispose un po’ brusca porgendogli il bicchiere.
Il mago si sporse verso di lei, allungò il braccio e, inclinando con eleganza la brocca di cristallo, iniziò a versarle da bere. Improvvisamente, però, il braccio del mago ebbe un tremito e gran parte del vino si rovesciò sulla tavola.
Lucrezia sussultò lasciandosi sfuggire un breve e acuto grido che richiamò l’attenzione degli altri insegnanti: la bevanda, scivolando sul legno lucido, era finita oltre il bordo colando sul suo vestito. Wilkinson scoppiò a ridere, quando la strega, dopo aver cercato di salvare il salvabile bloccando con la magia il liquido color rubino che continuava a piovere sul suo tailleur, sollevò lo sguardo indignato e si accinse a fare qualche scortese commento allo sbadato coppiere. L’espressione sul volto del mago, però, la lasciò senza parole. Anche le risate cessarono immediatamente. Piton era rimasto immobile, fissando il risultato del piccolo incidente come se stesse guardando la più immane delle catastrofi.
“Preside, si sente bene”. Pigolò la strega, notando che impallidiva a vista d’occhio.
Non ottenne risposta, solo dopo parecchi secondi, Severus si riscosse, come se si fosse ridestato da uno stato di trance, si guardò attorno rendendosi conto che tutti i suoi colleghi erano ammutoliti e aspettavano una sua reazione. Si alzò, scansò la sedia, e, borbottando delle frettolose scuse, si allontanò con passo veloce.
Lo strano comportamento del preside era stato notato anche da molti ragazzi.
Lo sguardo di Albus Severus era corso ad incontrare quello di Neville, che considerava quasi uno zio. L’insegnante di Erbologia sembrava spaventato, lui che conosceva Piton più di tutti gli altri, sapeva bene che non era da Severus comportarsi in quel modo.
Tuttavia, appena si rese conto di aver attirato l’attenzione dei ragazzi, tentò di nascondere la sua preoccupazione, e riprese a maltrattare il suo pranzo, più svogliato di prima.
L’idea che fosse suo dovere di insegnante accertarsi di persona dello stato di salute del preside si era fatta strada nella sua mente, un’idea che non gli piaceva affatto. Piton era sempre stato un uomo riservato e il suo ritorno dall’aldilà non lo aveva certo trasformato nel più socievole degli amici. Eppure, a parte Hagrid, lui era l’unico in quella scuola ad aver conosciuto il preside in un momento ben più triste della sua vita. Non sapeva perché, ma si sentiva quasi in dovere di offrirgli la sua amicizia, in fondo cosa mai poteva accadergli? Nella peggiore delle ipotesi, Piton lo avrebbe invitato ad occuparsi dei suoi affari, ma non poteva di certo metterlo in punizione, dopotutto ora erano colleghi.
Intanto, mentre Paciock si perdeva nei suoi ragionamenti, gli altri professori avevano cercato di minimizzare, tornando a dialogare amichevolmente fra loro.
Finché, uno strano brusio, proveniente dai tavoli degli studenti, attirò di nuovo l’attenzione dell’insegnante di Erbologia.
Paciock osservò con la coda dell’occhio un gruppetto di Serpeverde che si era avvicinato ad Albus Potter, tra loro c’era il figlio di Draco Malfoy, Scorpius. Anche al tavolo dei Grifondoro sembrava esserci altrettanto movimento. Indubbiamente quei ragazzini stavano già escogitando un piano per ficcare il naso nella vita privata del preside di Hogwarts.
In effetti, pensò Neville, era esattamente quello che avrebbero fatto i loro genitori: Harry Potter e i suoi inseparabili amici, ma anche lo stesso Draco, se si fossero trovati nella stessa situazione. Senza contare che, per dei ragazzini nati in un mondo di pace, quell’uomo venuto dalla morte costituiva una vera curiosità.





Continua…



Edited by Astry - 16/1/2011, 14:41
 
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arcady
view post Posted on 11/1/2011, 15:08




!! o l'hai pubblicato! questo primo chap lo avevo già letto ma l'ho riletto con piacere...poverino Sev che haa!??
:( ho paura che non andrà a finire bene eh? ma ci avevi avvertito...
mi piace molto l'idea di scrivere di Neville che è un personaggio poco raccontato. Trovo possa essere analizzato emotivamente un pò di più di quanto la Rowling non abbia fatto!(vabbeh non è che poteva fare un libro per ciascun personaggio..).
che dire? al solito che scrivi veramente bene e che è sempre un piacere leggerti e aspetto con ansia il seguitoooo!!! :rolleyes:
 
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» romi;
view post Posted on 11/1/2011, 17:22




Questo primo capitolo mi è piaciuto davvero molto! **
E bello vedere per una volta il caro professore godersi la vita e comportarsi quasi normalmente assieme agli altri insegnanti! Ed ovviamento l'ho trovato fantastico nel suo modo di stuzzicare la nuova professoressa di trasfigurazione, quel loro breve scambio di battute mi ha fatto scappare qualche risata! XD
Il fatto che ti soffermi su Neville piace molto anche a me, è un buon personaggio e mi piace come lo descrivi...U_u
Per quanto riguarda i figli di Harry e Draco...bè, potrei dire: "tale padre, tale figlio" tutti a impicciarsi degli affari altrui...x°DD
Molto strano quel comportamento del professore, quando ha versato male il vino. Comunque, complimenti e spero di leggere presto un nuovo aggiornamento! ^^

Baci baci,
Laura.

Edited by » romi; - 11/1/2011, 19:47
 
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Astry
view post Posted on 13/1/2011, 13:36




CITAZIONE (arcady @ 11/1/2011, 15:08) 
!! o l'hai pubblicato! questo primo chap lo avevo già letto ma l'ho riletto con piacere...poverino Sev che haa!??
:( ho paura che non andrà a finire bene eh? ma ci avevi avvertito...
mi piace molto l'idea di scrivere di Neville che è un personaggio poco raccontato. Trovo possa essere analizzato emotivamente un pò di più di quanto la Rowling non abbia fatto!(vabbeh non è che poteva fare un libro per ciascun personaggio..).
che dire? al solito che scrivi veramente bene e che è sempre un piacere leggerti e aspetto con ansia il seguitoooo!!! :rolleyes:

Che ha Sev lo scoprirai in questo secondo capitolo. Se andrà a finire bene o male… beh, tra tutte le spoilerate che ci sono state, potresti immaginarlo. Ma per sapere fino a che punto la mia mente è malata dovrai leggere fino all’ultima riga. :rolleyes:
Riguardo a Neville, è un personaggio che può dare molto, e in questa storia sarà molto presente.

CITAZIONE (» romi; @ 11/1/2011, 17:22) 
Molto strano quel comportamento del professore, quando ha versato male il vino. Comunque, complimenti e spero di leggere presto un nuovo aggiornamento! ^^

Eheheh! Che fai? Fingi di non sapere? ;)

Cap 2 Amara verità

Intanto Severus, che si era precipitato in corridoio chiudendo piuttosto bruscamente la porta dietro di sé, non era andato molto lontano. Aveva fatto appena qualche metro prima di fermarsi appoggiandosi con la schiena al muro.
Ansimava, come se avesse fatto una lunga corsa. Sollevò il braccio sinistro, fissandolo con un’espressione mista di orrore e disgusto.
La manica della tunica arrivava fino al polso, ma lui sapeva cosa avrebbe visto sotto la stoffa. Era una sensazione fin troppo familiare, qualcosa che credeva di essere riuscito a dimenticare.
Ripiegò lentamente il tessuto arrotolandolo su se stesso, e poi, con altrettanta lentezza, prese a sbottonare i polsini della camicia. La mano tremava, e il cuore sembrava volergli sfondare il petto.
Sollevò la stoffa candida e lo vide: l’orribile serpente, il simbolo della sua antica schiavitù, era tornato, come se avesse attraversato la barriera della morte per raggiungerlo e farlo precipitare di nuovo nell’inferno del suo passato.
Si piegò in avanti colto da un conato di vomito, e rimase chino, con gli occhi chiusi, cercando di riprendere il controllo. Avrebbe voluto solo urlare in quel momento, ma si portò una mano alla bocca e appoggiò l’altra al muro. Affidandosi a quelle amate pietre come avrebbe fatto un cieco, si trascinò curvo fino alla sua camera.
Giunto nel suo appartamento, chiuse la porta con la magia ed entrò in bagno. Aprì il rubinetto e prese a lavarsi il viso con l’acqua gelida, come se ciò servisse a svegliarlo da quello che sperava potesse essere solo un incubo.
Non riusciva a capacitarsene, non poteva essere reale.
Solo il ritorno di Voldemort avrebbe potuto risvegliare il Marchio, ma l’unico modo per tornare dal mondo dei morti era attraversare il Velo, ed ora che lui l’aveva distrutto, il passaggio era stato sigillato per sempre.
Forse esisteva un altro Horcrux? Il mago scosse il capo. No, non era possibile. Ammesso che Voldemort avesse creato un ottavo Horcrux, non avrebbe di certo aspettato vent’anni per tornare.
Era tutto così assurdo. Sollevò di nuovo la manica e guardò il Marchio. Non stava sognando, l’emblema del suo antico padrone era vivo e pulsante e, anche se sembrava una cosa impossibile, non poteva negare la realtà.
Magari stava solo impazzendo? Forse era un effetto collaterale del Velo? In fondo nessuno lo aveva mai attraversato prima.
Ecco, forse, dipendeva da lui, doveva essere un’allucinazione.
Un’allucinazione fin troppo dolorosa, pensò, mentre una nuova fitta lo costringeva ad appoggiarsi al lavandino e un lamento soffocato sfuggiva dalle labbra serrate.
Sollevò il viso; dallo specchio un uomo giovane gli restituì il suo sguardo.
Aveva i capelli ben curati e l’acqua scivolava sui lineamenti spigolosi formando una rete di rivoli sottili. Il volto era quello di un uomo preoccupato, gli occhi leggermente arrossati, probabilmente per la febbre. Il Marchio infiammandosi provocava anche questa conseguenza. Era come una ferita infetta.
Ciò nonostante, il Severus che aveva di fronte era molto diverso dall’uomo morto vent’anni prima. Sembrava persino più giovane.
La vita tranquilla aveva di sicuro giovato al suo fisico.
Quello appena trascorso era stato un anno sereno, il primo dopo tanto tempo.
Un anno in cui aveva imparato lentamente ad assolversi, ad accettare la sua nuova vita, senza provare sensi di colpa ad ogni respiro, ad ogni battito di cuore, come se sentisse di rubarlo alla sua Lily.
Avrebbe barattato la propria vita per quella di Lily, anche ora, ma, dopo averla finalmente raggiunta nella morte, aveva capito che oltre quella soglia non era possibile provare odio o rancore. Lily era in pace e lo aveva perdonato.
Sospirò. Per un anno si era davvero illuso di riuscire a dimenticare. In fondo un anno di serenità era più di quanto avesse potuto sperare. Più di quanto avesse mai meritato.
Un anno pieno di tutte quelle piccole cose che nella sua precedente vita aveva imparato ad ignorare, persino a disprezzare: il pranzo nella Sala Grande, una bella partita, i raggi di sole che, attraversando le vetrate istoriate dell’ufficio di Silente, proiettavano immagini colorate sulla scrivania. Tutte quelle cose che in prospettiva di un’altra terribile guerra, sarebbero tornate ad essere inutili sciocchezze.
Il pensiero lo fece rabbrividire.
Cosa sarebbe successo?
Come avrebbero potuto difendersi questa volta, se Voldemort fosse davvero tornato in vita? Un'altra fitta lo distolse dai suoi pensieri.
Si tolse la giacca e la camicia, con rabbia, quasi strappandosela di dosso. Gettò tutto in terra senza curarsene, poi, stringendosi il braccio che continuava a tremare incontrollato, se lo portò al petto, e si diresse verso la cassettiera nella stanza da letto.
Aprì con la mano destra il cassetto più in basso e afferrò una piccola fiala all’interno.
Conteneva un liquido color sangue: una Pozione preparata vent’anni prima.
Piton la fissò disgustato. Non sapeva nemmeno perché avesse deciso di conservarla e, soprattutto, portarla a Hogwarts. Ne aveva una ricca scorta nella sua casa di Spinner’s End. Dopo il suo ritorno, aveva deciso di sbarazzarsene, conservando solo quell’ultima fiala. Troppi penosi ricordi erano legati a quella Pozione. L’unica che riusciva ad alleviare il dolore del Marchio. L’unica che gli permetteva di entrare in un’aula e affrontare i suoi studenti ignorando i terribili effetti dell’ira del suo Padrone.
Si portò la fiala alle labbra, ma prima che potesse berla, un colpo alla porta lo bloccò.
“Chi è?” chiese seccato.
“Preside, sono Paciock, volevo, ecco, volevo chiederle se ha bisogno di qualcosa.” rispose una voce amabile, ma resa particolarmente acuta dall’ansia.
Severus sbuffò, posando sul ripiano del mobile la fiala con la pozione ancora intatta.
Neville, non aveva ancora imparato a non farsi prendere dal panico in sua presenza, pensò. Possibile che dopo aver affrontato Voldemort in persona, quel ragazzo ancora non riuscisse ad affrontare il suo ex insegnante?
Si alzò tenendo il braccio sinistro accostato al petto, afferrò il mantello che pendeva dall’attaccapanni e, gettandoselo sulle spalle, ne accostò i lembi in modo da nascondere il tremore.
Aprì la porta con un colpo di bacchetta e si affacciò con un’espressione minacciosa dipinta sul viso, cosa che non aiutò a far sentire a proprio agio l’incauto visitatore.
“Sì, professor Paciock?” chiese in un sibilo.
“Ecco, mi dispiace, non volevo disturbare, ma ho avuto l’impressione che stesse poco bene.”
Poi, come se si fosse ricordato tutto ad un tratto di non essere più un alunno, drizzò la schiena e affermò con ritrovata decisione: “Volevo farle sapere, che se ha bisogno di qualsiasi cosa, può contare su di me.”
Piton lo fissò confuso, mosse le labbra per rispondere, ma qualcosa attirò la sua attenzione. Sollevò lo sguardo oltre la spalla di Paciock.
Neville si voltò, cercando di capire cosa stesse guardando Piton, ma non c’era nulla in corridoio a parte una fila di armature addossate alle pareti.
Il volto di Piton passò dall’attenzione, alla curiosità, fino all’ira furibonda.
Sorpassò Neville e agitò la bacchetta puntandola verso il fondo del corridoio. Un vento improvviso gettò a terra tutte le armature, provocando un frastuono terribile.
L’insegnante di Erbologia sobbalzò, ma immediatamente, dopo lo sbigottimento iniziale, il suo volto si fece cupo, era arrabbiato e deluso al tempo stesso.
Sul pavimento un groviglio di gambe sembrava fuoriuscire dal nulla. Non fu difficile per Neville capire a chi appartenessero.
Severus si avvicinò e fece come per agguantare l’aria, ma non era aria ciò che stringeva tra le dita un attimo dopo, bensì l’antico Mantello dell’Invisibilità che apparteneva a Harry Potter.
Lo sguardo truce del preside si soffermò per qualche istante su Albus e James ancora in terra a cercare di districarsi, poi il mago rivolse l’attenzione alla terza persona che condivideva il Mantello con i fratelli Potter.
Scorpius Malfoy sembrò rimpicciolire davanti allo sguardo furente di Piton. Rimase immobile, come se un peso lo schiacciasse contro il pavimento, con la bocca aperta e gli occhi che correvano dal preside all’uomo al suo fianco, quasi implorandone l’intervento in propria difesa.
Per tutta risposta il preside regalò un’occhiata altrettanto gelida al suo ex alunno.
“Professor Paciock, voglio augurarmi che non fosse al corrente dei piani di questi ragazzi. Non vorrei trovarmi costretto a prendere provvedimenti contro un docente di questa scuola.
Neville scosse il capo confuso.
“No, certo che no, come può pensarlo?”
Ma Piton sembrò non sentirlo nemmeno. Si chinò sui ragazzi e sussurrò, la voce simile ad una lama.
“Naturalmente il vostro comportamento non resterà impunito.” poi, rivolgendosi ai fratelli Potter e accennando al Mantello dell’Invisibilità, “Questo lo conserverò io.”
Arricciò le labbra in un sorrisetto di scherno.
“A quanto pare Harry Potter non ha ancora imparato a rispettare le regole visto che permette ai propri figli di portare a scuola un oggetto che esula dal normale equipaggiamento di uno studente, oltre ad essere potenzialmente pericoloso.”
I ragazzi non risposero, ma si alzarono da terra esibendo una delle loro migliori espressioni da cuccioli pentiti, che Piton ignorò completamente, bensì, dopo aver lanciato i suoi dardi infuocati ai due fratelli, rivolse lo sguardo rovente all’altro imputato.
“Sono davvero deluso, signor Malfoy. Oggi stesso chiederò a suo nonno di presentarsi a scuola per un colloquio.”
“Mio nonno?” squittì Scorpius. “Ha capito benissimo, signor Malfoy”.
“Ma, signor preside,” intervenne Paciock. “non crede che Draco vorrebbe essere informato sul comportamento di suo figlio? Lucius è…”
“Lucius è ancora uno dei maggiori finanziatori di questa scuola; è suo interesse conoscere i nostri metodi educativi e il modo in cui vengono applicati.”
Neville guardò sconsolato i suoi alunni, ma non ribatté.
“Ora potete tornare ai vostri dormitori.” Proseguì Piton gettando sul gruppetto un’occhiata gelida.
Mentre James e Scorpius continuavano a fissarsi le scarpe, gli occhi verdi del piccolo Albus corsero al Mantello di suo padre.
Non osava implorare Piton di restituirglielo, ma la sua espressione era più che eloquente. Per tutta risposta, il preside strinse la stoffa con più forza. Un gesto istintivo, come se il desiderio dipinto negli occhi verdi del suo alunno, gli stessi di Lily, bastasse a strapparglielo dalle mani.
Il preside restò immobile, intanto che i tre giovani si allontanavano a testa bassa. Li seguì con lo sguardo finché non scomparvero dietro l’angolo del corridoio, poi, finalmente, lasciò libere le sue labbra di piegarsi in una smorfia di dolore. Il Marchio continuava a pulsare. Era come se un fuoco fluisse nelle vene, a ondate. Dandogli tregua per alcuni minuti, per poi tornare con più vigore, provocandogli degli spasmi incontrollati.
Ormai il leggero mantello che si era gettato sulle spalle non riusciva più a camuffare i sussulti del suo braccio. Così il mago era costretto ad usare anche la stoffa di quello di Harry per nascondere il tremore. Lo teneva appallottolato intorno al braccio come una sorta di cuscino.
Senza voltarsi si rivolse al suo collega.
“Credo che, per stasera, sia tutto, professor Paciock.” disse stringendo con più forza l’involucro di tessuto argenteo. Doveva resistere ancora pochi minuti, il tempo di sbarazzarsi di quella visita inopportuna. Ancora poco, poi la pozione avrebbe calmato, almeno temporaneamente, il dolore che lo stava facendo impazzire.
Neville esitò, avrebbe voluto riprendere il discorso, chiedergli di restare: era chiaro che l’uomo che aveva di fronte, infagottato alla meglio nel suo mantello, come un barbone in una coperta, non era di certo l’impeccabile e rigoroso Severus Piton che conosceva.
Poi decise che, forse, non era il caso di irritarlo ulteriormente. Gli aveva già detto quello che doveva: se il preside avesse avuto bisogno, gli avrebbe offerto il suo aiuto. Anche se, conoscendo quanto poteva essere orgoglioso Severus Piton, sapeva che non lo avrebbe comunque accettato a meno che non fosse questione di vita o di morte, e, forse, nemmeno in quel caso.
Mugugnò qualcosa che somigliava ad un saluto e si allontanò. Severus fece altrettanto: appena Paciock lo superò dirigendosi verso il fondo del corridoio, si voltò e rientrò nella sua stanza, bloccando di nuovo la porta.
Lì si sfilò il mantello e lo gettò sul letto assieme a quello di Potter.
Fu un sollievo: il contatto della stoffa sul Marchio, ne accresceva il bruciore. Distese il braccio, assaporando l’improvvisa sensazione di fresco sulla pelle nuda.
Si avvicinò alla cassettiera e afferrò l’ampolla con la pozione. Chiuse gli occhi prendendo un profondo respiro.
Se la portò alle labbra, ma si bloccò. Sollevò la fiala osservandola contro la luce della candela e le sue labbra si piegarono in una smorfia di disgusto.
Il Marchio gli tormentava la carne, ma, come se non avesse più percezione del dolore, Severus iniziò a far oscillare il piccolo contenitore di vetro, con calma, come avrebbe fatto un sommelier con un prezioso calice di vino o, piuttosto, come se stesse osservando un mortale veleno.
La pozione aveva un sapore amaro, ma non provocava particolari effetti collaterali. Agiva in pochi minuti come un semplice calmante.
Eppure berla diventava ogni minuto più difficile.
Quelle poche gocce vermiglie erano ciò che restava della sua vita passata, una vita fatta di rimorsi, ma anche di determinazione. La stessa determinazione che lo aveva spinto a creare quel filtro, simbolo della sua ribellione all’Oscuro Signore.
Un liquido che gli permetteva di opporsi al richiamo del suo padrone, di ignorare il dolore della schiavitù, di disobbedire.
Era fiero di ciò che aveva creato, ma allo stesso tempo lo odiava, perché sapeva che la sua era solo una falsa libertà.
Mitigare la sofferenza fisica non era come cancellare il Marchio. Ed ora più che mai si rendeva conto di quanto potesse essere potente il controllo di Voldemort su i suoi servi, tanto da riuscire a raggiungerli persino oltre la barriera della morte.
Avvicinò ancora la boccetta alla bocca. La mano tremò.
Se solo avesse potuto, non l’avrebbe bevuta.
Aveva l’impressione che nel momento in cui il liquido avrebbe di nuovo toccato le sue labbra, tutto sarebbe ricominciato.
Non voleva ammettere a se stesso che stava accadendo di nuovo. Bere la Pozione sarebbe stato come accettare la terribile verità: le sue catene non si erano mai spezzate.
Voldemort era ancora il suo padrone e poteva raggiungerlo persino ora.
Ci volle una nuova e più violenta fitta, tanto dolorosa da farlo cadere in ginocchio, per convincerlo ad ingoiare il filtro. Lo bevve con rabbia e poi gettò la fiala contro il muro.
Il vetro sottile esplose in una miriade di frammenti che si sparsero sul pavimento, assieme a quel poco che restava della pozione.
Severus rimase chino e ansimante per diversi secondi, fissando con orrore quelle che parevano schegge insanguinate.
Infine si alzò. Aveva un’espressione di disgusto dipinta sul volto, mentre si obbligava a distogliere lo sguardo da quel piccolo disastro e ad andare verso il letto. Si stese sopra le coperte e rimase immobile in attesa che il liquido facesse il suo dovere.


Continua…



Edited by Astry - 13/1/2011, 14:32
 
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» romi;
view post Posted on 13/1/2011, 16:56




SPOILER (click to view)
Si, sta volta faccio finta di non sapere niente...x°DD

Dunque...ç___ç Povero Severus! *coccola*
E dannato marchio del cavolo...>__< chissà che sta succedendo? U_u
Comunque, molto bella la parte finale, davvero ben descritta e reale...soprattutto per il fatto di vedere il professore così combattutto nel bere la pozione...ç_ç
Bravissima Astry! Aspetto il seguito! :fiore:

Baci baci,
Laura.
 
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Astry
view post Posted on 16/1/2011, 14:40




Ecco il terzo capitolo, tutto per romi che fa finta di non sapere...

Cap 3 Solo un incidente



Quando la porta dell’ufficio del preside si aprì, il mago seduto alla scrivania sollevò appena lo sguardo, osservando distrattamente l’uomo di fronte a lui: era alto, paludato in un elegante mantello nero, aveva i capelli chiari, resi opachi e un po’ stoppacciosi dalle molte striature biancastre. Anche il mento, una volta fiero e spigoloso, ora era nascosto da una corta barba, ben curata.
L’uomo fissò il suo ospite, studiandone l’aspetto con eccessivo interesse.
“Ti trovo bene, Severus.” Sbottò infine, piuttosto stizzito.
“Lucius!” Lo salutò l’altro, la voce era bassa e calma. Si drizzò sulla schiena, incrociando le mani davanti al mento, e lo fissò a sua volta.
“Vorrei poter dire altrettanto.” disse piegando leggermente la testa di lato.
“Beh, non sono qui per ricevere complimenti sul mio aspetto, mi pare evidente che non posso vantare più un fisico da quarantenne e non credo che tu mi abbia fatto chiamare solo per rinfacciarmelo. Cos’ha combinato Scorpius di così grave?”
“Cosa ti fa credere che lui abbia fatto qualcosa?” Chiese Piton, assumendo un tono più serio.
“Normalmente sono i genitori che vengono convocati a scuola, non i nonni. Qualunque cosa tu abbia da rimproverare a mio nipote, credo che dovrai riferirla a Draco, non ha me.”
“Dunque, devo pensare, che tu non abbia la minima idea del motivo per cui ho voluto parlarti?”
Malfoy avanzò di qualche passo.
“Dovrei?” chiese piuttosto alterato, mentre si guardava attorno con curiosità.
L’ufficio che era stato di Silente, poi di Vitius, non era stato modificato dal suo nuovo inquilino. Oggetti dalle forme bizzarre erano allineati ordinatamente sugli scaffali. Il vecchio trespolo di Fanny era ancora al suo posto racchiuso entro una campana di vetro.
Unico elemento insolito in quell’ambiente allegro e luminoso era costituito da una grande libreria in legno d’ebano, così alta da sfiorare il soffitto, e colma di libri vecchi e polverosi. Quasi una macchia nera in una stanza che pareva ancora sorridere come gli occhi del suo vecchio proprietario, la cui effige troneggiava solenne sulla parete dietro la scrivania.
Severus si alzò di scatto, girò intorno al massiccio tavolo facendo frusciare il mantello, e si avvicinò a Malfoy, il quale, abbandonato immediatamente il suo esame ambientale, tornò a rivolgere l’attenzione al preside di Hogwarts .
“Non vorrai farmi credere che non te ne sei accorto?” ringhiò Piton, sollevando la manica della tunica e mostrando all’altro mago il Marchio scuro e pulsante.
“No!” Lucius balzò indietro, come se fosse stato morso da un serpente. Poi fissò sbalordito gli occhi neri colmi di collera di Piton.
“No, non può, non è possibile” strappò con foga i bottoni dei suoi polsini e si arrotolò la manica della camicia fino a scoprire anche il proprio avambraccio.
Il cuore di Piton mancò un battito: sulla pelle diafana dell’amico non c’era nulla a parte una piccola ombra più scura, unico sbiadito ricordo del terribile Marchio Nero.
Com’era possibile? Era certo che qualche antico seguace di Voldemort stesse cercando di riportare in vita il suo padrone. Un’impresa che avrebbe definito impossibile, fino al giorno prima. Fino a quando il Marchio sul suo braccio non si era risvegliato precipitandolo nuovamente nel peggiore degli incubi.
Non si era preoccupato di capire come potesse essere successo, ma, piuttosto, di scoprire chi fosse l’artefice di un simile incantesimo.
Ora, però, non sapeva più cosa pensare. Possibile che Lucius avesse trovato qualche oscura formula magica capace di provocare un simile fenomeno? E poi a quale scopo? Se veramente qualcuno avesse voluto riportare in vita Voldemort, perché lasciare che fosse proprio il Marchio dell’uomo che lo aveva tradito per anni ad attivarsi, rivelandogli i suoi piani?
Ci fu un lungo silenzio, poi il mago più giovane si abbassò la manica e fece qualche passo indietro appoggiandosi alla scrivania.
“Cosa stai tramando Lucius?” domandò, tradendo un leggero tremito nella voce.
Le labbra di Malfoy si piegarono in una smorfia.
“Dovrei essere io a farti questa domanda, non è il mio Marchio che sta bruciando, Severus.”
Il mago bruno non rispose. Si voltò dando le spalle all’altro, e si avvicinò alla finestra.
Malfoy lo raggiunse, ed entrambi fissarono i giardini di Hogwarts.
“Non è opera mia, Lucius.” Mormorò.
“Lo spero per te.”
“Per me?” Piton si voltò lentamente e gli occhi si posarono per alcuni istanti sul profilo dell’amico, apparentemente intento ad osservare il prato. Per poi tornare a perdersi di nuovo tra gli alberi che circondavano la scuola. “Qualsiasi cosa stia succedendo, non sarò certo l’unico ad essere coinvolto.” Disse cupo.
Poi, all’improvviso scosse il capo, come per scacciare un insetto fastidioso: per un attimo, gli era parso di vedere quel lussureggiante paesaggio deturpato da terribili ferite. Così come lo aveva visto vent’anni prima. Un’immagine di Hogwarts che non avrebbe mai dimenticato. L’ultima prima di morire.
“Severus, io non voglio entrarci, anzi, non avresti dovuto chiamarmi, affatto.” Scattò Malfoy.
Piton si voltò, afferrò l’altro per il bavero della giacca con la rapidità di un serpente e lo tirò a sé.
“Tu avrai da perdere molto più di me in questa faccenda.” Sibilò, il volto a pochi centimetri da quello dell’amico.
“Lasciami!” Malfoy scansò Piton allontanandosi dalla finestra. “Io non l’ho tradito.”
“Ah no? A quanto mi hanno raccontato, tu non eri al suo fianco quando è morto. Pensi che lui accetterà le tue scuse e ti riaccoglierà a braccia aperte nella sua cerchia?”
“Lo farà.”
“Ne sei certo? Sei disposto a rischiare la vita di tuo figlio? Di tuo nipote? Sai bene che saranno loro a pagare per primi.”
Il volto del mago biondo s’irrigidì, e lui barcollò all’indietro lasciandosi cadere sulla poltrona.
Severus sollevò il mento, gli occhi ridotti a due fessure.
“Bene, vedo che sai anche essere ragionevole.”
“Cosa pensi di fare?” mugugnò Malfoy prendendosi la testa fra le mani.
Piton lo fissò in silenzio. Il volto sempre più cupo, mentre la comprensione cominciava a farsi strada nella sua mente.
“Spero di sbagliarmi, ma credo di aver capito quello che sta succedendo.” Mormorò con voce incrinata. “Se ho ragione…” Distolse lo sguardo, lasciandosi sfuggire un profondo sospiro. “…avrò bisogno del tuo aiuto.”
“Non combatterò contro di lui. Come hai detto tu, ho troppo da perdere. Non ho intenzione di morire facendo l’eroe, né di mettere in pericolo la mia famiglia.”
“Se riuscirà a tornare, non avremo nessuna speranza di fermarlo. Non ci sarà un nuovo prescelto. La profezia si è avverata e non si ripeterà.” Lo riprese con decisione.
“Allora cosa vuoi da me?”
Piton, chiuse gli occhi scuotendo il capo.
“Non lo so ancora, devo fare delle ricerche.” Si voltò e tornò a sedersi alla scrivania. “Tuttavia devo potermi fidare di te.” Sollevò il braccio con la bacchetta e richiamò un grosso volume dallo scaffale. “Forse possiamo fermare tutto questo prima che sia troppo tardi, e prima che altri lo vengano a sapere. Voldemort potrebbe avere ancora dei sostenitori.”
Su volto di Malfoy un muscolo si contrasse impercettibilmente.
“E tu non credi che ci sia qualcuno di loro dietro questa faccenda?”
“No, lo credevo fino a qualche istante fa, ma ora oserei dire che ci troviamo di fronte ad uno spiacevole incidente.”
“Un incidente?”
“Esatto, un incidente, solo un maledettissimo incidente, tuttavia altri potrebbero approfittarne. Non ho intenzione di dare inizio ad un’altra guerra: il mondo magico non sopravvivrebbe. Il fatto che sia solo il mio Marchio ad essersi svegliato potrebbe essere un vantaggio: nessun’altro dovrà sapere”.
“Per quanto tempo pensi di poterlo tenere nascosto. Quando il bruciore diverrà insopportabile, qualcuno lo noterà.”
“Questo è un mio problema, Lucius.” Disse senza guardarlo, rivolgendo invece la sua attenzione al voluminoso libro. “Ho bisogno di un po’ di tempo, ho qualcosa da fare.” Continuò distrattamente, lasciando scorrere l’indice della mano sulla pagina ingiallita, come se cercasse qualcosa in una sorta di elenco. “Ti aspetto fra una settimana a casa mia.”
“A casa tua?”
“Sì, Lucius, a casa mia.” Severus sollevò improvvisamente la testa, e fissò l’amico, con aria seccata. “Immagino che ricordi ancora dove abito.” Disse senza nascondere una punta di acidità. Poi, tornando a guardare il libro: “Ti consiglierei, inoltre, di non coinvolgere Draco in questa storia, e tantomeno tuo nipote. Quel ragazzino è un insopportabile ficcanaso, ed è sempre appiccicato al figlio di Potter.”
“Decisamente non ha preso da me.” borbottò, Lucius, infastidito.
Il mago alla scrivania sollevò nuovamente lo sguardo, osservando in silenzio il suo interlocutore. Gli occhi neri ne percorsero l’intera figura registrando ogni dettaglio.
“Non fraintendermi.” disse poi con voce calma, quasi benevola. “Non mi interessa affatto sapere con chi trascorrono il loro tempo libero i miei alunni, ma l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno in questo momento è un Potter fra i piedi.”
“Non ho l’abitudine di coinvolgere nei miei affari un ragazzino di dodici anni.”
Piton sorrise.
“E’ evidente, Lucius, che non sei mai stato un insegnante.” constatò, sottilmente divertito.
Malfoy fece una smorfia, si voltò e lasciò la stanza, mentre Piton lo accompagnava con uno sguardo malinconico.
Restò per diversi minuti a fissare la porta chiusa, finché una voce alle sue spalle, lo distolse dai suoi pensieri.
“Severus!”
Piton non si voltò, ma si prese la testa fra le mani.
“Cosa vuole?” sbuffò.
“So cosa stai pensando di fare.”
Piton arricciò le labbra e, poggiando mani sul tavolo, si rimise in piedi.
“Davvero?” chiese in tono provocatorio gettando un’occhiata sbieca al ritratto di Silente.
“Se ha un’idea migliore, le consiglio di tirarla fuori, perché io non ne ho”.
“Vorrei poterti aiutare, Severus.” Scosse il capo. “Mi dispiace”.
Piton abbassò lo sguardo, la sua era una provocazione, ma aveva quasi sperato che il vecchio mago potesse davvero indicargli una via d’uscita.
Poter parlare con lui, anche nei momenti più bui gli aveva sempre dato sicurezza. Quando tutto il mondo magico lo riteneva un assassino e un traditore, sarebbe di certo impazzito se non avesse avuto almeno il ritratto dell’uomo che considerava un maestro e un padre con il quale confidarsi. A lui si era affidato completamente, si era gettato nel baratro fidandosi solo della sua parola. Su quella parola aveva costruito la sua esistenza. Aveva una missione, uno scopo, e Silente aveva i suoi piani, e, anche se non gli aveva mai rivelato tutta la verità, quei piani erano diventati la sua sola ragione di vita.
“Non ha importanza.” Mormorò simulando un gelido di stacco, ma poi, di fronte allo sguardo colmo di tristezza di Silente, non poté fare a meno di sorridergli.
“Ce la faremo anche questa volta, lui non tornerà.” lo rassicurò, poi fissò la macchia scura sulla parete, accanto al ritratto di Silente. Era ciò che restava della cornice d’argento che ospitava la sua effige, sparita magicamente dopo che Potter l’aveva riportato in vita.
“E farò anche in modo che quella parete resti vuota ancora per molto tempo.” affermò deciso.
Il ritratto di Silente annuì, abbozzando un sorriso.
“Certo!” sussurrò, mentre l’altro aveva già lasciato la stanza portandosi dietro il voluminoso libro.





Continua…




 
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» romi;
view post Posted on 16/1/2011, 15:14




Molto bello questo capitolo!
Principalmente perchè adoro Lucius...U_U E poi perchè hai creato un dialogo molto bello fra i due personaggi **
Inoltre ti faccio i miei complimenti per come riesci a gestire bene la trama...^^ Riesci a mettere qualcosa in più in ogni capitolo, un accenno, un lieve indizio che poi porterà la soluzione solo più avanti! Davvero bravissima! *OO*
Mi è piaciuta anche la parte in cui Severus lancia un'occhiata alla parete e guarda la cornice che lo aveva ospitato quando era morto...parecchio malinconica come parte, ma descritta bene! ç__ç

Baci baci,
Laura. :fiore:
 
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arcady
view post Posted on 17/1/2011, 15:06




:rolleyes: u! me curiosa di sapere come mai solo il Sev ha il marchio dolorante!!!
è appassionante Astry!! posta presto il seguitoo!!
lo sai che ti invidio molto per il tuo bellissimo modo di scrivere? descrivi molto bene sia le situazioni che gli stati d'animo..
 
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Astry
view post Posted on 18/1/2011, 13:43




CITAZIONE (» romi; @ 16/1/2011, 15:14) 
Molto bello questo capitolo!
Principalmente perchè adoro Lucius...U_U E poi perchè hai creato un dialogo molto bello fra i due personaggi **

Ehehe, che dire? Anche a me piace Lucius, e il bello è che mi piace così com’è, insomma str…o naturale.


CITAZIONE (arcady @ 17/1/2011, 15:06) 
:rolleyes: u! me curiosa di sapere come mai solo il Sev ha il marchio dolorante!!!

Grazie dei complimenti, e visto che non hai ancora ceduto alla tentazione di sbirciare il finale, cerchèrò di postare i capitoli in fretta. Un giorno si e uno no, così non dovrai attendere molto.
Sarà una morte rapida insomma…
:rolleyes:


Cap 4 La Rosa nera



Il mago fissò la fila di boccette di vetro sullo scaffale.
Come preziosi rubini, le piccole ampolle, colme di liquido color sangue, brillavano allegramente al riflesso delle candele. Il vetro pulito e lucido dei contenitori appena riempiti, risaltava particolarmente sul vecchio ripiano polveroso.
Una ruga comparve sulla fronte del mago, mentre ammirava il risultato di una nottata trascorsa chino sul calderone: una scorta abbondante della Pozione che lui stesso aveva ideato per poter placare il dolore del Marchio.
Per prepararla aveva approfittato della stanza che era stata approntata per lui quando aveva curato il piccolo Potter.
Dopo aver ripreso il suo incarico da preside, aveva deciso di lasciare intatto quell’ambiente e di attrezzarlo come suo laboratorio personale, dato che il nuovo studio era troppo esposto alla luce e soprattutto troppo frequentato da insegnanti e studenti, per poter essere un luogo adatto al lavoro di un Pozionista.
In quella piccola stanza, invece, accanto all’aula di Pozioni, la sua ex aula, si sentiva a suo agio: lì aveva potuto lavorare indisturbato.
Aveva riempito decine di ampolle di pozione. Un lavoro lungo e faticoso, dato che quel particolare filtro poteva essere distillato solo in piccolissime quantità, e ogni volta il calderone doveva essere vuotato e ripulito prima di iniziare la preparazione di una seconda fiala.
Un lavoro che, alla luce di quello che aveva appena scoperto dopo l’incontro con Malfoy, si era rivelato un’inutile perdita di tempo.
Il mago si avvicinò allo scaffale e, appoggiando entrambe le mani al ripiano più in alto, chinò la testa sconfortato: quella pozione non sarebbe servita a molto.
Ora aveva capito, ora sapeva quello che era successo. Nessun Mangiamorte aveva cercato di riportare in vita il suo vecchio padrone.
No, il problema era lui. Solo lui e quella dannata cicatrice.
Il bruciore del tatuaggio non era una conseguenza della ricomparsa di Voldemort, ma ne era la causa. Era il Marchio ad attirare Voldemort verso la vita, e placare il dolore con una Pozione non sarebbe servito a neutralizzare il suo potere.
Eppure non voleva arrendersi: si voltò appena e gli occhi si posarono sul voluminoso libro che aveva preso nel suo ufficio. Lì c’era la soluzione.
Una soluzione drastica e pericolosa, ma non aveva altra scelta.
“E’ colpa mia.” Mormorò.
Poi, staccandosi dal mobile, afferrò il libro, lo guardò per diversi minuti, quasi temesse di sfogliarlo, e, infine, lo aprì nel punto in cui aveva inserito un pezzetto di pergamena come segnalibro.
In quella pagina c’erano le istruzioni per la preparazione di un’altra Pozione, molto più potente di quella contenuta nelle ampolle sul ripiano. L’unica Pozione in grado di neutralizzare il Marchio e di spezzare la catena che lo legava al suo padrone.
Conosceva da tempo l’esistenza di quella formula, ma non l’aveva mai usata, anche se avrebbe desiderato farlo. La sua preparazione era così complicata che un piccolo errore avrebbe potuto ucciderlo, ma non era stata la paura a fermarlo in passato, piuttosto il dovere.
Quella pozione, Severus Piton la spia non avrebbe mai potuto usarla.
Non avrebbe potuto spezzare quel legame maledetto, senza rivelare il suo tradimento.
Ora però non era più una spia, ora poteva liberarsi per sempre del suo incubo, poteva aggrapparsi al sogno che aveva accarezzato per anni.
Poteva, anzi doveva usare quella pozione, poiché rompere il vincolo che lo univa ancora al Signore Oscuro, come una catena tesa fra due mondi, era l’unico modo per salvare la propria vita.
Si portò le mani nei capelli, scuotendo il capo.
Sì, era inutile illudersi, adesso aveva capito tutto, anche Silente aveva capito, sapeva che il marchio ora non era più solo un segno di schiavitù, ma era diventato qualcosa di peggio: un orrendo filo che l’avrebbe trascinato verso il baratro succhiandogli la vita. Come il cordone ombelicale che lega un figlio alla madre morta, lo avrebbe sicuramente ucciso.
Trasse un profondo respiro, non c’era nessuna certezza che quella pozione potesse funzionare, ma doveva tentare.
Probabilmente era solo la speranza a spingerlo.
Le labbra si serrarono in una smorfia stizzita.
La speranza: una parola di cui credeva di aver dimenticato il significato, fino a quando Silente non aveva provveduto a ricordarglielo dopo che era tornato in vita.
Forse era solo pazzo.
Non era nemmeno certo di quello che stava realmente succedendo. Voldemort era morto, quella Pozione non era stata creata per un’eventualità del genere. Non era mai accaduto che si istaurasse un simile legame fra una persona viva e una morta.
Forse provando quella Pozione avrebbe peggiorato le cose.
Forse doveva solo attendere senza fare nulla.
Voldemort sarebbe potuto tornare, usando il Marchio come una sorta di richiamo per se stesso. O, forse, avrebbe attirato nuovamente a sé il proprio servo. In questo caso il mondo magico sarebbe stato salvo, ma lui?
Si morse il labbro: no, non poteva arrendersi senza combattere, in ogni caso doveva reagire.
Tenendo il libro aperto con una mano, iniziò a passare in rassegna gli ingredienti sparsi nei vari ripiani, cassetti e bauli presenti nella stanza. Tutte sostanze troppo pericolose per essere lasciate nell’aula di Pozioni, a disposizione degli studenti.
Si portò una mano sul mento, pensieroso: possedeva quasi tutto ciò che era elencato nella pagina. Almeno in quello era stato fortunato.
Mancava sono un ingrediente, ma, anche se molto raro, preferì pensare che sarebbe riuscito a trovarlo prima di aver terminato la fase iniziale della preparazione della Pozione. Ci sarebbero volute ventiquattrore, poi sarebbe potuto passare alla fase successiva. Aveva ancora tempo. Posò il pesante tomo sul tavolo, e iniziò a radunare le varie boccette sullo stesso ripiano, accanto al libro.
Accese il fuoco sotto il calderone con un colpo di bacchetta e iniziò a versare all’interno il contenuto delle ampolle che aveva posizionato più vicine a lui.
Fissò i liquidi colorati che iniziarono a vorticare velocemente senza che lui li avesse minimamente mescolati, sprigionando un enorme calore.
Come un automa, iniziò a sparpagliare sul tavolo erbe e polveri colorate. Sminuzzò le prime e, dopo averle raccolte con la lama del coltello, le gettò in un vaso di pietra, insieme a piccole quantità delle varie polveri, in dosi crescenti. Col pestello ridusse il tutto ad una pasta omogenea che versò poi nel calderone.
Il lavoro si fece frenetico: altri ingredienti dovevano essere aggiunti in successione in un brevissimo intervallo di tempo da uno all’altro. Poi la pozione avrebbe dovuto essere mescolata, con movimenti precisi e regolari.
Il mago eseguì tutti i passaggi con maestria, senza una pausa.
Mescolò la Pozione per dieci minuti, poi aggiunse altri ingredienti e di nuovo affondò il mestolo nella mistura, imprimendogli un movimento circolare, preciso e cadenzato.
Infine si addrizzò sulla schiena asciugandosi il sudore con la manica. Era stanco, ma non sarebbe rimasto seduto, in attesa. Ciò che lo aspettava era forse inevitabile, eppure non si rassegnava ad attendere passivamente. Tenersi occupato gli dava l’impressione di poter gestire la situazione; riusciva a non sentirsi impotente e, anche se le possibilità di successo erano minime, questo lo faceva star meglio.
Si scostò dal calderone per controllare una nota nel libro, intanto la pozione aveva raggiunto la giusta temperatura e doveva essere lasciata bollire per altre due ore, prima di poter aggiungere altri ingredienti.
Si accomodò sulla sedia più vicina al tavolo, e lasciò scorrere l’indice sul foglio ingiallito. C’erano delle scritte minute accanto al disegno di una pianta strana, una specie di alga scura. Era l’ingrediente mancante: l’Euriale.
Tenendo il segno col dito e senza sollevare la testa, il mago gettò un’occhiata al fuoco sotto la pozione, assicurandosi che il calore fosse sempre costante, per poi, quasi distrattamente spostare lo sguardo sulla clessidra che si trovava nello scaffale, prima di tornare a concentrarsi sulle scritte.
Euriale, o Rosa di palude, un’alga di colore nero dalle proprietà strabilianti. Usata per contrastare incantesimi molto potenti, può essere a sua volta mortale. Deve essere maneggiata con cautela. Se guardata direttamente può portare un uomo alla...
D’improvviso le dita del mago si strinsero sulle delicate pagine come gli artigli di un rapace.
Severus sgranò gli occhi, colto da un improvviso terrore.
“NOOOO!”
Il braccio scattò come se fosse legato ad un elastico e il libro fu lanciato con forza verso il calderone.
Colpì il metallo, facendo oscillare la grossa pentola che per poco non si capovolse, e cadde sulla fiamma.
Le vecchie pagine s’incendiarono immediatamente, ma Severus, dopo alcuni istanti di smarrimento, si lanciò sul fuoco afferrando il prezioso libro a mani nude.
Riuscì a farlo cadere sul pavimento e ci si gettò sopra soffocando le fiamme col suo corpo.
Si sollevò sulle braccia e fissò il mucchio di fogli accartocciati e anneriti sotto di lui.
Ansimava, incredulo. Gli occhi erano sbarrati.
Si mise in ginocchio e con delicatezza prese ciò che restava del libro. La mano tremò, e lui trattenne il respiro mentre lo sfogliava.
Finché non trovò conferma della sua paura: il libro era rimasto aperto cadendo nel fuoco e le fiamme avevano aggredito proprio le pagine che lui stava leggendo. Il foglio era in parte bruciato e alcuni passaggi della preparazione della pozione erano andati perduti.
Sì alzò da terra, tenendo il libro con entrambe le mani. Lo posò nuovamente sul ripiano, con delicatezza, lasciandolo aperto, per timore che altri frammenti di carta bruciacchiati potessero spezzarsi, portandosi via altre preziose informazioni.
Sollevò per un istante lo sguardo verso il calderone: la pozione era intatta, continuava a bollire.
Poi, gli occhi neri tornarono all’antico libro sul tavolo. Un misto di sentimenti contrastanti trapelavano dal suo sguardo, orrore, rabbia, sconforto.
Allungò il braccio e fece per toccare il libro, ma immediatamente scattò indietro come colto da una scossa, stringendo il pugno con forza.
Afferrò la bacchetta e la puntò verso la pozione.
Una bolla d’aria si formò attorno al calderone. Il fuoco si congelò, e allo stesso tempo la pozione smise di bollire e vorticare. Come se il tempo all’interno della bolla si fosse fermato, tutto divenne immobile.
Ripose la bacchetta ed uscì velocemente dalla stanza sbattendo la porta dietro di sé.




* * *




Un gruppetto di bambini del primo anno era radunato in circolo, nascondendo completamente l’insegnante di Erbologia, chinato in mezzo a loro, e intento a spiegare ai suoi alunni come maneggiare una piantina di Aneto evitando di coprirsi di fastidiose bolle. Il vegetale, molto utilizzato per creare filtri d’amore, era infatti innocuo per i babbani, ma capace di provocare forti reazioni cutanee in chiunque fosse dotato di poteri magici.
Quando la porta della serra si spalancò, una folata di vento freddo invase il locale.
I bambini si voltarono immediatamente verso l’ingresso dell’imponente costruzione di ferro e vetro. Neville Paciock spuntò fuori dal drappello di piccoli maghi, sollevandosi in tutta la sua statura. Pareva dominare sui suoi alunni, come una massiccia torre, ma sul suo volto c’era la stessa espressione stupita e un po’ intimorita dei bimbi che lo circondavano.
La snella figura del preside di Hogwarts si stagliava sulla soglia come una macchia nera contro la fredda luce del sole invernale. Severus esaminò con occhio critico gli studenti ammutoliti, lasciando scorrere lo sguardo lentamente su ciascuno di loro, prima di soffermarsi per qualche istante sul volto, ora serio e preoccupato del professore.
Fece qualche passo avanti. La corrente d’aria che attraversava l’ingresso, gonfiò il suo mantello nero, rendendolo maestoso e inquietante al tempo stesso, tanto che i bimbi reagirono istintivamente stringendosi al loro insegnante. Un movimento quasi impercettibile, ma che non passò inosservato al preside, né a Neville che sorrise posando la mano sulla spalla di uno di loro, prima di rivolgersi a Piton.
“Buongiorno, preside!” lo salutò con voce amabile.
Ma ciò che ottenne fu solo un debole cenno del capo da parte dell’altro mago che fece ancora qualche passo, fino a trovarsi a circa un metro dagli studenti.
“La lezione di Erbologia per oggi è terminata. Potete attendere in biblioteca il prossimo corso.” Disse senza guardarli, continuando a fissare Paciock.
Neville, sospirò, facendosi largo per uscire dal gruppo di bambini.
“Avete sentito? Continueremo domani con la lezione sull’Aneto. Ora potete andare.”ordinò sottolineando le sue parole con gesti delle braccia, come se volesse spingere la folla di ragazzini fuori dalla serra con le sue bracciate.
Gli studenti uscirono in silenzio.
Dopo alcuni istanti in cui i due maghi si guardarono senza parlare, Piton abbandonò la rigida postura che aveva tenuto fino a quel momento e prese a camminare fra i banchi con le mani dietro la schiena, come se stesse facendo una semplice passeggiata, seguito dallo sguardo curioso di Neville.
“Cosa sa dell’Euriale?” Disse d’improvviso, senza voltarsi.
Neville divenne cupo.
“La rosa nera di palude,” mormorò, quasi a se stesso. “E’ un’alga molto rara.”
Piton si voltò di scatto, facendo nuovamente ondeggiare il mantello.
“Bene, vedo che conosce i rudimenti. Immagino che questo sia riportato su tutti i libri di scuola.” Sbottò acido. “Mi interessa sapere se sarebbe in grado di procurarsela.”
“L’Euriale è proibita.” Evidenziò l’altro infastidito.
Le labbra di Piton si piegarono in una smorfia.
“Ne è stata proibita la raccolta, ma questo non significa che non si possa trovare, per chi ha le conoscenze giuste.”
“Certo che è stata proibita la raccolta,” continuò Neville piuttosto alterato. “Il solo guardarla può uccidere un uomo. I maghi hanno usato per anni gli Elfi domestici per procurarsi quella maledetta Alga. Gli elfi possono sopravvivere, ma molti di loro sono impazziti.”
Piton sospirò, chinò il capo e si appoggiò con entrambe le mani ad uno dei banconi stipati di vasi e recipienti colmi di terra e fertilizzanti.
“So bene che, per i suoi studi, è riuscito a procurarsi semi e piante piuttosto rare, oserei dire introvabili nei canali ufficiali.”
“Qui non si tratta di una pianta introvabile, ma di procurarmi un biglietto per Azkaban. E potrei sapere per cosa dovrei rischiare?”
“No, non può!” rispose secco.
“Beh, allora credo che sia tutto.” Concluse deciso.
Piton fremette. Le dita si strinsero come artigli sul ripiano di legno.
“Se le dicessi che è questione di vita o di morte?”
“Ha deciso di uccidere qualcuno?” domandò Neville, lanciandogli un’occhiata provocatoria.
Piton si allontanò dal bancone e fece qualche passo verso il suo interlocutore.
“Questo è possibile.” Disse, mentre un sorriso amaro si disegnava sulle labbra sottili.
“Ma temo che dovrà fidarsi unicamente della mia parola. Se cambierà idea mi troverà in laboratorio.”
Neville non ribatté, ma rimase a fissare l’uomo che si allontanava dalla serra, finché non sparì alla sua vista.





Continua…





 
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» romi;
view post Posted on 18/1/2011, 15:20




Questo capitolo è tristissimo...ç__ç La prima parte poi...T_T
Povero professor Piton, e dannata mano che agisce per conto suo! ç__ç Comunque, a parte questo, hai scritto tutto in modo impeccabile come al solito, davvero molto brava!! **
Anche la seconda parte mi è piaciuta molto, e mi è venuto da sorridere per come gli alunni hanno reagito all'entrata in scena di Severus...xD Quell'uomo è un maestro nell'incutere timore...u.ù
Comunque, ancora i miei complimenti, mi fa davvero piacere rileggere i tuoi capitoli! **
Ps: eh già, pure io lo adoro così com'è Lucius!

Baci baci,
Laura.
 
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arcady
view post Posted on 20/1/2011, 17:02




:) mi fa piacere che posterai spesso!! affascinante l'idea del braccio che si muove indipendentemente dalla sua mente!!! poverino... :(
Neville lo aiuterà? povero Severus, ho capito che questa storia non finirà bene......
 
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Astry
view post Posted on 20/1/2011, 22:19




CITAZIONE (» romi; @ 18/1/2011, 15:20) 
Quell'uomo è un maestro nell'incutere timore...u.ù

Non sai cosa darei per vedere i miei alunni, per una volta, tremare davanti a me come davanti a Piton. AAAHHH!!!! Io non faccio paura a nessunoooo!!!

CITAZIONE (arcady @ 20/1/2011, 17:02) 
Neville lo aiuterà? povero Severus, ho capito che questa storia non finirà bene......

Beh, tu che dici? Neville è sempre un bravo, eroico ed altruista Grifondoro.
Hai capito che non finirà bene? Mmm! E da cosa l’hai capito? XD

Cap 5 Il volto del nemico



La bellissima civetta bianca se ne stava sul suo trespolo godendosi la ricompensa dopo il lungo viaggio da Hogwarts: una tripla razione di biscotti.
Harry Potter non mancava mai di premiare la sua fedele compagna ogni volta che tornava con la posta.
Ginny gli rimproverava sempre di viziare l’animale, ma lui non poteva farne a meno. Si sentiva ancora in colpa per non aver potuto fare altrettanto con la sua Edvige.
Prese la lettera assicurata alla zampa della civetta con un nastro, si accomodò o, meglio, si tuffò sul divano, pronto a gustare il resoconto di un’altra settimana scolastica dei suoi figli, ma non fece in tempo a sollevare le gambe per accavallarle al bracciolo del divano, vizio che faceva andare Ginny su tutte le furie, che saltò in piedi, come se i cuscini sotto di lui avessero preso improvvisamente fuoco.
“Il mantello?” gridò mentre leggeva.
Nella lettera erano facilmente riconoscibili due grafie diverse. Albus e James erano soliti scrivere insieme. Infatti, la prima parte, in caratteri minuti e un po’ nervosi, era scritta da Albus che iniziava scusandosi con suo padre per aver preso il mantello dell’invisibilità, senza chiedergli il permesso.
Ginny, che era in cucina, uscì di corsa a vedere cos’era successo, e dietro di lei la piccola Lily che, superando sua madre, si tuffò sul divano ora libero e si posizionò con le gambe incrociate, come se si preparasse ad assistere ad uno spettacolo. Adorava ascoltare i racconti su Hogwarts che facevano i suoi fratelli, e, anche questa volta, era certa che la lettera di James e Al sarebbe stata ricca di fantastiche novità.
“Cosa è successo? Perché hai urlato?” Chiese Ginny rivolgendosi al marito.
“Al ha preso il mio mantello dal baule in soffitta e lo ha portato a scuola.” Brontolò Harry, tentando una goffa imitazione di genitore severo.
Ginny scoppiò a ridere.
“Beh, cosa ti aspettavi? E’ tuo figlio. Tu avresti fatto lo stesso. A quanto pare, voi Potter non siete molto bravi a seguire le regole.”
“Ma Ginny, quei due pivelli dei nostri figli si son fatti beccare da Piton. Assieme a Scorpius per di più.” Sulle sue labbra si disegnò un sorriso beffardo. “Cosa darei per vedere la faccia di Malfoy!” sogghignò, poi si colpì la fronte con la mano. “Accidenti, come ho fatto ad avere figli così maldestri? Credo che dovrò fargli delle lezioni su come non farsi scoprire, la prossima volta che vorranno ficcanasare negli affari del preside.”
Ginny si fece improvvisamente seria.
“Ma perché avrebbero dovuto spiare Piton?”
Harry la fissò per un attimo perplesso poi, scansando una sedia dal tavolino rotondo accanto alla finestra, si accomodò per proseguire la lettura.
La strega intanto sbirciava da sopra le sue spalle. Finito di leggere entrambi si guardarono preoccupati.
“Che c’è? Che ha combinato Al?” chiese la piccola Lily, che non riusciva a spiegarsi l’improvviso silenzio.
“Nulla tesoro.” Ginny si avvicinò alla figlia e, prendendola per mano, la fece scendere dal divano. “Ora vai in camera tua a giocare.”
“Ma mamma, io voglio sapere. Il prossimo anno dovrò andare anch’io a Hogwarts, e James non racconta mai la verità.”
“Non ora Lily.” la bloccò con freddezza. “Ti racconteremo tutto. Promesso! Ora lasciami parlare con tuo padre.”
Quando furono di nuovo soli, Ginny si sedette accanto a Harry.
“Qui dice che Piton ha lasciato improvvisamente la cena.” Mormorò il mago fissando la lettera. “Per quello i ragazzi hanno seguito Neville. Sembrava che Piton stesse male. Lui li ha scoperti e ha sequestrato il mio mantello.” Guardò Ginny pensieroso. “In effetti è strano il comportamento di Piton. Non si è presentato a tavola nemmeno l’indomani, ed ora sono già alcuni giorni che non si fa vedere in giro.”
“Ma forse sta semplicemente poco bene, magari ci stiamo preoccupando per un banale raffreddore.” Cercò di tranquillizzarlo.
Harry fece una smorfia.
“Hai mai visto Piton assentarsi per malattia?”
“No, ma…”
“E poi, se fosse solo malato a che scopo piombare nel mezzo di una lezione di Erbologia del primo anno?” continuò. “Di certo non per fare due chiacchiere con un collega. Leggi qui.” Disse indicando un punto nella lettera. “Ha annullato la lezione e ha spedito tutta la classe in biblioteca. Senza contare che dopo la faccenda del mantello ha convocato a scuola Lucius Malfoy.” si alzò di scatto. “Capisci? Ha chiamato il nonno di Scorpius, ma non ha convocato me o Draco che siamo i genitori dei ragazzi. No, secondo me, James e Al hanno ragione: se Neville è preoccupato, dev’essere successo qualcosa di grave. Andrò a Hogwarts e già che ci sono mi farò restituire il mantello.”




* * *




L’indomani Harry Potter camminava lungo il viale alberato della sua vecchia scuola, dirigendosi verso le serre.
Aveva deciso di incontrare per primo l’amico Neville, anche se sapeva che la notizia della sua visita sarebbe arrivata alle orecchie del preside immediatamente, non appena avrebbe varcato i cancelli del castello.
Voleva saperne il più possibile sulla faccenda, prima di trovarsi faccia a faccia con Severus Piton.
Neville, quando lo vide arrivare, uscì dalla serra e gli corse incontro.
“Harry, che bello vederti!” esultò stringendolo in un forte abbraccio.
Harry sorrise.
“Anch’io sono contento di vederti Neville.” disse, poi piegò leggermente la testa di lato, accennando con gli occhi alla torre in cui si trovava l’ufficio di Piton. “Ma puoi immaginare che non sono qui solo per riabbracciare un amico.”
Neville si sciolse da lui e fece un passo indietro.
“Al e James ti hanno raccontato?”
Harry annuì.
Paciock allora gli posò una mano sulla spalla e lo invitò ad entrare nella serra.
“Sai cosa è venuto a chiedermi Piton?”
L’altro scosse il capo.
“Euriale.”
Harry si bloccò, fissando Neville con l’aria di chi cerca di capire se ha appena avuto una buona o una cattiva notizia.
Paciock sorrise.
“E’ un’alga. Credo che gli serva per una pozione. Ma oltre ad essere un ingrediente proibito è anche potenzialmente mortale.”
“Pensi che voglia usarla contro qualcuno?” domandò Harry, allarmato.
“Beh, sicuramente non sta creando una pozione per eliminare i brufoli.”
Trasse un profondo respiro. “Mi dispiace Harry, non so che pensare. Certo, se stesse tramando qualcosa di poco pulito, non sarebbe venuto a cercare il mio aiuto. Pensi che dovrei procurargli quello che ha chiesto?”
Harry si morse il labbro e fissò gli occhi rattristati di Neville. “Dagli quello che vuole e cerca di scoprire cosa sta combinando. Non mi piace sospettare di lui, lo sai. Non dopo tutto quello che è successo. Non voglio sbagliare ancora.”
Neville annuì.




* * *




Nel frattempo Severus, che, come Harry immaginava, era stato prontamente informato del suo arrivo, stava percorrendo velocemente i lunghi corridoi di Hogwarts per raggiungerlo.
Era certo che Harry Potter sarebbe passato prima dall’insegnante di Erbologia, e aveva deciso di incontrarlo alle serre.
Aveva con sé il mantello dell’invisibilità. L’avrebbe restituito al suo proprietario, non senza risparmiargli una severa critica ai suoi metodi educativi.
Improvvisamente un gruppetto di studenti sbucò da un angolo del corridoio, bloccandogli la strada.
Alla vista del preside, tutti si fecero da parte, tranne uno. Continuava a urlare e saltellare davanti al mago, indubbiamente era vittima di uno stupido scherzo. Qualcuno dei suoi amici, quasi tutti di Grifondoro, doveva avergli scagliato addosso una Tarantallegra.
Severus lanciò un’occhiataccia ai ragazzi che, allineati contro la parete, sembravano volersi confondere con le pietre del muro. Poi afferrò la bacchetta e la puntò contro la loro vittima. Ma qualcosa gli impedì di pronunciare l’incantesimo che voleva per liberare il malcapitato. Le dita si strinsero con forza sul legno magico imprimendogli un brusco movimento verso l’altro.
Il ragazzo, come se fosse stato legato ad una fune invisibile, fu sollevato da terra e, sotto lo sguardo allibito dei suoi compagni e dello stesso Piton, fu scagliato con violenza verso il fondo del corridoio.
Gli amici fuggirono terrorizzati.
Severus gettò la bacchetta e il mantello che teneva sotto il braccio, e corse verso il giovane mago riverso sul pavimento.
Il cuore batteva così forte che ogni altro suono sembrò annullarsi in quel rombo assordante.
Cadde in ginocchio accanto al ragazzo, con un tonfo sordo, come se le gambe avessero perso improvvisamente la loro forza.
Lo afferrò per le spalle, sollevandolo per controllare le sue condizioni.
Era appena cosciente, ma vivo. Severus sentì l’aria tornare nei propri polmoni e quasi singhiozzò, mentre i muscoli del suo petto si scioglievano in un improvviso respiro liberatorio.
Guardò il volto del suo studente: un rivolo di sangue colava da un brutto taglio sulla fronte, rigandogli una guancia.
Si chinò, lo prese tra le braccia sollevandolo dal pavimento, e si avviò correndo verso l’infermeria.
Tuttavia, si rese subito conto che la sua corsa procurava al ragazzo dolorosi scossoni. Lo strinse con più forza, e si obbligò a rallentare il passo. Forse avrebbe dovuto trasportarlo con la magia, ma aveva lasciato in terra la sua bacchetta e non aveva intenzione di toccarla, finché non fosse stato certo che non avrebbe fatto altri danni.
Mai quel percorso gli era sembrato così lungo. Sentiva le proprie braccia tremare, mentre stringevano la vittima di quella sua involontaria magia. L’idea di potergli fare altro male lo terrorizzava. Sperava solo di raggiungere l’infermeria o chiunque avesse potuto strappargli quel ragazzino dalle braccia e portarlo al sicuro.
Improvvisamente sentì una voce alle sue spalle.
“Professor Piton! Professore aspetti!”
Harry Potter correva a perdifiato per raggiungerlo.
Severus non si voltò, esitò solo un attimo e poi riprese il suo percorso, finché Harry non lo affiancò.
In mano stringeva una bacchetta, la sua. L’aveva trovata e raccolta mentre si stava recando all’ufficio del preside, e insieme alla bacchetta aveva raccolto anche il proprio mantello.
Protese il braccio mostrandoli all’altro mago, ma subito si bloccò, non appena si accorse del ragazzo ferito tra le braccia del professore.
“Che gli è successo?” chiese e accelerò il passo superandolo, poi si voltò in modo da trovarsi proprio di fronte a lui.
Piton non rispose, ma continuò per la sua strada finché non giunse alla porta dell’infermeria. Sul volto nessun’espressione, gli occhi neri fissi nel vuoto e la mascella contratta. Harry avrebbe pensato che qualcuno l’avesse pietrificato se non fosse per il piccolo particolare che stava camminando.
Davanti all’entrata si fermò, non fece nessun gesto e non disse nulla, fu Harry ad aprirgli la porta, come se Piton glielo avesse appena ordinato col pensiero.
Entrambi entrarono nell’infermeria e lì una donna gli corse incontro.
“Preside? Cosa… cosa è accaduto?” domandò allarmata, vedendo lo studente tra le braccia di Piton. “Venga, qui, ecco… lo distenda qui.” si affrettò indicandogli il letto libero più vicino.”
Severus aiutato dalla Medistrega, sistemò il paziente sul letto, e poi fece qualche passo indietro permettendo all’altra di esaminarlo.
Dopo pochi minuti, che al mago sembrarono interminabili, lei si voltò, guardò Harry, che era rimasto in silenzio vicino all’entrata, e poi si rivolse a Piton.
“Ha solo preso un brutto colpo in testa, si riprenderà.” sentenziò con voce amabile.
Harry sorrise, mentre solo un fremito impercettibile spezzò l’immobilità di Severus.
“E’ caduto dalla scopa? Lei ha visto cosa gli è successo?” riprese la donna.
Severus mosse le labbra per parlare, ma dalla sua gola uscì un unico suono, che avrebbe dovuto essere un no, ma era più simile al rumore secco prodotto da qualcosa che si spezza.
“Questi ragazzi diventano ogni giorno più spericolati.” continuò lei, sottolineando ogni parola con ampi movimenti delle braccia, incurante della freddezza del preside. “L’ho sempre detto che bisognerebbe...”
“E’ stato un incidente.” la interruppe gelido Piton. “Mi chiami quando starà meglio.” disse voltando le spalle alla strega e dirigendosi verso l’uscita.
Guardò Potter, che a sua volta lo fissava col suo solito sguardo indagatore.
Sentì montare la rabbia. Presto, molto presto quella curiosità si sarebbe trasformata in accuse. Quanto avrebbe impiegato la notizia di ciò che era appena accaduto a fare il giro della scuola? Quanto tempo prima che Potter e, con lui, il resto del mondo magico puntassero nuovamente l’indice contro l’ex Mangiamorte?
Avrebbe dovuto Obliviare quei ragazzi, quella forse sarebbe stata una scelta saggia. Eppure qualcosa in lui si era rifiutato di farlo.
Non era solo il timore di usare la bacchetta. No, era qualcosa di peggio, qualcosa che non aveva ancora mai provato.
Lui non si era mai arreso, nemmeno quando la vita lo stava abbandonando. Anche in quel momento aveva lottato, aveva portato a termine la sua missione col suo ultimo respiro.
Ma ora no, ora stava cedendo, stava rinunciando a combattere. La scuola, il consiglio dei genitori, la sua probabile rimozione dall’incarico di preside, erano nulla di fronte all’enormità di ciò che stava per accadere. Qualcosa a cui, questa volta, non sapeva come opporsi.
A che scopo tentare di salvare un posto di lavoro, il suo nome, la sua reputazione, quando il mondo stava per sprofondare nuovamente all’inferno?
Lo avevano già ritenuto una spia e un traditore una volta. Allora aveva lasciato che ciò accadesse, lo aveva fatto volutamente perché era suo dovere. Perché c’era una ragione per farlo.
Ora la sua reputazione non era nemmeno da prendere in considerazione, visto che sarebbe stato addirittura costretto a lasciare Hogwarts se non fosse riuscito a neutralizzare il Marchio.
Ormai era diventato un pericolo per i suoi studenti.
Non si trattava più di combattere contro Voldemort, questa volta il nemico era dentro di lui, aveva il suo volto, e uccideva usando le sue mani.
Come poteva lottare se non poteva essere certo delle proprie azioni, persino della propria magia?
Harry gli si avvicinò e protese la mano con la bacchetta.
“Questa è sua!” disse riconsegnandogliela.
Piton restò a guardarla per qualche secondo, poi fece per prenderla, ma si bloccò. Le dita sfiorarono il legno magico e lui rabbrividì.
“E’ la seconda volta che recuperi la mia bacchetta, Potter.” disse gelido, cercando di distrarre l’attenzione dell’uomo dalle proprie dita che tremavano incontrollate. “Spero che non diventi un vizio!” sbuffò imponendosi di afferrare con rapidità la bacchetta e riporla nella tasca del mantello.
Sul volto di Harry Potter si dipinse un’espressione di sincero stupore. In effetti era stato lui a recuperare la bacchetta del suo insegnante vent’anni prima, e a conservarla fino al suo ritorno. Ma a Piton non l’aveva mai detto.
“Non è caduto dalla scopa, vero?” domandò accennando alla porta dell’infermeria.
“Questo non è affar tuo, Potter. Sono tenuto a spiegare l’accaduto solo ai genitori del ragazzo, e lo farò quando sarà il momento.”
“Come padre, mi interessa sapere se gli alunni di questa scuola corrono dei pericoli.” proseguì alzando il tono di voce.
“I tuoi figli sono al sicuro qui, e lo saranno ancora di più quando smetteranno di ficcare il naso in questioni che non li riguardano.” ribatté astioso. “Ah, a proposito,” le labbra si piegarono in un sorrisetto tirato. “sarà meglio se non ti presenti alla partita di lunedì, James non giocherà. Lui e suo fratello saranno in punizione per tutto il prossimo mese.” disse poi con voce melliflua e si voltò per allontanarsi.
Harry allora lo bloccò afferrandolo per il braccio sinistro. Severus, si sottrasse bruscamente alla presa, lasciando Harry disorientato per alcuni secondi.
Entrambi si scrutarono in silenzio, come due felini pronti alla lotta.
“Non sono affatto contrario, se è quello che pensa.” esclamò infine Harry. “Se hanno sbagliato è giusto che paghino. Ma conosco i miei figli: se hanno ficcanasato,” Sottolineò particolarmente l’ultima parola. “evidentemente avevano una ragione per farlo.” Concluse con veemenza
Piton si avvicinò. Harry poté sentire il suo respiro spezzarsi per la collera.
Il mago fissò i suoi occhi verdi come faceva quando era ancora suo alunno. E Harry si sentì raggelare da quello sguardo.
“Sei sempre così sicuro di te, Potter?”soffiò minaccioso.
Harry si morse il labbro, stava per fare uno dei suoi scortesi commenti. L’impulsività era stata sempre il suo peggior difetto. Non aveva mai saputo tenere a freno la lingua, cosa che gli era costata non poche punizioni quand’era a scuola. Tuttavia, non era certo per timore di un rimprovero, che decise che era preferibile moderare il suo tono.
Ora che sapeva la verità su Piton, aveva anche imparato a riconoscere certi suoi atteggiamenti. C’era il Piton brusco, chiuso e severo, quello orgoglioso e quello provocatorio, ma esisteva anche il Piton teso, tormentato, e quello disperato. Il Piton che aveva visto mentre uccideva Silente era così. Ora che lo scudo d’odio si era frantumato, riusciva a distinguere la sofferenza nel buio dei suoi occhi neri.
Era evidente come un faro nella notte. Si stupì solo di non averla vista prima.
Cosa poteva aver portato il preside di nuovo a quel punto?
Cosa poteva essere successo di così grave da indurlo a chiedere l’aiuto di Neville? E cosa tentava di nascondere riguardo al suo studente?
“Non sono affatto sicuro di me, in realtà non lo sono mai stato.” mormorò infine amareggiato. “E non sono venuto qui per mettere in dubbio la sua autorità. Sono più preoccupato del fatto che, dopo tutti questi anni, lei non abbia ancora imparato a fidarsi delle persone.”
Il professore lo guardò torvo. A Harry sembrò, in un primo momento, che volesse leggere nella sua mente, ma Piton non stava usando la magia.
“E’ evidente che nemmeno tu hai imparato, Potter.” sbuffò dopo diversi secondi.
Harry non rispose.
Severus piegò appena le labbra in un sorriso triste.
“Riprenditi il tuo mantello: non è un giocattolo, e dovrebbe essere usato per scopi migliori che spiare un insegnante.”
Fece qualche passo allontanandosi poi si voltò indietro.
“Fossi in te, lo terrei a portata di mano, potresti anche averne bisogno, un giorno o l’altro.”
Harry lo guardò andar via, con un’ombra di incredulità sulla faccia.
Le parole del preside erano forse un suggerimento o, peggio, una richiesta d’aiuto?
Decisamente la questione doveva essere più grave di quanto avesse immaginato. Se era giunto al punto di chiedere l’assistenza di Neville ed ora addirittura sembrava pensare di aver bisogno di lui. In ogni caso non si sarebbe tirato indietro.
Sapeva che Piton non sarebbe mai stato più esplicito di così: non era da lui ammettere di aver bisogno degli altri, ma promise a se stesso che non lo avrebbe lasciato combattere da solo, non per la seconda volta.





Continua…

 
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» romi;
view post Posted on 20/1/2011, 22:35




Cioè...ma Harry deve sempre farsi i fatti degli altri... .__.
Ormai che non è più ad Hogwarts sembra sempre voler stare li...che seguisse l'esempio di Neville e andasse a fare l'insegnante...=_=
Detto questo! Bel capitolo, come tutti gli altri del resto... .-.
La parte in cui Sev ha fatto del male ad un suo alunno è stata così triste...ç__ç E poi quando Harry gli ridà la bacchetta, è così incerto se prenderla o meno...>_<" Povero cucciolo...ç_ç
Vabbè dai, aspetto il prossimo aggiornamento, e ancora complimenti per questo! ^^

Baci baci,
Laura.
 
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Astry
view post Posted on 22/1/2011, 15:28




CITAZIONE (» romi; @ 20/1/2011, 22:35) 
Cioè...ma Harry deve sempre farsi i fatti degli altri... .__.

:lol: :lol: :lol: :lol:


Cap 6 Ricatti e fiducia



La stanza laboratorio era immersa nella luce tremolante del focolare. Severus era seduto di fronte all’entrata. Gli occhi fissi sulla bolla che circondava la pozione bloccata nel tempo, in attesa del prezioso ingrediente.
Le mani del mago, poggiate sui braccioli della poltrona, si strinsero sul legno come colte da uno spasmo, quando sentì bussare alla porta.
L’aprì con un impercettibile movimento della bacchetta e rimase in silenzio a fissare l’uomo sulla soglia.
Neville Paciock fece qualche passo, i lineamenti erano tesi, sembrava intimorito e determinato al tempo stesso.
Non una parola o un gesto di saluto. I due maghi si guardarono; poi gli occhi di Severus scesero a posarsi sul piccolo bauletto di metallo che l’altro teneva in mano.
“L’ha trovata?” mormorò Severus, quasi a se stesso.
Neville annuì, ma, quando l’altro mago si alzò dalla poltrona per avvicinarsi, gettò il bauletto sul tavolo e vi puntò contro la sua bacchetta.
Piton si bloccò di colpo.
“Ora se non vuole che faccia saltare in aria la sua preziosa alga, dovrà dirmi che sta succedendo.” minacciò Paciock.
Le labbra di Piton si piegarono in una smorfia e lui fece un passo indietro.
“Mi sta forse ricattando, professor Paciock?” sibilò.
Neville non rispose, ma ribadì le sue intenzioni tendendo maggiormente il braccio con la bacchetta.
Piton allora gli voltò le spalle e si diresse lentamente verso la poltrona. Stringeva la bacchetta in mano, la guardò per un attimo, muovendola distrattamente fra le dita, come se ci stesse giocando, e sorrise.
Neville era perplesso. Lo seguì con lo sguardo, poi decise di insistere con la sua richiesta.
“Ho il diritto di sapere.” ringhiò. “Non è stato facile trovare l’Euriale. Ho rischiato grosso per lei. Senza contare che ho dovuto barattarla con qualcosa di altrettanto raro in mio possesso. E lei non si degna nemmeno di dirmi per che cosa sto rischiando di finire ad Azkaban.
“Ha paura, signor Paciock?” chiese Severus. La voce del Preside era mortalmente bassa, mentre continuava a voltare le spalle all’insegnante di Erbologia.
“Affatto! Non ho paura di rischiare, ma voglio sapere per che cosa lo faccio.” disse orgoglioso l’altro, sollevando il mento. Poi piegò la testa di lato: “Sa di aver attirato l’attenzione con quello che è successo ieri?”
Piton s’irrigidì.
“Oh, sì, l’ho saputo.” continuò. “Un preside che aggredisce un proprio alunno, senza alcuna ragione apparente, non è cosa di poco conto. La voce si sta spargendo per tutta la scuola, e non si fermerà all’interno delle sue mura. Se ha deciso di andare a fondo, io non voglio essere trascinato con lei, a meno che non sia per una buona ragione.” Fece qualche passo girando intorno al tavolo. Il braccio con la bacchetta sempre puntato allo scrigno.
“L’incidente susciterà un polverone e questo vorrà dire: gente che ficcherà il naso dappertutto. Controlleranno i suoi collaboratori, tutti quelli che prestano servizio a Hogwarts. Cosa penseranno, se dovessero scoprire che un insegnante ha introdotto a scuola un ingrediente proibito e potenzialmente mortale?”
“Probabilmente, penseranno che quell’insegnante è complice del preside che aggredisce i propri alunni, signor Paciock.” rispose Piton con una smorfia, voltando appena la testa per guardarlo.
Ci fu un lungo silenzio, poi Severus ripose la bacchetta e prese un profondo respiro.
“Bene, vuole sapere quello che sta succedendo?” disse gelido. “L’accontenterò.”
Neville lo fissò incredulo, non si aspettava che Piton cedesse così facilmente.
Infatti continuò a tenere sotto tiro lo scrigno che conteneva l’Euriale.
L’altro diede un ultimo uno sguardo alla poltrona sulla quale era seduto poco prima, poi si voltò e prese ad arrotolare la manica della tunica. Con lentezza, sollevando di tanto in tanto lo sguardo sul suo visitatore. Sbottonò i polsini della camicia e arrotolò anche quella.
L’avambraccio era avvolto in una fasciatura. Le misture di erbe usate per lenire il dolore rendevano scure le bende. Piton, infatti, aveva deciso di smettere di prendere la vecchia pozione. L’impiastro spalmato sulla cicatrice del Marchio era meno efficace, ma gli avrebbe permesso di controllare meglio le sue improvvise reazioni violente: se la magia di Voldemort avesse nuovamente preso il controllo su di lui, il bruciore sarebbe aumentato, dandogli, forse, la possibilità di allontanarsi in tempo o di avvertire i presenti, in modo che potessero impedirgli di fare ancora del male.
Neville fissò inorridito il braccio del preside.
Aveva già capito di cosa si trattava, ancora prima che Piton finisse di sciogliere la fasciatura. Tuttavia sperò fino all’ultimo di sbagliarsi: pregò di non vedere l’orribile tatuaggio sotto le garze.
Ma la sua speranza si infranse quando l’ultimo brandello di stoffa cadde sul pavimento.
Il Marchio era nero, e la pelle intorno era arrossata e gonfia. Sembrava una ferita infetta.
A quella vista Neville barcollò all’indietro e il braccio con la bacchetta ricadde al suo fianco come se non avesse più forza.
“Voldemort! Lui… lui è tornato?” balbettò.
“No! Non ancora per lo meno.” disse cupo, Piton. “Ma lo farà se non riusciremo a fermarlo.”
“E l’Euriale lo fermerà?”
Piton abbassò la manica nascondendo di nuovo il tatuaggio.
“La Rosa nera è l’ingrediente fondamentale di una Pozione che dovrebbe neutralizzare il Marchio, spezzando la catena che mi unisce a lui e che lo sta trascinando verso la vita,” strinse le labbra sottili piegandole in una smorfia. “No!” scosse il capo. “E’ più giusto dire che trascina me nel vortice della sua oscura magia.” si corresse.
“Ma il Marchio non può richiamare una persona. E’ solo un avvertimento, no? Io… io credevo che Voldemort lo usasse per far sapere ai Mangiamorte che dovevano presentarsi al suo cospetto.”
Piton sospirò.
“Il Marchio è molto più di questo. E’ potere, è Magia oscura. E’ il suo potere malvagio che diventa parte della persona che lo riceve, come un’infezione, una malattia. Era usato come richiamo, ma, attraverso di esso, il Signore Oscuro poteva anche controllare i propri adepti, punirli, spiarli, e, soprattutto, invadere e sporcare la loro anima come un morbo.” spiegò pacato: i suoi lineamenti, tuttavia, erano tesi e gli occhi ardevano di rabbia e odio per la sua scelta scellerata di farsi marchiare.
“Ma lui è morto! Non può tornare. Il velo è stato distrutto, come è possibile?” pigolò, Neville. La voce era resa improvvisamente acuta e infantile dall’ansia.
Piton chiuse gli occhi.
“La sua magia è ancora viva, anche se il suo corpo non c’è. Non ci sono Horcrux, la sua anima non c’è più, ma il suo potere è rimasto, la magia di Voldemort è nel Marchio, lui è nel Marchio,” Riaprì gli occhi. “ed ora si sta svegliando dentro di me.” mormorò e le parole si spezzarono in gola.
“Non può essere, non… non deve tornare, dobbiamo fermarlo.” Disse Neville scuotendo il capo.
“Potrebbe essere più complicato di quanto pensa, signor Paciock.” sbottò il preside gettando sull’altro un’occhiata caustica.
Neville fece un passo avanti e strinse i pugni con rabbia. “Io l’aiuterò. Farò tutto quello che è in mio potere per fermarlo. Non ho paura. Sono pronto a combattere, come l’ultima volta.” ribadì con decisione.
Piton lo afferrò per le spalle. “Questa non sarà come l’ultima volta.” soffiò a pochi centimetri dal viso del suo ex alunno. “Non vedremo ricomparire il Signore Oscuro in una nuvola di fumo, non ci saranno resurrezioni da un calderone, né fantasmi, né frammenti di anima da distruggere…” Esitò, mentre un lampo attraversava le sue iridi scure. “… né serpenti da uccidere.” sussurrò.
Lo lasciò di colpo facendolo barcollare all’indietro e si artigliò il braccio con rabbia.
“Ora lo so, l’ho capito quando ho perso il controllo. Quando ho ferito il ragazzo. Sarà la sua magia stessa a prendere vita e coscienza. Già ora è riuscita a controllarmi e usarmi. E’ come se cercasse di ricongiungersi al suo proprietario, ma fosse nello stesso tempo già completa. Voldemort non sta tornando, è la sua Magia che sta diventando viva.”
“Io…” Neville abbassò lo sguardo sconsolato. “Mi dica quello che devo fare e lo farò.”
Piton non disse altro, fece qualche passo, avvicinandosi al tavolo su cui Paciock aveva poggiato lo scrigno.
Neville si fece da parte per permettere al preside di prendere l’Alga, ma Piton protese il braccio con la bacchetta e un raggio colpì il contenitore che esplose in una miriade di frammenti.
“E’ impazzito?” gridò Neville.
L’altro arricciò le labbra e puntò di nuovo la bacchetta, stavolta contro un vaso sul piano più alto dello scaffale.
“Non è mia abitudine cedere ai ricatti, signor Paciock,” disse, poi, muovendo appena il legno magico come se stesse disegnando nell’aria un piccolo cerchio, pronunciò: “Transmigro Rosam Nigra!”
Mosse di nuovo la bacchetta come tracciando un percorso e la puntò su un contenitore pieno d’acqua sistemato sul tavolo. Un oggetto scuro, la cui forma ricordava la corolla di un fiore, comparve all’interno facendo tracimare un po’ dell’acqua contenuta nel bacile.
“L’ha spostata! L’Euriale non era più nello scrigno.” Neville si sentì uno sciocco, ma nello stesso tempo era felice. Felice di sapere che Piton si era confidato perché voleva farlo e non a causa del suo stupido ricatto.
“Un incantesimo piuttosto semplice, professor Paciock, mi meraviglio che non ci abbia pensato.”
“Ma io credevo che a Hogwarts non fosse permesso…”
“Ho eliminato alcuni incantesimi di protezione, compreso quello Anti-Smaterializzazione. Dato che il pericolo, al momento, si trova all’interno della scuola, ho ritenuto opportuno, piuttosto che tentare di impedire a qualcuno o qualcosa di entrare nel castello, fare in modo che sia più facile e rapido uscirne.”
“Capisco, ma allora perché…”
“Perché le ho rivelato la verità?” lo anticipò. “E’ semplice: lei mi serve. Ho bisogno del suo aiuto per preparare questa pozione.”
Neville si morse il labbro e guardò incerto il bacile sul tavolo, non osava avvicinarsi, anche se sapeva che, vista attraverso la superficie dell’acqua, l’Euriale non poteva nuocergli.
“Il mio aiuto? Ma lei sa che le pozioni…”
Piton sorrise. “Se sta cercando di ricordarmi di non essere portato per la materia, non sarà necessario. Ricordo benissimo i suoi fallimenti scolastici.”
Neville emise un brontolio di disappunto e, distogliendo lo sguardo dal suo ex insegnante, prese a fissare un barattolo sullo scaffale che conteneva una cosa viscida e verdognola.
“Non dovrà occuparsi della pozione, a quella penserò io.” Continuò il preside. “Lei dovrà solo impedirmi di distruggerla.”
Gli occhi di Neville tornarono a posarsi su di lui, erano spalancati per lo stupore.
“Ma cosa vuole che faccia?” domandò allargando le braccia, sconfortato.
“Sì accorgerà da solo se e quando sarà necessario un suo intervento.” rispose asciutto.
Paciock annuì semplicemente, si voltò e andò ad accomodarsi sulla poltrona, mentre Piton iniziava a tagliare l’Euriale tenendola immersa nell’acqua.
Lavorò alla Pozione per circa un’ora.
Dopo aver eliminato la bolla temporale che circondava il calderone, il liquido all’interno riprese a bollire e borbottare rumorosamente.
Piton vi aggiunse altri ingredienti, mescolando con attenzione. Poi puntò la bacchetta verso il recipiente che conteneva la Rosa Nera ora sminuzzata in striscioline sottili.
Senza guardare, pronunciò l’incantesimo di spostamento e alcuni pezzetti di Euriale si materializzarono direttamente all’interno del liquido gorgogliante.
Neville, intanto aveva passato in rassegna con lo sguardo tutte le piccole ampolle allineate sullo scaffale, aveva studiato con attenzione uno strano occhio che galleggiava in un vaso di vetro posizionato nel ripiano più in basso. Aveva imparato a memoria i nomi scritti a mano su almeno altri dieci piccoli contenitori, e infine aveva preso a tamburellare nervosamente con le dita sui braccioli della poltrona. Fare la balia a Piton mentre cucinava non era esattamente ciò che intendeva quando si diceva pronto a combattere. Inoltre, l’odore della pozione era tutt’altro che piacevole.
Aveva appena iniziato a muovere ritmicamente anche i piedi, quando un rumore di cocci rotti attirò la sua attenzione. Tuttavia non ebbe il tempo di sollevare lo sguardo che sentì Piton gridare:
“Noooo, non guardi.”
Un muro d’acqua lo investì. Dopo un attimo di smarrimento, Neville capì che era stato evocato dal preside per impedirgli di guardare direttamente l’Euriale che giaceva sparsa a terra, assieme ai frammenti del vaso che la conteneva.
Ma non era finita, Piton, subito dopo aver fatto l’incantesimo per proteggerlo, puntò la bacchetta verso il basso e l’Euriale fu come agganciata e volò contro Paciock che poté solo ripararsi gli occhi.
“Si fermi!” Gridò, tenendo le mani davanti al viso, poi tornò a guardare Piton, facendo attenzione a non abbassare lo sguardo, immaginando che il pavimento dovesse essere cosparso della pericolosa Alga. Severus si era voltato e si dirigeva verso il calderone, di certo con l’intenzione di rovesciarlo.
Paciock puntò la bacchetta.
“Stupeficium!”
Il preside crollò a terra con un tonfo sordo.
Neville ansimava ed era completamente sconvolto, le dita strette con forza sul manico della bacchetta fin quasi a spezzarla. Nonostante le spiegazioni di Piton, non si aspettava una cosa del genere.
Si chinò sul mago svenuto e, afferrandolo per le spalle, lo trascinò in un angolo della stanza. Poi ripulì tutto e fece sparire l’Euriale dal pavimento immergendola nuovamente in un bacile pieno d’acqua.
Tornò infine ad occuparsi di Piton.
Cadendo aveva battuto la testa. Aveva un piccolo taglio sulla fronte che Neville si preoccupò di pulire dal sangue, prima di allontanarsi di qualche passo e puntare ancora la bacchetta su di lui.
“Incarceramus!”
Corde magiche comparvero dal nulla e avvilupparono il mago come sottili serpenti.
“Innerva!”
L’uomo in terra batté le palpebre e si mosse appena, emettendo un flebile gemito.
Ci volle qualche secondo perché Severus si rendesse conto di essere immobilizzato. Sollevò la testa e guardò le corde che lo stringevano, poi rivolse uno sguardo interrogativo al mago in piedi al suo fianco.
“Mi dispiace! Aveva perso il controllo.” mugolò Paciock.
“La pozione…”
“E’ salva.” Lo rassicurò.
Piton tornò ad appoggiare il capo sul pavimento sciogliendosi in un sospiro di sollievo.
“Ha agito bene.” mormorò.
Neville sorrise, poi alzò il braccio tornando a puntare il legno magico.
“Dif…”
“No!” gridò Piton. “Non mi liberi! Non è prudente.” parlava con fatica, Neville immaginò che fosse per via del dolore al braccio.
“Ma la… la pozione?” balbettò.
“Dovrà pensarci lei, io la guiderò.”
Neville fissò il suo ex insegnante con la bocca spalancata. Il preside gli stava davvero chiedendo di terminare la pozione al suo posto?
“Lei dev’essere impazzito, io non posso preparare quella pozione, un minimo errore e potrei ucciderla.”
“Allora mi auguro che farà molta attenzione, signor Paciock.” ribatté Piton con voce glaciale.
Neville guardò il calderone e poi di nuovo Piton chiedendosi quando si sarebbe svegliato da quello che doveva essere certamente un incubo.





Continua…





 
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» romi;
view post Posted on 22/1/2011, 16:33




Mio splendido eroe Paciock! *gli salta addosso*
Si ok...è un personaggio che mi piace...e il fatto che c'è molto in questo capitolo mi fa saltellare di felicità...u.ù
Detto questo, povero Severus...ç__ç E sempre peggio con la storia del suo braccio... .__.
Oddio, povero Neville, oltre a fare da balia al caro prof, dovrà pure mettersi a fare la pozione...XD
Comunque, complimenti come al solito, scrivi sempre molto bene! **

Baci baci,
Laura.
 
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42 replies since 10/1/2011, 16:30   610 views
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