Ciao a tutte
Questa storia l'avevo iniziata tanto tempo fa, poi è stata abbandonata, e infine ripresa, da poco tempo. Tutto è inventato da me, personaggi, ambientazione ecc.
Posto il primo capitolo, se vi piace, continuo.
Genere : Fantasy
Grazie a tutti quelli che leggeranno.
Evelyne
Evelyne aprì la piccola finestra e il pungente vento invernale invase la camera scompigliandole i capelli ricci. Inspirò profondamente per riempirsi i polmoni dell’aria che sapeva di neve.
–Evelyne!- un bussare insistente sulla porta la riportò alla realtà.
–Si signorina Costantine?- urlò lei di rimando, aprendo gli occhi verdi e sbuffando. La signorina Costantine (ancora signorina nonostante fosse molto vecchia, secondo Evelyne perché non aveva trovato un cane che la volesse sopportare a vita) era la donna che si era presa cura di sua madre negli ultimi mesi di vita, ed ora si era accasata alla locanda che la poverina gestiva quando era in salute. Ad Evelyne non era mai piaciuta , e la cosa era reciproca. Avevano mantenuto sempre un rapporto gelido dalla morte di sua madre, Lucy Royal. Suo padre Ersevin era fuggito nella contea vicina , si dice per codardia nei confronti delle responsabilità, ma Evelyne aveva sempre creduto che l’avesse fatto per sfuggire alle torture mentali che gli venivano inflitte dalla vecchia, che dopo la sua fuga erano passate in eredità a lei. Per questo l’aveva perdonato , perché lo capiva.
–Abbiamo ospiti- gracchiò la signorina Costantine -Mi aspetto che tu li serva a dovere!-
Evelyne sbuffò di nuovo, irritata. Era la stessa frase di ogni volta, quando arrivava un nuovo cliente alla locanda. Lei doveva caricare le valige fino alla camera e servire un pasto caldo a quelli che di solito erano sventurati viaggiatori che non vedevano piatto pieno da settimane, e mangiavano le brodaglie della donna con gran gusto. Si raccolse i capelli in una treccia e scese le scale osservando con riluttanza la strega che si trasformava in un amabile vecchietta tutta sorrisi con il nuovo cliente.
-Oh ecco …Evelyne, tesoro,potresti accompagnare il signore alla sua camera?- cinguettò con voce estremamente irritante
– Certo - sibilò Evelyne. La ragazza si caricò sulla spalle la sacca da viaggio del cliente e cominciò a salire le scale.
–Lascia, faccio io…- una mano le sfiorò la spalla e le sfilò il bagaglio. Evelyne si voltò e osservò l’uomo. Era alto, vestito completamente di nero,con un mantello da viaggio sulle spalle. Notò che non aveva affatto l’aspetto del solito pellegrino moribondo,ma era molto bello, con lunghi capelli castani che gli scendevano fino alle spalle incorniciandogli il viso affilato. Gli occhi erano scuri e penetranti, e la bocca sottile. Scostò lo sguardo ,chiedendosi se l’avesse osservato troppo a lungo .
-La stanza è questa- disse aprendo una porta a fatica. I cardini dovevano essersi arrugginiti, e un rumore sinistro echeggiò per il corridoio. L’uomo entrò e sì sdraiò sul letto, da cui si alzò una nuvola di polvere.
–Vuole che le porti qualcosa da mangiare?- domandò Evelyne come al solito, aprendo la finestra per dare aria alla camera.
–Ora no grazie.Voglio solo dormire, ho fatto un lungo viaggio- disse lentamente l’uomo che stava già chiudendo gli occhi.
–Come preferisce- Evelyne stava per tirare le tende , ma ritrasse la mano quando queste si chiusero da sole. Lo straniero era evidentemente un mago. Uscì in silenzio dalla stanza mentre la chiave si girava nella serratura come mossa da un fantasma. Aveva appena visto un incantesimo, uno dei tanti a cui aveva assistito. Si sentì improvvisamente triste, come gli capitava ogni volta in cui assisteva impotente a una magia. Lei non aveva mai saputo fare magie,e questo le dispiaceva tantissimo.Visto che non poteva difendersi con la magia, lei aveva deciso di imparare a padroneggiare un arma, la stiara. Era un lungo bastone che terminava con due lame da entrambe le estremità, un arma di invenzione di un vecchio fabbro del suo villaggio. Se usato con destrezza era veloce e letale. Finché suo padre, un mago Erbaceo, era rimasto con lei Evelyne si allenava ogni giorno in riva al fiume. Suo padre le lanciava un rametto che lei tagliava al volo. Ersevin dopo ogni colpo rimarginava la corteccia e la figlia lo guardava incantata. Era così che preferiva ricordarsi suo padre, intento a far ricrescere la corteccia di un ramo, mentre lei lo guardava , sperando di riuscire ,un giorno, a imitarlo. Non c’era mai riuscita. Non era stata capace nemmeno di riattaccare un petalo caduto dal fiore, cosa che lui faceva spesso. Avevano tenuto lo stesso vaso di fiori per degli anni, finché Ersevin era rimasto accanto a lei. Qualche giorno dopo la sua partenza i fiori erano appassiti e nessuno aveva più riattaccato i petali. Evelyne né conservava ancora uno tra le pagine di un libro. Corse nella sua stanza. Era una delle tante stanze della locanda, ma era inservibile perché una trave del tetto aveva ceduto sfondando il pavimento. Era illuminata da una sola finestra che dava sul cortile davanti alla quale Evelyne passava ore e ore a contemplare il cielo. Lei aveva accettato comunque la stanza anche se malmessa e piuttosto buia, almeno avrebbe avuto un posto dove rinchiudersi. Si sdraiò in equilibrio sulla trave , come era solita fare. Le piaceva quella sensazione, di stabilità precaria, in una vita dove tutto era terribilmente monotono e ripetitivo. Solo una volta, l’anno prima, presa evidentemente dalla foga di aver compiuto 17 anni, aveva tentato di fuggire dalla locanda. Ricordava ancora perfettamente quel giorno.
Era notte e nel cielo la luna era offuscata dalle nuvole. Era uscita furtivamente dalla stalla ,con la stiara legata sul fianco. Aveva tentato di rubare il cavallo di un viaggiatore che alloggiava lì da tempo e non sembrava aver intenzione di ripartire. Non gli dispiacerà affatto se prendo in prestito il cavallo…deve essere piuttosto ricco considerando le cifre che spende per il vitto e l’alloggio…se ne potrà permettere un altro…ma il rimorso fu più forte delle giustificazioni che ripeteva. Evelyne aveva ricevuto un educazione molto rigida. Decise di fuggire a piedi, correndo nel folto. Forse sarebbe riuscita a raggiungere un altro villaggio, avrebbe trovato un passaggio fino alla contea dove viveva suo padre e sarebbe vissuta con lui. Camminò per una notte nel bosco maledicendo il suo buon senso che le aveva impedito di rubare quel cavallo. Arrivo al villaggio più vicino, Testal. Cercò una locanda dove poter mangiare, perché la fame provocata da ore di marcia le attanagliava lo stomaco. Chissà cosa penserebbe la strega se sapesse che aiuto la concorrenza! Sorrise. Non l’avrebbe mai saputo.Ho chiuso con quella megera , per sempre. Bussò alla porta di una vecchia catapecchia con appeso un cartello di legno che scricchiolava mosso dal vento. Vi erano dipinte di un bel rosso acceso, ora molto impoverito, due parole: Da Felma. Nessuno le rispose e prese a bussare più forte.
–C’è nessuno? Signora Felma?- cominciò a urlare sperando in una risposta. I cardini della porta cominciarono a scricchiolare. Un uomo dai capelli brizzolati e il naso adunco aprì la porta con aria burbera.
–Dì un po’ ragazzina , ti sembro una signora?- Evelyne arrossì.
–Oh… io… mi dispiace signor… -
-Io mi chiamo Gilbert Graves, ragazzina. Felma era la vecchia padrona della locanda. Che ci fai da sola? Non è sicuro…fuori. Muoviti entra…-
Evelyne entrò imbarazzata. La locanda era malmessa e polvere e ragnatele regnavano incontrastate in ogni angolo. Il signor Graves continuava a osservarla e la cosa le dava fastidio. Non le era mai piaciuto che la gente la fissasse. Si voltò verso l’uomo e si accorse che non fissava lei , ma la sua stiara. Le sue dita corsero all’impugnatura e la strinsero convulsamente. Graves evidentemente se ne accorse perché le sorrise e posò gli occhi su di lei.
-Ti faccio così paura?- le disse divertito. Evelyne arrossì per la terza volta in pochi minuti e lasciò lentamente la stiara.
– La osservavo perché è un’arma molto insolita – continuò Graves avvicinandosi. Ma certo… la devono conoscere in pochi fuori dal villaggio…
-è tua?- Graves si avvicinava sempre di più. Evidentemente pensa che io sia una ladra. Non erano rari i ladri ragazzini e spesso i furti riguardavano proprio le armi, che rappresentavano un commercio stabile in quei tempi di guerra. La contea di Salster, dove abitava lei,e la contea di Ayferd, erano in guerra da molti anni,una guerra iniziata per stupidi motivi di confini poco stabiliti. Durante gli anni però i veri motivi erano andati dimenticati e l’unico obbiettivo dei regnanti , Felster e Razar,sembrava quello di distruggersi a vicenda. Comodamente rinchiusi fra gli agi delle loro corti, muovevano soldati come pedine e burattini nelle loro mani, polverizzando villaggi, uccidendo uomini, incendiando boschi. Gli eserciti non combattevano mai fra loro, ma si limitavano ad arrecare danni alla rispettiva contea nemica. Se gli uomini di Razar distruggevano una piantagione di Felster, l’esercito opposto bruciava un villaggio. Era una guerra crudele e inutile,destinata ad essere senza fine.
–Certo che è mia!- rispose Evelyne indignata.
–L’ ho comprata con mio padre quando avevo sei anni. È un’arma tipica del mio villaggio - Graves ascoltava con attenzione.
–Io ero un fabbro prima che la mia bottega venisse distrutta dagli uomini di Razar. Permetti?- Tese la mano e Evelyne gli passò la stiara , un po’ controvoglia. Graves la inclinò alla luce della finestra e fece risplendere la lame.
– è molto bella . La sai usare?-
-Me la cavo- Rispose lei alzando le spalle. Graves la lanciò e lei la afferrò al volo , quasi meccanicamente. Era uno dei primi esercizi svolti con suo padre. La presa salda era decisiva in un momento di pericolo.
–Avanti, fammi vedere come combatti.. Prova a colpirmi – Evelyne rimase perplessa.
–Lei non prende un’arma?- Graves sorrise di nuovo.
-Io so difendermi anche senza armi – Evelyne venne incuriosita dalle sue parole, e provò un affondo sollevando la stiara in alto. Mentre attaccava il legno divenne incandescente e lei fu costretta a mollare la presa. La stiara cadde rumorosamente sul pavimento , fumando. Guardò verso Graves soffiandosi sulla mano che le bruciava ancora. Non si era mosso di un millimetro, e aveva ancora il sorriso di prima stampato in faccia.
–Sei un mago!- lo accusò Evelyne . –Non è leale!- Graves le raccolse la stiara che improvvisamente smise di fumare.
–Un mago Focaio per la precisione. Quando avevo la bottega i miei poteri mi erano molto utili. Non perdevo tempo a fondere il metallo. La mia velocità nel costruire armi rimane imbattuta. –
Evelyne fece una smorfia e prese la stiara dalla mano di Graves, che sfiorò per un attimo. Era incredibilmente calda.
–Beh io…dovrei andare ora. – legò la stiara al suo posto e salutò il signor Graves con un cenno della mano. Mentre stava aprendo la porta un ruggito risuonò nella locanda.
–Che…che cos’era? Graves fece spallucce.–Niente di importante non preoccuparti… Se ti và di allenarti io sono sempre qui. Né avrei bisogno anche io, divento vecchio e i miei poteri si arrugginiscono. Ehi… Come ti chiami? - Evelyne sorrise, un po’ forzatamente , perché stava ancora pensando al ruggito.
– Mi chiamo Evelyne Royal. Verrò senz’altro se potrò.- uscì silenziosamente dalla locanda. Non sarebbe ritornata, lo sapeva. Stava tornando alla locanda. Per quanto breve, l’incontro con Graves le aveva aperto gli occhi. Non sarebbe resistita un secondo da sola. Era bastata una stupida magia per disarmarla e renderla indifesa. Se Graves avesse voluto, avrebbe potuto ucciderla senza nemmeno muoversi. Aveva ragione lui, era pericoloso là fuori.
Perse l’equilibrio e cadde dalla trave atterrando sul pavimento di legno. Chissà che dove sarà adesso il signor Graves…chissà se parlava sul serio quando disse che voleva allenarmi…
-EVELYNE!- Di nuovo. –Sì signorina Costantine?- disse Evelyne con la voce carica di odio.
–Il nostro cliente desidera mangiare. Muoviti. – continuò ad ascoltare i passi scendere le scale e uscì solo quando non si sentiva più quell’irritante rumore. Non aveva nessuna voglia di vederla. Entrò silenziosamente dentro la camera con un piatto di qualcosa che aveva preparato la signorina Costantine e che lei non avrebbe mangiato per nessuna ragione al mondo.
–La cena- posò il piatto sul cassettone intagliato vicino alla porta della camera. Il mago era seduto sul letto. Vicino a lui c’erano un foglio e una penna, che scriveva velocemente guidata da una forza invisibile. Il piatto prese a volteggiare in aria e atterrò nella mano dell’uomo.
-Pazzesco - si fece sfuggire Evelyne incantata da quelle magie. L’uomo la guardò e sorrise.
-Queste sono magie elementari… potrei fare di meglio. – Si alzò.
–Io sono Jan. Sono un mago Nomade. Sposto gli oggetti . Beh , anche le persone se voglio… – Evelyne si sentì sollevare lentamente. Tentò invano di ritoccare terra spaventata. Jan rise.
–Scusa, non volevo spaventarti. – Lei ritoccò terra tirando un sospirò di sollievo.
–Io sono Evelyne. – Jan cominciò a mangiare – Non ho poteri magici, neanche mia madre era una maga, ma mio padre si…... Non abita più con me , ma nella contea qua vicino. – posò lo sguardo sulla penna che continuava a scrivere ininterrottamente. Jan posò il piatto sul comodino.
– Ho visto degli eserciti in marcia, volando. C’è da stare attenti –
-Tu sai…volare?- Jan parve sorpreso dalla domanda. - Tutti i maghi Nomadi possono farlo. Non è per niente difficile per quelli come me. Alcuni imparano prima a volare che a camminare. – Evelyne lo osservò a bocca aperta. Mai come in quel momento avrebbe desiderato essere una maga.
–Io sono venuto qui per salutare una persona. Devo andare nell’altra contea, però. Devo riposarmi- Evelyne annuì. Jan si sdraiò sul letto -Partirò domani. Buonanotte. – la penna smise di scrivere, e volò in un cassetto. Il foglio ,che si era accuratamente piegato e imbustato, volò invece fuori dalla finestra. Evelyne soffiò sulla candela che illuminava la stanza. –Buonanotte. – La chiave si girò nella serratura con uno scatto. La ragazza camminò fino alla sua camera fantasticando su come sarebbe stato essere una strega Nomade. L’immagine Della signora Constantine che fluttuava sul soffitto della locanda urlando terrorizzata migliorò decisamente il suo umore. Si sciolse i capelli e si infilò sotto le coperte, pensando che quel giorno era stato uno dei migliori da quando suo padre era fuggito dalla locanda. Chiuse gli occhi e cadde nel sonno, con l’immagine di Costantine volante ancora fissa nella mente.