| banchan |
| | contiunua la triste passeggiatina di Sev... :>_>: questa volta un capitolo un pò più lungo perchè ultimamente ho scritto tanto e me lo posso permettere ^^ avvicinandosi a piccoli passi riuscì a scorgere da lontano i nomi incisi sul candido marmo, James…e Lily…la sua Lily...ancora sorrisi…no basta….sorrisi….smettila…i capelli rossi raccolti in mille fiori….basta, basta….il vestito bianco tocca dolcemente il parquet d’ingresso della chiesa…il sorriso….no.. no….questa volta non per lui, gli occhi verdi in cui se ne specchiano un paio castani circondati da un paio di lenti tonde, non di certo i suoi, lo sguardo che guarda ridente al futuro, un futuro dove non c’è spazio per un amico che tradisce la fiducia, l’affetto, che discrimina… smettila, basta... lo stesso volto, cereo in una cassa fredda, palpebre chiuse sugli occhi verdi, per sempre…NOOOOO! Il braccio sinistro pulsa, pulsa, il nero serpente prende vita di nuovo. Severus Piton si era accasciato sul terriccio umido di fronte alla tomba, la sigaretta ancora accesa per terra, il viso fra le mani, il cuore e i polmoni schiacciati. Alzando lo sguardo colse per la prima volta la scritta sul bianco marmo “l’ultimo nemico che sarà sconfitto è la morte”. Già… la morte, con un sorriso sarcastico il professore di pozioni si alzò. Cosa non avrebbe dato per essere anche lui sotto terra a giacere con lei…ma lei ora era polvere, solo polvere e lui era lì a guardarla, amarla. Erano così vicini eppure così lontani. Lentamente con un altro lieve colpo di bacchetta fece apparire un fiore di iris. Prima lo portò lievemente verso le labbra poi lo poggiò sulla tomba. Mentre si incamminava verso il cancello una nuova immagine comparve nella sua mente, una lacrima, quella lacrima proveniva da due profondi occhi…castani.
Nello stesso momento al castello mi stavo dilettando a fare i compiti, naturalmente la mia testa era da tutt’altra parte, la concentrazione pari a zero, continuavo a pensarci, a pensare a quanto fossero calde le sue braccia nonostante il gelo del suo cuore, mi diedi un sonoro schiaffo. “cavolo, ma che sto facendo? Sono solo una scema, sono completamente inutile, non riuscirò mai a curare le ferite che gli ha inflitto il passato e poi, porco snaso, è il mio professore …ma…” Sospirai guardando tristemente il tema di storia della magia completato a metà, mi mancavano ancora 30 cm buoni. Misi le braccia conserte sul tavolo e ci affondai la faccia, fra poco ci sarebbe stata la cena…uffa…che noia, pensai. Inoltre ultimamente giravano parecchi chiacchiericci sull’imminente arrivo delle due scuole di magia straniere, si parlava delle meraviglie che avrebbero portato e di chi si sarebbe proposto per partecipare, in rappresentanza della scuola, al pericolosissimo torneo. Da parte mia non volevo e non potevo parteciparvi a causa della mia età, infatti non avevo compiuto 17 anni, e non ci ero neanche vicina essendo il mio compleanno il 21 giugno, giorno del solstizio d’estate, quando il sole prendeva prepotentemente anche parte del tempo dedicato alla luna. Guardandomi intorno coglievo gli sguardi sereni e ammiccanti dei miei compagni di casa, tutti eccitati per quella gara eppure, anche se loro non lo sapevano, c’era qualcuno che soffriva, si tormentava, continuando a gettare sale su ferite del passato. Mi commossi sui miei stessi pensieri, come al solito avevo una voglia lacerante di vederlo. Continuavo a punirmi fisicamente per tutti quei pensieri dandomi lievi colpi sulla fronte con il palmo della mano. La gente che mi guardava probabilmente era convinta che avessi qualche serio problema mentale. Mi avvicinai a Cassandra, che sedeva vicina a me scrivendo su un foglio di pergamena con foga, mi aggrappai al suo braccio e con voce mielosa dissi:”Cassyyy, che mi fai vedere un attimino il compito di storia della magia?? Non riesco ad andare avanti, è un periodo di stress emotivo…” “stress emotivo si chiamerebbe dunque la tua apatia? Non parliamo più, non mi dici più nulla, sempre lì fra i tuoi pensieri che non ascolti nessuno, vai e vieni e non si sa dove ti vai a cacciare, siamo o non siamo amiche noi?” La guardai con aria ebete a lungo poi lei, arrabbiata, si alzò e se ne andò nel dormitorio. Non avevo alcuna voglia di seguirla, ne tantomeno di raccontarle tutto, io stessa non sapevo cosa raccontarmi, mi vedevo come in uno spazio vuoto pieno di nebbia senza sapere dove sbattere la testa. Dovevo, volevo parlare con Piton, ma di cosa? Cosa volevo dirgli? Ogni cosa sarebbe stata inutile, ogni parola sprecata, sapevo che stavo perdendo in partenza, ma volevo fare qualcosa per lui, per lasciare il segno, per fargli vedere che la vita non è solo tristezza, per rimanere, almeno per un secondo,nei suoi pensieri, neanche paragonabile agli anni interi in cui quel posto era strettamente riservato alla me con gli occhi verdi.
il lunedì arrivò e ancora Cassandra non mi parlava, ero riuscita a terminare per un soffio il mio tema di storia della magia, anche se mi cero addormentata sopra la sera prima. Mi incamminai pesantemente verso la sala grande per fare colazione, essendo abbastanza tardi, era quasi deserta. Mi accasciai lentamente sul tavolo masticando una fetta di pane tostato col burro, il mio sguardo cadde casualmente sul tavolo degli insegnanti, vuoto. E ti pareva. Cominciai a chiedermi seriamente se i professori facessero mai colazione. Ero in ritardo, ma non me ne preoccupavo per due ragioni, la prima era che il professor Vitious mi avrebbe senza dubbio perdonato senza fare tante storie, la seconda è che la situazione che mi aspettava non era allettante per niente: tanto per cominciare Cassandra non mi avrebbe ancora rivolto la parola, almeno finché non le avessi detto la verità sulle mie ultime sparizioni, in seconda sede mi aspettava un George elevato all’ennesima potenza nella speranza infondata di poter essere, un giorno, il mio ragazzo. Per la prima volta in sei anni di scuola presi sinceramente in considerazione l’ipotesi di bigare una lezione. Entrai nell’aula di malavoglia, e facendo finta di non esistere, ignorando le richieste di George, autore di un record di ben 53 domande inutili in 2 ore, cercando più volte di rivolgere la parola alla mia migliore amica, senza successo, uscii viva dalla più disastrosa lezione di incantesimi di tutta la mia vita, e il bello doveva solo arrivare.
Prima della lezione di pozioni feci dei lunghi respiri seguiti da tecniche yoga che mi aveva insegnato la mamma. Mentre scendevo le scale non potei fare a meno di pensare a due giorni prima, con quanta amarezza le avevo scese e con quanto cuor leggero le avevo risalite, entrai nell’aula lentamente aprendo la pesante porta dell’entrata. Il professore ancora non c’era. Mi sedetti in un banco solitario, nella speranza che nessuno mi raggiungesse. Fortunatamente fui lasciata in pace dai gemelli, che, per qualche oscuro motivo, avevano capito che oggi non era giornata e si tenevano a distanza. Piton fece la sua solita entrata, percorrendo l’aula a passi veloci sbattendo la porta, il nero mantello che svolazzava a ogni suo movimento. La lezione trascorse tranquilla, il professore di pozioni era freddo come sempre:”oggi creeremo un filtro chiamato “veritaserum” naturalmente lo conoscete tutti grazie alla notorietà del nome pozione della verità, affibbiatogli da vari stolti convinti di conoscere l’arte delle pozioni”. Con un colpo di bacchetta fece apparire le istruzioni sulla lavagna, erano lunghe e complicate. “dato il vostro scarso rendimento ultimamente, vi consiglio di concentrarvi, sempre che non vogliate arrivare ai M.A.G.O. con una brutta insufficienza in più” detto questo si voltò verso Fred e aggiunse sollevando un sopracciglio “però purtroppo certe cose a volte sono già scritte nel futuro, nonostante io non pratichi Divinazione”. non perse neanche l’occasione di togliere vari punti durante la lezione, chi perché aveva aggiunto troppo succo di begonia, chi perché aveva uno sguardo troppo ebete mentre distillava le lingue di iguana. sembrava tutto normale, in cuor mio sapevo che non era così, io stessa ero diversa. Completai la mia pozione e, mentre mi avvicinavo, osservai Piton nella maniera più discreta che potevo. Lui teneva lo sguardo fisso e concentrato sul foglio di pergamena che stava correggendo, non fece neanche un gesto. Stizzita mi allontanai a grandi passi, pestando i piedi, con me si svuotava la classe, non feci in tempo a raggiungere la porta che sentii prima un violento STRAP, poi un CRASH seguito dal curioso vociferare degli ultimi presenti. Imprecai a bassa voce e mi chinai a raccogliere i libri che erano caduti dalla mia cartella, ormai completamente strappata, gli studenti ritardatari si riversarono nel corridoio per raggiungere la sala grande. Rimasi in silenzio a mettere a posto anche le varie ampolle che avevo fatto cadere senza trovare il coraggio di voltarmi e scoprire se degli occhi neri seguivano il mio lavoro o avevano seguito il corpo da cui dipendevano in un'altra stanza. Finito di pulire mi alzai e mi voltai lentamente trattenendo il fiato, lui era lì, ma quello che vidi mi mozzò il fiato. Piton era piegato per terra, sudava e ansimava, gli occhi chiusi in una smorfia di dolore, si teneva il braccio sinistro, i neri capelli gli ricadevano irregolari sul viso. Feci cadere in terra immediatamente tutte le mie cose appena raccolte e corsi verso il professore preoccupatissima. “PROFESSORE, professore, che succede?! Cos’ha al braccio? Mi faccia vedere! Avanti, avan…” “lasciami stare e vattene, Smith, va via. Non è niente, ci penso… da solo” con le lacrime agli occhi gridai:”ma perché affronta sempre tutto così lei? Non bisogna fare per forza tutto da soli…non bisogna…chiudersi in se stessi…” mi accorsi che stavo piangendo senza ritegno “lei è sempre così. Perché non prova a affidarsi a qualcuno? Se il passato l’ha ferita a maggior ragione bisogna credere…nel futuro…non viva nel dolore…basta così, non è gia stato abbastanza?” mi ero aggrappata alla sua veste con tutte le mie forze, nonostante lui cercasse di respingermi con una mano, avevo paura, tanta paura, quello che stavo facendo e dicendo non aveva alcun senso, semplicemente il mio corpo agiva da solo. Piton si alzò lentamente e a fatica lasciandomi per terra a disperarmi, singhiozzavo e avevo la vista offuscata dalle lacrime. Mi prese violentemente per un braccio e mi sollevò, facendomi mettere in piedi. Aveva negli occhi uno sguardo decisamente sprezzante. Con la mano destra si stringeva ancora l’avambraccio sinistro e mi guardava con severità, i capelli ancora calati sugli occhi. “perché…?” domandai fra le lacrime. “tu non…non capisci” “e allora perché sabato mi ha detto quelle parole? Pensa che le abbia dimenticate? È solo perché le assomiglio? Solo perché assomiglio tanto alla sua cara Lily..?” mi fulminò con uno sguardo gelido al suono di quel nome. Continuai “bene, io non lo sono, io sono io, anche io ho dei sentimenti, e non posso continuare così…ne io.. ne lei” sembrava aver ripreso un po’ di colore, mi osservava stravolto. Abbassò lo sguardo. Capìì che potevo avvicinarmi. Gli toccai il braccio sinistro. Sussultò. “mi faccia vedere” “no” “oh, avant…” “QUESTO NO, SMITH!” avevo paura, negli occhi il terrore, eravamo completamente spaventati l’uno dall’altra.che dire?? COMMENTATE!!! Edited by banchan - 15/6/2008, 13:23
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