Capitolo 13
Spinner’s End, 16 luglio 1996. Una e mezza.
Perdita e Piton si smaterializzarono direttamente nel corridoio di casa, giusto in tempo perché la ragazza si appoggiasse alla parete e iniziasse a vomitare quel poco cibo che aveva in corpo.
Piton si accostò stancamente alla parete opposta, appoggiando la testa al muro e chiudendo gli occhi.
Ce l’aveva fatta.
Ce l’aveva fatta.
Espirò lentamente, cercando di non agitarsi, non adesso che tutto era finito.
Il suo cuore riprese lentamente il battito regolare e la mente tornò libera da preoccupazioni e fredda.
Riaprì gli occhi, osservando la Serpeverde che, appoggiata con un braccio alla parete, continuava a essere sopraffatta da conati.
Sbuffò, avvicinandosi a quella piccola figura.
Perdita si confondeva con la parete, nell’oscurità di quel corridoio non illuminato. Esile e bassa, coperta da quel mantello nero. Con una mano appoggiata alla parete mentre l’altro braccio, il sinistro, penzolante lungo il fianco. Debolmente sanguinante.
Con malavoglia il professore le tirò indietro i capelli, abbassandole la testa in attesa che gli spasmi di nausea finissero.
Non era un effetto collaterale del suo incantesimo quello.
Quella era paura.
Vera.
-E’ finita Adams.-
Forse lo aveva mormorato più a se stesso che alla ragazza che, stremata, faceva profondi respiri fra uno sforzo e l’altro, pulendosi frettolosamente il mento sul bordo della maglia.
Piangeva.
Con gli occhi chiusi.
Anche se chiudere gli occhi non le impediva di vedere nella mente l’immagine di quell’uomo sofferente in ginocchio e sentire nelle orecchie il fastidioso ronzio delle sue inutili preghiere.
Severus espirò, troppo stanco perfino per spazientirsi.
Almeno al buio non vedeva quelle lacrime troppo famigliari.
E sperava che quella fosse l’ultima volta che quella sciocca gli mostrava uno spettacolo del genere.
Anche se, anche lui, una volta, si era rannicchiato in quello stesso punto.
***
Spinner’s End, 31 ottobre 1981
Piton si materializzò nel corridoio di casa propria.
Testa china e occhi bassi.
Lily.
Si accasciò a terra.
No, non poteva crederci.
Lily.
Strozzò in gola un singhiozzo che nell’ufficio del Preside non si era concesso, nascondendo il volto fra le mani.
Lily che ride di una sua espressione troppo seria...
Lily che lo consola dopo l’ennesima litigata dei genitori ...
Lily che lo prende in giro per la sua aria concentrata ...
-Lily-
Le lacrime avevano iniziato a scendere lentamente.
Piangeva.
Da quanto tempo non piangeva?
Da quando l’aveva conosciuta.
Lily.
I suoi capelli rossi.
Il suo sorriso sincero.
La sua vita sottile.
Le sue mani piccole e tozze.
I suoi occhi verdi.
-No...-
No, non poteva essere morta.
Non poteva essere morta!
LILY!
Abbassò ancora di più la testa, cercando di scomparire al buio opprimente di quel corridoio.
Black ...
BLACK!
Non lo avrebbe mai, mai perdonato!
E Potter, quello stupido Potter ...!
“Hanno riposto la fiducia nella persona sbagliata” .
No, non la sua Lily.
Lily si fida di tutti.
Aveva avvicinato persino uno come lui.
Non era sua la colpa, non di Lily.
La colpa era di Black, era di Potter, era di Silente, era di Voldemort, era SUA!
Soprattutto sua.
Ma non Lily.
Non la sua Lily!
No, non potevano averla sporcata così.
Non lo meritava.
Non la sua Lily!!!
L’avevano sporcata, tutti.
Prima lui a parole, chiamandola Mezzosangue.
Poi quell’idiota di Potter, toccandola con quelle stesse mani con cui aveva toccato chissà quante altre ragazze.
E ora il Signore Oscuro, con la sua Maledizione.
-Lily...!-
Una bambina che si dondolava in altalena, guardandolo stupita.
Una studentessa che copiava le sue risposte ad un compito ringraziandolo sottovoce.
Un’amica che gli sorrideva incoraggiante durante un’interrogazione.
Una ragazza che arrossiva, consegnandogli un pacchetto verde scuro.
Una strega che rideva, tenendo stretto in mano il suo diploma, concedendogli un’occhiata fugace.
Una donna che sposava un altro.
-Perché...? -
Incassò di più la testa nelle spalle, continuando a piangere in silenzio.
Non doveva andare così.
No, non doveva essere così.
Lui doveva fidanzarsi con Lily, una volta finita la scuola.
Loro dovevano andare a fare un picnic al parco, con lui che prendeva in giro la sua pessima cucina e lei che lo stuzzicava con un rametto, ridendo.
Loro dovevano sposarsi e andare a vivere in quella casa, quella all’incrocio con Hamlet Street.
Quel villino che a lei piaceva tanto perché, diceva, era lontano dal caos del centro e non isolato dal mondo.
Perché c’era un piccolo giardino dove voleva vedere un giorno giocare i suoi figli e salutare la mattina il marito che andava al lavoro.
Perché era il suo, e quindi il loro, sogno.
Ma non c’era mai stato quel “loro”.
E non ci sarebbe più stato un “lei”.
-Lily!-
“Suo figlio è sopravvissuto”.
Doveva farlo sentire meglio?
Il figlio di quell’uomo, di quel mostro che l’aveva allontanata da lui?
Quel bastardo con il sangue di Potter era vivo???
E Lily ...dov’era Lily?
-No...-
Una preghiera strozzata.
Lui, LUI voleva morire.
-Morire ... -
MORIRE!
Perché, perché vivere adesso?
Niente di quello che voleva si era realizzato.
E adesso che Lily era morta niente aveva più un senso.
Perché vivere?
Che motivo c’era?
Perché era morta?
Per quel mostro, per salvare la vita a quell’errore che non doveva nascere!
O doveva nascere, perché Lily lo voleva.
Era lui che non lo aveva mai accettato.
“Suo figlio è vivo. Ha i suoi occhi, esattamente i suoi occhi.”
I suoi occhi...
I suoi occhi puri e sinceri, incastonati nel volto di un altro.
-No...! Lily...-
“Aiutami a proteggere il figlio di Lily.”
Proteggere il figlio di Lily.
Il figlio di UN ALTRO!
La causa della SUA morte!
Ma se lo voleva lei ...
Se era per lei, sì, qualsiasi cosa.
Qualsiasi cosa.
-Cev?-
Piton alzò la testa, osservando la figura contro luce che camminava a fatica verso si lui.
Non si era accorto di averla svegliata.
Non si era accorto che aveva acceso la luce.
Non si era accorto che era scesa dalle scale.
Non gliene fotteva niente.
Voltò la testa, impassibile.
La piccola si stropicciò gli occhi, assonnati, avvicinandosi ancora un po’.
-Ceeev?-
-Vattene.-
Avrebbe difeso il figlio di Lily.
Per lei.
Per l’amore che aveva per la sua Lily.
Ma no, non doveva saperlo nessuno.
“La parte migliore di te”.
No.
Non c’era più nessuna parte migliore.
Era morta.
Quella sera.
Con lei.
Era lei.
La piccola si bloccò, corrugando la fronte, preoccupata.
Cev aveva fatto la voce cattiva...
-Ma... -
-VATTENE!-
Piton aveva voltato la testa di scatto, verso di lei, urlando.
La sua condanna sarebbe stata quella.
Proteggere nell’oscurità l’ombra della donna che amava rincarnata nel figlio del suo peggior incubo.
Ansimava, agitato.
Frustrato.
Perso, come mai prima d’allora.
No, prima non si sarebbe mai perso.
Perché prima c’era lei.
Ma adesso ...
La bambina, spaventata, era caduta a terra e aveva iniziato a piangere rumorosamente mentre lui, distrutto, tornò a nascondere il volto fra le braccia.
***
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Piton aprì gli occhi, pensieroso.
Era stata solo la sua immaginazione o ...
Ecco!
Di nuovo.
Severus si alzò dal letto, uscendo dalla porta con la bacchetta ben salda in mano.
Da dove veniva quel rumore?
Uscì lento in corridoio, avviandosi con circospezione verso il bagno da dove usciva luce.
Schiuse con due dita la porta, il minimo indispensabile per poter vedere cosa stava succedendo là dentro.
Sbuffò, alzando gli occhi al cielo e riponendo la bacchetta nella tasca del pigiama.
Adams.
-Che stai facendo?-
Perdita alzò di scatto la testa, fissando con occhi pesti e gonfi la figura altera del docente.
-Brucia! Brucia da morire!-
Emise l’ennesimo singhiozzo, tornando a nascondere il volto fra le braccia.
Era seduta per terra, con il braccio sinistro completamente immerso nell’acqua della vasca da bagno quasi straripante. Il rubinetto lasciava scivolare un lento rivolo d’acqua mentre dal Marchio, rosso, uscivano pigri e sottili rivoli di sangue.
Patetico.
-Credi forse che questa messinscena serva a qualcosa?-
Piton sbuffò, lisciandosi con una mano la fronte.
Ma che ore erano?
Non potevano essere passate più di sei, massimo otto ore da quando erano tonati.
Non poteva già farle così male.
Un ennesimo singhiozzo strozzato contro il braccio che le stringeva la spalla.
-Tu non conosci il significato della parola “orgoglio”, vero?-
Orgoglio?
E cosa c’entrava adesso l’orgoglio?
Sentiva un male del diavolo, ‘fanculo all’orgoglio!
Avrebbe fatto qualsiasi cosa per non sentire più niente!
Severus la superò indifferente, iniziando ad armeggiare svogliatamente in un mobile, alla ricerca di qualcosa.
-Continua a uscire sangue ... morirò dissanguata!-
Piton si bloccò, trattenendo una risata. E l’istinto di schiantarla.
Ma quanto era insulsa?
-Magari Adams, sarebbe una fortuna. Per tutti.-
Un singhiozzo più forte della ragazza che adesso, tremava visibilmente.
Che noia.
Piton si alzò, tenendo in mano l’asciugamano che stava cercando e immergendolo senza tanta attenzione nella vasca.
-Le ferite non devono essere immerse nell’acqua se vuoi che si cicatrizzino velocemente. Dovresti saperlo.-
Chiuse il rubinetto e tolse il tappo dello scarico, lasciando che l’acqua, ormai quasi straripante, scendesse gorgogliante nello scarico.
Perdita alzò appena la testa, guardando preoccupata i suoi gesti.
Il professore strizzò l’asciugamano, trattenendo a fatica un’imprecazione quando l’acqua in eccesso gli bagnò gran parte delle maniche e della maglia del pigiama.
-Avanti, dammi il braccio.-
Perdita spalancò gli occhi, tormentata.
Perché?
Cosa voleva farle ancora?
-Adams, non lo ripeterò di nuovo.-
La ragazza, poco convinta, alzò il braccio verso il professore che, facendo attenzione a non toccare il Marchio, lo avvolse nell’asciugamano bagnato.
-Ahia!-
Piton la fulminò, obbligando la ragazza a trattenere altri gemiti.
-Muoviti.-
Severus si alzò, avviandosi impassibile al piano di sotto seguito docilmente da Perdita che, incurante dell’acqua che impregnava l’asciugamano, si stringeva forte la spalla.
La portò in cucina, mettendo un pentolino d’acqua sul fuoco e sparendo nel corridoio.
La Serpeverde si lasciò cadere stancamente sulla sedia.
Basta.
Basta!
BASTA!
Non ne poteva più!
Il braccio le bruciava tanto che sembrava staccarsi, la testa pulsava all’impazzata, una nausea fottuta non le permetteva quasi di respirare...
Perché tutto questo?
Perché lei?
Aprì di scatto gli occhi, sentendo un rumore. Piton, silenzioso al suo fianco, stava estraendo da quella piccola borsa che si portava dietro quando usciva alcune fialette.
Cosa doveva sopportare ancora?
-Togliti l’asciugamano.-
Perdita si ritrasse un po’.
Quello straccio bagnato era l‘unica cosa che le permetteva di non gridare per le fitte di bruciore che sentiva. Perché voleva che lo togliesse?
Piton non riuscì questa volta a trattenersi e, imprecando ad alta voce, le tolse a forza l’asciugamano, lasciando ben visibile il Teschio sul braccio della ragazza.
Era di un rosso accesso.
Rosso fuoco.
La ragazza spalancò gli occhi, fissando alternativamente il suo braccio e quello del professore che si era arrotolato le maniche prima, per strizzare l’asciugamano.
Vederli così vicini...
Perché erano uno nero e l’altro rosso?
Alzò lo sguardo sul docente, incapace di chiederglielo.
Piton si voltò, andando a mettere alcune erbe nell’acqua del padellino, ormai calda.
-Diventerà nero anche il tuo nel giro di quattro, cinque mesi.-
La ragazza si morse un labbro.
Che bella notizia.
Un tatuaggio da malavitoso sul braccio.
Nero, per giunta.
Severus prese una tazza dalla credenza, versandovi il liquido giallastro e mescolando piano.
Eileen beveva sempre camomilla prima di dormire.
Si ricordava la sua tazza con le margherite, color panna.
L’odore dolciastro che invadeva la cucina.
Il suo canticchiare a bocca chiusa un motivetto allegro mentre lui, là vicino, la guardava in estatica contemplazione.
Gli piaceva osservare sua madre muoversi in cucina, elegante e silenziosa.
Gli piaceva sentire il suo continuo e allegro chiacchiericcio.
Gli piaceva vedere il suo sorriso, calmo e malinconico.
-Aspetta che si raffreddi.-
Allungò la tazza alla Serpeverde, iniziando a mescolare in una boccetta due liquidi dagli odori forti e sgradevoli.
Restarono diversi minuti in silenzio.
Perdita ad osservare la tazza, senza il coraggio di toccarla e Severus concentrato su quella boccetta che, a un certo punto, sembrò soddisfarlo.
Senza alcuna espressione il professore prese il braccio della ragazza, stendendolo meglio davanti a sé, mentre intanto versava un po’ di quella sostanza, ora più simile alla gelatina, su una mano.
Lentamente e con delicatezza iniziò ad accarezzarle l’avambraccio, spalmando un sottile strato di crema sui segni rossi.
Perdita gemette, cercando di ritrarre in braccio tenuto però saldamente dal professore.
-BRUCIA! Brucia, brucia tantissimo! Male...!-
-E’ impossibile Adams. Gli attacchi forti di dolore arrivano solo dopo dieci, dodici ore. Adesso siamo appena a metà tempo. Il massimo che puoi sentire è un fastidioso formicolio.-
Piton, impassibile, continuava a cospargere la crema, facendo attenzione a coprire tutti i segni del Marchio.
-A me fa male! Tantissimo! Professore, mi lasci! Mi lasci per favore, basta! Fa male! Fa MALE!-
-SOPPORTA.-
Severus la fulminò con gli occhi, placando all’istante le lamentele della giovane che, sorpresa, si strinse con più forza la spalla.
Aveva esaurito la pazienza.
Al diavolo!
Sapeva che faceva male.
Logico.
Era una ferita magica, impressa nella pelle.
Ma da oggi in poi avrebbe dovuto conviverci.
Doveva abituarcisi.
E già iniziavano male. Aveva resistito appena sei ore senza la medicazione.
Sarebbe stato uno svezzamento più lungo del previsto.
A meno che, come sospettava, non fossero state la paura e l’agitazione che aveva addosso ad aumentare il dolore.
Perdita tornò a fissarsi il braccio. Strano, al bruciore di prima si stava lentamente sostituendo un piacevole frescolino...
Chiuse gli occhi, iniziando a respirare lentamente, cercando di immagazzinare quel momento di tregua da quelle fitte lancinanti.
Una volta soddisfatto, Piton iniziò a avvolgerle una lunga benda bianca attorno al braccio, sempre in silenzio e pensieroso.
La sua prima medicazione gliela aveva fatta Lucius, in qualità di suo Garante.
A Villa Malfoy.
Dove si era trasferito, entusiasta, una volta terminata Hogwarts, per apprendere come diventare Mangiamorte.
In quei ricordi gli sembrava spesso di vedere uno sconosciuto con il suo volto.
-Cos’è successo?-
Finalmente le era tornata una voce normale, non più isterica come prima. Sempre irritante, certo, ma almeno non più roca per il pianto.
-Sei entrata nelle fila dei Mangiamorte.-
Perdita scosse la testa, dubbiosa.
No, non era quello ...
Avvicinò la sedia al professore, preoccupata, mentre lui continuava a bendarle in Marchio.
-Io ... Professore, non sono stata io a uccidere quell’uomo...-
Piton sorrise, beffardo.
Ah, se n’era accorta?
Allora forse non era così stupida come credeva.
-Io ... io lo vedevo ma era... era come se non fossi io ma qualcun altro. Sentivo la mia voce, vedevo i miei movimenti, ma io ... non ero io!-
Strinse con più forza la spalla, agitata mentre Piton fissava la benda con un laccetto, assicurandosi che fosse salda.
-Eri sotto la maledizione Imperius.-
Perdita lo fissò con gli occhi sbarrati mentre lui, impassibile, le metteva la camomilla, ormai fredda, in mano.
-Te l’ho lanciata io prima che uscissimo.
La ragazza, come in trance, portò la tazza alle labbra, iniziando a bere senza però distogliere lo sguardo dall’insegnante.
-Era l’unico modo per farti lanciare l’Avada Kedavra. Non ne saresti stata in grado. Sei troppo debole.-
In silenzio Piton incominciò a riordinare le fiaschette di pozioni nella borsa, attento e concentrato.
-Ma come ...-
-Ti comandavo attraverso la Legilimanzia. Ti avevo ordinato di eseguire i miei ordini quando ti fossero tornati alla mente, cosa che facevo mediante la Legilimanzia. Gli ordini te li avevo dati qui ma tu non potevi eseguirli poiché ti era stato ordinato di farlo quando te ne fossi ricordata.-
Quindi, quando Avery le aveva dato il permesso di uccidere, Piton attraverso la Legilimanzia aveva cercato nella sua mente il ricordo di lui che le ordinava all’entrata di scagliare l’Avada Kedavra.
Operazione difficile e dai tempi diluiti, anche a causa dell’apprendimento dell’Occlumanzia che la ragazza aveva deciso, inconsciamente, di utilizzare anche in quello stato di trance e contro di lui.
Per fortuna era riuscito a superare le sue difese.
Ma il vero problema era stato Mulciber.
Era un gran conoscitore dell’Imperius, il migliore fra loro che sapesse utilizzare quella Maledizione.
Fortunatamente era riuscito a distrarlo, distogliendo la sua attenzione dalla ragazza. E era perfino riuscito a catturare l’interesse anche degli altri Mangiamorte, impedendo che si rendessero conto che qualcosa non andasse.
-Ma, se l’avessero scoperta...-
-Saremmo morti entrambi.-
Certo, pensandosi adesso, era stato un gesto azzardato.
Troppo azzardato.
Per pura coincidenza il Signore Oscuro non era stato presente.
Lui se ne sarebbe accorto subito.
O forse no.
Non sapeva dirlo.
Sapeva solo che era stata una mossa davvero rischiosa.
Lo avrebbe rifatto?
Forse no.
Forse.
Perdita inghiottì a vuoto.
Aveva rischiato la vita per lei?
Lui?
Ma perché?
-E adesso?-
Piton chiuse la borsa, incontrando finalmente gli occhi della ragazza.
-Adesso sei ufficialmente una Mangiamorte. E la tua missione è quella di avvicinare Potter o uno dei suoi amichetti per carpire loro informazioni che potrebbero essere utili al Signore Oscuro. Non agitarti, ho già in mente un piano.-
Perdita aprì la bocca, per non emettere alcun suono e richiuderla, pensierosa.
Era davvero finita?
O il peggio iniziava adesso?
D’istinto si accarezzò il braccio dove il Marchio, addormentato e non più bruciante, le permetteva di essere un po’ più razionale.
-Faremo delle medicazioni ogni due ore all’inizio. Aumenteremo l’intervallo di tempo progressivamente. Vedrai il rossore scurirsi sempre di più fino a quando, una volta diventato completamente nero, non sarà più necessario curarlo e bendarlo. Dovrai fare attenzione una volta tornata a Hogwarts che le tue compagne di dormitorio non lo vedano, ma di questo parleremo nei prossimi giorni.-
Perdita annuì, finendo di bere.
Già, adesso c’erano dei prossimi giorni.
Per lei poteva metterle quella dannatissima crema anche ogni mezzora se questo bastava a non farle sentire male.
-Sentirai delle fitte più forti e improvvise. Non agitarti, è normale all’inizio. Passano subito.-
E quanto aveva riso lui, con Lucius, Mulciber e Avery per quelle fitte?
Quanto lo rendeva orgoglioso quel dolore?
Quanto lo faceva sentire importante, fiero?
E quanto gli bruciavano adesso quei ricordi?
-Va’ a dormire. Verrò io a cambiarti la fasciatura fra due ore.-
Perdita si alzò, indecisa.
Doveva ringraziarlo?
L’aveva salvata...
Però era a causa sua se si era trovata in quella situazione ...
Doveva scusarsi per la scenata?
Ma il braccio le faceva davvero male, non era uno scherzo ...
Piton alzò sprezzante un sopracciglio
-Vuoi dirmi altro?-
Perdita lo fissò negli occhi.
-No.-
Ecco qui la spiegazione del capitolo pecedente... riassumendo Perdita non ha proprio alcun merito!
E' stato Piton a fare tutto.
Che ne pensate?
Baci!