| Della serie: ogni tanto risorge! Ebbene sì, rieccomi. Non sono morta. Non ancora. Umorismo macabro stasera, che volete farci. Sarà Marte nel mio segno o il rincaro dei prezzi della benzina. Sarà che son prigra. Terribilmente pigra. Motivo per cui faccio ringraziamenti veloci e vi lascio a questo ennesimo capitolo, parto sofferto e dubbio di una mente malata.
Astor: non ridacchiare. Sei più malata di me. Grazie comunque della betatura!
Disturbia: Io invece Minus lo adoro! Ultimamente lo sto rivalutando, sai? Deve avere una psicologia davvero, davvero interessante. Grazie del commento!
Try: non ho voglia di scrivere Try due volte e abbravio, ok? XD Ma no! Dovevi lasciarla giù dal piedistallo! Con Minus poi un'accoppiata micidiale, velono puro! Peccato che in questo capitolo non ci sia... grazie della recensione!
Asmodai: Ti amo (metaforicamente, non agitarti. E no, non è una minaccia!). Non solo per la pagnotta, sia chiaro (la prossima volta mi dai quella con l'uvetta?) ma anche per quello che dici dopo! E' tuttto vero, verissimo! Ti quoto, posso? Grazie ancora!
Beazin: Ehm... continuato? XD Beh, capitolo all'insegna delle generazioni... sì, capitolo genealogico direi! Leggere peer credere e commentare per criticare! XD Grazie mille!
Elythestrange: Ti adoro. Cody. CODY. Non ci avevo mai pensato ma... è perfetto! *_* Posso plagiarti? Tipregotipregotiprego... Grazie mille del commento!!!
Beh, che altro? Grazie a tutte e buon capitolo!
Capitolo 19
Spinner’s End, 28 agosto 1996
-Sei pronta, Adams?- -Io non vengo.- La voce di Piton risuonò calma per le scale. -Tu vieni.- Perdita sbuffò, allacciandosi meglio le scarpe per poi scendere veloce le scale, inseguita da Zar. Piton era già in corridoio, con un paio di pantaloni scuri dal taglio elegante e una camicia chiara. Vestiti babbani? Severus aprì la porta d’ingresso senza dire una parola. Ma cosa stava facendo? -Non ci smaterializziamo?- -No.- La Serpeverde uscì in strada senza degnarlo di un’occhiata e stringendosi forte la spalla quando gli passò di fianco. Ma cosa gli era venuto in mente? Il professore fece un cenno con una mano allo scoiattolino che si bloccò prima di uscire di casa e, ritto sulle zampine posteriori, gli squittì un saluto quando chiuse la porta. Piton s’incamminò lento, seguito a debita distanza dalla ragazza. Ma perché stava andando là? Non si era ripromesso di non andarci più? E Adams? Perché se la stava portando dietro? Perdita alzò appena lo sguardo, fissando le spalle del docente che, fiere, procedevano lentamente lungo i sentieri tortuosi di Spinner’s End. Da quel giorno non avevano più parlato. Codaliscia era sparito da casa quella stessa sera e lei non lo aveva neppure salutato. Piton poi non la avvicinava neanche. Entrava in camera sua senza bussare quando era l’ora della medicazione, le lasciava l’unguento e una benda pulita sul tavolo e poi se ne andava, senza guardarla neppure. Gli faceva schifo l’idea di toccarla, ovvio. L’incarnazione del suo tradimento. Chissà come aveva fatto fino a quel momento a sopportarla. Però, a pensarci bene, tutti i suoi gesti erano stati SEMPRE ristretti al minimo indispensabile. Piton voltò un angolo, rallentando il passo. C’erano quasi. Ma perché era lì? Non aveva deciso di NON andare? Di non tornare più? La villetta davanti alla quale si fermarono era vecchia e malridotta. Le ceneri di una casa felice. Era mai stata davvero felice? Piton espirò impercettibilmente, superando il cancelletto d’ingresso e tenendolo aperto per la ragazza che gli si mise al fianco, spaesata. Dov’erano? Una casa babbana? Perché? Piton era entrato in camera dicendole che sarebbero usciti mezz’ora dopo. Non un’informazione sul dove, sul perché, sul chi. Niente. E lei certo non glielo aveva chiesto. Il professore salì i gradini che portavano alla porta d’ingresso, silenzioso e con gli occhi fissi davanti a sé. Un tappetino spelacchiato e verde marcio dava loro un benvenuto poco convinto insieme a polvere e ragnatele. Davvero dovevano entrare lì? Piton si fermò davanti alla porta, socchiudendo gli occhi. Perdita gli si avvicinò curiosa, riducendo la distanza fra loro ma facendo attenzione a non toccarlo. Cosa stava facendo? Cosa aspettava? Perché non bussava? Due colpi, veloci e secchi. Dolorosi. Per la vecchia porta. Per la sua mente. Nessuna risposta. La ragazza trattenne il fiato, sperando di percepire qualche rumore o una qualche voce in grado di svelarle quel mistero senza dover chiedere nulla al docente. Piton strinse i denti, bussando di nuovo, più forte. Era andato lì, lo faceva pure aspettare? Lo sapeva, lo sapeva. Non doveva andare. Non lo meritava. Dei passi pesanti e pigri. Era in casa. Stava arrivando. Piton allargò le spalle, alzando la testa mentre la ragazza si metteva un passo dietro di lui, quasi nascosta. Non sapeva chi avrebbe aperto quella porta. Non sapeva cosa aspettarsi. Meglio non rischiare. Le chiavi girarono lente nella serratura. Un tempo infinito. Piton espirò. No, doveva restare. Ormai era lì. Doveva restare per lui. E per lei. O, forse, per se stesso. Il cigolare stanco dei cardini lo distolse dai suoi pensieri e una voce, troppo conosciuta, borbottava qualcosa. - ... e vi ho già detto mille volte, ragazzacci, che non compro le vostre stupide ... - L’uomo si bloccò, vedendo Piton di fronte a sé con un sopracciglio alzato, irritato, e con la faccia tesa. -Se ... Severus ... - Perdita si sporse appena da dietro il professore, sbirciando la scena. Non aveva mai visto quell’uomo. Doveva aver passato la settantina, capelli grigi, occhi neri. L’uomo cercò di ricomporsi, mettendosi con le spalle dritte e passando una mano fra i capelli lunghi e spettinati. -Che ... che piacere vederti, trovarti qui. Io ... - -Entriamo o ci fai restare sulla porta?- Piton non aveva cambiato espressione e la sua voce era rimasta la solita, impassibile e melliflua. L’uomo spostò appena lo sguardo dalla faccia del docente, notando con sorpresa la ragazza alle sue spalle che lo guardava incuriosita, stringendosi una spalla. Rimase folgorato. Lei ... Non poteva essere. Quegli occhi ... -Ma ... ma certo! Certo, entrate!- Un sorriso tirato e nervoso al quale Piton rispose con uno sbuffo, entrando lentamente in casa con Perdita subito dietro. L’uomo non riusciva a togliere loro gli occhi di dosso. Era davvero lui? Era venuto? E lei, lei era ... ? -Potete andare in soggiorno io, io prendo qualcosa da bere!- Piton si era già avviato lungo il corridoio, indirizzato verso una porta aperta. La Serpeverde lo seguiva ciecamente, fissando disgustata il pavimento polveroso e sporco. Ma Piton sapeva dove andare? Conosceva già quella casa? Il professore si fermò un attimo sulla soglia, lanciando un’occhiata dietro di lui, attraverso il corridoio e dentro un’altra porta. L’uomo che aveva aperto loro la porta era in cucina, vicino al frigorifero. Lo vedeva bene. Si stava sistemando la camicia nei pantaloni nervosamente con una mano e cercava di afferrare qualcosa con l’altra. Patetico. Entrò a passo sicuro nel soggiorno, trovandolo come lo aveva lasciato molti anni prima. Solo con il pavimento più lercio, l’aria impregnata di fumo e più bottiglie di alcolici sui mobili. Situazione peggiore di anni prima. O, forse, peggiore di quel che ricordava. Piton fece un cenno veloce alla ragazza che, ubbidiente e spaesata, si sedette rannicchiata ad un angolo del divano mentre il professore si sedeva elegante accanto a lei, proprio davanti alla poltrona. Piton socchiuse gli occhi, cercando di mantenere la calma e di scacciare dalla mente i ricordi e la voglia di scappare. Basta fuggire. Doveva affrontare quel passato. Non avrebbe mai mostrato un cedimento, MAI. Né di fronte a lui, né di fronte ad Adams. Mai. Perdita lo fissò di sottecchi, incredula. Piton stava fissando concentrato il pavimento, assorto in chissà quali pensieri. L’uomo entrò poco dopo, sorridendo cordiale e imbarazzato con un enorme vassoio. -Eccomi qui! Scusate il ritardo, ma non ... non vi aspettavo! Se mi avessi avvisato prima Severus avrei sistemato un po’ e avrei preso qualcosa di speciale, insomma, mi sarei organizzato meglio, ecco...- Nessuna offesa o recriminazione in quella frase, solo un modo come un altro per rompere il ghiaccio e trovare una scusa decente a cui Piton non rispose. Appoggiò il vassoio sul tavolino davanti al divano, mostrando a Severus la bottiglia che aveva portato con tre bicchieri. -Scotch?- Il professore lo fissò negli occhi, serio. -Niente alcolici per lei.- Piegò appena di lato la testa, indicando Perdita. Beh, lei veramente alcolici li beveva, e volentieri anche... ma meglio non contraddirlo. Sembrava particolarmente teso. L’uomo si rialzò dalla poltrona, mortificato. -Oh, certo! Che stupido, hai ragione! Vado a prendere dell’aranciata.- -Hai una bevanda non alcolica in casa? Non finisci mai di sorprendermi.- L’uomo si bloccò sulla porta, senza voltarsi, per poi sparire nel corridoio mentre Piton ghignava in quel modo canzonatorio e a lei tanto famigliare. Ma chi diavolo era quel tipo? E perché Piton era così strano? Il professore le lanciò un’occhiata veloce, per poi tornare a guardare fisso davanti a sé dove l’uomo, appena tornato, versava le bevande nei bicchieri. -Ecco ragazzo, prendi.- Ragazzo. Da quanto tempo nessuno lo chiamava più così? Piton si rigirò il bicchiere fra le mani, osservando il colorito ambrato del liquore. -E per te, signorina, una bella aranciata fresca, appena fuori dal frigo!- L’uomo allungò sorridente il bicchiere verso Perdita che si sporse per prenderlo. L’insegnante però l’anticipò, afferrando il bicchiere dalla mano dell’uomo con poca grazia e porgendolo dopo alla ragazza, senza guardarla. Ma perché si comportava così? Il sorriso dell’uomo si fece più mesto mentre la ragazza accettò in bicchiere facendo attenzione a non toccare le dita del professore che, con un gesto secco, ripose il suo bicchiere sul tavolo, intatto e fissò l’uomo davanti a sè. -Allora ... ehm ...- Il Babbano si schiarì la voce, mandando giù lo Scotch in un solo sorso. -Come va?- Un sorrisino stiracchiato verso Piton che gli rispose con un’occhiata raggelante. -Bene.- -Ah, mi fa piacere ragazzo.- Il professore lo fulminò e l’uomo alzò le mani in segno di resa. -Severus. Hai ragione. Ormai sei un uomo.- L’uomo piegò le labbra mestamente fra se e se, versandosi un altro generoso bicchiere. -E questa signorina? E’ ... tua figlia?- Aveva un sorriso stanco, nostalgico. Speranzoso? Perdita stava per rispondere, pronta a negare. Piton le aveva detto che la loro parentela doveva restare un segreto. Nessuno doveva ... -Sì.- La Serpeverde spalancò gli occhi, incredula. L’insegnante continuava a tenere lo sguardo fisso davanti a sé mentre l’uomo, incapace di reggere quegli occhi, la fissava teneramente. -Dici davvero? Questa sì che è una bella notizia Severus! Ma lo avevo immaginato, sai?- L’uomo si voltò estasiato verso Piton che, con una maschera di indifferenza, continuava a guardarlo. -E come ti chiami signorinella? -Per...- -Perdita.- La ragazza chiuse la bocca, mordendosi un labbro. Era la prima volta che sentiva Piton chiamarla per nome. Tranne un’altra volta a lezione, al secondo,o al terzo anno. Lei e Millicent avevano chiacchierato esageratamente durante quella lezione e Piton alla fine era sbottato richiamandole per nome e cognome. Tutto qui. Non aveva nemmeno tolto loro dei punti. Per fortuna, o Draco le avrebbe linciate. Ma ora, ora, anche se era lì era come se non ci fosse. Non poteva muoversi, non poteva parlare, non poteva toccare. Era come un fantasma. Piton la stava rendendo invisibile. E perché? Anche l’uomo, con rammarico, se n’era accorto. Facendosi coraggio, si sedette sul bordo della poltrona, allungandosi verso la ragazza. -Hai un bellissimo nome Perdita. Io sono Tobias- La ragazza gli regalò uno dei suoi sorrisi di circostanza migliori, porgendo la mano a sua volta. Piton allungò però il braccio davanti al petto della ragazza, impedendo loro di stringersi la mano. Tobias ritrasse la sua, abbassando gli occhi e tornando a sprofondare nella sua poltrona, concentrato sul professore. La ragazza tornò ad abbracciarsi la spalla, guardando di sottecchi il professore, completamente persa. -Allora dimmi... sei sposato?- -No.- Perdita continuava a non capire. Chi era quell’uomo? E cosa stava succedendo? -Ah, beh, non ha importanza, giusto? Avete fatto bene invece. Siete giovani, avete tutto il tempo che volete! E poi ormai siamo quasi nel duemila, due persone possono frequentarsi per tanto e conoscersi meglio prima di decidere! E dimmi qualcosa di lei, della tua ... “compagna”. Si dice così, no? Che tipo è? Vi frequentate da molto? Beh, penso di sì, visto che avete una figlia così grandicella e ...- -E’ morta.- Sia la “compagna” che la madre della ragazza. Tobias interruppe il discorso, facendo una smorfia. -Oh, mi dispiace.- Ma cosa ne sapeva lui? Piton represse uno scatto d’ira e la voglia di afferrare la ragazza e di uscire in fretta da quella casa. Tobias alzò lo sguardo lucido e nero su di lui, cercando di rimediare alla domanda di prima, cambiando discorso. -Sai, sono contento di averti qui, figliolo. Anzi, di avervi qui. Ormai non lo speravo più.- Piton strinse i denti, fingendo indifferenza. Figliolo. Patetico e vigliacco. Perdita corrugò la fronte. Figliolo? Quell’uomo era il padre di Piton? -Perché mi hai scritto?- Tobias ridacchiò, guardando Perdita come se volesse imprimersi la sua immagine a fuoco nella mente. -Oh, ti è arrivata la mia lettera? E’ stato molto difficile trovarti, sai? Non avevo nessun recapito e ho dovuto scrivere alla fine al Ministro e spiegargli un po’ la situazione sperando che potesse aiutarmi.- Piton continuò a tenere gli occhi, freddi e rabbiosi, sull’uomo. -Vai a fare un giro per casa.- Perdita sobbalzò, guardando l’uomo seduto vicino a lei. La stava mandando via? Perché? -E’ un’ottima idea Severus! Vai pure cara, la casa non è molto grande ma se vuoi la terza porta a sinistra del piano di sopra è quella della camera di tuo padre. Non ho toccato niente da allora. E’ rimasto tutto uguale.- Malinconia. Rimorso anche forse? Perdita cercò di incontrare gli occhi del professore per capire cosa stesse accadendo, sperando in un suo cenno, ma gli occhi neri del docente erano immobili su Tobias. La ragazza scivolò lentamente giù dal divano, uscendo velocemente dalla porta. Lo scricchiolio dei gradini li avvertì che era salita. -Allora, che vuoi?- Piton sembrava più rilassato. Si appoggiò allo schienale del divano, con le braccia conserte. Tobias gli sorrise, versandosi ancora da bere. -Da quanti anni non ci vediamo, Severus?- -Venti.- Una risposta veloce. Una voce atona e incolore. Una stretta al cuore che mai, MAI, avrebbe mostrato. -Vent’anni ... Sono cambiate molte cose in questo periodo ... - -Non tu.- Tobias ridacchiò, svuotando l’ennesimo bicchiere e lisciandosi il mento, accarezzandosi la barba di tre giorni. -Già, forse hai ragione. Ma tu sei diventato un uomo invece. Lavori?- -Insegno.- Oltre che fare la spia doppiogiochista. Ma questo non glielo poteva dire. Non glielo voleva dire. -Bravo, fai bene. La cultura non è mai da trascurare. E poi sei sempre stato portato per lo studio.- Tobias appoggiò il bicchiere sul tavolino, sorridendogli orgoglioso. Quanta falsatà. -Che cosa vuoi?- Tobias sbuffò, sistemandosi meglio sulla poltrona. -Lei ... è ... è come te?- Accennò appena alla porta da dove era uscita la ragazza. Piton non si voltò neppure e continuò, con un ghigno, a fissarlo cupamente. -Sì. Un “mostro” come me.- L’uomo chiuse gli occhi, afflitto da quell’ironia crudele. Lui non voleva chiamarlo mostro. Lo aveva fatto, era vero, ma non voleva! -E’ in gamba tua figlia. Devi esserne molto orgoglioso.- Altre menzogne. No, non era affatto cambiato. -Lo hai capito dalla sua abilità oratoria o dall’espressione dei gesti?- Tobias aggrottò la fronte, sporgendosi in avanti, sopra il tavolino. -Mi dispiace, Severus, vedere che dopo tutto questo tempo tu ancora non mi abbia perdonato.- Piton alzò un sopracciglio, irritato. -Se mi hai chiesto di venire solo per pulirti la coscienza ... - -So di non essere stato un bravo padre. O, almeno, il padre che avresti meritato di avere. Ma non è stata tutta colpa mia.- Lo aveva interrotto a metà frase, cercandolo con gli occhi per dimostrare la sua sincerità ma si ritrovò a fissare due occhi scuri accesi d’odio. -Lascia fuori mia madre da questa storia.- Severus alzò gli occhi al soffitto, serrando le mani mentre Tobias, con lo sguardo triste e lucido, fissava il pavimento. -Se solo me lo avesse detto prima, sarebbe andato tutto diversamente. Ti giuro che io ... - -Tu cosa?- Piton trattenne appena una risatina, ma non riuscì a evitare che le labbra si girassero verso l’alto, formando il suo solito ghigno. Cosa avrebbe potuto fare quello sciocco Babbano? -Saremmo stati felici. Come era all’inizio, prima che tu mostrassi i tuoi poteri.- Scaricare la colpa, ecco la cosa che riusciva bene a suo padre. Non era colpa sua se veniva licenziato, ma dei datori di lavoro. Non era colpa sua se sua madre era morta, ma della sua malattia. Non era colpa sua se non erano stati felici, ma della magia del figlio. -E’ tardi adesso.- Tobias si versò nervosamente dell’altro Scotch, svuotando il bicchiere tutto d’un fiato per poi osservarne il fondo vuoto. -Se solo Eileen mi avesse detto che era una strega prima di sposarla adesso io e te staremmo potando insieme il giardino, sai? Scambiandoci i risultati delle partite di football, o i pettegolezzi del lavoro. La mia Eileen invece sarebbe in cucina, nel suo regno, pronta a prepararci qualcosa di buono. E tua figlia parlerebbe al telefono con il fidanzato, passeggiando su e giù per la tua camera. Certo, adesso sarebbe la sua camera, ma ...- -Smettila.- Piton chiuse gli occhi, piegando la testa di lato. Quanto potevano fare male i sogni? Quante volte aveva sognato qualcosa che non poteva realizzarsi? Quante vite alternative aveva vissuto, chiudendo gli occhi al buio della sua stanza? E quante volte al risveglio si era pentito per quei sogni illusori e irrealizzabili? -Io amavo tua madre Severus. L’ho amata davvero. La nostra vita era perfetta. Anche se lei aveva dovuto troncare i rapporti con la sua famiglia perché non mi ritenevano degno. Anche se eravamo praticamente senza un soldo. Anche se ogni volta che pioveva l’acqua entrava in casa. Ma eravamo noi due. Assieme. Non mi sono mai più sentito così felice. Così forte. E poi sei arrivato tu. La gioia più grande. L’incarnazione del nostro amore. Un esserino che avevamo fatto noi, assieme. Qualcosa che conteneva un po’ dell’uno e un po’ dell’altro. Ma quando, dopo che tu hai iniziato a fare quelle cose “strane”, Eileen mi ha detto che era una strega io ... io non la riconoscevo più. Dov’era la ragazza altruista e sorridente di cui mi ero innamorato? Dov’era la donna che aveva giurato essermi fedele il giorno del matrimonio? Perché non me lo aveva detto prima, Severus? Perché non lo aveva confessato quando eravamo fidanzati? Perché mi ha tradito così? Perché figliolo...?- Piton riaprì gli occhi, fissando il pavimento. -Non è stata l’unica a tradire.- Tobias scattò in piedi, iniziando a camminare nervosamente avanti e indietro fra il tavolino e la poltrona, come faceva una volta. Solo che, adesso, non gli sembrava più tanto minaccioso. -Ma che dovevo fare secondo te? Così, da un giorno all’altro, scopro che la donna con cui ho deciso di passare la mia vita riesce a teletrasportarsi da una parte all’altra, che vola sulle scope, che sa leggermi il pensiero! Io ...io non la conoscevo più. Non era la mia Eileen. Non la mia dolce Eileen, quella che adorava le piante, canticchiava motivetti stonati, dipingeva. Era un’altra persona. Mi aveva nascosto chi era veramente!- Severus lo guardò, impassibile. -Questo non ti giustifica.- -Lo so figliolo. Deve essere stato orribile per te. Vedere tua madre che mi aspettava alzata fino a tardi e io che rincasavo ubriaco. E poi, quante parole, quante offese, quanta violenza. E lei, impassibile, che leggeva nei miei occhi. Che vedeva con chi l’avevo tradita quella sera. Senza il coraggio di ribellarsi. Credeva di meritarselo, perché mi aveva mentito ... Era sempre così paziente, la mia Eileen ...- Tobias si sedette pesantemente sulla poltrona, nascondendo il volto fra le mani e vergognandosi di se stesso. Piton espirò, lasciando uscire dalla sua mente tutti quei tristi ricordi che credeva aver dimenticato. -E alla fine, quella brutta malattia. Le medicine di noi umani non sono stati in grado di salvarla. Chissà se voi stregoni avreste mai potuto allungarle la vita. Se solo non le avessi fatto promettere di non ricorrere più alla magia ... se solo non fossi stato così stupido!- Già, l’estate peggiore della sua vita. Perdere per sempre Lily, chiamandola “Mezzosangue” e tornare a casa per scoprire che a sua madre restavano appena pochi giorni. Fuggire di casa e cercare aiuto e certezze da Lucius che lo istruì compiutamente sulla “Causa”. Intraprendere la strada che lo avrebbe portato fino a dov’era ora. A disprezzare se stesso. -Hai finito?- Era inutile pensare al passato. Era inutile insistere sui “se” e sui “ma”. Ormai non c’era altro da fare. Tobias si pulì il volto sulle mani, fissando tristemente il figlio. -Perdonami Severus. Perdonami.- Piton si alzò elegante dal divano consumato, muovendo qualche passo verso la porta. -Severus ... - Piton si era bloccato sulla porta, troppo arrabbiato per voltarsi, troppo nervoso per urlare. -Cosa vuoi sentirti dire? Che ti perdono tutto? Che dimenticherò da un giorno all’altro anni e anni delle tua urla e i lividi di mia madre? Che scorderò quante volte mi hai chiamato “mostro”? Ti farebbe stare meglio se ti mentissi?- Una rabbia appena accennata. Una consapevolezza profonda. Tobias inghiottì a vuoto, appoggiando la testa sulle mani, cinereo. -Sto per morire Severus.- Piton alzò gli occhi al cielo. Ma perché tutti a lui quell’estate? Aveva scritto in fronte assassino professionista? Ghignò appena, voltandosi verso il padre. -Vuoi forse che ti dia una mano?- Il padre sorrise, guardando in faccia Severus. Era cresciuto il suo ragazzo. Suo... no, non era mai stato veramente suo. Non era mai stato un bambino che gli chiedeva di leggergli una storia, un ragazzo che studiava assorto nella sua camera, un adolescente che gli confidava imbarazzato il primo amore per la vicina di casa. E Severus non era mai stato il “suo” ragazzo. -E’ questione di poco ormai. Temevo di non vederti più.- Piton alzò appena un sopracciglio, impassibile. -Non ho molto. Ti lascio questa casa. Ho estinto tutti i debiti e un’agenzia si è già dimostrata più volte interessata a comprarla. Riceverai un bel gruzzoletto, non tanto, ma è pur sempre qualcosa. Per te e la mia nipotina, logico.- Tobias abbozzò un sorriso, pensando a quella ragazza con cui condivideva il sangue e con cui non aveva mai parlato. Severus uscì dalla sala, salendo lentamente le scale polverose. Quanti ricordi. -Professor Piton?- Perdita era seduta sulle scale, raggomitolata su se stessa. Anche lui, quando sentiva i suoi genitori litigare, si sedeva sempre lì, in quel rientro delle scale. Una piccola grotta apparentemente sicura. -E’ ora di andare.- Aveva un tono di voce… dolce? Perdita lo guardò finalmente negli occhi, ritrovandovi la stessa espressione di sempre. Dura. Seria. Rassicurante. La Serpeverde si alzò, spolverandosi i pantaloni con le mani e scendendo le scale dietro all’insegnante. Sulla porta, Tobias li aspettava sorridente. Piton lo superò senza dire una parola, fermandosi sul tappetino a guardarlo negli occhi. Perdita, vicino a lui, lo scrutava invece a disagio. L’uomo ridacchiò. -Allora Perdita, vedi di fare la brava e di non far arrabbiare troppo il papà. E studia! E’ importante ...- Tobias allungò la mano per stringerle la mano. -Hai degli occhi bellissimi, sai piccola?- Gli stessi occhi della sua Eileen. Piton intercettò la mano prima che potesse toccarla, stringendo con forza al polso e fulminandolo con gli occhi. No, non gli avrebbe permesso neanche di sfiorarla. Non se lo meritava. Dopo tutto quello che aveva fatto a sua madre, non aveva il diritto di toccare sua figlia. Ogni cosa che Tobias aveva toccato, era diventato marcio. Quella casa. Sua madre. Lui. E quella “capacità” l’aveva generosamente trasmessa a lui, lo sapeva. Bryson, Lily e Adams. Le aveva toccate e le aveva sporcate. In modi diversi, ma irrimediabili. Violentata, uccisa e marchiata. Odiava Tobias. Odiava la sua somiglianza con quell’uomo. Odiava se stesso. Tobias ritrasse la mano, sorridendo mestamente. -Grazie per avermela fatta vedere ancora una volta.- La sua Eileen era uguale a quella ragazzina. E vederla, anche solo vederla, era stato il dono migliore che potesse fargli. Adesso poteva morire in pace. ________________________________________________________________________________
Cimitero, 31 agosto 1996
-Mi dispiace Severus.- Silente gli strinse la spalla, con gli occhi azzurri che vagavano per il piccolo spiazzo. La poca gente che era venuta al funerale se n’era già andata. Pochi Babbani, ancora meno i maghi. Diversi colleghi dei vari lavori che Tobias aveva fatto, più vogliosi di incontrarsi fra loro che di salutare un uomo che avevano visto per sì e no cinque mesi in tutta la loro vita. Narcissa era passata per un saluto e una carezza veloci, un gesto affrettato ma piacevole. Lucius non c’era Ed era stato proprio dai Malfoy che era andato, alla morte della madre, su invito dell’amico. Così poteva spiegargli meglio di questa “Causa”. E fuggire di casa. Piton sapeva che Lucius, potendo, ci sarebbe stato. Solo un momento, giusto il tempo per stringergli la mano e dirgli di passare a Malfoy Manor sbrigate quelle faccende. Lucius odiava mescolarsi con i Babbani, lo odiava terribilmente, ma sarebbe andato. Piton inoltre avrebbe potuto giurare di aver visto un Prince fra la folla. Possibile? Dopo tutto quello che era successo che un mago della nobile casata dei Prince venisse a salutare quell’ “ubriacone Babbano”? -Perdita dov’è?- Severus girò appena la testa, indicando un punto del cimitero, lontano. -Hai provato a parlarci?- -Non c’è nulla da dire Albus.- Il mago gli toccò una spalla, con fare gentile. -Non insisterò. Non oggi almeno.- Il vecchio mago sorrise mentre Piton alzò gli occhi al cielo. Ma cosa doveva dirle? Sapeva tutto, Codaliscia le aveva raccontato cos’era successo. Cosa poteva spiegarle ancora? Era logico adesso che fosse disgustata all’idea che l’uomo che aveva violentato la madre la toccasse. -Oh Severus, che cosa orribile.- La McGranitt si avvicinò con passo cadenzato verso i due maghi. Piton fulminò con lo sguardo Albus. Doveva proprio dirlo anche a lei? Il professore riuscì a evitare un abbraccio confortante intercettandole con disgusto la mano e stringendogliela appena. -Minerva ... - La donna sorrise, mestamente, passando lo sguardo sulla tomba lì vicino. -Era una brava persona.- Severus trattenne una risata, mascherando il sorriso con uno sbuffo. Ma che ne sapeva lei? -E Adams? Come l’ha presa?- Il Preside le aveva già parlato anche di quello allora, magnifico … Piton si limitò a voltarsi, intravedendo l’ombra della ragazza seduta per terra. -Se c’è qualcosa che possiamo fare per ... - -Nulla.- La McGranitt serrò le labbra, dispiaciuta, mentre Silente, lasciata la spalla di Piton, si allontanava. -Andiamo Minerva. Certe situazioni vanno affrontate da soli.- Perdita lanciò un sassolino del selciato contro Zar che, saltellante, lo evitò senza fatica. Riprovò a colpire l’animaletto. Niente. Sbuffò contrariata, osservando il sole che tramontava poco lontano. Nessun colore speciale. Niente di bello. Era quasi un tramonto incolore e freddo. Ma almeno si sarebbe fatto più fresco. A un certo punto della cerimonia aveva creduto di svenire per il caldo con quel maglione che doveva portare. Dei rumori alle sue spalle. Piton superò la lapide monumentale dietro la quale si era nascosta, appoggiandovisi stanco. Perdita si strinse la spalla, incassando la testa fra le spalle. Silenzio. Piton osservava un paio di persona in lontananza, intente a innaffiare dei fiori in un vaso. La ragazza storse la bocca. -Sono andati via tutti?- -Sì.- Perdita annuì, osservando Zar che aveva catturato uno strano fiore da una tomba lì vicino e ora ci giocava spensierato. -E’ venuta anche la professoressa McGranitt.- La ragazza si lasciò scivolare di più lungo la lapide, incassando la testa fra le spalle. L’ultima persona che voleva vedere era proprio quella vecchia megera. E, fra l’altro, non aveva ancora fatto i compiti di Trasfigurazione. Avrebbe dovuto passare una bella notte in bianco a causa di quella donna. Piton ghignò vedendo la reazione della ragazza e conoscendone le cause per poi appoggiarsi meglio al retro della lapide. -Lei crede davvero che sia stato un incidente?- Il medico aveva detto che Tobias aveva scambiato le scatole dei medicinali. Però Piton, quando era tornato in quella casa, da solo, dopo che lo avevano avvisato, aveva notato subito che qualcosa non andava. Sul tavolo in cucina, la scatola con le pillole sbagliate e un bicchiere d’acqua mezzo vuoto. -Sì.- No. Era palese che non fosse così. Suo padre non avrebbe mai preso delle pastiglie con l’acqua. Lui non beveva mai acqua di rubinetto. Solo alcolici o, se necessario, succhi di frutta nei cartoni. Diceva che non si fidava di quello che usavano per depurare l’acqua. Un’ottima scusa per ubriacarsi, insomma. Se aveva preso un bicchiere d’acqua voleva dire che ci aveva pensando bene. Che fosse un messaggio per lui? Probabilmente sì. Era successo proprio il giorno dopo la loro visita. Aveva rivisto lui, aveva visto lei. Non aveva altro da aspettare. Un uomo solo, distrutto dai sensi di colpa e dai rimorsi. Che aveva lottato fino a quel giorno per rivedere il figlio. E lui perché era andato? Perché suo padre rivedesse Eileen. Per farlo soffrire o per dargli sollievo? Perché Perdita conoscesse l’unico parente che aveva. Per disgustarla o riavvicinarla? Per se stesso. Per dimostrarsi che era in grado di affrontare il passato. Perdita annuì, leggermente sollevata ma pensosa. -A me non dispiace che sia morto.- Piton si voltò, leggermente sorpreso, verso la ragazza che, rannicchiata su se stessa, si stringeva la spalla, osservando assorta Zar che aveva iniziato a togliere i petali a quel martoriato fiore. -Non lo conoscevo. Come può dispiacermi che sia morto?- Piton ghignò, guardando lo scoiattolino a sua volta e senza rispondere. Almeno non era falsa come tutti quelli stupidi di prima. -A lei dispiace?- Ci pensò. Era una domanda che non si era fatto in quelle ore. Eppure la risposta era semplice. Era lì, pronta sulle sue labbra. Incisa nel cuore. -No.- -Questo mi dispiace.- Perdita alzò la testa verso di lui, incontrando per la prima volta da tanti giorni direttamente i suoi occhi. Già. La mancanza di tristezza in un figlio per la morte del padre. Era molto più malinconico un figlio che non si dispiaceva per la scomparsa del genitore che uno che si disperava. Era molto più infelice a vedersi un figlio indifferente di fronte a quella sciagura che uno depresso. Lunghi istanti di silenzio. -Tieni.- Piton le allungò un libretto, sperando di cambiare discorso. La ragazza lo afferrò curiosa mentre Zar le saltava sulla spalla, più invadente del solito. Cosa ... ? Spalancò gli occhi, tornando a fissare l’insegnante che, adesso, guardava il tramonto. -Ti ho aperto un conto alla Gringott. Quello è il ricavato della vendita della sua casa.- Non era tanto, ma era sempre più di quanto avesse mai avuto. -Beh ... grazie.- -Lui voleva così.- Più o meno. Tobias voleva che una parte restasse al figlio a dire il vero. Ma lui da quell’uomo non voleva niente. Altro silenzio. Almeno stavano parlando. Avevano parlato. E si erano guardati direttamente. Era una conquista rispetto alle occhiate fugaci e ai monosillabi che si scambiavano prima. Perdita sospirò, mettendo il libretto in una tasca della giacca dove, a guardia, si accoccolò anche Zar, battagliero per difendere il tesoro della padroncina. La Serpeverde guardò l’insegnante, intento a scrutare il cielo, e lo imitò. -Secondo lei, anche noi finiremo così?- Senza parlare per vent’anni? Senza sapere che ha avuto un figlio? Senza sapere che ha ancora pochi anni di vita? Piton girò la testa, incontrando gli occhi di lei che lo fissavano, preoccupati. Sbuffò, continuando a guardarla intensamente.
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