Severus Piton & Alan Rickman Fan Forum

2015- The Muggle War

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Natalie_S
view post Posted on 26/12/2010, 16:04




Ciao!
E' la prima fanfiction che pubblico qui, quindi spero di non contravvenire a nessun regola o aver sbagliato sezione. :unsure:

E' una storia con protagonista Piton :pit4: , ambientata in un ipotetico futuro parallelo in cui Voldemort ha vinto e ucciso Harry Potter e più o meno tutti gli altri.

Ho usato i nomi originali perchè, scusate, ma proprio non mi piace come li hanno tradotti in italiano. :sick:

Buona lettura!!



Londra, 2015




Il crepuscolo stava calando sulle vie di Camden Town: pochi passanti impauriti si affrettavano verso le loro case, i negozi erano chiusi da un pezzo.

Il celebre mercato col passare degli anni si era rimpicciolito fino a poche sparute bancarelle; del resto Londra non era più un posto per turisti.

Da quando era iniziata la guerra, che ormai che ormai dilaniava la nazione da quasi vent’anni, la gente non viaggiava che lo stretto necessario.

Un uomo con un pesante cappotto nero si dirigeva verso la vecchia stazione della metropolitana; nella tasca portava un pacchetto di naftalina. Si era arrischiato nella vecchia Londra babbana per procurarsi la materia prima per uno dei suoi esperimenti, visto che dalle sue parti non veniva prodotta.

La città era devastata, aveva considerato il mago con orrore: raramente usciva di casa, aveva cercato di ignorare il lento ma inesorabile declino della popolazione umana. Da molti anni non si spingeva in uno dei quartieri babbani, specialmente da quando le tecnologie di localizzazione di attività magica si erano diffuse.

Non che avesse paura, questo no: era abbastanza potente da sbarazzarsi facilmente di qualsiasi poliziotto o Sentinella che avesse trovato sul proprio cammino, ma non voleva grane.

Non appena Voldemort aveva conquistato il potere sulla comunità magica, aveva iniziato a sterminare tutti i maghi babbani di nascita, poi aveva attaccato gli umani.

Sarebbe stato facile, tutta la tecnologia di cui gli omuncoli erano tanto orgogliosi non avrebbe potuto fare nulla contro una potente magia oscura, aveva pensato il dittatore.

E questo era stato il suo grande errore di valutazione, il primo dopo che anni e anni prima aveva perso il potere a causa di un bambino in fasce.

Mai sottovalutare il nemico, per quanto debole possa sembrare.

I babbani non avevano poteri magici, è vero, ma erano abituati da millenni ad arrangiarsi nei modi più impensati per far fronte alle minacce.

La magia interferiva con il loro mondo, tutti i maghi lo sapevano da anni.

I congegni elettronici andavano in tilt in un ambiente saturo di attività magica, come era a conoscenza ogni ragazzino di Hogwarts che aveva provato a portarsi un walk-man a scuola.

Trasformare una semplice radiolina tascabile in un radar anti mago non aveva richiesto più di un paio di settimane; studiare i campi magnetici per costruire giubbetti che proteggevano dalle maledizioni senza perdono aveva richiesto qualche anno, ma in generale gli umani si erano dimostrati un nemico combattivo e per nulla rassegnato a soccombere.

E poi c'erano le Sentinelle.

Un colpo di vento gelido sferzò il volto del mago, che si levò una ciocca di capelli grigi dagli occhi e alzò il bavero del cappotto fin sopra le orecchie.

Ormai era giunto davanti alla stazione della metropolitana: avrebbe potuto materializzarsi a casa, ma un'attività magica così evidente avrebbe mandato in allarme tutti i rilevatori nel giro di un miglio e non gli andava di attirare l'attenzione.

Una ragazza con l'uniforme della guardia civile babbana pattugliava l'entrata.

Da quando Lord Voldemort era salito al potere l'ammissione a Hogwarts era stata concessa soltanto ai bambini con almeno un genitore di sangue magico, e nessuno si era più preoccupato di localizzare la magia nei ragazzini babbani di nascita.

Questo era stato il secondo errore.

Qualche anno prima, gli umani avevano capito che anche loro potevano accedere a una risorsa di energia magica: si diceva che i pochissimi maghi nati babbani che erano scampati al genocidio avessero iniziato a addestrare le nuove reclute.

L'accademia della guardia babbana non aveva nulla a che vedere con Hogwarts: nei tre anni di addestramento i giovani soldati imparavano le nozioni base di autodifesa, magica e babbana, e naturalmente le maledizioni senza perdono.

Dopodiché veniva loro assegnata una rudimentale bacchetta, una pistola anti incantesimi scudo, un giubbetto anti-kedavra e venivano mandati in missione senza troppi complimenti.

Il mago guardò la ragazza di guardia davanti all'entrata della stazione: come tante Sentinelle era molto giovane, poco più di una ragazzina. Aveva il volto pallido e un po' scavato, con una ruga precoce in mezzo agli occhi.

Avrebbe potuto essere una delle sue allieve, quando tanto tempo prima era stato un professore.

-Buonasera- fece il mago passandole accanto.

Lei rispose con un cenno del capo e un accenno di sorriso.

Buffo, probabilmente la Sentinella si era appena lasciata sfuggire uno dei maghi più potenti di tutti i tempi, nonché uno dei principali responsabili dell'ascesa del Signore Oscuro.

La stazione era deserta: il mago cercò il biglietto nella tasca del cappotto.

Di colpo un rumore attirò la sua attenzione verso l'entrata: un chiassoso gruppetto di uomini col mantello nero, chiaramente maghi, si stava dirigendo verso la Sentinella. Quattro maghi violenti e ubriachi che seminavano il panico nei quartieri babbani, sfasciando vetrine, uccidendo poliziotti e guardie civili.

Un attacco inutile e piuttosto vigliacco, come tanti che venivano riportati ogni giorno sui giornali, pensò.

Puntavano dritto al loro bersaglio, e non avevano fatto caso alla sua presenza.

Il mago osservò la Sentinella impallidire ulteriormente e portare la mano alla fondina della pistola.

-Controllo prego- disse la ragazza in tono pratico e professionale, ma che tradiva un lieve tremito.

I maghi scoppiarono a ridere. Ormai l'avevano già accerchiata.

Senza preavviso, la Sentinella estrasse la pistola e fece fuoco, colpendo uno degli assalitori al torace. Prima che avessero il tempo di reagire, si voltò e sparò a un altro alla spalla. A quel punto però gli altri due si erano riscossi: estrassero la bacchetta e puntandola verso la ragazza esclamarono all'unisono -Avada Kedavra-.

Tutti gli allarmi della stazione iniziarono a squillare, il rumore perforava le orecchie.

La Sentinella cadde a terra, incosciente: indossava il giubbetto che riparava dalle maledizioni senza perdono, tuttavia un attacco così violento l'aveva quasi distrutto. Il prossimo colpo sarebbe stato fatale.

Il vecchio assisteva alla scena combattuto: certo non si sarebbe messo ad aiutare la guardia babbana, tuttavia si rendeva conto di quanto quella fine fosse ingiusta.

Uno dei maghi colpiti era ancora a terra, lo sguardo fisso rivolto al soffitto, probabilmente morto; l'altro, stringendosi la spalla sanguinante, urlò all'indirizzo dei compagni: -Che state aspettando?-.

Uno dei due si avvicinò alla ragazza e puntò la bacchetta, pronto a lanciare l'incantesimo per ucciderla.

Lui agì d'istinto: bastò un incantesimo non verbale e un gesto della mano per disarmare gli assalitori, che si guardarono intorno sconvolti.

-Chi … chi... è stato?-

Un altro gesto veloce e furono tutti fuori combattimento.

Si avvicinò alla ragazza che giaceva a terra, respirando a stento e tossendo sangue: si guardò intorno, non c'era nessuno, non sarebbe sopravvissuta a lungo se l'avesse lasciata lì.

Un secondo più tardi, erano entrambi spariti.

Gli allarmi continuavano a squillare, come impazziti.



Il mago si sedette su una poltrona davanti al fuoco ancora alto: aveva passato tutta la notte a curare la Sentinella ferita, ora fuori pericolo.

Era messa male, aveva avuto paura che non avrebbe superato la notte, ma a quanto pare era ancora un ottimo guaritore.

Osservò la ragazza: sembrava gracile e indifesa, ma aveva già parecchie cicatrici sotto il giubbetto.

Questa storia delle Sentinelle era assurda, un mucchio di ragazzini mandati allo sbaraglio in una missione suicida.

Guardò fuori dalla finestra, l'alba stava sorgendo sulla collina accanto alla sua casa, un'enorme villa a nord di Londra.

Gliel'aveva assegnata il Signore Oscuro, come una quantità esagerata e inutile di ricchezze e l'offerta delle più alte cariche dello stato, che naturalmente aveva rifiutato. Voleva solo ritirarsi e passare il resto della sua vita lontano dal mondo, con i suoi libri, le sue pozioni, in santa pace.

Severus Snape sentiva di aver già fatto abbastanza.

Stava per voltarsi quando sentì la punta della propria bacchetta contro la giugulare.

-Ok, nonno. Prova a muoverti e sei morto-.



Liz aprì gli occhi, e vide una stanza sconosciuta. L'aria era calda, il fuoco scoppiettava nel caminetto.

C’era uno strano odore, notò, come in un'erboristeria.

Dove sono?

Percepì di non essere sola nella stanza e cercò di alzarsi senza fare rumore: il dolore al petto, tuttavia, la colpì come una coltellata.

Si accorse di avere il petto fasciato strettamente: probabilmente aveva un paio di costole rotte, considerò, nonché tagli e bruciature varie. Aveva anche la testa bendata e dolorante.

Osservò la persona dall'altro capo della stanza: era chiaramente un mago, alto, con dei vestiti neri che accentuavano la sua aria lugubre.

Sembrava il padre di Alice Cooper.

Era solo? C'erano altri maghi nelle vicinanze?

Devo andarmene da qui, pensò. Notò che il finto Alice Cooper aveva lasciato la bacchetta sul tavolino. Che scemo.

Si costrinse ad alzarsi il più silenziosamente possibile: afferrò la bacchetta, si avvicinò al mago di soppiatto e prima che si accorgesse di qualcosa gliela puntò al collo.

-Ok, nonno. Prova a muoverti e sei morto-.

Il mago alzò appena la mano e Liz si ritrovò scaraventata dall'altra parte della stanza, disarmata.

Diede un gemito: tentò debolmente rialzarsi, ma il torace le faceva troppo male. Toccò le bende sul fianco, poi osservò la propria mano macchiata di sangue.

-Ti consiglio di muoverti il meno possibile, o renderai vana tutta la mia fatica per salvare la tua piccola inutile vita-

Liz notò confusamente che il tizio non era per niente scomposto, solo altezzoso e molto scocciato.

-Chi sei? Dove siamo? Cosa vuoi da me?- boccheggiò: non riusciva a respirare bene.

-Certe volte mi domando davvero se esista, questa civiltà per cui combattete...- il mago agitò brevemente la mano nella direzione di Liz e lei si sentì sollevata fino a tornare su quella specie di tavolo operatorio su cui si era svegliata.

Lo sconosciuto iniziò metodicamente a sciogliere la fasciatura sul fianco fino a rivelare un taglio profondo che a quanto pare si era appena riaperto.

-Cosa vuoi da me?- ripeté Liz.

-Che tu chiuda quella fastidiosa bocca tanto per cominciare- sibilò il mago prendendo una sostanza puzzolente da una ciotola e spalmandola sulla ferita.

Bruciava terribilmente. Lei trattenne il respiro, reprimendo una parolaccia.

Il mago cantilenò qualche frase sottovoce, poggiandole le mani sul fianco: con stupore, Liz percepì il sangue smettere di uscire e i lembi del taglio rimarginarsi miracolosamente.

-Come hai fatto?- mormorò affascinata, senza riuscire a distogliere lo sguardo dalla ferita.

- C'è una ragione per cui ci chiamano maghi, sai. Usiamo la magia. - borbottò lui.

Liz lo guardò negli occhi, notando che erano neri e profondi: -Sappi che non ti darò assolutamente nessuna informazione- affermò seria.

Lui rise senza allegria: -Pensi davvero di sapere qualcosa che potrebbe interessarmi? O che non potrei costringerti a dire se volessi? Che creature presuntuose, questi babbani!-

La ragazza sbuffò: il tizio non sembrava pericoloso, ma le dava un po’ sui nervi: -Perché mi hai salvata?-

-Un impulso dettato dalla coscienza, di cui già mi sono pentito. Ora taci e stai ferma, o le bende non reggeranno per molto. -

Mentre era occupato a sostituire la fasciatura, Liz lo osservò bene per la prima volta: aveva una sessantina d’anni o giù di lì, portava i capelli grigi un po' lunghi, il naso aquilino. Sembrava non vedesse il sole da anni.

-Come ti chiami?- domandò burbero.

La ragazza esitò: il mago sembrava benintenzionato anche se certamente non gentile, ma del resto la prudenza non era mai troppa...

-Ah, che sciocchezze non essere ridicola!- sbuffò lui. Liz come l'impressione che le leggesse nel pensiero.

-Mi chiamo Liz- rispose infine -E tu?-.

-Severus Snape - rispose, guardandola negli occhi. Sembrava aspettarsi una qualche reazione. Mai sentito nominare.

-Allora... ehm, Severus, dove ci troviamo?- domandò lei, guardandosi attorno. I muri erano coperti di libri, perlopiù dall'aria antica e consunta; c'erano anche parecchi scaffali pieni di provette, bottiglie, sacchetti di erbe e strani sassi. Accanto al caminetto erano accatastati parecchi calderoni di varie misure. Si sarebbe detto il laboratorio di un alchimista. Allora era questo l'aspetto delle case dei maghi? O era lo studio di un loro medico? Cercò di memorizzare il più grande numero di particolari possibile, ma le girava la testa e concentrarsi era molto difficile.

Snape incominciò a esaminare le costole: -Cerca di fare uno sforzo e capire che se non stai zitta e immobile peggiorerai solo la tua situazione. - fece.

La ragazza alzò gli occhi al cielo, infastidita: perché iniziava una conversazione, se poi non voleva parlare?

-Siamo nel mio studio, comunque- aggiunse dopo un istante -Stai tranquilla, non c'è nessun altro in casa... bevi questo -. La bevanda era disgustosa, e l'odore ricordava parecchio la sostanza che aveva messo sul taglio.

Improvvisamente Liz si riscosse: -Devo avvisare che sono viva! In caserma... staranno pensando che mi hanno polverizzata o chissà che...-

-Poco male. Quando tornerai si convinceranno che non è andata così-

-Ma non posso sparire così… -

- Be’ in questa casa non ci sono certo telefoni o imeil, o qualche altra delle vostre diavolerie babbane. Perciò o cerchi di tornare a casa a piedi per annunciare la tua salvezza, probabilmente non sopravvivendo al tentativo, o stai ferma per una buona volta e mi permetti di sistemare la confusione in cui al momento si trovano i tuoi organi interni-.

Un lungo momento di silenzio. Liz per un istante si aspettò di vedere un cespuglio di erba mobile passare al centro della stanza.

Si sentiva molto stanca e debole, gli occhi le si stavano chiudendo....

- Severus...?- incominciò, già mezza addormentata.

La voce del mago suonava lontana ma inequivocabilmente infastidita: -Che c'è adesso?-

-Siamo nemici in questa guerra. Perché mi aiuti?-

-Questa non è la mia guerra- mormorò lui.

Liz avrebbe voluto ringraziarlo, ma sprofondò nel sonno prima di poter parlare.

 
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arcady
view post Posted on 26/12/2010, 22:00




davvero originale!! bravissima,sembra davvero interesssnte! aspetto il seguito!!!
Snape con i capelli grigiiiii eheheheheh
 
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Natalie_S
view post Posted on 31/12/2010, 18:00




Arcady: grazie!!! Eh sì, qui è diventato più vecchio e, se possibile, ancora più acido! Ah, quanto mi piace scrivere di lui!
Ti ringrazio ancora e ti auguro un buon 2011!!! :pit3:

CAPITOLO 2

La pozione aveva agito in fretta e in pochi secondi la ragazza aveva di nuovo perso conoscenza. Bene.

Ora che si era svegliata Snape era più che mai pentito della scelta di curarla a casa sua. Perché non l'aveva semplicemente lasciata davanti a uno degli ospedali di guerra babbani?

Scosse la testa: sapeva perfettamente che non sarebbe sopravvissuta all'attesa e la disorganizzazione che avrebbe incontrato in quei luoghi sporchi e caotici. E lui non poteva sopportare di avere un'altra vittima sulla coscienza.

Ricordava benissimo il giorno in cui i Mangiamorte si erano insediati a Hogwarts: sembravano impiegati ministeriali qualunque, posati, di mezza età, assolutamente ordinari se si voleva ignorare la spilletta con il marchio nero appuntato sulla giacca.

Allora lui era preside: aveva accettato l'incarico con molti dubbi, ma tutto sommato pensava che fosse meglio che la scuola fosse in mano a uno degli esponenti più moderati. Come dire, per limitare i danni.

Erano passate giusto un paio di settimane quando i Mangiamorte si erano presentati, avevano spulciato i registri e portato tutti i figli di babbani sull'Hogwarts Express, destinazione Londra. Da lì in poi se ne erano perse le tracce. I meglio informati (o quelli di più buonsenso) se ne erano andati già da un pezzo, ma non avrebbe mai potuto dimenticare l'espressione spaventata ma insieme fiduciosa che aveva letto in decine di occhi. Perché lui non avrebbe mai permesso che succedesse qualcosa del genere nella sua scuola, vero? E invece, pensa un po', l'aveva permesso.

Snape non aveva potuto fare niente. A nulla erano valsi i suoi disperati appelli all'Oscuro Signore. O forse non ci aveva mai provato davvero, sospirò l’ex-insegnante.

Aveva sempre avuto il timore di esporsi troppo, paura che la sua lealtà venisse messa in dubbio, per arrischiarsi a opporre un rifiuto diretto. All’inizio pensava che sarebbe stato una risorsa più preziosa dall’interno, come aveva promesso a Dumbledore… finché non era arrivato il momento in cui aveva capito che tutto sarebbe stato inutile.

Comunque sia, il giorno dopo aveva dato le dimissioni e agli occhi del mondo magico era praticamente sparito.

Severus aveva osservato lo scoppio della guerra contro i babbani con rassegnazione e indifferenza. Non era più affar suo, del resto.

Draco Malfoy, come giovane ministro della difesa, si era dimostrato precipitoso, sottovalutando il reale pericolo costituito dagli umani, ma scaltro e abile per quanto riguardava la politica interna. Nessuno aveva mai osato dire nulla contro di lui. In effetti, nessuno aveva mai più osato dire nulla da quando Voldemort aveva ucciso in battaglia il giovane Potter.

Albus aveva riposto tanta fiducia in quel ragazzo coraggioso, certo, intelligente (be' insomma... ricordò Snape con una smorfia), ma totalmente e irrecuperabilmente impreparato di fronte a una tale minaccia. Era morto da eroe, come tutti gli altri membri dell'ordine della fenice. Notevole quanto inutile.

Una volta scomparso, il mondo si era dimenticato in fretta di lui.

Dumbledore si era sacrificato, convinto che il ragazzo non avrebbe fallito e quello era stato il suo più grande errore, forse l'unico.

Snape aveva perso ogni speranza.

Guardò la ragazza, ancora stesa sul tavolo operatorio d'emergenza; appena si fosse ripresa le avrebbe cancellato la memoria e rispedita a casa.

Tanto per avere la coscienza pulita.



Il tenente Charles Monk richiuse il cellulare sconfortato.

Liz Mills, soldatessa specializzata in localizzazione di attività paranormale, era sparita durante il turno di guardia a Camden, alla stazione della metro.

Stranamente, erano stati trovati quattro maghi, di cui uno morto e gli altri privi di sensi: i tre superstiti, durante il duro interrogatorio nella centrale (naturalmente dotata di tutte le più sofisticate misure di sicurezza anti-magia) avevano confessato alcuni atti vandalici compiuti nella zona e poi raccontato di aver perso conoscenza inspiegabilmente, quando la Sentinella era ancora viva.

Monk non sapeva se crederci o meno, ma la sua esperienza gli insegnava che probabilmente mentivano. Spesso durante gli interrogatori i maghi arrestati facevano credere di avere informazioni su babbani, per ritardare il momento dell'esecuzione. Il tenente trovava barbara l'usanza, ormai consolidata dell'esercito britannico, di uccidere tutti i prigionieri. Purtroppo non c'era molta scelta: tenerli chiusi da qualche parte per troppo tempo era molto rischioso. Averne poi più di uno in carcere, con la possibilità che finissero col comunicare... no, troppo pericoloso.

Questo del resto faceva sì che, a vent'anni dall'inizio della guerra, avessero imparato molto poco sui maghi.

Tutto quello che si sapeva veniva dal generale Longbottom, ma erano nozioni scarse, frammentarie; mentre sapevano che i maghi avevano una letteratura -scientifica- sui loro poteri, trattati sull'uso della magia, incantesimi sofisticati.

Era anche possibile che Liz avesse disertato, come molti prima di lei.

Monk sospirò: la sua unità di guardia babbana distaccata a Londra Nord era composta da soli cinque elementi e la scomparsa di uno di loro avrebbe affossato ancora di più il morale già basso della squadra.

Il tenente era un uomo di mezza età, a cui dieci anni prima era stata localizzata una certa quantità di “attitudine all'attività paranormale” (come veniva pomposamente indicata la magia). Da quel momento la sua carriera nell'esercito era cambiata radicalmente. Come molte Sentinelle, aveva ormai rinunciato all'idea di una vita privata al di fuori dell'esercito; la pressione esercitata su di loro era troppo forte per permettere qualsiasi altro interesse o impegno.

Aveva visto gli umani combattere contro i maghi, migliorando velocemente le proprie armi, raggiungendo qualche importante vittoria e collezionando molte sconfitte. Purtroppo, da qualche anno a quella parte, aveva la netta sensazione che non sarebbero più durati molto. La magia, semplicemente, trascendeva dalle loro possibilità: era un'arma infinitamente più forte di tutte le loro messe insieme.

Inoltre, da qualche tempo i maghi sembravano sapere tutte le loro mosse in anticipo. Sicuramente avevano qualche sistema per sorvegliarli… qualcuna delle loro diavolerie.

Si diresse verso l'ufficio di supporto paranormale, dove sapeva che i suoi soldati stavano aspettando notizie di Liz.

Aprì la porta per entrare in una stanza umida e male illuminata, con sei scrivanie di recupero.

La sua unità era composta da persone molto diverse tra loro.

Il più anziano per età e per appartenenza era Peter Tuffey, un ex prete di origine irlandese che aveva dovuto rinunciare alla tonaca quando, quindici anni prima, il governo aveva riscontrato in lui una fortissima propensione alla magia. Conosceva pochi incantesimi (era già sulla trentina quando aveva iniziato a fare pratica di magia, un'età piuttosto tarda dal punto di vista formativo) che scagliava con grande imprecisione e altrettanta potenza.

La sua vita al di fuori del servizio era votata a ricercare nella Bibbia giustificazioni morali per le uccisioni e la violenza che costituivano la sua vita quotidiana. Era infine approdato a una filosofia piuttosto articolata, il cui perno centrale era la condanna della stregoneria e delle aberrazioni agli occhi di Dio.

Quando Monk entrò nella stanza, era intento a leggere a bassa voce versetti del Levitico annuendo convinto.

La scrivania accanto alla sua era gentilmente concessa dal governo britannico a Gary Townshed, un rubizzo ex muratore cinquantenne, dedito per lo più alle scommesse sportive e alle pinte di Guinness in orario extralavorativo.

I giovani erano decisamente più promettenti: come Liz, anche i due restanti elementi, Chandra Sharma e Robert Garreth, avevano iniziato l'addestramento militare magico in giovane età, essendo nati poco prima dello scoppio della guerra civile.

Chandra era una ragazza di origine indiana coetanea di Liz: pur non essendo propriamente amiche, andavano d’accordo e collaboravano serenamente. Probabilmente sarebbe stata la persona più rattristata dalla notizia.

Robert invece aveva appena sedici anni: era molto introverso e non parlava molto, quindi era piuttosto difficile prevedere come avrebbe potuto reagire.

Liz era stata l'acquisto più recente della sua unità: era arrivata l'anno precedente dopo un trasferimento da Leeds.

-Allora?- fece Chandra ansiosa, quando Monk varcò la soglia -ci sono notizie?-.

Il tenente si limitò a scuotere la testa e calò nuovamente il silenzio nella stanza. Del resto, a che scopo parlare? Le numerose ipotesi sull'accaduto erano già state ampiamente sviscerate nelle ore precedenti.

La scena del "delitto", se si delitto si poteva parlare, era davvero difficile da interpretare: Monk si trovò ancora una volta a valutare la possibilità della diserzione.

Aprì il fascicolo personale di Liz.

Elizabeth Rosemary Mills era nata ventiquattro anni prima nello Yorkshire, da un'ordinaria famiglia della middle class britannica. Aveva frequentato delle buone scuole private fino a quando, a quattordici anni, la polizia non aveva riscontrato in lei un considerevole potenziale paranormale. Era probabile che i genitori sapessero già da tempo delle sue capacità: nonostante in quegli anni la guerra civile non imperversasse ancora così duramente, i Mills avevano già avviato tutte le pratiche per l'emigrazione in Francia.

Si trovavano nell'aeroporto di Gatwick, pronti a imbarcarsi, quando durante un controllo di routine Liz si innervosì talmente da far esplodere tutti i metal detector, computer e terminali dell'aeroporto. Per poco non fece anche cadere un paio di aerei.

A quel punto, il governo inglese non aveva potuto ignorare l'esistenza della giovane potenziale maga.

Monk sfogliò il fascicolo fino alle informazioni sui familiari: i genitori e il resto dei suoi parenti erano in seguito effettivamente emigrati in Francia, e Liz trascorreva là la maggior parte dei propri congedi. Parlava molto bene francese dall'infanzia e, se si fosse procurata dei documenti falsi, avrebbe senza dubbio passato agevolmente un controllo aeroportuale.

Riflettendo su questa possibilità si rese conto di non sapere molto su Liz, a livello personale. Era una ragazza riservata, non in modo asociale o preoccupante, ma abbastanza da far sì che il tenente non sapesse quali fossero i suoi interessi o le sue aspirazioni. Svolgeva i compiti che le venivano assegnati in modo preciso e efficiente, senza lamentarsi ma senza neanche mostrare un particolare entusiasmo. Era determinata, per non dire testarda, questo sì. Le poche volte in cui si era impuntata su qualcosa, una strategia di irruzione in un edificio a Finsbury, ricordò il tenente, aveva insistito finché non l'aveva avuta vinta.

Ma Monk non riusciva a immaginare se Liz trovasse adatta a sé o meno la vita militare, se desiderasse fuggire o fare carriera. Un giorno era semplicemente arrivata, e ora se ne era andata.





Che palle.

Le ore sembravano interminabili in quella stanza scura. -Perfettamente immobile- si era raccomandato il mago con l'aria di chi non ammetteva repliche -devi fare sì che le ossa si ricostruiscano, è un processo lungo e molto delicato- aveva aggiunto poi.

Chissà quanto tempo era passato, si chiese Liz. Chissà cosa aveva pensato la sua squadra!

Come aveva potuto verificare con un breve esame, il suo palmare dotato di localizzatore GPS era andato in mille pezzi durante lo scontro e non aveva altro modo di comunicare con loro.

Si chiese cosa stessero facendo adesso, se avessero iniziato le ricerche o se l’avessero già data per spacciata.

La stanza era cambiata: dopo il primo incontro si era sempre risvegliata in una camera buia e polverosa, comunicante con un piccolo bagno. Aveva tutta l'aria di una stanza per gli ospiti mai utilizzata. Come nel laboratorio, anche qui le pareti erano tappezzate di libri dalla copertina consunta.

Le prime volte si svegliava solo per pochi minuti, per poi ripiombare nel sonno, ma ora che iniziava a sentirsi meglio poteva cercare di rendersi conto della situazione in cui si trovata.

Si toccò la testa, ancora saldamente fasciata, accorgendosi che molte ciocche di capelli erano state sommariamente tagliate per agevolare la medicazione. Merda. Ci aveva sempre tenuto molto ai suoi capelli lunghi.

Negli ultimi giorni l'opprimente dolore al petto era quasi completamente sparito: respirare era più facile ma il tempo trascorreva lento.

Il tizio, Severus, non le era antipatico: aveva un suo senso dell’umorismo, ma non era certo un chiacchierone.

Osservò i libri che la circondavano, pensosa. In fondo non le aveva mai proibito di leggerli, considerò.

Erano troppo lontani perché potesse leggerne i titoli, così prese la bacchetta (lasciata sul comodino, il nonno evidentemente non aveva le minime nozioni di sicurezza) e fissò la sua attenzione su uno a caso: -Accio -.

Il volume si alzò faticosamente dallo scaffale per ricadere pesantemente sul letto. Non aveva mai veramente padroneggiato questo incantesimo, ma per questa volta poteva andare, decise Liz con una scrollata di spalle.

“Antidoti vegetali e preparati para-magici” lesse.

Scommetto che è un bestseller, pensò amaramente.

Non aveva la forza di prendere un altro libro, così si sistemò il volume sulle ginocchia e incominciò a sfogliare le pagine.



Snape si stava recando nella stanza della Sentinella con una pozione fresca. La ragazza (come si chiamava già? Liz?) si stava riprendendo bene: pochi giorni prima aveva quasi tutte le costole rotte e gli organi interni lesionati, ma il suo talento di pozionista e guaritore aveva compiuto un piccolo miracolo.

Aveva buone capacità di ripresa, era giovane, anche se doveva avere qualche anno in più di quelli che le aveva attribuito al loro primo incontro.

Già aveva iniziato ad essere fastidiosa, pensò il mago con una smorfia. Probabilmente per via della noia e della solitudine, ogni volta che andava a cambiarle le bende o a somministrarle le pozioni, lei cercava ostinatamente di intavolare una conversazione, il più delle volte senza successo.

Questa era una delle caratteristiche che più lo stupivano dei babbani: erano a loro modo forti, temprati, pronti a tutto, eppure non perdevano una certa ingenuità infantile, un'incrollabile speranza nel prossimo. Snape li compativa e ammirava al tempo stesso.

Entrò nella stanza senza bussare, sperando di trovare Liz addormentata: ci metteva sempre un po' a svegliarsi e una volta che aveva recuperato la parlantina lui se n'era già andato.

Notò con disappunto che era ben vigile e cosciente, seduta sul letto con i cuscini rincalzati dietro la schiena e un pesante tomo sulle ginocchia.

-Che stai facendo?- domandò seccamente.

La ragazza si riscosse e lo guardò:- Leggo!- spiegò, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. In effetti lo era.

-Questo lo vedo!- sbuffò Snape -ma non ricordo di averti invitata a servirti liberamente della mia biblioteca-. Il mago posò il bicchiere con la medicina e fece un gesto rapido con la mano: il libro si richiuse bruscamente in una nuvola di polvere e tornò al suo posto sullo scaffale.

-Non posso stare qui sdraiata tutto il giorno senza fare niente. Sto diventando scema!- protestò lei.

Snape le porse il bicchiere con fare autoritario -Fossi in te non mi preoccuperei, direi che il danno ormai è fatto-.

Liz alzò gli occhi al cielo trattenendo un sorriso suo malgrado e trangugiò la pozione senza fiatare. Sembrava abituata a dover prendere medicine o a medicarsi, e le numerose cicatrici che le solcavano il colpo lo dimostravano.

-Su quel libro che stavo leggendo c'è una pomata contro le ustioni da fiamme inestinguibili- disse la ragazza con fare pensoso. Il mago la guardò senza capire.

-C'era questo tizio, Tom, viveva a sud, vicino a Clapham...be', se l'avessimo conosciuta, questo preparato... forse sarebbe vivo adesso- aggiunse con voce leggermente tremante.

Snape non seppe cosa rispondere.

Liz alzò uno sguardo accusatorio fino ai suoi occhi: - C'è così tanto da imparare sulla magia, e noi sappiamo così poco. Riusciamo giusto a difenderci, e neanche tanto bene. Non sappiamo neanche cosa sia la maggior parte delle fatture che ci uccidono!-

-Hai ragione, è una lotta impari, ma finora ve la siete cavata discretamente...-borbottò il mago, a disagio.

-Discretamente non è abbastanza.- dichiarò la Sentinella senza distogliere lo sguardo.

Snape diede un'occhiata al titolo del libro: -Si tratta di pozioni abbastanza elementari, non sarebbe così difficile neanche per voi riprodurle. Dai una ripassata al tuo libro di Pozioni del primo anno e vedrai che troverai molte risposte. - concluse, nella speranza di cambiare argomento,

Speranza vana.

-Libro di Pozioni?- ghignò la ragazza, un po' perplessa.

-Sì, il tuo libro di Pozioni... ai miei tempi era "Infusi e pozioni magiche", di Arsenius Brodus, non so su cosa abbiate studiato voi giovani- sbuffò Snape.

Liz lo guardò divertita -Be', quando avevo 12 anni o giù di lì ho fatto un corso di chimica, ma ti assicuro che nessuno ha mai menzionato tra gli elementi la radice di... come si chiama...aspetta, te lo dico - si voltò nuovamente verso la libreria e afferrò la bacchetta -Accio-.

Tre o quattro volumi caddero a terra, mentre il prescelto andò a sbattere contro la parete dietro al letto, facendo staccare qualche pezzetto di intonaco.

-Ops- si scusò la ragazza con un sorrisino vergognoso -Sai com'è con questi incantesimi...- aggiunse, in tono pratico.

Snape era scandalizzato: -Quello a cui ho appena assistito, è senza dubbio il peggior incantesimo di appello della mia quasi ventennale carriera di insegnante!- esclamò.

Liz si strinse nelle spalle: -Suvvia, non era così male. Il libro è qui, no?- gli fece notare, togliendo con la manica la polvere e qualche scheggia di vernice bianca, proveniente dal muro, dalla copertina del libro.

L'ex professore non poté più trattenersi: -Questo è inammissibile! Alzati... ce la fai ad alzarti? Ecco, prendi la bacchetta, in questo modo- Snape afferrò il polso di Liz, facendoglielo ruotare di qualche decina di gradi -Più salda la presa con le dita.... la bacchetta deve essere un prolungamento del tuo braccio e idealmente il movimento della stessa deve imprimere l'intenzione dell'incantesimo- proseguì in tono didattico -Il movimento esatto è questo... esatto proprio così. Ora fissa quel libro e dì forte e chiaro l'incantesimo-.

-Accio!- esclamò Liz. Il libro indicato da Snape fece un'elegante parabola attraverso la stanza e finì dritto nella sua mano protesa.

-Wow!- esclamò lei, osservando il libro da ogni angolazione, come se cercasse il trucco nascosto.

-Complimenti per aver compiuto in modo appena decente, alla tua veneranda età, un incantesimo da quarto anno. 10 punti a... -qui Snape si interruppe, confuso -10 punti a te. Congratulazioni.-

-10 punti! Che culo!- esclamò la ragazza, allegra. Evidentemente per lei il sistema di punti e gratificazioni scolastiche di Hogwarts non aveva alcun significato.

Snape era perplesso: si era sempre chiesto vagamente che livello di istruzione magica potessero avere le Sentinelle babbane, ma aveva sempre dato per scontato che, anche se non erano degli Auror, fossero perlomeno in grado di difendersi.

Invece la preparazione di quella Liz era di una pochezza imbarazzante.

Esisteva sempre la possibilità che si trattasse di un caso isolato, un'allieva particolarmente poco brillante, ma Snape ne dubitava. I babbani erano in difficoltà ma non certo stupidi, non avrebbero mandato una totale incapace in battaglia; inoltre, finché si era trattato di maneggiare la pistola, se l'era cavata piuttosto bene con i maghi alla stazione della metro; infine il suo stupore di fronte alle pozioni e ai suoi incantesimi era indubitabilmente sincero.

Guardando meglio la bacchetta tra le mani della ragazza, si accorse che aveva tutta l'aria di un oggetto di plastica prodotto in serie.

Liz interruppe il corso dei suoi pensieri -E così, sei un insegnante? Strano, non mi sembravi il tipo. Accio!- riprovò, appellando una tazza che si trovava sul comodino, la quale planò delicatamente nella sua stretta -Non male eh? Dovevi essere bravo come professore- aggiunse, soddisfatta del risultato.

-Quanti incantesimi conosci?- domandò Snape.

Liz lo fissò in modo strano: -Questo è un segreto militare, nonno- rispose alla fine.

-Credi che ti abbia portato fin qui per carpire qualche segreto di guerra? Mi basterebbe leggere la tua mente per farlo- fece lui, sprezzante.

La ragazza incrociò le braccia sul petto: - E’ quello che continui a ripetere. Ma sai, io non so se crederci o meno-.

Era forse necessario questo per tranquillizzarla? si chiese Snape. Era un po’ come metterla al tappeto con un pugno per dimostrare di avere buone intenzioni.

Oh be’, se proprio doveva…

-Qualsiasi cosa succeda- disse il mago, lentamente -non pensare a quello che sai sulla magia. Legilimens!-

Snape si vide scorrere davanti il familiare, confuso flusso di immagini e pensieri ricavato dalla legilimanzia. Osservò Liz adolescente prendere una bacchetta di plastica, a caso, da un armadio pieno… La vide, prima quindicenne, poi sempre più grande, esercitarsi in una breve sequenza di incantesimi base, incantesimi di appello, schiantesimi, disarmo per poi passare direttamente alle maledizioni senza perdono.

Confusamente percepì gli strascichi di qualche scontro con i maghi, sentì le pallottole sibilargli accanto alle orecchie, la sensazione di pesantezza al petto quando il giubbetto veniva colpito da una maledizione. In tutti questi ricordi c’era qualcuno, la presenza sfocata di un uomo, forse un soldato.

Interruppe il contatto. Liz si risedette sul letto, tenendosi la testa come se le girasse -Eh dai così non vale! A tradimento!- protestò.

-Come si chiama quel tizio? Carl? Colin?- la stuzzicò Snape.

Liz sollevò la testa, ancora un po’ scossa: -Cillian. Ok, adesso ci credo-.


CIAO A TUTTI E BUON ANNO!!!!! :dentone3:
 
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view post Posted on 1/1/2011, 09:39
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Ti faccio gli auguri di buon anno anche qui, e ovviamente anche qui ti dico di continuare al più presto perchè io sono curiosissima!!!
Ma ora dov'è che vado a commentare, ogni volta? Qui o di là? O.o ohibò, dimmelo te!!!!! XD Ahahahaha
Ancora complimenti!!! ;)
 
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§ilver Do£
view post Posted on 1/1/2011, 12:07




CITAZIONE (Natalie_S @ 26/12/2010, 16:04) 
ambientata in un ipotetico futuro parallelo in cui Voldemort ha vinto e ucciso Harry Potter e più o meno tutti gli altri.

Io ti adoro :uhuh:

Bella, mi piace molto! Che dire, sono impaziente di leggere il seguito


 
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Natalie_S
view post Posted on 5/1/2011, 16:43




Ciao!

Iurin: Ciao!! Be' commenta dove vuoi, qui, là, in privato, via gufo, via messaggio in bottiglia... come preferisci! E' sempre un piacere sentirti!!! :pitlove:

$ilver Do£ : Ma anche io ti adoro!!! Soprattutto per la bellissima frase che hai nella firma... gli Smiths sono uno dei miei gruppi preferiti e non nascondo di aver avuto una mezza cotta per Morrissey! :wub:

Ecco il terzo capitolo! Ciao!

CAPITOLO 3


Liz si svegliò nel cuore della notte. Aveva decisamente fame, si rese conto. Dopo molti giorni di debolezza e di continue perdite di conoscenza, in cui la nauseava anche il solo pensiero del cibo, ora si sentiva molto meglio, ma il suo stomaco protestava per il prolungato digiuno.

Decise di avventurarsi per il castello: non poteva aspettare che Severus venisse a controllare la medicazione.

Aprì il vecchio armadio che si trovava nella stanza: all’interno erano accatastati degli oggetti alla rinfusa.

Liz notò una scopa che poteva servire da bastone per aiutarla a camminare.

Percorse una serie di corridoi finché non trovò le scale e iniziò a scendere.

Dopo qualche piano vide una luce filtrare sotto una porta.

La aprì cautamente: all’interno vide Snape che rimescolava attentamente in un calderone appoggiato su un fuoco vivo, che costituiva l’unica fonte di luce della stanza. La scena era piuttosto inquietante.

- Severus, lo sai che quando ti ci metti fai davvero paura?-

Snape si riscosse: -Ti ho forse incoraggiata ad andare in giro indisturbata per casa mia? Quale parte di “perfettamente immobile” non ti è chiara?- le abbaiò contro.

Liz zoppicò fino ad avvicinarsi al calderone: -Sono affamatissima. Che c’è lì dentro?- domandò, sporgendosi incuriosita.

-Niente che ti riguardi - tagliò corto il mago. Con un gesto della bacchetta accese un paio di lampade nella stanza, e fece apparire su un tavolino una lauta colazione inglese: the, toast, uova, bacon e un generoso piatto di scones con un barattolo di marmellata.

-Sai, il ritorno dell’appetito è un ottimo segno - osservò Snape ricominciando a osservare il contenuto del calderone, mentre Liz si gettava letteralmente sul cibo -Significa che presto starai meglio e finirò di averti tra i piedi -

La ragazza gli indirizzò un sorriso colmo di marmellata: -Fignifica che… dovrò rinunciare al piacere della tua…- prese un ulteriore morso dallo scone che teneva in mano -entuViaFta converFazione e non eFFere coFparFa di una roba puzzolente ogni due ore? Mi FpeFFi il cuore-.

-E non avevo ancora assistito al rivoltante spettacolo del tuo nutrimento. Il pasto della belva. Non ricordo un simile comportamento da quando ho visto un ippogrifo sbranare un procione -.

Liz nel frattempo aveva attaccato le uova e il bacon: -Se la cosa ti interessa, posso consigliarti molti edificanti documentari sulla natura. Così ogni volta che vedrai il DVD con gli avvoltoi che si cibano famelicamente di una povera carcassa penserai a me!-

Snape trattenne un involontario sorriso: doveva ammettere che uno dei (pochi) pregi di questa ragazza era l’autoironia. Prendeva le sue velenose battute con un certo umorismo, e non si era mai offesa.

-Piuttosto, quando avrà luogo il lieto evento? Quando mi sbatti fuori di casa?- domandò allegramente lei, tra una forchettata e l’altra.

Snape ci penso su: -Presto direi, anzi per quanto mi riguarda il prima possibile. Non mi imporrei ulteriormente il discutibile piacere della tua presenza se non fosse che il corpo reagisce in maniera piuttosto inaspettata alla magia oscura. L’Anatema che Uccide è un incantesimo potente e terribile e tu ne hai ricevuti due in pieno petto. -

Liz deglutì: -Ma per fortuna avevo il giubbetto…-

-Ovviamente, altrimenti non saresti qui a parlarne. E’ un oggetto veramente singolare. Inoltre non mi era mai capitato di osservare gli effetti attutiti di un’Avada, devo ammettere che è piuttosto stimolante-.

In realtà il giubbetto affascinava enormemente Snape: durante la convalescenza della proprietaria l’aveva osservato e analizzato meglio che poteva ma non era riuscito a capire il suo funzionamento o a riconoscere il materiale di cui era fatto. I babbani erano stati davvero ingegnosi: l’incantesimo assassino era conosciuto da migliaia di anni ma nessun mago aveva mai pensato di fare qualcosa per contrastarlo. E loro c’erano riusciti, in circa dieci anni e con conoscenze rudimentali dei principi magici. Davvero stupefacente.

Quanto a Liz, il decorso delle sue ferite era altrettanto interessante: il suo sangue aveva difficoltà a coagularsi nella zona compresa tra il ventre e le spalle, dove presumibilmente il giubbetto aveva distribuito l’impatto della fattura. I sintomi comprendevano aritmia, difficoltà respiratorie e inappetenza, ma dopo quattro giorni la ragazza aveva ricominciato a mangiare e a camminare, sebbene con difficoltà, il che era decisamente un buon segno.

Snape aveva raccolto una grande quantità di appunti, quello era probabilmente l’esperimento più sorprendente degli ultimi 10 anni.

Liz aveva finito di mangiare: ancora sbocconcellando un ultimo pezzo di toast, si avvicinò al calderone.

-Che stai facendo?- domandò, interessata.

-E’ una pozione rimpolpa-sangue- rispose Snape.

-Che sarebbe…?-

-Una pozione che rimpolpa il sangue. Inaspettato, nevvero?-

Liz sbuffò -Questo l’avevo intuito. Ma come funziona, intendevo?-

-Il ferro è la sostanza che aiuta il tuo sangue ad aumentare, quindi c’è una buona dose di estratto di alcuni legumi e sangue di vari animali carnivori, mentre il dittamo fa sì che le ferite si rimarginino più facilmente e smettano di sanguinare. Un altro ingrediente importante è il papavero, che calma il dolore che gli altri principi causerebbero. - riassunse il mago. Una fitta di nostalgia gli ricordò la sua aula a Hogwarts e le lunghe ore passate a fare lezione. Con molte classi non si era mai impegnato granché, lo riconosceva, ma ricordava con piacere molte esercitazioni per i M.A.G.O. con i Serpeverde.

-Severus, mi stai dando una bella dose di oppiacei!- esclamò lei divertita.

Osservò l’anziano professore sminuzzare i semi di papavero con un coltellino. Non sembrava difficile, e quella pozione era decisamente utile.

-Posso aiutarti?- domandò.

Snape sgranò gli occhi, sorpreso. Non si faceva aiutare nella preparazione di una pozione da… non se lo ricordava neanche. Forse nessuno l’aveva mai assistito durante la sua attività.

Ma in fondo non c’era niente di male, considerò. Sarebbe stato un po’ come insegnare.

-Se vuoi renderti utile, spremi quei semi schiacciandoli così, vedi? Credi di riuscire a farlo senza vanificare l’ora di lavoro che mi ha impegnato finora?-

-Farò del mio meglio-.



Un paio d’ore dopo la pozione, ormai terminata, riposava nel calderone in attesa di raffreddarsi ed essere imbottigliata.

Liz, piuttosto affaticata dalla prima serata passata lontana dal suo letto di convalescenza, sonnecchiava su una delle poltrone.

Snape diede un’ultima mescolata all’intruglio, per saggiarne la consistenza: era perfetta.

Liz, sorprendentemente, si era dimostrata un’ottima allieva: nonostante la sua ignoranza in fatto di piante e ingredienti fosse abissale (e il nome di alcuni, come il grinzafico, le provocasse inspiegabili attacchi di riso, ricordò Snape perplesso), era piuttosto portata per la materia.

Era molto precisa e meticolosa nel dosare e preparare gli ingredienti: gli aveva rivolto molte domande pertinenti e inaspettatamente acute.

Snape si avvicinò al camino, sulla mensola del quale era incorniciata una piccola foto di una ragazza con i capelli rossi che rideva. Lily.

Nei primi anni il dolore per la sua scomparsa, di cui il mago si attribuiva gran parte della colpa, era stato lacerante, intollerabile; ed era continuato tanto a lungo (10 anni, poi 15, poi 20) che si era ormai convinto che non sarebbe mai passato.

Aveva ragione, in un certo senso: ancora oggi poteva sentire delle fitte di nostalgia quando guardava l’immagine rubata della ragazza, o quando (sempre più raramente, ormai) visitava i luoghi in cui si erano trovati insieme.

Tuttavia, il miglior regalo della vecchiaia, se mai ce n’era stato uno, era che la lancinante sofferenza si era via via tramutata in un’affettuosa malinconia. Alle volte si sorprendeva a rievocare il suo ricordo anziché temerlo, come se il dolore fosse diventato un rifugio, un fedele compagno a cui ormai si era abituato.

Liz aveva qualcosa di Lily, considerò, stupendosi immediatamente del suo pensiero.

Fisicamente non si assomigliavano affatto: la Sentinella, nonostante non fosse una brutta ragazza, non poteva neanche lontanamente aspirare a raggiungere l’abbagliante bellezza di Lily. Il suo viso, dai tratti affilati, più interessante che bello, non possedeva la delicata dolcezza delle fattezze dell’amata scomparsa.

Però quella sera, il suo entusiasmo per la preparazione, e il suo stupore di fronte alla scoperta del mondo magico, gli avevano inaspettatamente ricordato Lily e la sua scoperta di essere una strega.

O forse sto solo diventando un vecchio sentimentale, pensò Snape scuotendo la testa.

Spense il camino e si preparò a mettere via la pozione.



-Non vedevo una pozione corroborante di questo livello dai tempi di Longbottom e Crabbe, due miei allievi di tantissimi anni fa- esclamò Snape, tirando su una mestolata di liquido scuro dal calderone di Liz.

-Erano bravi?-

-Erano una catastrofe-

-Oh. -.

Era ormai una settimana che Snape stava tenendo un corso molto accelerato di pozioni alla sua paziente.

In realtà la pozione non era così male, e anche se forse non avrebbe risvegliato la vittima di uno schiantesimo, probabilmente avrebbe potuto dato una certa forza a una persona affaticata. Ma, che dire, certe abitudini erano dure a morire. E poi l’insegnante credeva fermamente che, se i complimenti fioccavano troppo facilmente, l’impulso a migliorarsi venisse meno.

Quanto a miglioramenti, questi erano evidenti anche a livello fisico: la ragazza, dopo che le ferite sul torace si erano finalmente rimarginate, stava ricominciando a respirare liberamente e presto si sarebbe sentito abbastanza sicuro da rimandarla a casa.

Doveva ammettere che era vagamente dispiaciuto: dopo anni passati in quasi completa solitudine, avere un bersaglio per le proprie frecciatine era stato un piacevole diversivo.

Inoltre, perché negarlo, gli piaceva insegnare. E anche di più se aveva davanti un’allieva interessata e dotata di un certo talento.

Osservò Liz, che ora rimestava dubbiosa nella pozione: ormai stava bene, era evidente.

Tuttavia era restio a lasciarla andare, non sapeva neanche lui perché: le aveva detto che la magia oscura aveva degli effetti imprevedibili anche quando gli i sintomi sembravano quasi svaniti e che voleva tenera in osservazione ancora qualche giorno.

Lei aveva alzato un sopracciglio con un’espressione indecifrabile, così simile a quella di Snape stesso, ma non aveva protestato.

Il mago si era fatto l’idea che non amasse particolarmente la vita sotto le armi; non sembrava affatto ansiosa di ritornare nel mondo babbano.

Forse esitava tanto a rimandarla a casa perché sapeva che avrebbe dovuto farle un incantesimo di memoria, e tutto ciò che le aveva insegnato sarebbe andato perduto. Ma certo non poteva accettare un simile o rischio. O sì? Il pensiero lo rendeva inquieto. Decise che avrebbe deciso una volta che si sarebbero accomiatati.

Liz attraversò la stanza per andare a prendere un altro libro.

-Potresti anche usare la magia ogni tanto, a meno che tu non tema di ingrassare per la scarsa attività fisica- osservò Snape.

Lei scrollò le spalle -Non ce n’è bisogno-.

-Però hai un dono, non è così comune. E’ un peccato che non lo sfrutti-

-Un dono? Preferirei poterlo restituire, grazie tante- rise Liz, amara.

-Ma…- Snape era stupito -La magia ti offre enormi potenzialità. E’ come un altro mondo, tu puoi piegare le leggi fisiche in un modo che i babbani….-

-Posso attirare a me oggetti lontani- lo interruppe Liz -posso uccidere le persone con una formula e posso cercare di proteggermi. Sono un’arma. Bella roba eh? Se fossi del tutto babbana potrei… scegliere, decidere della mia vita-.

-La magia non è solo questo. La tua visione è tragicamente limitata! Puoi fare cose meravigliose, cose che non puoi neanche immaginare…-

Liz incrociò le braccia: -Sì, certo. Dimmene una-.

-Potresti materializzarti dove vuoi, apparire in un posto lontanissimo-

-Il piacere è nel viaggio, non nella meta…- citò lei.

-Potresti evitarti tutte le incombenze domestiche: pulire, cucinare…-

-A me piace cucinare. E poi anche così me le evito, non ho una casa-

Snape sbuffò: quando ci si metteva, Liz era davvero cocciuta. E meno male che era una soldatessa! Di certo non invidiava il suo superiore babbano.

Lo colpì un’idea.

-Vieni con me- le intimò.

-E la pozione?-

-Questo è più importante-.

Attraversarono la grande casa fino a giungere nei sotterranei.

Snape aprì una porta: la stanza al di là di quella era evidentemente stata adibita a cantina. Liz notò una gran catasta di oggetti ammucchiati, dall’aria logora e abbandonata: calderoni, sacchi di vestiti, pentole e vasi.

Snape aprì un baule semisepolto e iniziò a frugare al suo interno.

-Eppure deve essere qui dentro…-

Liz starnutì: -Che cosa, la tua collezione di acari della polvere?-.

Si guardò intorno, raccolse il lembo di una sciarpa grigia e verde che era caduta fuori dal baule: carina.

-Questa!- esclamò trionfante Snape, traendo fuori dal mucchio di oggetti una piccola scopa dal manico rosso.

-Questa?- ripetè Liz perplessa -Vuoi farmi provare l’ebbrezza delle pulizie di primavera?-

Snape si limitò a scoccarle un’occhiata fulminante, come a replicare che non era divertente.

Poi la condusse nel giardino: -E’ solo una scopa per bambini, non la tocco da quando avevo… oh, undici anni o giù di lì. Ma dovrebbe darti l’idea.-

Liz arrancò dietro di lui, tenendo ancora in mano, distrattamente, la sciarpa; fuori la temperatura era piuttosto fredda e rabbrividì al contatto con l’aria pungente.

-Vuoi che pulisca il giardino, ora?- domandò, sempre più confusa.

-In effetti forse sarebbe un compito più adatto a te, ma io intendevo suggerirti di cavalcarla- replicò Snape con un sospiro.

Liz ridacchiò: -Cavalcarla. Ehm, certo-.

-Dai tieni, salici sopra!- la incitò, porgendole la piccola scopa rossa.

La ragazza la prese, osservandola dubbiosa e porgendogli la sciarpa da tenere.

La sua vecchia sciarpa di Serpeverde, notò Piton. Buffo che proprio quell’oggetto avesse attratto l’attenzione di Liz.

-Gratta e netta!- formulò contro la sciarpa, da cui si sollevò una nuvola di polvere. Ora era sufficientemente pulita e la porse nuovamente a Liz. La nottata era fredda.

-Grazie- replicò lei, avvolgendosela al collo -ora, come esattamente dovrei salirci? All’amazzone?-

-A cavalcioni andrà benissimo, se sua signoria non si scandalizza…-

La ragazza posizionò le gambe ai lati della scopa: - Ok, e adesso?-

Snape corresse la sua postura dandole un colpetto in mezzo alla schiena: -Ora piega le ginocchia e datti una spinta con le gambe-

-Ci provo, ma non sono molto convinta che…- non riuscì a finire la frase, perché a causa di una spinta troppo forte, la scopa era partita di scatto, portandola a qualche metro da terra.

-Prova a girare, dirigila con il manico- le suggerì l’insegnante, ancora a terra.

Ma Liz non lo stava più ascoltando: superata la sorpresa iniziale, scoprì che non era così difficile controllare la scopa.

Essendo presumibilmente poco più di un giocattolo per bambini, non si sollevava più di qualche metro, ma la sensazione era ugualmente esaltante.

Si diresse verso un albero del giardino e gli girò intorno velocemente: sentiva l’aria nei capelli, il soffio del vento che la aiutava a prendere velocità se inclinava la scopa nel modo giusto.

Si sorprese a trovarsi accanto Snape, che volava senza scopa con naturalezza.

-Fai attenzione! Non ci sei mai salita sopra, cadere e farsi male è molto frequente- la ammonì.

Liz si impennò verso l’alto, per poi inclinare la scopa all’indietro in una sorta di salto mortale; ma la scopa, che evidentemente non era progettata per queste evoluzioni, deviò lateralmente e lei perse l’appiglio.

Prima quasi di rendersi conto di precipitare, si ritrovò appesa in aria per la caviglia. Snape le puntava contro la bacchetta con aria arcigna: -Che ti avevo detto? Bisogna fare molta attenzione!- ripeté, facendola planare dolcemente al suolo.

Ma Liz non sembrava molto spaventata. Aveva le guance molto arrossate e gli occhi brillanti, il resto del viso era semicoperto dalla sciarpa di Hogwarts. In quel momento gli ricordò Lily più che mai.

-Allora? Non è così male, vero?- le chiese poi, mentre si incamminavano verso casa.

-No- ammise lei -non così male-.

-Dopotutto, c’è qualcosa di buono nella magia, no?-

Liz ci penso su per qualche istante: -Sì… forse-.

Snape ritenne che per il momento fosse sufficiente.

Ancora una volta si chiese se fosse davvero necessario cancellarle la memoria, quando se ne fosse andata. Si sarebbe dimenticata anche di questo. Era un peccato.

Entrati in casa, Liz lo guardò negli occhi, di colpo seria: -Però devo tornare a casa ora-.
 
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arcady
view post Posted on 5/1/2011, 21:48




mi era sfuggito il secondo capitolo!!!!arghhhhhh :<3:
beh lasciatelo dire: hai creato davvero una storia interessantissima!!
mi è piaciuto lo scambio di battute sulla bellezza/utilità della magia in cui anche Liz ha detto cose vere alle quali non avevo pensato...la magia ti fa un pò perdere il piacere di creare,viaggiare ecc..mah...fa riflettere.
poi però il giro con la scopaaaaaaa!!!!! eheheh
vabeh a parte questa riflessioncina che dire?? aspetto presto il prox chappiiiiii...è bellissima sta storia e complimenti per la fantasia e la bravura nel descrivere e nei dialoghi!! ti riesce proprio bene !!!
son qua che aspetto io!!! image
 
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Astry
view post Posted on 22/1/2011, 21:56




Molto, molto originale, davvero. Questo Piton sessantenne mi piace ed effettivamente ora posso immaginarlo per una volta con la faccia di Alan Rikman il che non guasta :-)
"Nonnetto" ahahah! Deliziosa la ragazza, ma almeno non è la solita Mary Sue dalle cosce lunghe che cade come una pera perdutamente innamorata ai piedi del fascinoso mago. Complimenti!
 
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arcady
view post Posted on 22/1/2011, 22:48




O! Astry hai riportato alla mia attenzione questa fic della quale attendevo fremente il seguito!!!
Ma ancora nulla :(
Natalie dove sei? :fiore: :)
 
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Astry
view post Posted on 22/1/2011, 23:08




Gia, mannaggia a me, di solito non inizio ff che non sono termiate. Ma ci sono cascata, e adesso?
Dobbiamo convincere l'autrice a continuare.
*Astry prepara tutti i suoi strumenti di tortura e lucida la bacchetta*
 
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Natalie_S
view post Posted on 24/1/2011, 12:11




Scusate arcady e Astry!!!!
Sono un po' in ritardo con gli aggiornamenti!! :cry:
Mi autoflagello per punizione!!

Grazie per i complimenti, anche a me Piton in versione "matura" garba tantissimo! :giàgià:

CAPITOLO 4

L’addio fu un po’ più triste di quanto entrambi si aspettassero.

-Non ti disturbare a tornare qui. C’è un incantesimo sulla casa, non potresti neanche vederla- le intimò lui bruscamente, quando Liz era ancora sulla soglia.

Indossava la sua divisa rattoppata alla bell’e meglio, e la sciarpa di Serpeverde ancora avvolta a proteggerla dal freddo di dicembre.

-Puoi tenerla se vuoi- aveva borbottato Snape quando lei aveva fatto per restituirgliela, e lei aveva accettato volentieri.

Aveva in qualche modo intuito che l’ex insegnante si sarebbe sentito un po’ solo dopo la sua partenza; ma anche che non era il tipo da dirlo ad alta voce.

La versione che avevano concordato di fornire era quella di una temporanea amnesia e di aver vagato per un po’ in stato di shock.

La ragazza era ancora coperta di ferite, era tutto sommato plausibile.

Snape sapeva che avrebbe dovuto farle un incantesimo di memoria, ma così avrebbe perduto tutto quello che le aveva insegnato, le pozioni, gli incantesimi, le sue lezioni. Alla fine aveva deciso di lasciar perdere. Aveva corso così pochi rischi negli ultimi 30 anni, che tutto sommato questa piccola imprudenza non poteva essere così grave.

-Allora… ti ringrazio. Mi hai salvato la vita. Spero che un giorno potrò in qualche modo ripagarti- esordì Liz, porgendogli la mano.

Snape la strinse frettolosamente: -Non credo che ci rivedremo più- e con un breve cenno, richiuse la porta.

La ragazza fece qualche passo poi si guardò alle spalle: la grande casa di pietra era ancora lì. Si strinse nelle spalle. Forse l’incantesimo di protezione della casa avrebbe fatto effetto solo dalla mezzanotte in poi, o qualcosa del genere.



Il suo miracoloso ritorno venne accolto dai suoi colleghi con sollievo: Tuffey decretò che Dio aveva voluto salvarla perché compiesse la Sua opera contro gli abomini della natura; Gary le diede grandi pacche sulle spalle, mentre Robert si limitò ad arrossire, abbozzare un abbraccio, poi cambiando idea darle la mano.

Chandra la sorprese, abbracciandola con trasporto.

Ma a Liz parve di scorgere un’ombra di tensione negli occhi di Monk, quando le disse che c’era stata una breve indagine e avrebbe dovuto sostenere un colloquio con dei suoi superiori. Sarebbe stato organizzato per il giorno dopo.

Sul momento le fecero pochissime domande, il che la mise istintivamente in guardia.

Passò la maggior parte della giornata nell’ospedale, dove diversi medici la visitarono, decretando che era stata colpita da un bel po’ di magia oscura, ma nel complesso si era rimessa bene.

-Qualcuno ti ha aiutata- disse il dottor Donaldson, un giovane medico. Non era una domanda.

-Ehm, io… ecco, non ne sono sicura- rispose Liz -non ricordo quasi nulla degli scorsi giorni. Mi sono ritrovata diversi chilometri lontana dalla stazione, ma non so come ci sono arrivata-

Donaldson esaminò una delle ferite sulla sua testa, dove i capelli erano stati sommariamente tagliati: -Questa è stata evidentemente curata. Non è una medicazione di fortuna, questa è opera di qualcuno che sapeva il fatto suo-.

Liz si strinse nelle spalle. Aveva scoperto che mentire spudoratamente era meno facile di quello che credeva.

La sera, si ritrovò con Chandra nel dormitorio femminile. Per fortuna, tutte le altre donne non erano ancora rientrate.

-Allora, si può sapere che casino hai combinato?- domandò Chandra.

-Io… niente, ho vagato in stato di shock…- iniziò Liz, ma venne subito interrotta dall’altra.

-E’ meglio che cerchi di inventarti qualcosa di meglio di questo. Qui c’è stato il finimondo. Erano convinti che avessi disertato! Sai qual è la situazione dei disertori- le ricordò a bassa voce. Liz non aveva certo bisogno di pensarci: i soldati che abbandonavano l’Inghilterra erano sempre più numerosi, e per arginare il problema l’esercito era decisamente severo. Diciamo drastico.

-In ogni caso, c’è stata un’indagine. Hanno rintracciato un debolissimo segnale intermittente dal tuo palmare. Il problema è che veniva da Londra Nord, in particolare dal quartiere di Highgate. E’ una delle zone a più alta concentrazione nemica!-

Liz deglutì: si era ingenuamente convinta che l’entusiasmo del suo ritrovamento avrebbe messo in fuga ogni dubbio sulla sua versione dell’accaduto, ma doveva ricredersi.

-Da quello che sono riuscita a capire, domani ci sarà un interrogatorio piuttosto serrato. Ci ho pensato tutto il giorno: secondo me ti conviene dare meno particolari possibili. Descrivi l’attacco; l’abbiamo visto nelle telecamere quindi non dirai niente di nuovo. Per il resto, ti faranno un bel po’ di domande: chi ti ha medicata? Chi ti ha tagliato i capelli? E dove hai preso quella sciarpa che avevi addosso stamattina?-

Liz aprì la bocca per rispondere, ma Chandra la interruppe nuovamente: -Non ti preoccupare, quella credo di averla notata solo io. Sensibilità femminile- aggiunse, stringendosi nelle spalle -in ogni caso, cerca di non contraddirti mai. Cerca di ricordarti o inventarti qualche particolare riguardante questi giorni, e continua a ripetere quello.

In ogni caso, non puoi essere messa così male: sei tornata, quindi il peggio che ti possa capitare è che ti accusino di temporanea diserzione, il che è grave ma non così terribile-.

-Grazie Chandra. Io… lo sai che non ho disertato o niente del genere…- non sapeva esattamente cosa dirle. Aveva promesso a Snape di non parlare di lui con nessuno, e intendeva tenere fede.

Chandra sospirò -Senti, a tutti può capitare un momento di indecisione. Non è facile per nessuno. Se ti è capitata l’occasione… be’ lo capisco. Però sei tornata, ed è quello l’importante-.



Il giorno dopo, Liz si presentò all’ufficio del colloquio.

Prima di bussare si schiarì la voce e si passò una mano tra i capelli, che la sera prima Chandra aveva insistito per tagliarle, pareggiando il taglio con le ciocche più corte. Il che aveva il doppio scopo di mascherare l’intervento di medicazione di chi le aveva tagliato i capelli la prima volta e di darle un aspetto più ordinato e presentabile che, a detta di Chandra, era sempre un ottimo biglietto da visita.

Perdere il familiare peso e calore dato dalla massa dei suoi capelli lunghi era stato un po’ spiazzante, per non parlare di quando si era vista allo specchio.

Si decise a bussare, poi aprì la porta.

All’interno vi erano una serie di ufficiali, almeno una decina. Riconobbe Monk e il maggiore Knight.

Ufficialmente era un incontro informale, ma non pareva affatto tale.

Si irrigidì sull’attenti e fece il saluto militare.

-Riposo- ordinò Monk.

Le indicarono una sedia, dove si sistemò.

-Ciao Liz- fece piano una voce familiare alle sue spalle.

Si voltò, non credendo alle sue orecchie: poco accanto a lei era seduto l’ex tenente, ora capitano, Cillian Archer.





Merda.

Questo fu il primo pensiero coerente che Liz riuscì a formulare sul momento. Il secondo fu ringraziare il cielo che Chandra avesse insistito per sistemarle i capelli.

Cillian Archer era stato il tenente della sua unità a Leeds; era stata assegnata alla sua squadra quando era appena uscita dall’accademia della guardia babbana, cioè quando era poco più che diciassettenne.

Qui a Londra erano concentrati molte più Sentinelle che nel resto dell’Inghilterra. Nella più tranquilla e periferica Leeds invece vi era una sola Sentinella per ogni unità. Cillian, come tutti i suoi ex compagni, era completamente umano, o babbano come dicevano i maghi.

Lui era uno dei più giovani e brillanti ufficiali dell’esercito: un uomo caparbio, affidabile, preciso fino al midollo. Tutti i suoi superiori lo adoravano, e, incidentalmente, anche Liz.

Sfortunatamente aveva pensato bene di esprimere la annosa cotta durante una festa di Natale molto alcolica: dopo essersi ritrovati piuttosto sbronzi a baciarsi a fianco al magazzino delle armi da fuoco, lui aveva recuperato parzialmente il raziocinio e suggerito che probabilmente non era una buona idea, visto che lei era molto giovane e lui il suo diretto superiore.

Retrospettivamente, Liz si rendeva conto che avrebbe dovuto dichiararsi d’accordo e agire con nonchalance: purtroppo i cocktail preparati dal caporale David Skinner la pensavano diversamente, quindi si ritrovò a sbraitargli contro anni e anni di amore disperato e non corrisposto.

Nei mesi successivi si era sentita così imbarazzata da decidere di farsi trasferire a Londra. Non l’aveva più rivisto dal loro impacciato commiato un paio di anni prima.

Il maggiore Knight fece un cenno a Monk, che prese la parola.

-Il tuo rapporto sulla scorsa settimana, Mills- ordinò.

Liz raccontò del suo turno di guardia alla metro e dell’attacco dei quattro maghi, dilungandosi il più possibile sui colpi a lei inflitti dai nemici.

-Questo l’abbiamo visto nelle videocamere. Ora dovremmo sapere dove sei stata e cosa hai fatto negli ultimi sette giorni- tagliò corto Monk.

-Non saprei dirlo con esattezza, signore-

Gli ufficiali si scambiarono uno sguardo significativo.

-Sta dicendo che non ha alcun ricordo di come si è liberata dei due assalitori sopravvissuti, né di alcun avvenimento dell’ultima settimana, soldato?- la incalzò Knight, in tono poco convinto.

-Nossignore. Cioè sì. Sissignore. Ecco, io… ho qualche frammento di ricordo. Non so come sono uscita dalla metro, ma mi sembra di ricordare… tombe, statue. Un cancello-.

Si riferiva naturalmente al cimitero di Highgate. Casa di Snape era in quel quartiere, come aveva capito andandosene a piedi e come le aveva confermato Chandra. Sperò intensamente che i suoi superiori cogliessero il riferimento.

-Ha avuto contatti con qualche mago o umano?-

Liz sostenne lo sguardo: -Non posso escluderlo, signore-.

L’interrogatorio proseguì per qualche ora. A quanto pareva, la commissione non aveva nulla di meglio da fare che ripeterle più e più volte le stesse domande, forse sperando di coglierla in fallo.

Tuttavia, Liz era preparata a una simile strategia, quindi si atteneva scrupolosamente alla versione che si era preparata quella notte.

Cillian era stato in silenzio per tutta la durata dell’interrogatorio.

Ad un tratto, dopo che Liz ebbe riferito per l’ennesima volta come era tornata a casa (“Ho preso la metro nella stazione di Finsbury Park”), prese la parola: -Credo che il parere di un esperto potrebbe essere utile. Il dottor Donaldson ha visitato Mills ieri, e potrebbe fornire una diagnosi-.

Gli altri ufficiali acconsentirono e il dottore venne mandato a chiamare.

Donaldson suggerì la possibilità che Liz avesse attinto a una fonte di magia inconscia che le avrebbe permesso di stordire gli assalitori: -Le nostre conoscenze sulla forza paranormale sono ancora tragicamente misere. In particolare, è difficile sapere come potrebbe reagire un mago o un umano con forte potenziale magico, come Mills, in una situazione di forte pressione. E’ possibile che lo sforzo mentale l’abbia lasciata confusa per un certo periodo. Questa è la spiegazione più plausibile a cui riesca a pensare- ammise.

Questo intervento colpì molto la giuria.

Dopo un’altra ora di snervanti domande, sembrarono infine abbastanza convinti da reintegrarla nei ranghi.

Liz tirò silenziosamente un sospiro di sollievo quando Monk le ordinò di ritornare alla sua unità.

Dopo aver rispettosamente salutato gli altri ufficiali si incamminò alla ricerca di Chandra; sentì una voce alle sue spalle che la chiamava per nome.

-Cillian… volevo dire, tenente Archer- rispose.

-Capitano, veramente- rispose lui, indicando i gradi sulla divisa -sono stato promosso qualche mese fa, e di recente distaccato a Londra-.

-Congratulazioni-

-Grazie. Credo che sarebbe comunque ridicolo se iniziassi a darmi del lei.- sorrise -Senti Liz… io… mi dispiace ma il tuo racconto mi sembra davvero poco credibile- aggiunse, senza troppi preamboli.

Liz, suo malgrado, sentì di arrossire.

Si irrigidì: -Stai forse suggerendo che ho mentito a tutti i miei superiori?-

-Io… non so quali siano le tue ragioni, ma se me ne parlassi… qualsiasi cosa sia successa, io penso che sia il tuo dovere riferirlo alla commissione.

Loro sono stati convinti dalle parole di Donaldson, ma io ti conosco. Non stai dicendo la verità. Certo, sono sicuro che tu hai delle ottime motivazioni per essere sparita una settimana- aggiunse poi in tono conciliante.

Il suo dovere. Dovere, dovere, pensò Liz. Sembrava non esistesse altra motivazione per l’agire del tenente, anzi, capitano Archer, ricordò con amarezza.

-Se questo è tutto quello che hai da dirmi, ti chiedo il permesso di tornare con la mia unità. Ho parecchio lavoro arretrato-

Cillian sospirò -Liz, ti prego. Io vorrei aiutarti ma...-

La ragazza si era ormai incamminata.

-Qualunque cosa sia, io temo che tu stia correndo un grosso rischio!- le gridò ancora dietro.



Le settimane seguenti trascorsero in modo tranquillo: in virtù del suo recente infortunio, Liz fu provvisoriamente assegnata a un lavoro d’ufficio (protocollare i rapporti della squadra e occuparsi della trasmissione alla sede centrale).

Ebbe anche occasione di rivedere il capitano Archer tra gli uffici, ma le sue continue insistenze affinché gli rivelasse quello che stava nascondendo la convinsero a cercare di evitarlo il più possibile.

A fine mese fu il turno del suo giorno di congedo.

Monk aveva esitato parecchio prima di concederglielo (a quanto pare il sospetto di una possibile diserzione non era ancora del tutto fugato) e si decise soltanto il giorno precedente, un venerdì. Ormai era troppo tardi per organizzare una visita ai suoi genitori in Francia, considerò Liz irritata: la procedura per ottenere i visti e i permessi di espatrio richiedeva qualche settimana di anticipo, e con un’inchiesta pendente sulla sua testa poteva scordarseli per qualche tempo.

Il sabato mattina si ritrovò quindi a Londra e libera da impegni, come non le succedeva da ormai moltissimo tempo.

Non aveva molti amici lì, nessuno da visitare. O forse sì?

Era un’idea folle, pensò. E in ogni caso lui aveva detto che non sarebbe più stata in grado di ritrovare la casa. Quindi, che male c’era a tentare?

Tuttavia, doveva fare attenzione a non essere rintracciata.

Dopo essersi vestita, si recò nella biblioteca di Finsbury Park, più precisamente reparto sulla letteratura latina: la sala era prevedibilmente deserta. Con molta circospezione incise la base di uno degli scaffali, fino a riuscire a estrarre il listello di copertura. Dopodiché si sfilò il palmare che portava agganciato al polso e lo introdusse nella cavità; poi rimise a posto il listello.

In questo modo, dovunque si fosse recata, a chi avesse osservato il segnale lei sarebbe sempre risultata in biblioteca, forse a leggere qualche classico.

Una volta raggiunto il quartiere di Highgate, non ci mise molto a ritrovare la strada in cui abitava Snape.

La casa era ancora lì, osservò, grande e austera come quando l’aveva vista l’ultima volta.

Perplessa, suonò al campanello.



Da quando Liz era tornata alla sua caserma, Snape aveva potuto riassaporare la privacy della sua casa, che tanto apprezzava.

Certo, era stato interessante, persino, perché negarlo, divertente, avere contatti con un altro essere umano, ma lui era un animale solitario.

Un orso, o forse un’aquila. Le aquile non fanno amicizia con le soldatesse ventenni dal bizzarro senso dell’umorismo. Escluso.

Tuttavia, non poteva negare che la sua presenza l’avesse colpito.

Pochi giorni dopo la sua partenza, si era procurato un manuale babbano di elettronica per principianti: l’interazione della magia con la tecnologia babbana era affascinante, nonché molto utile, come dimostrava il prodigioso giubbetto anti-kedavra.

Si era immerso nella lettura del manuale, che era ostico quanto stimolante. Non si sentiva così ispirato da molti anni.

Il suono del campanello lo riscosse dai suoi pensieri.

Non era possibile, pensò. La casa era protetta dall’Incanto Fidelius, di cui lui era il custode segreto. Non aveva mai rivelato a nessuno (nemmeno al Signore Oscuro in persona) l’indirizzo, né portato nessuno all’interno della protezione dell’incantesimo. Tranne…

La porta si aprì per rivelare il sorriso esitante della ragazza, che sollevò una mano in segno di saluto: -Come va?-



-Credevo che la casa sarebbe sparita o qualcosa del genere- fece Liz, una volta che lui l’ebbe fatta entrare nello studio.

Indossava abiti civili babbani anziché l’uniforme, notò Snape, e forse aveva qualcosa di diverso nei capelli.

-Lo credevo anche io. Se avessi pensato che mi saresti di nuovo apparsa davanti mi sarei come minimo trasferito- sibilò lui. Come aveva potuto dimenticarsi di rinnovare l’incantesimo?

Lei sorrise, come se avesse appena ricevuto un complimento e, con enorme fastidio di Snape, sollevò un libro per leggerne il titolo.

-Adesso, se vuoi smettere di cacciare il tuo naso tra gli affari miei, sarei lieto di sapere che cosa diavolo ci fai qui- sbuffò l’insegnante prendendole il libro dalle mani e rimettendolo su uno scaffale.

La ragazza si sedette su una poltrona: -Be’, innanzitutto ero curiosa di sapere se sarei riuscita a rintracciare casa tua…-

-Direi che la tua curiosità è stata soddisfatta-

-… e poi oggi è il mio giorno libero, sai ne ho uno ogni due mesi, e pensavo che non sarebbe stato male finire di preparare quello Skelegrow di cui mi parlavi qualche tempo fa- finì.

Fu un pensiero in particolare a colpire Snape: -Fammi capire – obiettò – tu hai un giorno libero ogni due mesi… e vieni qui-.

-Be’ sì- rispose Liz.

-Non hai una famiglia da andare a trovare?-

La ragazza annuì: -Sì ma non vivono in Inghilterra e non ho fatto in tempo ad organizzarmi-

-Degli amici con cui passare questi giorni?-

-Non proprio- rispose lei, un po’ imbarazzata –Come avrai capito, non ci fanno uscire molto-.

Snape sospirò, rassegnato: - Immagino di essere l’unico a sopportare l’onore e l’onere della tua compagnia, la cosa non mi stupisce-

Liz sbuffò.

-Prendi quel calderone lì in fondo, prima che cambi idea- aggiunse burberamente.



Nel complesso la giornata fu più piacevole di quanto si fosse aspettato.

Lo Skelegrow riuscì perfettamente, e Liz fu ben lieta di portarsene via una bottiglia “per ogni evenienza”.

La sua consulenza poi fu per lui molto preziosa per chiarire le parti del trattato di elettronica per lui incomprensibili (il concetto di voltaggio gli era particolarmente difficile da comprendere), e si scoprì vagamente deluso quando si rese conto che per lei era arrivato il momento di tornare in caserma.

-Be’ allora… ci vediamo- lo salutò lei, sulla soglia.

Snape le rivolse un cenno di saluto, chiudendosi la porta alle spalle.

Era sicuro che di lì a un mese l’avrebbe rivista.



Liz rientrò in caserma in orario, dopo essere passata da Finsbury Park a recuperare il palmare, che giaceva indisturbato nel suo nascondiglio.

Attraversando l’ingresso si imbatté in Cillian, che usciva in quel momento.

-Hai passato una buona giornata?- le domandò, con una strana espressione.

-Sì, certo, grazie- rispose lei un po’ perplessa.

-Non sapevo fossi appassionata di letteratura latina- osservò il capitano.

Aveva controllato il segnale del suo palmare! Ma perché non si faceva gli affari suoi?

-Be’, che dire, ci sono tante cose che non sai- replicò Liz seccata.

Cillian fece per dire qualcosa, poi parve cambiare idea.

Mentre saliva le scale, Liz poteva sentire il suo sguardo che la seguiva.

Decisamente non era convinto.
 
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Astry
view post Posted on 24/1/2011, 13:04




Uuuuh! Che bello! Allora non ci hai abbandonate. *saltella felice*
La storia continua a piacermi. E' costruita bene, ben studiata nel contesto e nei particolari. Ben scritta, e, ovviamente, Piton è sempre molto affascinante, anche quando fa il riccio scontroso.
 
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Natalie_S
view post Posted on 31/1/2011, 09:45




CAPITOLO 5

-Sei proprio sicuro che questi abiti siano babbani?- domandò Liz, con una punta di sarcasmo, all’anziano seduto su una panchina della stazione della metropolitana di Golders Green.

L’uomo indossava lunghi jeans con una pronunciata zampa d’elefante e una camicia a fantasia psichedelica.

-Certo che sono sicuro! Erano di mio padre- replicò questi offeso.

La ragazza ridacchiò, alzando le mani in segno di resa: -Se lo dici tu…-

Snape era andato ad assisterla durante il suo turno di guardia notturno alla stazione della metro: di recente aveva preso l’abitudine di andarla ogni tanto, quando lei si trovava in servizio in giro per Londra.

Comunicavano le ore e i giorni tramite due pezzi di pergamena incantati, su cui era visibile per entrambi ciò che uno dei due scriveva.

Erano passati sei mesi dalla prima volta che la ragazza era andata a trovarlo a casa sua, e quegli incontri erano diventati un piacevole intervallo nella monotonia delle sue giornate.

Il mese successivo si era scoperto molto arrabbiato quando Liz non si era presentata di sabato, salvo poi apparire il mercoledì, spiegandogli tranquillamente che il suo giorno libero non cadeva necessariamente sempre lo stesso giorno della settimana.

Un paio di mesi prima poi, quando lei aveva saltato un incontro, arrivando a quello successivo con un braccio appeso al collo, sembrava fosse impazzito per l’angoscia. Forse fino a quel momento non si era veramente reso conto che un giorno la giovane soldatessa avrebbe potuto non presentarsi affatto, e lui non ne avrebbe mai più saputo niente.

Non era stato niente di grave, aveva minimizzato lei, un banale scontro con un paio di maghi in vena di grane. Inoltre, aveva aggiunto orgogliosa, aveva avuto l’occasione di provare lo Skelegrow di sua produzione e questo aveva funzionato benissimo.

Pure troppo bene, in realtà, visto che il dottor Donaldson le aveva rivolto moltissime domande inquisitorie sulla sua veloce e quasi miracolosa guarigione. Anche in questo caso le sue spiegazioni non sembravano averlo del tutto convinto, ma non avendo niente di concreto a cui aggrapparsi non aveva potuto fare altro che lasciar perdere.

Anche Cillian Archer stava iniziando a diventare un bel problema: mentre Monk si rallegrava della sua celere ripresa e lodava i sofisticati incantesimi con cui Liz si era difesa durante lo scontro, Cillian non faceva che rivolgerle continue domande su dove e come avesse imparato alcune tecniche di difesa, e a indirizzarle avvertimenti sempre meno velati sui rischi che correva chiunque tentasse di agire dietro le spalle dell’esercito.

Lei era preoccupata, doveva ammetterlo: se avessero scoperto che intratteneva un qualche tipo di rapporto con un mago l’avrebbero come minimo accusata di alto tradimento. Non credeva che spiegare le buone intenzioni di entrambe le parti sarebbe valso a molto.

D’altra parte però non poteva rinunciare alla mole di conoscenza che le offriva Snape: c’erano così tante domande che si era rivolta sulla magia nel corso della sua vita, e finalmente aveva trovato qualcuno che poteva risponderle, per non parlare degli orizzonti magici che le aveva aperto, di cui lei non aveva nemmeno sospettato l’esistenza.

Oltretutto, non poteva negare di essere sinceramente affezionata a quel vecchio insegnante dai modi scorbutici. In effetti era il primo vero amico che aveva dopo molti anni.

Quanto a Cillian, be’, col tempo si sarebbe calmato, del resto non aveva nessuna prova contro di lei. Liz avvertiva sempre una specie di brivido quando pensava a lui, anche se non sapeva dire se fosse per il pericolo che lui rappresentava o per… qualcos’altro.

-E così hai usato il Sectumsempra l’altro giorno?- chiese Snape, riscotendola dai suoi pensieri.

-Sì, ha funzionato benissimo- rispose Liz – Sai, pensavo che non sarebbe male imparare a evocare un Patronus… c’è tutta una parte di Londra a cui non possiamo accedere, perché è infestata di Dissennatori. Solo il generale e un paio d’altri riescono a utilizzare l’incantesimo giusto-.

Snape annuì: -Buona idea, ma dovremmo farlo a casa mia. Non basterebbe disattivare qualche rilevatore di magia, manderemmo in tilt mezza Golders Green se evocassimo un Patronus qui-.

Negli ultimi mesi si era interessato molto di tecnologia babbana e di come questa interagiva con la magia: aveva anche trovato il modo di incantare i rilevatori per silenziarli quando faceva esercitare Liz nei lunghi turni di guardia notturni. Era davvero una fortuna che nessun altro mago ritenesse opportuno occuparsi di triviale elettronica, le potenzialità erano enormi.

Liz sbadigliò, poi controllò l’orologio: -Sono le sei passate! Io stacco, vado a dormire! Ci vediamo domani da te allora?-

-Stesso posto, stessa ora- replicò Snape, e si smaterializzò via.

Il rilevatore di magia sopra la testa di Liz diede un trillo acuto, che la fece sobbalzare.

-Oh, sta’ zitto- esclamò, tirando fuori un telecomando dalla tasca e disattivandolo.

In quel momento il capitano Archer entrò nella stazione della metro.

Indossava abiti civili che, come Liz non poté fare a meno di notare, gli stavano molto bene, dandogli un aspetto più giovane e rilassato della severa divisa.

-Che cos’è stato?- domandò preoccupato.

-Buongiorno anche a te- fece Liz, distogliendo lo sguardo imbarazzata- Niente, mi è solo caduta la bacchetta e ha sparato fuori qualche scintilla. Piuttosto, cosa ti porta qui a quest’ora?-

-In realtà- rispose Cillian, sedendosi sulla stessa panchina dove, fino a poco prima, stava Snape- speravo di parlarti, in privato. E’ un bel po’ che cerco di farlo… una volta, parlavamo sempre-.

Riluttante, la ragazza si sedette accanto a lui. Non aveva molta voglia di ricordare i bei tempi andati, ma d’altronde non poteva certo piantarlo in asso.

-Mi è dispiaciuto molto quando hai chiesto il trasferimento due anni fa – iniziò – Speravo che avremmo potuto continuare a lavorare insieme nonostante… be’… tutto – si strinse nelle spalle, un po’ a disagio –In fondo abbiamo combattuto fianco a fianco, letteralmente, per quasi sette anni. Siamo praticamente cresciuti insieme. E non sei cambiata tanto quanto credi negli ultimi tempi. Lo vedo che c’è qualcosa che non vuoi dire… no aspetta, lasciami finire- aggiunse, notando che Liz stava prendendo fiato per protestare –ti prego. Conosci un sacco di incantesimi che nessun altro qui conosce. Lo so, mi sono informato. Ho letto il manuale di Longbottom, li riconosco anche se non posso usarli. Sparisci tutti i tuoi giorni liberi in biblioteche e non hai mai un singolo libro con te. Stai sempre per conto tuo a scrivere e sembri persa nei tuoi pensieri. Se tu ti fossi cacciata in una situazione poco chiara… dovresti parlarmene. Io ti posso aiutare, davvero, basta che mi dici cosa sta succedendo e troveremo la soluzione. Non ti succederà niente…-

Liz lo interruppe: -Senti… ehm, è vero, qualcosa mi è successo-.

Cillian si voltò verso di lei, sorpreso: -Sono contento che tu abbia deciso…-

-No aspetta- lo fermò la ragazza –non è quello che credi. Io… - ebbe un’illuminazione – ho conosciuto una persona. Qui a Londra. Sai, ehm… mi piace molto-.

Be’, in un certo senso non era una bugia, considerò tra sé e sé.

Il capitano si rabbuiò:- Una persona. Certo. E sarebbe questa la ragione del tuo strano comportamento-

-Sì esatto- annuì Liz – però capisci, sono cose personali e…-si strinse nelle spalle- sai com’è…-.

-Certo – ripeté lui –Non sono affari miei. E questo è tutto quello che hai da dirmi a riguardo?- aggiunse.

-Be’… sì-

-Va bene. Se questo è quello che vuoi, non ne parleremo più- fece stancamente.

Liz si alzò: -Se non ti dispiace io… andrei-.

Cillian annuì.

La soldatessa strisciò un pass sul sensore della barriera della metropolitana, la attraversò e si avviò verso i binari.

Quando si fu allontanata, il capitano Archer estrasse un cellulare dalla tasca e compose un numero: -Pronto, Tomlinson? Avrei bisogno che ti occupassi di un lavoro per me. Dovresti seguire una persona-.





Il giorno seguente, Liz si recò a casa di Snape, dopo aver fatto una piccola deviazione alla biblioteca di Islington per nascondere il suo palmare.

Dopo aver preso il thé, Snape le insegnò l’evocazione di un Patronus, una magia piuttosto avanzata a suo dire. Liz, con sua grande delusione, non riuscì a scoprire in quale animale si sarebbe presentato, in quanto non riuscì a evocarne uno corporeo, ma soltanto a creare una specie di scudo luminoso davanti a sé.

Secondo Snape era comunque un ottimo risultato.

Quando fu ora di tornare a casa, Liz salutò Snape e uscì.

I suoi occhi abituati alla penombra dello studio furono colpiti dalla luce violenta di un faro puntato contro di lei.

Non appena riuscì a mettere a fuoco, osservò sorpresa la scena che si stagliava davanti a lei: c’erano tre auto della polizia, illuminate dalla luce intermittente della sirena, una decina di poliziotti con il mitra spianato, più metà della Sezione Paranormale che le puntava contro la bacchetta.

Riconobbe Chandra, che sembrava spaventata e preoccupata, Tuffey, che invece aveva l’aria risoluta e Garreth, che appariva semplicemente terrorizzato.

-Ma… che sta succedendo?- domandò, stupita.

La voce di Knight le arrivò attraverso un megafono: -Soldato Mills, getti la bacchetta davanti a sé-.

-Cosa?-

-La bacchetta, Liz. Dammela – questo era Monk, che si era staccato dal gruppetto avanzando verso di lei, pur tenendosi a distanza di sicurezza.

Meccanicamente, la ragazza tirò fuori la bacchetta e la gettò a terra. Dalla sua punta uscirono delle scintille verdastre: i poliziotti fecero istintivamente un balzo all’indietro.

Le bacchette dell’esercito lo facevano sempre, era un difetto di progettazione che non era ancora stato corretto, e tutti lo sapevano benissimo. Perché erano così spaventati, come se lei potesse aggredirli da un momento all’altro?

-Cosa hai fatto qui dentro per tutta la giornata?- domandò Monk, quasi riluttante –Abbiamo registrato un concentrato di attività magica altissima. -.

-Io… no, sono appena arrivata… ero a Islington…- iniziò Liz, ma il capitano la interruppe.

-Questo- fece, tirando fuori dalla tasca un piccolo palmare– era a Islington. Tu invece sei qui da questa mattina - .

-Sentite, posso spiegarvi…- iniziò la soldatessa, mentre sentiva salire il panico.

-Come hai fatto ad apparire dal nulla?- insisté il tenente –Questa è una cosa che solo i maghi sanno fare. -

-Dal nulla? No, ero dentro questa casa ma…-

-Quale casa?- chiese Knight attraverso il megafono- A quale casa si riferisce?-

Liz avrebbe voluto urlare per la frustrazione: -Quella dietro di me, ovviamente!-.

-Liz, non c’è nessuna casa dietro di te- disse Cillian quietamente. Non si era resa conto che c’era anche lui, a pochi passi dal gradino da cui lei era appena scesa.

Doveva essere uno dei meccanismi di protezione di cui aveva parlato Snape, pensò.

Poi sentì una profonda rabbia salirle alla testa, mentre capiva cosa era successo: - Tu!- urlò – Sei stato tu a farmi seguire! Come… come hai potuto farlo!?-.

Cillian fece un passo verso di lei: -Andrà tutto bene, Liz, devi ascoltarmi, devi dire loro cosa sta succedendo, non ti capiterà niente, però devi spiegare…-

-Sei un cretino!!!- urlò Liz –Non capisci che..- istintivamente si mosse verso di lui, e in quel momento tutti i poliziotti tolsero la sicura al mitra, con uno spaventoso “clic”.

Le avrebbero sparato se avesse fatto qualche gesto inconsulto, si rese conto. Liz si fermò, sconvolta.

Knight e Monk si scambiarono uno sguardo carico di significati: -Ora andiamo- disse Monk, raggiungendola e facendole scattare delle manette ai polsi –Sei in arresto per alto tradimento- aggiunse, rassegnato.



Nei giorni seguenti, Liz passò la maggior parte del suo tempo ad essere interrogata da ufficiali dal grado sempre più alto.

Il pezzo di pergamena incantata che trovarono nelle sue tasche fu considerata una prova incriminante e, ovviamente, requisito.

E’ vero, ammise, era in contatto con un mago. Ma questi era estraneo alla guerra, era un tizio scorbutico di mezza età che le aveva insegnato a difendersi e a preparare delle pozioni mediche, e non le aveva mai chiesto nulla di militare o riguardo ai loro piani.

Era tutto inutile. Non le credevano. Vedeva le loro espressioni prima scettiche, poi irritate, poi furiose.

-Che cosa ti hanno promesso? Pensavano di utilizzarti come infiltrato? Cosa hai detto loro? Da quanto tempo va avanti?-

Ormai erano convinti di aver acciuffato la responsabile della fuga di informazioni che aveva creato tanti problemi negli ultimi tempi.

Era assurdo.

Aveva cercato di spiegare loro che non poteva nemmeno portarli da lui, perché la casa era protetta da qualche tipo di protezione per cui solo il proprietario poteva decidere a chi mostrarla: questa spiegazione era stata etichettata come “ridicola”. Probabilmente, considerò amaramente Liz, era un incantesimo piuttosto sofisticato, e nessuno dei nati babbani ne aveva mai sentito parlare.

Persino il suo cosiddetto avvocato, tale Parker, sembrava poco incline a prodigarsi per aiutarla: la considerava una traditrice, come gli altri.

Anche Cillian Archer l’aveva interrogata: si era dimostrato più propenso di tutti gli altri a crederle, aveva promesso che avrebbe cercato di fare il possibile per aiutarla ma la sua situazione “non era buona”, aveva commentato visibilmente preoccupato. Era stato l’unico a segnarsi il nome di Severus Snape, mentre gli altri ufficiali non avevano nemmeno finto di annotarlo.

Ogni volta che lo incontrava aveva l’aria sempre più disfatta, come se non dormisse da giorni.

Mentre passava le ore di riposo in cella (la stessa dove, aveva considerato con orrore, probabilmente qualche raro mago catturato aveva atteso la pena capitale), Liz cercava di tenere a bada i lugubri pensieri sul suo futuro. Sarebbe stata condannata, ne era sicura. Poteva solo sperare che credessero nella sua buona fede, ma non si sentiva molto fiduciosa a riguardo.

La guerra li stremava da anni, e tutti sembravano ben felici di avere qualche colpevole su cui accanirsi.

Probabilmente i maghi avevano semplicemente qualche corrispondente magico di una cimice (aveva visto a casa di Snape molti ritratti muoversi da una cornice all’altra, e immaginava che stregare un oggetto per questo scopo non fosse difficile) e non avrebbero comunque avuto bisogno di inflitrarsi, ma i suoi superiori sembravano entusiasti dell’aver identificato una spia.

Dopo una settimana venne fissata la data del processo, qualche giorno più tardi. Sarebbe stato presente, in qualità di giudice, il generale Longbottom, una delle poche persone che, si diceva, avesse conosciuto il mondo dei maghi prima dello scoppio della guerra.

Rispetto ai tempi di pace l’iter giudiziario si era notevolmente snellito, tanto da assomigliare più ad una farsa che ad un’applicazione della giustizia.

Nel suo caso, evidentemente avevano paura che potesse liberarsi con qualche magia a loro ignota o perfino che qualche mago la potesse far evadere, e volevano toglierla di mezzo il prima possibile.

Vana preoccupazione, considerò Liz. Non che non ci avesse pensato, era chiaro: non avendo molta fiducia nel sistema aveva pensato a ogni possibile soluzione illegale per togliersi da lì.

Un paio degli incantesimi di Snape l’avrebbero tirata fuori in un baleno, ma senza bacchetta non poteva eseguirne nessuno, né aveva modo di contattarlo. Ammesso che poi lui volesse esporsi tanto da farla scappare… certo, insegnarle un paio di fatture ogni tanto era una questione, affrontare altri babbani per metterla in salvo… be’, era un altro paio di maniche.

Avevano avvisato i suoi genitori, le avevano detto. Ma, vista la natura della sua accusa, non le era concesso comunicare direttamente con nessun civile, neanche via lettera.

Mentre fissava i muri sporchi e costellati di scritte, pensò che a quel punto era davvero sola.



Cillian Archer era disperato. Non avrebbe saputo come altro definire la sua condizione.

Era tutta colpa sua, ora lo capiva. Avrebbe dovuto cercare di parlarle ancora, di farsi dire che cosa stava combinando invece di far intervenire le altre autorità.

Eppure ci aveva provato, aveva insistito per mesi, ma Liz non aveva voluto confidarsi con lui, e lui sapeva cosa il suo dovere gli imponeva di fare.

Ma ora… se davvero, come sembrava probabile, lei ci avesse rimesso la vita, non avrebbe mai potuto perdonarselo.

Sembrava che, in qualche modo, lui riuscisse sempre a fare la cosa sbagliata quando si trattava di Liz Mills, pensò.

Da quando era stata trasferita a Londra, quasi due anni prima, era stato deluso e confuso. Sembrava che lei fosse, oltre che imbarazzata, risentita nei suoi confronti. Ma lui sapeva che non poteva fare altro… aveva agito correttamente, ne era sicuro… però, ugualmente, non aveva potuto fare altro che sentirsi in colpa, e vagamente in collera con sé stesso.

Mentre si versava l’ennesima tazza di caffè della giornata (ormai elemento essenziale, se non addirittura unico, della sua dieta), ripercorse gli avvenimenti dei giorni precedenti.

Il processo avrebbe avuto luogo il giorno seguente e secondo tutti gli ufficiali, ormai la ragazza era spacciata.

Il maggiore Knight era sicuro che da mesi tramasse alle spalle dell’esercito per minare anche le ultime resistenze degli umani. Questa opinione era condivisa da tutti gli ufficiali di grado superiore con cui aveva parlato.

Monk, il tenente a capo della squadra di cui faceva parte Liz, era meno convinto della sua colpevolezza… tuttavia, sembrava non fosse neanche propenso a credere alla sua innocenza.

Nonostante i suoi appelli sempre più disperati, nessuno aveva voluto nemmeno considerare l’ipotesi di dare credito alla versione della ragazza.

E lui, Cillian, che cosa credeva? Le aveva parlato per molte ore a riguardo, poi la conosceva bene da anni, e sapeva che non avrebbe tradito. Era però possibile fosse stata ingannata… che qualche mago le avesse fatto credere di volerla aiutare per poi invece utilizzarla per i suoi scopi.

Cillian sapeva che Liz odiava la vita nell’esercito. Non gliel’aveva mai detto chiaramente, ma traspariva dai suoi comportamenti, le sue manie, le sue piccole idiosincrasie: il suo cambiare la divisa con abiti civili nel momento esatto in cui non era obbligata ad indossarla, o il fatto che passasse ogni minuto di congedo il più lontano possibile da altri militari.

Non era come lui: lui aveva scelto di combattere, sapeva che questa era la sua strada e il suo entusiasmo l’aveva aiutato nella sua rapida carriera.

A Liz invece tutto questo era stato imposto, e probabilmente l’occasione di infrangere le regole e decidere da sé come usare il suo potenziale magico l’aveva attirata irresistibilmente.

L’idea di capire i principi della magia, invece di usarli pedestremente come le veniva ordinato, era sicuramente qualcosa che poteva avere un’enorme attrattiva per lei.

Nessun umano però si sarebbe dimostrato comprensivo. Tutti loro avevano perso qualcosa, o qualcuno, o tutto nel corso della guerra e non si sarebbero dimostrati indulgenti.

Nessun umano l’avrebbe aiutata.

Ma forse… forse qualche mago l’avrebbe fatto, pensò Cillian, sentendo un’improvvisa fitta di speranza.

Se ammetteva, solo per un istante, che la storia di Liz fosse effettivamente vera, allora c’era qualcuno che la poteva confermare, qualcuno che, presumibilmente, non avrebbe voluto che lei fosse giustiziata.

Il vecchio mago che abitava nella casa invisibile.

Non suonava particolarmente credibile detto così, osservò tra sé e sé: ma del resto, lui era solo un bambino quando era scoppiata questa guerra assurda e irreale, e per tutta la vita aveva dovuto accettare eventi che sfidavano la logica.

Forse, per uscire da questo incubo, doveva solo mettere da parte la logica per un po’.





Era calata la sera quando il capitano arrivò nel quartiere dove era stata arrestata Liz.

Entrambi i lati della strada erano occupati da ville in stile vittoriano, intervallate qua e là da giardini all’interno di cancelli in ferro battuto. La maggior parte delle case sembrava disabitata, ma non era strano. Gran parte della popolazione di Londra era stata sfollata.

Cercò di ricordare l’esatto punto in cui si trovava Liz. Era apparsa in fondo alla strada, e alle sue spalle si trovava uno dei giardini cintati, che appariva vetusto e poco curato.

Forse entrando avrebbe trovato qualche indizio, quindi fece per avvicinarsi.

In quel momento fu colpito dall’improvvisa consapevolezza che doveva tornare alla caserma… aveva da fare, faccende molto importanti… non poteva perdere tempo lì.

Fece un passo indietro e si incamminò verso la stazione della metro… doveva andare... cosa gli era venuto in mente?

“No, un momento, ma cosa sto facendo?” pensò, fermandosi improvvisamente al termine della via “E’ questo quello che devo fare, devo cercare di contattare il mago Severus Snape. Sono qui per questo!”.

Tornò sui suoi passi, dirigendosi nuovamente verso il giardinetto.

Ma no, pensò una volta arrivato quasi a toccare la maniglia del cancelletto, non era questo il posto dove trovare il mago… doveva tornare, parlare con Liz, lei avrebbe saputo…. Sì, era chiaro… non poteva perdere tempo lì…

Questa volta, la sensazione passò già a metà della strada.

Doveva trattarsi di incantesimi repelli-babbano, capì Cillian: ne aveva letto sul manuale di Longbottom, sapeva che esistevano anche se nessuno dei nati-babbani era in grado di eseguirli; inoltre confermava la versione di Liz per cui la casa era protetta da sofisticati incantesimi.

Fece una serie di prove, cercando di avvicinarsi sempre di più: infine stabilì che la minima distanza di sicurezza era a circa una decina di passi dal cancello del giardino. Probabilmente, rifletté, il giardino non esisteva affatto, era solo un’illusione che nascondeva la casa.

Il mago era lì dentro, pensò ansiosamente, ma come poteva contattarlo?

Afferrò un sasso dalla strada dissestata e lo tirò nella direzione in cui, supponeva, si trovava la casa; il sasso rimbalzò contro l’aria come se avesse incontrato una superficie elastica.

A quanto pare non era possibile sfondare una finestra, ma chissà se chiunque si trovava all’interno dell’abitazione aveva sentito il rumore…

Forse il rumore era l’unica cosa che poteva penetrare gli incantesimi... Cillian tirò fuori la pistola dalla fondina e sparò una serie di colpi in aria, per poi urlare - SEVERUS SNAPE!!! DEVO PARLARTI!!!-.

Sparò un’altra raffica di colpi: - SNAPE!!! SEVERUS SNAPE!!! PUOI SENTIRMI?-.

Non accadde nulla.

No, non poteva essere… era così vicino… doveva esserci il modo per parlargli! Non c’era più molto tempo, il processo era l’indomani.

In preda al panico, afferrò una manciata di sassi e iniziò a lanciarli in direzione della casa.

Quando li ebbe finiti, ricominciò a urlare, diventando paonazzo per la rabbia e la frustrazione: -SNAPE!!! SNAPE!!! ESCI, RAZZA DI…-.

Non poté continuare la frase, perché la lingua gli si incollò al palato, impedendogli di parlare e quasi di respirare.

La pistola gli cadde, e si portò le mani alla gola, tentando di alleviare la sensazione di soffocamento.

Quando rialzò lo sguardo, davanti a lui c’era un uomo, con unti capelli grigi lunghi fino alle spalle, che lo minacciava con una bacchetta: -Si può sapere chi sei e che diavolo vuoi da me?-.



Snape aveva capito che qualcosa non andava già da un paio di giorni.

Dal giorno in cui era andata a trovarlo, Liz non aveva più scritto sulla pergamena, né gli aveva fatto avere sue notizie in altro modo, e questo era piuttosto strano.

D’altronde, era possibile che semplicemente avesse perso o danneggiato la pergamena, oppure che avesse da fare. Tuttavia non era riuscito a scrollarsi di dosso la sensazione di imminente pericolo.

Quando aveva sentito la voce di quel tizio sbraitare il suo nome in mezzo alla strada gli era quasi preso un colpo.

Highgate era un quartiere di Londra poco popoloso, ma i pochi abitanti erano quasi tutti maghi, ragion per cui non gli faceva molto piacere che qualcuno mettesse in pericolo l’ anonimato che aveva impiegato anni a conservare accuratamente.

Aveva aperto la porta e si era trovato davanti un tizio sui venticinque anni, con l’uniforme dell’esercito inglese, dall’aria visibilmente sconvolta (anche per la piccola fattura che aveva lanciato per chiudergli il becco).

-Che cosa vuoi?- ripeté Snape.

Il tizio indicò la propria bocca, che era ancora sigillata dall’incantesimo.

-Se faccio la controfattura, posso essere sicuro che non ricomincerai a sbraitare come una scimmia urlatrice?- domandò il mago annoiato.

L’altro annuì e si mise la mano destra sul cuore, in segno di solenne promessa.

Snape diede un veloce sventolio di bacchetta, e il soldato aprì la bocca inspirando sollevato.

-Si tratta di Liz – disse infine, dopo aver tossito e sputacchiato per un po’ –Quando è uscita da casa tua la settimana scorsa… è stata vista uscire da qui, o meglio, apparire qui. E’ stato provato che ha avuto dei contatti ufficiosi con dei maghi, cioè con te, e… insomma, è stata accusata di alto tradimento. Pensano che sia stata reclutata come spia-.

Snape sbuffò:- Ma è ridicolo!-

-E’ vero, ma sono tempi difficili e questi non vanno molto per il sottile. Inoltre ci sono delle continue fughe di notizie e non sembra loro vero poter dire di aver trovato la colpevole. Ti prego – lo afferrò per una manica della veste, mentre la sua voce assumeva una sfumatura di disperazione –devi venire con me. Se tu spiegassi a tutti che Liz non è una spia, e che le hai solo dato ripetizioni di pozioni o qualcosa del genere, lei si salverebbe-.

Il mago ritrasse il braccio come disgustato, liberandolo dalla stretta: - Salvarsi? Non crederai certo che per un banale malinteso…-.

Cillian gli rivolse un’occhiata di scherno velata di amarezza: -Io non lo credo. E’ una certezza. Chiederanno la pena capitale, e l’otterranno sicuramente. -.

Snape aprì la bocca per parlare, ma non uscì alcun suono.

-Ti prego- ripeté il babbano – anzi, ti supplico. Non sarei qui a chiedere il tuo aiuto se non fosse l’ultima spiaggia. Se dovesse succederle qualcosa io… ecco… mi sento responsabile, in un certo senso è a causa mia che… e…sarebbe…- non riuscì a terminare la frase.

L’insegnante tacque per un attimo, mentre molti pensieri gli vorticavano nella mente.

-Vuoi farla evadere?- domandò infine in tono neutro.

Il babbano rimase interdetto: - No. Vorrei che tu confermassi la sua versione. Se dovesse evadere dove andrebbe? Non potrebbe stare con gli umani né con i maghi… sarebbe una vita da latitante… e non credo che durerebbe molto. -.

-Mi dispiace, ma non vedo altra strada. Non posso… entrare nell’aula di un tribunale babbano, così come se niente fosse. Nel caso non l’avessi notato, devo informarti che c’è in corso una guerra civile e io sono decisamente parte della fazione avversa alla vostra-.

- Ti prego- ripeté ancora il soldato - Farò qualsiasi cosa tu ritenga necessario. Domani mattina ci sarà il processo e se come credo verrà condannata, l’esecuzione potrebbe essere dopodomani. Dimmi cosa vuoi… vuoi i codici di accesso della centrale? Vuoi i segreti delle nostre armi? Dimmi di cosa hai bisogno e io… ti dirò tutto…- aggiunse. Sembrava completamente abbattuto.

Per un istante, quell’uomo sconvolto gli ricordò molto sé stesso, in una vita precedente. Questo lo metteva, ora, nei panni di Albus Dumbledore? No, pensò, proprio no. Albus agiva sempre per un qualche suo macchinoso piano superiore, muovendo gli altri come pedine.

Lui non aveva nessun piano, se non quello di vivere in solitudine quello che restava della sua vita.

-Non voglio nulla. Io… non credo di poterti aiutare. Mi dispiace, davvero -.

-No! Ti scongiuro… basterebbe che tu venissi lì, e poi… troverei il modo di farti andare via… ti assicuro… - balbettò il babbano.

-Mi dispiace- disse di nuovo Snape – Va’ a casa. Trova una soluzione, falla evadere, non so. -.

-Non puoi stare lì e non fare niente!!!- esclamò l’altro, in tono aggressivo.

-Io posso fare o non fare tutto ciò che ritengo opportuno!- urlò Snape, irato –Nessuno potrà più manipolarmi per farmi fare quello che vuole!- e così dicendo, rientrò in casa e sparì.



Ciao Astry!
Grazie, sono contenta che la storia continui a piacerti!
Mi piace troppo scrivere di Piton, è praticamente una droga. :blush:
Non so perchè, gli altri personaggi non danno questa soddisfazione!
Ciao, a presto!!!
 
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Astry
view post Posted on 31/1/2011, 13:45




Eccoci qua! Bene bene.
AAAAAAAHHH!!!!!
Tanto per cominciare, come ti è saltato in mente di conciare Piton in quel modo? Una camicia psichedelica, orrore e raccapriccio. Severus si sarebbe fatto cruciare a morte piuttosto che infilarsi quella cosa. Ahahah! :lol: Poi dici a me che sono sadica. Se non è sadismo questo....
Mannaggia a quell'impiccione di Cillian. Mi è piaciuta la scena in cui lui sbraita davanti alla casa di Piton. Me lo sono proprio immaginato il vecchio prof che alla fine esce a vedere cosa vuole quello scocciatore, menomale che non l'ha disintegrato all'istante. Però ha fatto bene a tappargli la bocca. Piton è un mito!

Riguardo al fatto che Piton è una droga, non posso che essere d'accordo con te.
 
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arcady
view post Posted on 31/1/2011, 14:10




Io non posso dirlo come scrittrice (ancora) ma sicuramente è una droga per me leggere di Severus!!!
Leggo di tutto ma devo dire che questa fic (insieme a quelle di Astry, non lo dico perchè lei legge questo post :gaio: eheh) è una delle migliori!!
O ma...il Sev non può mai farsi i ca**i suoi in santa pace che deve andare a salvare sempre qualcuno??? aahaah
 
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34 replies since 26/12/2010, 16:04   322 views
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