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La notte vista da una prigione

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Mafalda Hopkirk
view post Posted on 15/10/2009, 16:58




Fandom: Harry Potter
Rating: Pg13
Personaggi: M., personaggio inventato
Genere: Angst
Avvertimenti: Nessuno.

Dalla grata di Azkaban il cielo si vedeva bene. Era una notte come tutte le altre, apparentemente. Per lei però era qualcosa di più.
Si trovava in prigione da quasi un anno, rinchiusa per numerosi omicidi. Circa undici vittime, senza contare le persone che erano morte perché si trovavano nel posto sbagliato al momento sbagliato. Non aveva mai avuto un motivo particolare per uccidere le persone, era solo spinta da un odio profondo, una voglia di vendetta verso la razza umana. Le sue vittime erano perlopiù famiglie felici, ma si divertiva a progettare la morte di uomini di prestigio o di ricche donne. Aveva ucciso uomini e donne per circa cinque anni e aveva sempre lasciato agli auror un messaggio. Una sua firma. Era una M stilizzata, l’iniziale del suo nome. Rise a quel pensiero. Incredibile, l’aveva scampata per ben cinque anni.
Tornò a guardare le stelle, ognuna diversa dall’altra. L’indomani avrebbe avuto il processo, dovevano decidere se ucciderla oppure lasciarla in prigione a vita. Preferiva senza dubbio la prima opzione. Morire con l’immagine di quattro sudice mura non era quello che avrebbe voluto dalla vita.
Ma cosa voleva lei dalla vita? Le era stata data una famiglia, la possibilità di farsi un’istruzione, forse l’unico aspetto buono della sua esistenza. Aveva studiato ad Hogwarts, anche se non le interessavano molto le lezioni. Trascorreva la maggior parte del tempo in biblioteca, nella sezione proibita. Aveva deciso di alimentare quel piccolo granello di male che ogni uomo ha dentro di sé. Fa parte della nostra anima, nessuno nasce cattivo. Però può scegliere se esserlo o meno. E lei, con quelle letture, aveva innaffiato quel piccolo seme a poco a poco, finché non era diventato un’enorme quercia dalla corteccia dura, che aveva creato una sorta di barriera tra lei e il mondo.
Uccise per la prima volta a soli vent’anni. Era uscita da poco da Hogwarts e invidiava tutte quelle persone che sapevano già cosa fare della propria vita e odiava chi le diceva cosa avrebbe potuto o non avrebbe potuto fare. Era un vizio che aveva la sua migliore amica, passava giornate intere spiegandole com’era bello il mondo, com’era bello stare là fuori e sentire di avere una missione da compiere, un lavoro da portare a termine. Ma lei non aveva bisogno di paternali su che cosa accadeva fuori dalla porta di casa sua, figuriamoci poi se da una sua coetanea.
Quella fu la prima e ultima volta che uccise una persona con un oggetto. Le conficcò un tagliacarte nella carotide. Si ricorda ancora il fiotto di sangue vermiglio che uscì dal collo dell’amica e l’espressione terrorizzata di lei. Non provò alcuna pietà per l’amica, né tantomeno ribrezzo verso se stessa. Nel momento in cui la lama aveva perforato la pelle della ragazza, si era sentita esplodere qualcosa dentro. Il seme, molto probabilmente. Parlare di seme sarebbe un controsenso, probabilmente era diventato una granata. Pronta ad esplodere quando meno se lo sarebbe aspettata.
Gli omicidi che seguirono furono tutti premeditati. Un guizzo verde usciva dalla sua bacchetta e poi puff! L’uomo smetteva di vivere.
Incredibile, una cellula ci mette ben nove mesi a diventare un essere vivente e basta un attimo per distruggere quella vita che si era creata così faticosamente. Il pensiero le suscitò una risata isterica.
Stava diventando pazza in quella cella.
La domanda di prima la assalì di nuovo. Avrebbe potuto condurre un’altra vita? Certo che avrebbe potuto, che domanda stupida. Siamo tutti in grado di scegliere, ed è attraverso le nostre scelte che ci costruiamo il nostro futuro. Ma una scelta, una volta fatta, è fatta per sempre. È inutile cercare di tornare indietro, pentirsi, provare a cambiare strada. Perché tanto è tutto inutile.
Già, anche se avesse voluto non avrebbe mai potuto tornare indietro. Aveva scelto di usare le sue conoscenze nel peggiore dei modi. Si era nutrita del sangue e del dolore di persone che non avevano alcuna parentela con lei, aveva provocato lutti in famiglie che non se lo meritavano. Perché lo aveva fatto?
La realtà la travolse con la sua luce. La nebbia d’odio che l’aveva avvolta per tanto tempo si stava diradando. Ebbe una visione: lei, con un uomo accanto e due bambinetti urlanti. Lei aveva un’espressione felice. Il classico quadretto di una famiglia felice.
Fino a quel momento non aveva mai pensato all’amore. Per lei era superfluo, vedere una famiglia le faceva venire l’orticaria. Era gelosa.
Sì, era gelosa. Suo padre se n’era andato quando lei aveva solo sei anni. Sua madre cercava di nascondere il suo dolore parlando. Non stava mai zitta, cercava un continuo dialogo con lei e con sua sorella maggiore. Anche quest’ultima non c’era mai stata per lei. Aveva 14 anni in più di lei, probabilmente non la aveva neanche voluta. A volte si domandava perché i suoi genitori avessero deciso di mettere al mondo un’altra creatura ben 14 anni dopo che ne avevano messa al mondo una. Non se lo riusciva a spiegare e probabilmente non sarebbe mai riuscita a spiegarselo.
E poi c’era un altro motivo, che lei cercava di mascherare, che la spingeva ad uccidere. Aveva paura di morire. Quando suo padre era morto, lei aveva capito che un giorno sarebbe scomparsa anche lei. Lei non ci sarebbe più stata, però il mondo avrebbe continuato ad andare avanti. Non era giusto. Voleva vivere, voleva andarsene via da questo mondo per ultima. Per questo uccideva i suoi simili. Era egoista. Egoista verso il mondo, ma soprattutto verso di lei.
Una lacrima scese lungo la sua guancia. La raccolse con un dito e poi se la porto alle labbra. Era salata. Quanto tempo che non piangeva! Si era dimenticata quella sensazione.
A quella lacrima ne seguirono molte altre. Scorrevano veloci sulle sue guance, sembravano quasi formare una cascata.
Aveva vissuto male la sua vita. Non avrebbe potuto tornare indietro. Aveva sbagliato, aveva buttato via l’unica vita che le era stata donata. Non esistevano possibilità per cambiare ciò che aveva fatto. Doveva morire.
Passi pesanti si avvicinarono alle sue sbarre. Poi un piatto con dentro una sostanza verdognola le urtò il polpaccio.
“La cena” bofonchiò la guardia di turno. Certo che anche lui aveva sprecato la sua vita.
Si asciugò le lacrime e annusò la poltiglia. Forse le sarebbe mancata quella piccola cella.
Tutto nella vita ha un significato, a volte nascosto. Tutto ha un senso. E lei lo aveva capito solo in quel momento.


Aveva le mani e i piedi legati, sedeva su uno sgabello che poteva crollare da un momento all’altro. Intorno a lei, centinaia di occhi la fissavano. Riconobbe quelli tristi di sua madre e quelli di sua sorella. Sembrava quasi trionfante. Avrebbe voluto ucciderla. Che importava ora un omicidio in più o uno in meno? Doveva morire come tutte le sue vittime.
“Siamo qui per discutere della punizione che spetterà a questa donna” sentenziò il giudice.


Spero vi piaccia, e spero di aver pubblicato bene la FF!
 
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