Severus Piton & Alan Rickman Fan Forum


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10° contest - Votazioni

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AlbusSilente
view post Posted on 28/11/2006, 14:16




Ecco finalmente i lavori del 10° contest (LA NOTTE DI HALLOWEEN)!

Lavoro n.1
(fiction di ellyson)

Le due maschere

Una stupida festa di Halloween.
Lui non voleva andarci, voleva solo starsene lì, nella sua fredda e spoglia stanza nei sotterranei, a nascondersi come un verme che striscia sottoterra. Una festa del genere con balli, musiche e costumi gli ricordava le feste che solitamente faceva con i suoi fratelli durante quelle notti. Un omaggio ai morti, un segno di rispetto per la morte che davano alle loro vittime.
E per lui, Mangiamorte poco più che ventenne, traditore e senza un futuro sereno o un passato gioioso da ricordare, quella festa era solo un macigno in più che si posava sopra il suo debole cuore che ancora continuava a battere. Debole ma pur sempre un battito.
Ma Silente era stato chiaro, deciso e soprattutto irremovibile: doveva partecipare a quella stupida sceneggiata, doveva indossare un costume che non fosse nero e una maschera che avrebbe celato il suo volto fino alla mezzanotte.
Tutto ciò era così stupido.
L’unica maschera che lui voleva indossare era quella del professore arcigno e inflessibile che indossava tutte le mattine appena sceso da letto. Quella maschera che era diventata una dolce coperta con cui nascondersi, la sua anima era troppo macchiata per mostrarla a qualcuno, il suo dolore troppo profondo per parlarne con altri, così, quel carattere impossibile che lo aveva caratterizzato fin da piccolo, lo stava plasmando nel professore odioso di Hogwarts ed ogni sera era sempre più difficile liberarsene, toglierla per tornare ad essere quello di sempre e sentire nuovamente quel dolore. Sapeva di offuscare la sua umanità, sapeva che, con il passare degli anni, quella maschera sarebbe diventata il suo vero viso, sapeva che non doveva fingere di essere qualcun altro ma non riusciva più ad esser il Severus del passato, quel ragazzino solo che non riusciva ad avere un amico, quel secchione perennemente chino sui libri che aveva trovato nell’Oscuro la risposta a tutti i suoi problemi, quel ragazzino che si é trovato in un gioco più grande di lui e che aveva deciso si uscirne.
No, lui non voleva più esserlo.
Voleva solo essere Severus Piton, il mago che insegnava pozioni ad Hogwarts, a dei ragazzini stupidi che avevano solo qualche anno in meno di lui.
Con poca grazia aprì le ante del suo piccolo armadio che aveva in stanza, una stanza che lo rappresentava alla perfezione con le librerie stracolme di libri potenti ed antichi, il fuoco quasi perennemente spento, la fredda pietra delle pareti che rappresentavano la corazza di gelo che si stava faticosamente costruendo attorno, la penombra che regnava in quel luogo come la poca luca che illuminava il suo cuore che ma, presto, si sarebbe spenta e l’umidità di quei corridoi, che rappresentavano le lacrime che non avrebbe mai versato.
Con riluttanza spostò tutti gli abiti neri che aveva disposto in ordine quasi maniacale, si inginocchiò a terra e prese una scatola bianca rettangolare, una scatola che conteneva l’unico costume che aveva indossato durante una delle feste organizzate nel maniero dei Malfoy.
Sistemò la scatola sul letto e l’osservò, era bianca e, anche dopo anni, la polvere sembrava non aver danneggiato il candore della carta. Con mani lievemente tremanti alzò il coperchio e un’ondata di profumo femminile lo colpì in pieno come un pugno ben assestato nel suo stomaco. C’era un profumo femminile per il semplice motivo che era stata una donna a regalarglielo, avevano partecipato insieme a quella festa, la loro prima uscita come coppia.
Lei aveva diciotto anni e lui venti…
Un ragazzino… un ragazzino che aveva sulle spalle le colpe di un uomo.
Lei ancora una bambina ma con lo spirito della grande donna che sarebbe diventata col tempo.
Con un sospiro spostò la carta velina che proteggeva il leggero tessuto dalla polvere di tutti quegli anni, liberò il vestito d’impeccabile fattura e si alzò guardandolo meglio.
Forse avrebbe dovuto allargarlo qualche punto ma non era da buttare. Accarezzò come un amante la stoffa lucente arancio e gialla che sfumava sul rosso verso le maniche e i risvolti dei pantaloni. Prese il mantello d’oro e se lo passò tra le dita, la stoffa era impalpabile come l’aria ma calda come la lana più pura. Passò i polpastrelli sulle perfette cuciture fatte con il filo d’oro e arancione, osservò i ricami luccicanti e gli ornamenti di ametista. Posò l’abito sul letto e prese l’ultimo pezzo di quel costume: la maschera. Morbida e robusta che aderiva perfettamente al volto, copriva il viso dalla punta del naso alla fronte, lasciando libera solo la bocca per parlare.
I lineamenti della maschera erano aggraziati, delicati totalmente differenti dai suoi, sulla parte superiore partivano dei raggi e delle ciocche bionde ricadevano indietro ricoprendo parte dei capelli.
Il sole, era questo che raffigurava il suo costume: il dio Demion, Dio del sole e del giorno. Il dio che portava luce e felicità dopo il periodo dei monsoni.
Non ricordava le origini di quella maschera, non ricordava il popolo che adorava il Dio sole e la Dea Luna... ricordava solo il momento in cui quella ragazzina da poco maggiorenne gli aveva regalato quel costume, come segno del suo affetto e della sua stima.
Le aveva detto che lui non era un Dio, che non era luminoso o solare, era solo Severus Piton, il Serpeverde odiato da tutti tranne che da quelli che capivano chi fosse veramente.
Ma per lei, per quella buffa ragazzina con i perfetti ricci color mogano, per lei lui era il Dio del sole, gli diceva sempre che sotto il tetro mantello nero che celava la sua figura vedeva una scintilla luminosa, la luce di una candela che brillava anche se le tenebre l’avvolgevano.
Lei era l’unica donna che riuscisse a farlo ridere di gusto.
Neppure sua madre ci era mai riuscita dacché avesse memoria.
Si vestì lentamente, cercando di prolungare quanto più possibile la sua permanenza nella sua stanza, sapeva che, prima o poi, sarebbe dovuto salire ma più tardi arrivava più restava solo e senza sguardi indiscreti, se arrivava all’inizio delle danze, i ragazzi e i suoi colleghi sarebbero stati troppo occupati per guardarlo anche se non lo avessero riconosciuto con quel vestito così sgargiante.
Si guardò allo specchio, con la maschera in mano osservando la sua figura magra nascosta dagli strati di stoffa, mentre i suoi occhi neri si perdevano lungo le linee delicate della veste ripensava alla leggenda che narrava l’amore impossibile tra il Dio sole Demion e la Dea della luna Ellera. Fratelli e amanti stavano insieme di nascosto ma quando il loro padre, il Dio supremo Thor, li aveva scoperti aveva incantato i due innamorati incendiando uno e riempiendo di ghiaccio l’altra, troppo diversi per avvicinarsi, troppo lontani per amarsi. Ma il padre non aveva pensato che c’erano dei minuti dove il sole si raffreddava e dove la luna si scaldava quel tanto che bastava per unire i due innamorati, così da quelle brevi unioni nacquero i loro due figli: Alba e Tramonto.
Era stata lei a raccontargli la leggenda regalandogli il vestito, gli aveva spiegato che aveva trovato quella storia in un vecchio libro che aveva rubato all’amico di suo fratello, quell’amico di cui in tempo era cotta, prima che conoscesse meglio lui.
Il suono lontano della torre dell’orologio a nord lo riportò alla drastica realtà che stava vivendo. Non c’erano Dei, non c’erano leggende, non c’era un amore, ma solo lui, con le sue colpe, con i suoi incubi e quella stupida festa.
Con un sospiro carico di tristezza indossò la maschera facendo ben attenzione a celare il suo viso e da rendersi perfettamente irriconoscibile, lisciò le ciocche dorate sui suoi capelli neri e uscì dalla stanza.
Salì le scale facendo ben attenzione a non farsi vedere da nessuno, non voleva che qualcuno lo riconoscesse, non voleva che sapessero che Severus Piton aveva vestiti giallo canarino nel suo armadio, andava fiero di quel costume ma non voleva esser deriso, aveva subito troppe umiliazioni nel suo passato e non voleva ricominciare quel calvario.
Entrò nella sala e camminò veloce fino ai tavoli più in fondo, la Sala Grande era stata riccamente addobbata, con enormi zucche che volteggiavano per il soffitto, drappi neri e finti ragni che si calavano dalle loro grottesche ragnatele. Gli studenti già ballavano al centro della stanza, ognuno con un costume diverso, c’era una moltitudine di colori e forme, i ragazzi ridevano, ballavano si divertivano come mai nella loro giovane vita.
Lui voleva solo scappare.
Non gli sembrava giusto godersi quel divertimento, non voleva stare in quella sala, non voleva divertirsi, non voleva ricordare.
Si mise a sedere al tavolino più lontano dalla pista, nella penombra di un drappo nero, si mise comodo e iniziò a guardare in modo arcigno tutti quelli che posavano lo sguardo, anche per errore, sul suo vestito o se lo guardavano in maniera dubbiosa.
- Dovresti rilassarti. – gli fece Albus alle sue spalle con in mano un delicato calice di cristallo con all’interno del succo di zucca – E’ una festa.
Severus guardò con un misto di disgusto il vestito rosso a piume che ricordava vagamente il manto di Fanny, quel barbagianni sgargiante che lo guardava in maniera torva ogni volta che metteva piede in quell’ufficio che gli faceva sempre girare la testa. Poi spostò il suo sguardo su una Minerva più allegra del solito che sfoggiava il suo vestito di seta blu con piume vere di pavone che formavano la sua lunga coda.
- Spero si strozzi con quel succo! – strinse i pugni cercano di non urlargli quella frase ma di tenerla stretta nella sua mente, in fondo Silente l’aveva salvato quando non sapeva cosa fare o dove andare.
Ma Albus lo squadrò un attimo al disopra delle lenti a mezza luna e fece un lieve sorriso.
Aveva capito perfettamente i suoi insulti.
- Divertiti Severus. – sorrise poggiandogli una mano sulla spalla.
- Certo mi divertirò se mentre balli ti spacchi una gamba! - sospirò ricacciando indietro anche quella frase e fece un lieve, mezzo, incerto e tirato sorriso e li osservò mentre si allontanavano iniziando a ballare.
Fece un profondo respiro, doveva restare almeno fino alle undici e mezzo evitando, con una scusa che avrebbe inventato al momento, la mezzanotte e il togliersi le maschere.
Nessuno doveva vederlo con quell’abito!
Prese un calice di vino speziato da uno dei vassoi di cristallo che volteggiavano per la sala a disposizione di insegnanti e studenti.
Osservò con una lieve punta di divertimento gli studenti che cercavano di prendere i calici con il vino e il loro disappunto quando scoprivano che, la bevanda, si trasformava in semplice succo di pomodoro quando arrivava alle loro labbra.
Mandò giù una lunga sorsata della pastosa bevanda assaporandone il suo gusto dolce e il retrogusto di noce moscata che gli restava in bocca, poggiò il calice sul tavolino rotondo e si guardò attorno.
Fu allora che la vide.
Un vestito color blu notte con ricami d’argento ed incastonate piccole gemme di luce, un mantello argentato sulle spalle che richiamava il firmamento delle notte serene e la maschera. Quella maschera d’argento dai lineamenti femminili, le labbra colorate dal rossetto argenteo, le ciocche bianche che partivano dalla maschera e che scendevano lungo la sua chioma richiamando i raggi bianchi della luna.
Ellera, la Dea della Luna e della notte.
La donna di ghiaccio amante del dio di fuoco.
Lei lo vide e sorrise appena.
Raccolse un po’ le sue gonne e si avvicinò al mago.
- Sapevo che avresti indossato questo vestito. – sorrise appena mostrando un poco i denti perfettamente regolari e bianchi come l’avorio.
- Cosa ci fai qui? – domandò rudemente, forse più rudemente di quanto avrebbe voluto.
La donna voltò il viso verso la sala da ballo individuando immediatamente Silente che ballava con Minerva in un turbinio di rosso e blu.
- Albus mi ha invitato… o forse dovrei dire che mi ha obbligato… non ci volevo venire.
- Perché no?
Si voltò a guardalo di nuovo, una scia dubbiosa o forse solo stupita, passò attraverso i suoi occhi.
- Perché credevo che tu non mi volessi.
- Non sono il padrone della scuola, se Silente ti invita non posso certo ordinargli di non farlo e poi… non sapevo che ti aveva invitato. Ti credevo in Germania o in un altro paese europeo.
- C’ero fino alla settimana scorsa. – ribatté con un tono seccato la donna, scosse un poco la testa sbuffando e si voltò dandogli le spalle – Lo sapevo che non dovevo venire.
Fece per allontanarsi ma Severus le prese un polso.
- Non andare. – le disse con un filo di voce – Resta con me.
Annuì solamente e andò a sedersi accanto all’uomo, restarono in silenzio per alcuni minuti osservando la sala e i ragazzi che ballavano.
- Sei sola? – domandò fingendosi disinteressato.
- E tu?
- Non hai mai perso il vizio di rispondere a delle domande con altre domande vero?
- E tu non hai mai perso il vizio di fare domande stupide vero?
- Perché sei qui?
- Per te.
Una risposta secca, precisa, quasi calcolata come lo avrebbe fatto lui, forse si aspettava quella risposta… forse ci sperava.
Si voltò e le prese una mano.
- Balliamo?
La donna fece un sorriso molto più largo, felice, speranzoso e annuì stringendo la mano del mago. Fecero i pochi passi che li dividevano dalla pista, Severus le cinse la vita con un braccio, accarezzandole la pelle sopra il vestito, quella pelle che conosceva molto bene. La sentì rabbrividire un attimo, un lampo di passione le accese le sue iridi marroni per qualche secondo, poggiò la sua mano delicata sulla sua spalla e si lasciò guidare nelle danze.
Al primo ballo se ne seguì un altro e un altro ancora fino a quando entrambi non furono esausti.
- Sono le undici e mezza. – fece la donna – Non credo che tu voglia che i tuoi studenti ti vedano con questo addosso. Usciamo.
La serata era fredda, un sottile strato di rugiada ghiacciata aveva ricoperto il prato e gli alberi avevano perso completamente le foglie. Un clima troppo rigido per invogliare le coppiette ad uscire per amoreggiare un poco.
Erano soli, sotto i portici che univano le varie parti di quell’immenso maniero, passeggiarono per alcuni minuti fino a quando lui non si fermò ricordando che lei se n’era andata lasciandolo.
- Perché? – domandò solamente, non aveva bisogno di porre tutta la domanda lei sapeva di cosa parlava.
La donna si fermò ma non si voltò, non era certa di poter sostenere il suo sguardo senza crollare.
- Ero arrabbiata.
- Con me?
- Con il mondo… con Albus… con Lui… con me stessa… sì, Severus anche con te.
- Cos’hai fatto?
- Ho cercato di arrivare a fine mese… ho fatto i lavori più squallidi ed umilianti che una strega potesse fare, ma sapevo di meritare quella fine e non mi sono mai lamentata.
- Potevi venire qui… con me…
- Silente me l’aveva proposto ma non potevo… volevo stare un po’ per conto mio.
- Potevi dirmelo, - replicò l’altro – avrei capito.
- Non è vero Severus… non avresti mai capito… tu volevi salvarti, io volevo solo vendetta.
- Sono passati tre anni da quel giorno… devi andare avanti.
La strega si voltò di scatto mostrando le lacrime che scendevano sotto la maschera.
- Andare avanti? Severus io… sono rimasta da sola… la mia famiglia è morta! Tutto è andato distrutto e per cosa? Perché ti ho seguito nei Mangiamorte! Sono sempre stata la pecora nera della famiglia non l’ho mai negato ma non posso più commettere errori.
Con due falcate la raggiunse afferrandola per le spalle.
- E’ questo che sono stato un errore?
- No…- singhiozzò l’altra – non lo sei mai stato… e tornerei dai Mangiamorte se solo tu me lo chiedessi.
La baciò. Un bacio vorace una punizione per essersene andata e un perdono per esser tornata.
Quando le labbra si separarono Severus poggiò la sua fronte con quella della donna mettendo in contatto le due maschere.
- Sei qui per restare?
- Dipende solo da te.
Severus si allontanò da lei quanto bastava per levarle la maschera e mettere alla luce il suo volto ovale, la pelle lievemente abbronzata, le labbra carnose, i suoi occhi resi ancora più luminosi dal pianto, le sue iridi marroni erano come due specchi per lui. Con i pollici tirò via un po’ del trucco colato e la baciò delicatamente di nuovo. La donna si divincolò dal suo abbraccio e gli tolse la maschera liberando anche il suo volto.
- Ciao Severus. – sorrise come se vedesse per la prima volta il mago.
- Alice…
Avvertì dei passi dietro di lui, si voltò notando due studenti che erano usciti per sfidare il clima rigido dell’inverno, ma appena lo videro tornarono subito dentro per non rischiare una severa punizione.
Si voltò di nuovo ma Alice era sparita, l’unica traccia della sua presenza era la maschera a forma di luna che teneva in mano e la sua appoggiata alla colonna di pietra grigia.
Sapeva che non l’avrebbe trovata nel castello, Alice conosceva tutti i passaggi segreti a lui ignoti, conosceva ogni antro, ogni corridoio di quel castello. Se voleva sarebbe stata lei a tornare.
La mezzanotte suonò in quel preciso momento, dalla Sala Grande udì le risate degli studenti al momento di togliersi la maschera che aveva celato i loro volti per il resto delle persone. Prese la sua maschera da terra e tornò nella sua stanza, si mise a sedere pesantemente sulla sedia dietro la scrivania e osservò i due manufatti uno accanto all’altro. Prese la maschera argentata della donna e sovrappose i suoi lineamenti con quelli di Alice.
Le sue dita toccarono qualcosa di strano dietro la maschera, la voltò e trovò un biglietto attaccato sopra l’occhio destro con un po’ di nastro magico. Delicatamente staccò il rotolino di pergamena e lo srotolò.

Dipende solo da te…
Ora sai dove sono...

La porta si aprì delicatamente, Severus, il Severus quarantenne, il Severus spia e traditore, alzò il viso, la stessa donna dai boccoli castani fece capolino dallo spiraglio che si era aperta. Quando vide che non stava lavorando sorrise ed entrò nella stanza.
- Siamo in ritardo. – disse con un tono di voce sicuro di se, in mano teneva due mantelli neri come la notte.
- Lo so. – rispose meccanicamente il mago poggiando la maschera sulla sua scrivania.
Alice osservò per qualche istante le due maschere che un tempo avevano segnato l’inizio del loro amore.
- Non le indossiamo da molto. – valutò con un tono triste – Mi mancano quei giorni.
- Mancano anche a me. – ammise Severus alzandosi e prendendo il mantello che la strega gli porgeva – Sono certo che torneranno.
- Forse non per noi. – disse la donna pronunciando una frase che Severus aveva celato nella sua mente ma che lei aveva trovato subito.
- Non é questo l’importante. – spiegò l’altro porgendole la maschera argentata, diversa da quella della Dea della Luna. Una maschera dai lineamenti grotteschi, inumani, malvagi.
- Diventa sempre più pesante. – mormorò Alice indossando la maschera dei Mangiamorte.
- Presto finirà tutto. – promise il mago.
Alice sorrise e prese la mano di Severus.
- Ci sta chiamando.
Velocemente uscirono dalla stanza, una candela era rimasta accesa sulla scrivania, una candela che illuminava debolmente le due maschere sul tavolo. Due maschere e il ricordo di una notte di Hallowen.

FINE









lavoro n.2
(ficition di Viviana del lago)

Scommessa di Halloween

Era sabato 2 ottobre 1993, la squadra di Quidditch di Serpeverde era in vantaggio di 20 punti su quella di Tassorosso e Draco Malfoy stava puntando dritto verso il boccino d’oro. Poco dopo il cercatore verde e argento era portato in trionfo dai compagni, i giocatori di Tassorosso uscivano mestamente dal campo mentre un centinaio di “allenatori” di Quidditch commentava i passaggi della partita e le scelte dei capitani. Severus Piton uscì dagli spogliatoi della sua squadra così gonfio d’orgoglio che mancava poco che scoppiasse. Caso volle che incontrò l’unica persona che invece in quel momento avrebbe preferito evitarlo: Minerva McGrannitt. Lei cercò di camminare più svelta per non farsi intercettare, ma era troppo tardi. Piton la bloccò in un angolo e l’apostrofò:
“Minerva cara, visto che partita? Direi che i miei ragazzi sono stati straordinari. Tu che ne pensi?” L’unica cosa che la professoressa McGrannitt non sopportava era che qualcuno le ricordasse che la sua squadra non vinceva la coppa di Quidditch da sette anni e Severus Piton, ancora una volta, stava proprio per farlo. Minerva cercò una via di fuga: qualcuno che la chiamasse, due ragazzi che litigavano… niente. Le toccava rispondere.
“Veramente notevoli, voglio dire per la stazza che si ritrovano”. Minerva trovò la forza di essere sarcastica e provò a svicolare oltre le spalle di Seveus, ma lui non si arrese e le tenne dietro camminandole accanto con lunghe falcate, mentre i passi di Minerva si facevano sempre più lunghi e veloci. “Draco è un fuscello ed è un ottimo cercatore”. Piton non mollava…
“Con una Nimbus 2001 anche un armadio 4 stagioni filerebbe come un razzo mio caro Severus”
“Se non sbaglio la prossima partita ci sarà il 30 ottobre: Serpeverde contro Grifondoro. Vediamo se il tuo caro Harry Potter continuerà ad essere così fortunato”
A sentir parlare male del miglior cercatore che avesse avuto in dieci anni, Minerva divenne una furia “per tua informazione Harry ha un gran talento naturale per il Quidditch, come suo padre prima di lui del resto – beccati questa pallone gonfiato – e troverebbe il boccino anche ad occhi chiusi e lo prenderebbe anche con una mano legata dietro la schiena”
“Draco potrebbe prendere il boccino d’oro anche se volasse sulla Comet più spelacchiata della scuola!”
I toni della voce si erano alzati. I due professori si fronteggiavano con le vene delle tempie che pulsavano di agonismo puro.
“Se Malfoy prende il boccino alla prossima partita mi mangio il cappello!” disse Minerva
“Se Potter prende il boccino preparo una pozione d’amore e me la bevo tutta d’un fiato” replicò Severus. “Scommetti che la prossima partita la vinciamo noi?” continuò lui
“Scommetto che la vinciamo noi, piuttosto” replicò lei
“Se vinciamo noi tu mi darai Potter, Weasley e la Granger per organizzare la serata di Halloween.”
“Organizzare la serata di Halloween? Perché vorresti prenderti questa incombenza che, fattelo dire, hai sempre evitato come la peste?” disse Minerva sospettosa.
“Voglio dare una lezione su cosa sia il duro lavoro a quel pallone gonfiato di Potter che sa solo andarsene in giro a pavoneggiarsi per il castello” un ghigno ruppe l’espressione solitamente di ghiaccio di Piton.
“Ovviamente vinceremo noi ed io potrò dare a Malfoy e ai suoi tirapiedi una bella lezione di umiltà e ti assicuro che dopo il 31 ottobre i pitali dell’infermeria non saranno mai più così puliti” replicò Minerva che ancora nera per la punizione umiliante che Severus aveva dato a Ron.
“Quello è lavoro per Wealsey” rispose Piton che ancora gongolava proprio per quella punizione.
I due si stritolarono la mano e, voltandosi le spalle andarono in due direzioni opposte, i mantelli svolazzanti che promettevano tempesta.

“Ora io non vi dico di vincere, io vi ordino di farli a pezzi!”
“E se per caso qualcuno di voi non sputa tutto il suo sangue in questa partita io vi giuro che gli strappo la magia dalle budella e lo spedisco vivere tra i babbani!”
I ragazzi delle due squadre si trovavano nei rispettivi spogliatoi e ascoltavano terrorizzati la ramanzina che i capi delle loro Case gli facevano, senza però capire il motivo di tanta animosità.
“Potter vieni qui per favore” Minerva cercava di riprendere il controllo: era tutta rossa ed il suo cappello puntava deciso verso le ventitrè. La professoressa lo rimise a posto bruscamente e disse al ragazzo “Harry caro tu lo sai che i Serpeverde sono i nostri rivali storici. Beh, ecco, il professor Piton è sicuro che voi perderete”
“E perché è così sicuro di questo?” replicò Harry
“Perché pensa che Draco sia un cercatore migliore di te e che la sua Nimbus gli basti e batterti”
“Draco non prenderebbe un boccino neanche se gli si infilasse nelle mutande! Oh, mi scusi professoressa”
“È quello che gli ho detto io! A parte il particolare delle mutande ovviamente, ma lui ha insistito tanto che ho dovuto scommettere con lui”
“Stia tranquilla professoressa, non perderà la scommessa”
“Lo spero per te Harry”
“Come, per me?”
“Beh ecco, io ho scommesso col professor Piton che se Grifondoro avesse perso oggi, tu, Ron ed Hermione avreste aiutato il professor Piton a organizzare la festa di Halloween” concluse Minerva con un mezzo sorriso.
“Cosa? Ma Halloween è domani sera! Come potremo farcela se perdessimo?”
“Beh cercate di non perdere, no?” rispose Minerva ergendosi in tutta la sua altezza, le mani giunte all’altezza dello stomaco.
Poco dopo Harry e Draco volteggiavano parecchi metri sopra il campo di Quidditch cercando il boccino d’oro. Ciascuno voleva farla finita il più in fretta possibile
“Non voglio organizzare Halloween agli ordini di Piton!” pensava Harry
“Non voglio pulire i pitali dell’infermeria!” pensava Draco.
Piton e la McGrannitt si fronteggiavano. Minerva era vicina a Lee Jordan, il commentatore e guardava in cagnesco Piton seduto dall’altra parte degli spalti.
“Niente trucchi Severus” lo ammoniva con lo sguardo la strega.
“Non ne ho bisogno” sembrava rispondere il mago con una luce perfida negli occhi.
“Allora Minerva, sarà più forte la paura di Harry di avere a che fare con Piton o il disgusto del Piccolo Lord di pulire i pitali dell’infermeria?” domandò con uno scintillio divertito negli occhi Albus Silente.
“Oh Albus, come sai della nostra ehm… scommessa?” arrossì Minerva
“Eh mia cara sarò pure un vecchio rincitrullito, ma ancora vengo a sapere quello che succede nella mia scuola”
“Bah tu sei tutto tranne che un vecchio rincitrullito. Io piuttosto che abbocco ancora alle provocazioni di Piton come una sciocca ragazzina” Minerva guardò con disappunto verso Severus il quale tratteneva a stento un sorriso di trionfo al terzo gol segnato dai Serpeverde.
“Ma tu sei una ragazzina!” disse sorridendo Albus
“Oh falla finita” Minerva sorrise a bocca stretta e diede un colpetto al braccio di Albus.
In quel momento Draco puntò verso l’angolo in basso a destra rispetto a Minerva. Tutti si alzarono in piedi e si affacciarono: il boccino era vicino a terra, quasi nascosto.
“Malfoy ha trovato il boccino! Corri Harry corri!” Urlava Jordan. Tutti gli altri giocatori si interruppero, George Weasley ne approfittò per tirare un bolide al capitano dei Sempreverde che, data la stazza, si accorse del bernoccolo in testa solo al momento di fare la doccia. Nel frattempo Draco aveva preso il boccino d’oro. I pubblico dei Serpeverde esultò compatto insieme al suo Capo Casa. Minerva rimase impietrita. Harry prima guardò verso di lei, poi guardò Piton e con orrore lo vide aprire le labbra e sillabare “ora sei mio”. La vista gli si annebbiò ed Harry svenne. Quando si risveglio era in infermeria. Vide per primi Hermione e Ron con una faccia da funerale e poi inquadrò Piton che sfoggiava il suo ghigno più perfido sulle labbra sottili. “Potter! Ben svegliato! Sono contento che tu ti sia riposato perché per organizzare una festa di Halloween per 350 persone in meno di 24 ore avrai bisogno di tutte le tue energie. Per fortuna i tuoi amici ti daranno una mano – questo fece capire ad Harry che il suo incubo era appena iniziato – avanti si alzi, ha dormito abbastanza!”
“Non stavo dormendo!”
“Ah, è vero, quello lo fa durante le mie lezioni! Si alzi. Seguitemi.”
Harry scese dal letto guardando con tristezza Ron ed Hermione. I tre seguirono il professor Piton nel suo ufficio. Piton disse ai ragazzi:
“sedetevi – i tre si sedettero – Granger, voglio che domani nella Sala Comune si sentano grida, rumori di catene e sospiri, Weasley lei si occuperà di decorare la sala con pipistrelli, topi…”
Ron cominciò a pregare dentro di sé “ragni no! Ragni no!”
Piton lo fissò a lungo prima di dire “…e ragni, molti.”
Ron sbiancò “ma questo qui può leggere il pensiero – pensò terrorizzato – oddio allora adesso sta sentendo quello che penso, non devo pensare non devo pensare…”
Ma l’attenzione di Severus Piton era già rivolta verso qualcun altro “Potter. Il suo caro amico Hagrid ha coltivato nel suo orto delle enormi zucche per questa festa. Vanno tutte svuotate ed intagliate. Questo lo farà lei. Senza magia. Ne serviranno almeno venti. È tutto. Passerò a controllare quello che fate. Andate.”
Ron Harry ed Hermione uscirono dall’ufficio di Piton mortalmente depressi. “Addio alla gita ad Hogsmeade” sospirò Ron.
“Se domani mattina ci sbrighiamo ce la possiamo fare. Oh scusa Harry.”
“Non ti preoccupare Hermione. Anch’io vorrei andare ad Hogsmeade più di qualunque altra cosa.”
Il giorno dopo a colazione il professor Piton si avvicinò al tavolo di Grifondoro suscitando un fuggi fuggi generale.
“Bene bene bene. Ecco i volontari che si sono offerti di allestire la Sala Grande per Halloween”
“Noi non ci siamo offerti volontari, signore” rispose Harry acido.
“Questo non fa altro che migliorare la situazione, Potter.” Nel frattempo la sala della colazione si era svuotata. Piton con un movimento casuale della bacchetta fece apparire 20 enormi zucche ed alcuni scatoloni poi disse: “Potter, le zucche vuote sono lavoro per te… e non ci mettere una vita! Granger in quello scatolone troverà gli addobbi da trasfigurare. Faccia un lavoro decente, non come il suo solito. Weasley vada a procurarsi dei ragni” “E dove?” chiese Ron stralunato “Il castello è pieno di ragni, Weasley, non se n’è mai accorto? E non li prenda piccoli”. Piton fece apparire una gabbia dalle maglie molto fitte ed un retino e li tese a Ron il quale si avviò verso i sotterranei dove ultimamente aveva visto dei ragni belli grassottelli. Era blu. Tornò dopo un’ora con la gabbia piena di ragni e si accasciò su una panca “credo di stare per svenire”. “Lascia, ci penso io”. Hermione prese la gabbia, la posò su un tavolino e la aprì. Appena i ragni uscivano lei li colpiva con uno schiantesimo che li irrigidiva in varie pose. Uno schiantesimo era sufficiente ad ucciderli. Appena schiantati Hermione li ingrandiva con l’incantesimo engorgio e li faceva volare verso alcune ragnatele fatte crescere sul soffitto. Quando ebbe finito andò prima a soccorrere Ron che era svenuto e poi a tirare fuori Harry da una zucca gigante che lo aveva inghiottito. Verso mezzogiorno tornò Piton il quale passò in rassegna le zucche fatte “Solo cinque? Dovrai darti molto da fare Potter se vorrai prepararne venti per le otto”, e fece svanire tutte le zucche “ma!” tentò di dire Harry, ma Piton spostò la sua attenzione verso le decorazioni cui dedicò le smorfie più disgustate “che delusione Granger, un lavoro sciocco e infantile” e con un flic della bacchetta fece cadere tutto a terra. “Weasley si tiri su e vada a prendere altri ragni, grossi questa volta! Smettete adesso, riprenderete dopo pranzo e questa volta vi sorveglierò personalmente!” e uscì di nuovo.
“Quel ***” e Ron disse un epiteto molto pesante nei confronti del professore appena uscito. Hermione non ebbe la forza di riprenderlo, si era accasciata su una sedia e stava cominciando a piangere. Harry corse da lei “No Hermione, non lo ascoltare, le tue decorazioni erano veramente spaventose, non vedi che sta facendo di tutto per tormentarci? Dai, ignoralo”.
“Io io non riuscirò a fare meglio di così.”
“È vero, perché il tuo lavoro era già perfetto”. Hermione si risollevò e prese un pipistrello di plastica con aria molto sconsolata, poi con un movimento fluido della bacchetta lo animò e l’animale lanciò un grido stridulo che accapponò la pelle di Ron e Harry.
“Se questo non gli piace non so proprio cosa potrà piacergli” disse quest’ultimo.
“Quello direbbe comunque che fa schifo, solo per il gusto di tormentarci.” Replicò Ron ed Hermione annuì stancamente. Cominciarono ad arrivare i ragazzi ed i professori per il pranzo. Ron Harry ed Hermione mangiarono sconsolati. La professoressa McGrannitt si avvicinò tormentandosi le mani. “Come va la preparazione della festa?”
“A parte il fatto che ho dovuto catturare ragni per tutta la mattinata?”
“A parte il fatto che devo scavare 20 zucche giganti con un coltello da cucina?”
“Professoressa mi insegni a trasfigurare meglio i pipistrelli!”
“Hermione io non so più cosa insegnarti in Trasfigurazione che tu non abbia già imparato. Ma adesso aspetta che ne dico quattro a quel pallone gonfiato di Severus”.
Minerva si girò e se lo trovò ad un palmo dal naso “Dirmi cosa, Minerva?”
“Severus tu stai tormentando questi tre ragazzi, insomma, hanno solo 13 anni, come possono preparare una festa di Halloween per tutta la scuola da soli!”
“Hai ragione Minerva. Per questo oggi starò tutto il pomeriggio con loro ad aiutarli” e guardò i tre ragazzi che sbiancarono.
“Ah Severus, oggi non ho proprio nulla da fare, vi darò una mano anch’io con i preparativi” il volto sorridente del professor Remus Lupin spuntò alle spalle di Severus per il quale fu il turno di sbiancare.
“Allora, dove siete rimasti?” chiese Lupin.
“Io ho intagliato solo cinque zucche su venti”
“Solo?”
“l’ho dovuto fare a mano”
“E perché? Così ci metterai una vita”
“È stato il professor Piton a volerlo”
“Ma Severus, non saranno mai pronte per stasera! Dovremo usare la magia. – Il professor Piton fece due o tre smorfie con l’angolo della bocca – Vedo che sei d’accordo con me. Allora Harry, ripeti dopo di me: intaglio”
“Intaglio”. Quindici coltelli si sollevarono ed andarono ad intagliare le zucche rimaste. Il professor Piton alzò gli occhi al cielo.
“Ora Ron, tu che stavi facendo?”
“Dovevo catturare dei… ragni. Grossi”
“E perché? Severus le decorazioni a forma di ragno che avevamo alla nostra epoca non ci sono più?”
“No, ci sono ancora, Remus” replicò asciutto il professore
“Beh allora usiamole!” e con un gesto della bacchetta Remus fece apparire uno scatolone pieno di grossi ragni di plastica
“Questi non ti dovrebbero far paura Ron”
“No professore, questi no” rispose sorridendo il ragazzo
“Allora incantali”. Ron cominciò ad animare alacremente i ragni di plastica e a mandarli verso le ragnatele che riempivano gli angoli del soffitto.
“Signorina Granger, ha fato un lavoro splendido con quei pipistrelli. Credo che fra poco potrete andare a Hogsmeade a divertirvi”
“Grazie professore!” esclamò Hermione felice. Verso le due tornò Ron ed Hermione cominciarono a guardare nervosamente l’orologio.
“Ehm professor Piton, noi avremmo finito”.
Il professor Piton era sempre più di malumore “Se questo è tutto quello che sapete fare mi farete fare una pessima figura alla festa – disse Piton arricciando le labbra – comunque potete andare – Ron ed Hermione guardarono verso Harry ancora alle prese con la polpa delle zucche - No. Lui resta” Ron ed Hermione uscirono dalla Sala Grande con le spalle basse e l’aria molto colpevole. “Datti da fare Potter, mancano cinque ore alla festa”. Harry cominciò ad affondare il coltello nella zucca immaginando che fosse la testa di Piton. Lavorò come un pazzo, ma alla fine riuscì a terminare il lavoro: venti zucche brillavano tremolanti sopra i quattro tavoli. Piton controllò il lavoro per l’ultima volta e si soffermò con un sussulto davanti ad una zucca con una protuberanza al posto del naso che gli ricordava pericolosamente qualcuno. Con un movimento brusco della bacchetta la fece sparire. “Attento a te Potter, non permetto ad un moccioso di prendermi in giro!” “Non la stavo prendendo in giro professore”.
“Allora, è tutto molto spaventoso, no? – intervenne il professor Lupin pulendosi le mani – Ah credo che con tutta questa polpa di zucca mangeremo torte alla zucca fino a Natale! – e con un gesto della bacchetta fece sparire tutte la polpa scavata – via, giù nelle cucine! Adesso credo che Harry possa andare, giusto Severus?”
“No, io stavo proprio pensando di farli incantare…”
“Delle lumache?”
Piton divenne verde “No, io non”
“Ma si! Magari quelle senza guscio, che fanno più senso.”
Piton si appoggiò ad un tavolo, pallido come un cencio “Po… Potter vai via”
“Professore si sente bene?”
“Si Potter, vattene”. Harry uscì dalla Sala Grande seguito da Remus “Cos’aveva il professor Piton” “Niente, odia le lumache, specie quelle senza guscio”
“Ah”
“Beh si da quando Sirius e tuo padre, no lasciamo perdere”.
Finalmente venne la sera e i tre ragazzi poterono raccogliere i frutti delle loro fatiche. Tutta Grifondoro si complimentò con loro e da Corvonero e Tassorosso partirono molti applausi quando uno stormo di pipistrelli attraversò la sala stridendo in modo raccapricciante. Scheletri ballavano il tip tap suscitando le risa di tutti. Silente sembrava il più allegro di tutti, ad ogni grido rideva come un pazzo “Oh Severus, questa è la miglior festa di Halloween da vent’anni almeno! Ah ah ah!” il professor Piton annuì con elegante grazia sorridendo, ma non con gli occhi. Il professor Lupin si chinò verso il suo orecchio “tutto bene quel che finisce bene, no?” Severus respirò a fondo, bevve un sorso di vino elfico, annata ’88, lo assaporò, ammirò il colore rubino che brillava attraverso il calice e, girandosi appena verso Lupin disse “Vedi, Remus, tu a Giugno andrai via. Forse pazzo come Allock o, Dio non voglia, morto, come Raptor. Io invece rimarrò qui per molti anni a venire e prima o poi Potter sarà mio e quel giorno non ci sarete tu o Silente a fermarmi. Salute!” concluse Piton alzando il calice verso Remus.


FINE






lavoro n.3
(ficition di Ida59)


Condannato a vivere





Il vento soffia feroce contro i piccoli vetri ancora bagnati dall’ultima tempestosa pioggia, lacrime furiose di un uomo che non sa più piangere, da troppi anni.
Mi stringo nel mio nero mantello: ho freddo come non mai, in questa triste ed eterna notte, ma non riaccenderò il fuoco della speranza nel camino del mio sotterraneo.
Le possenti mura di Hogwarts mi proteggono dal vento, ma non dai ricordi e dai sogni perduti del mio passato.
Anche oggi l’ho fissato, anche oggi aveva gli occhi verdi, anche oggi mi ha condannato a vivere, in questa monotonia di dolore, dove ogni giorno è uguale all’altro, in un presente infinito, dove non c’è alcun futuro, se non nell’attesa che il mio destino, finalmente, si compia.
Odio in cambio dell’amore e morte al posto della vita.
La mia vita.
Ciò che ne è rimasto.
Ciò che io, con le mie colpe, ne ho fatto.
L’Oscuro è là, oltre l’oscurità, nell’oscurità.
Lui è il mio odio e la mia morte.
Lui è la tenebra che oscura la mia vita.
Qui ci sono solo io.
Con i dolorosi rimpianti di sogni perduti.
Non ho più la forza di lottare, in questa notte silenziosa in cui il vento dei ricordi sibila nel mio cuore: guardo il cupo colore di sangue della brace che si estingue nel camino e mi arrendo ai ricordi di quella lontana notte di Halloween in cui sono morto, quasi quindici anni fa.



Monotonia

La calda e opaca cenere
include l'umidità esterna.
Ricordiamo, vita mia,
i nostri pensieri fino al rimpianto.

Il vento simbolico soffia più freddo
contro i vetri bagnati.
I nostri cuori, ahimè!, si sentono più vecchi
mentre cercano di vivere ancora una volta.

La notte ferisce. La rossa brace
tende a un rosso più caldo!
Ahimè! Quando ricordo
vorrei poter dimenticare.

Quali vaghe e fredde folate entrano
nella mia anima come da una porta!
La mia anima è il centro vivo
dei sogni che non ci sono più.

La brace sobbalzi ancora di più!
Più ancora si avvicini il fuoco!
Com'è facile ricordare
quando la memoria vuoI dire rimpianto!

Il vento umido è alto
attorno ai miei pensieri solitari.
I miei occhi non si allontanano dal fuoco,
le mie labbra sussurrano un vago nome.

Spostate inutilmente quella brace!
Tutta la nostra anima è rimpianto.
Rimpianto di ciò che ricordiamo
e rimpianto di ciò che dimentichiamo.

O freddo e selvaggio soffiar
del vento attraverso l'umida oscurità!
Sulla tomba del mio passato
risplende una rosa rossa in pieno rigoglio.

Le tenebre portano via la cenere.
lo non la rimuovo, eppure la agito.
La nostra vita vuole ricordare
e il nostro desiderio dimenticare.

Il mio mistero viene a toccarmi
la spalla fino a farmi paura.
La rosa rossa è morta.
Così come quel che ero è ora morto.

Potessi sperare di dimenticare, pallida cenere,
senza struggermi o rammaricarmi!
O potessi sperare di ricordare
senza desiderare di dimenticare!

Ferdiando Pessoa – Il Violinista Pazzo


*


L’ombra magra della mia figura scivola lenta sulla spiaggia, mentre il lungo mantello nero raccoglie nelle sue falde l’umida rena. La luna splende alle mie spalle, fredda ed insensibile regina della notte, impassibile spettatrice della mia tragedia, mentre il mare piange piano le lacrime che non ho più.
Quasi trascino i piedi, un peso immane mi schiaccia a terra, e rallento sempre più il mio doloroso cammino fino a fermarmi davanti alle ceneri fumanti di quello che, fino a poche ore fa, era il mio sogno felice.
Lente volute di fumo chiaro, sospinte dalla brezza notturna, s’intrecciano nell’aria, labili fantasmi che incatenano la mia anima a questa notte.
Guardo la desolazione davanti a me, mentre il mare mormora, sommesso e monotono alle mie spalle, una nenia di morte.
Hanno bruciato tutto. Tutto.
Loro che erano i miei amici. Quelli che io ho tradito da tanto tempo.
Non mi è rimasto più nulla.
Neppure le lacrime per piangere.
Non posso farlo, perché ho già pianto invano tutte le mie lacrime, perché il mio immenso dolore ha arso anche ogni lacrima futura.
E’ rimasto solo il sale, a bruciare amaramente le mie labbra.
Abbasso il capo ed i capelli, neri come la disperazione di questa notte, mi coprono il viso.
Solo cenere.
Un lungo tremito mi assale e crollo in ginocchio, le mani a stringere forte la sabbia tra le dita.
A stringere il nulla.

Sono tornato.
Sono passate ore, e del rogo della nostra casa, amore mio, ora ci sono solo ardenti ceneri che soffocano il mio cuore.
Di te non è rimasto più nulla.
Non ho più nulla.
Nemmeno mia figlia.
L’ho portata via, in salvo, lontano da qui. Lontana da Lui.
La mia bambina, la nostra piccola, adorata e desiderata bimba.
Ho dovuto farlo.
Ho dovuto rinunciare a lei, per salvarla.
Come non ho saputo fare con te, mia amata Lys.
Vi ho perduto entrambe ed ora voglio solo morire.
Non temere, lei è al sicuro e Lui non potrà mai trovarla.
Lei vivrà, senza mai sapere di noi. Senza mai sapere che sarebbe dovuta essere una maga.
L’oblio è la sua vita.
Il ricordo è la mia morte.
L’ho portata dove Lui non la cercherà mai, tra i babbani, da parenti di mio padre.
Ho cancellato la sua magia, gliel’ho strappata via, l’ho distrutta e calpestata insieme alla mia anima.
Ho dovuto farlo.
Per proteggerla da Lui.
Ora sono esausto, quasi svuotato d’ogni energia magica. Quanti arcani sortilegi ho magistralmente eseguito in questa notte maledetta, quante memorie ho modificato e quante nuove realtà ho saputo creare!
Ma ora la nostra piccina ha un futuro: gliel’ho costruito io, distruggendo il suo passato e negando il frutto del nostro amore.
Perdonami Lys.
Perdonami per averti amata.
Perdonami per averti uccisa.
Avrà il mio cognome, però, proprio come volevi tu.
Ed il tuo nome.
Come ho voluto io.
Gli unici legami che ho potuto lasciarle di noi.
Legami che lei non potrà mai comprendere.
Voldemort non la troverà mai.
Ti ho portato via tutto, bimba mia: la mamma ed il papà, il tuo passato e la tua magia.
Ma l’ho fatto solo per poterti dare di nuovo un futuro.
Ho rinunciato a te, ma solo per salvarti, solo perché ti amo.
Come sempre amerò la tua mamma.
La mia Lys.
Solo cenere ardente nel mio cuore.

L’angoscia mi assale improvvisa: mi sollevo impotente da terra, i pugni pieni di sabbia bagnata che lancio con forza disperata contro il nulla davanti a me.
Un urlo roco, spezzato, incrina il fragile silenzio.
La luna continua a splendere indifferente e regale nel cielo nero ed il mare mormora parole che non comprendo più; la spuma bianca brilla sulla rena scura, mentre lucenti perle di dolore rotolano ai miei piedi, ad intessere il diadema della mia sofferenza.

Sono tornato, solo a cercare la mia morte, ora che Voldemort ha ucciso i Potter ed il loro piccolo figlio. Ora che ha eliminato il suo unico avversario, l’unico che poteva sconfiggerlo, se solo avesse avuto la possibilità di crescere, se solo io non avessi rovinato tutto rivelando quella preziosa profezia, quelle poche parole di cui non avevo capito il valore, preso com’ero nella mia assurda ambizione di conoscenza e potere.
Sono tornato per combattere contro di te, Oscuro Signore, che hai incatenato la mia anima all’oscurità e distrutto i sogni della mia perduta innocenza, riempiendomi le mani di sangue.
L’unico scopo della mia vita, ora, è combattere contro di te, in qualsiasi modo.
Silente troverà certo una soluzione, il modo per distruggerti, oltre e nonostante quella profezia, ed io sarò la sua mano, la sua arma più pericolosa: sono disposto a qualunque cosa pur di eliminare finalmente la causa prima di tutto il mio dolore e delle mie imperdonabili colpe.
La mia vita sarà a completa disposizione di Silente: per me non ha più alcun valore, ma lui saprà usarla per distruggerti.
Non ho paura di morire.
Perché la morte, ora, è il solo sogno che mi è rimasto.

Giro le spalle e me ne vado, con passo veloce e deciso.
Poi rallento, barcollo, inciampo e mi fermo, cedendo quasi al richiamo alle mie spalle. Invece, riprendo curvo il cammino, trascinando a fatica i piedi sulla sabbia.
Devo farlo: non ho altra scelta.
La luna splende imperiosa nel cielo ed il suo argenteo riflesso illumina l’onda che rifluisce lenta sulla riva, poi si rifrange in mille rivoli nei miei occhi, neri di disperazione, vuoti di vita.
Sto andando dagli amici che ho tradito, per spiare la loro felicità, i loro festeggiamenti. Per carpire informazioni preziose.
Mi fermo ancora: un gemito esce a fatica dalle labbra serrate, mentre il cuore sussurra ancora il tuo nome nella notte.
Mi giro appena: un ultimo sguardo, al nulla dietro di me.
Poi torno a fissare il nulla davanti a me e proseguo sulla mia strada, solo per avvicinarmi alla morte.

Finalmente vedo l’imponente fortezza dell’Oscurità, con le sue luci che attenuano appena la notte.
Sento i primi rumori della vittoria, gli schiamazzi della festa, le parole che s’inseguono nell’aria.
Eppure, non capisco: c’è qualcosa che non va, qualcosa di stonato.
E’ paura: sento un terribile tanfo di paura.
Mi avvicino piano, guardingo: se del mio amore è rimasta solo cenere ardente, questo forse significa che Lucius mi ha infine denunciato.
Sono un traditore, tradito dal suo migliore amico.
Ma chi è il tradito e chi il traditore, in questo assurdo mondo dove il male trionfa sul bene?

Non riesco a credere a ciò che sento, non riesco a dare un significato logico alle parole senza senso che trapassano il mio cervello.
Non può essere accaduto l’impossibile, l’inverosimile, l’inammissibile.
Non può essere che un bambino di un anno abbia sconfitto l’Oscuro Signore.
Lui non può essere svanito nel nulla.
No, non può essere, non può essere scomparso, sconfitto, svanito.
Io… io sono tornato per combatterlo, per morire immolando la mia inutile vita, cercando di darle ancora, almeno un misero valore, con il suo ultimo, volontario sacrificio.
No, non puoi essere morto, io… io volevo morire, soffrire e morire per espiare, almeno un poco, le mie colpe, e poi tornare dalla mia dolce Lys per abbracciarla per sempre nel silenzioso gelo della morte.
Invece sono qui, condannato a vivere, senza più alcuno scopo nella mia desolata vita, condannato alla solitaria sofferenza di un padre che si è appena strappato dal cuore la sua unica figlia, la sua sola speranza!
La mia bambina… non è più mia, non sarà mai una maga; i miei sortilegi non hanno perdono, sono Arti Oscure con un prezzo troppo alto, catene invincibili che una sola volta possono imbrigliare e stravolgere la realtà.

Fuggo via, veloce, e vorrei solo potere urlare la mia disperazione: tutto è perduto, fuorché la mia vita di dannato.
Gemiti inconsolabili sfuggono dalle mie labbra, crudelmente martoriate dai denti, mentre mi allontano di corsa verso un luogo dove nessuno mi potrà sentire.
Un urlo disumano ed interminabile squarcia infine la notte, mentre il sangue, dalle labbra lacerate dai denti che finora hanno imposto il silenzio, mi cola sul mento e dentro la bocca, caldo ed acre, maledettamente vivo.
La luna mi sorride beffarda, sovrana del nulla, algida bellezza di questa notte di disperazione.
Non ho più nulla… nulla.
Come lui, come il figlio dei Potter, lui che è orfano solo a causa mia.
Allora era vera, la profezia, anche se Silente ci credeva ben poco.
Un bambino di un anno ha sconfitto l’Oscuro Signore e mi ha condannato a vivere.
Io, che l’avevo destinato a morte certa con i suoi genitori.
Invece è vivo, mentre Lui è morto ed io non ho più nessuno scopo, nessuna battaglia da combattere, nessuna vendetta da compiere: mi sono rimasti solo la solitudine ed il rimpianto, per espiare le mie colpe, una scelta sbagliata che ha ucciso l’amore e la mia Lys e che mi ha portato via per sempre la mia bambina.
E’ tutta colpa sua, di quel bambino sopravvissuto, che mi ha rubato ogni scopo nella vita e che mi ha privato della crudele sofferenza che meritavo e cui anelavo, che il Signore dei miei errori d’un tempo certo m’avrebbe spietatamente elargito, prima o poi, una volta scoperto il mio tradimento.
Ed io glielo avrei gridato in faccia, orgoglioso del coraggio della mia Lys, gli avrei urlato in viso il mio tradimento, nella disperazione della perdita d’ogni mio futuro, tranquillamente felice di poter morire.
Ora, invece, posso solo vivere e odiare Harry Potter, il Bambino Sopravvissuto.
Lucius, maledetto, tu sapevi che avrei scoperto che l’Oscuro Signore si stava recando dai Potter, seppure all’ultimo momento, sapevi che avrei potuto fermarlo, che ci avrei provato, avvertendo Silente e forse riuscendo a salvare la vita ad un bambino che non aveva alcun bisogno del mio aiuto per sopravvivere.
Ma nessuno di noi poteva saperlo, e tu volevi che il tuo Signore vincesse, quasi quanto io volevo che perdesse.
Così hai ucciso Lys, la mia piccola babbana, per non essere costretto a denunciare il mio tradimento, per non dover decretare la mia morte.
La morte della donna che amo in cambio della mia vita.
Un prezzo che non ero disposto a pagare.
Anche tu, amico mio, insieme a quel bambino, mi hai tolto tutto ciò che di più caro avevo al mondo.
Mi hai lasciato solo questa vita da dannato, questa vita che non voglio, questa vita che è solo sofferenza infinita, questa vita che nega l’amore e mi riempie solo d’odio verso me stesso.
Sono io la persona da odiare, solo io e nessun altro: odierò me stesso, intensamente e follemente, con tutto l’amore che non posso più offrire alla mia Lys ed alla mia piccina, con tutta la cupa disperazione che assilla la mia anima perduta.
Condannato a vivere e a odiarmi in ricordo dell’amore che ho bruciato.

*


Ormai l’alba è arrivata, portando con sé un nuovo e lungo giorno, privo d’ogni speranza.
Ho raccontato tutto a Silente, ogni cosa, anche tutti gli antichi sortilegi che mi hanno per sempre sottratto la mia piccola Lys.
Non l’avevo mai visto così adirato: per la prima volta, da quando lo conosco, ha alzato la voce con me, mi ha aspramente rimproverato, scuotendomi forte per le spalle, mi ha gridato che avrei dovuto fidarmi di lui e portargli mia figlia, che avrebbe saputo proteggerla in ben altro modo, che non l’avrei perduta come, invece, ho fatto con le azioni insensate d’un giovane padre sgomento.
Sono rimasto in silenzio, le labbra strettamente serrate e gli occhi fissi a terra, la disperazione a stringermi il cuore che non voleva più battere.
La mia bambina.
Mi ha guardato, ha scosso il capo e poi mi ha abbracciato, stretto.
Ma io sono rimasto rigido.
Non ho più lacrime per piangere.
Non sono più capace di piangere.
Chissà cos’avrà pensato di un uomo che non sa più piangere.
Mi ha lasciato e ha abbassato gli occhi; lentamente, mi ha preso la mano.
Poi l’ha stretta piano, come se avesse saputo comprendere un dolore cha va oltre ogni possibilità di umana comprensione.
E’ stato in quel momento che ho visto il Marchio Nero fremere appena, sulla mia pelle bianca, sbiadito ma ancora visibile.
Non scomparso, come avrebbe dovuto essere se l’Oscuro Signore fosse veramente morto.
Anche lui l’ha visto, ed è rimasto immobile, in silenzio, a guardare la conferma dell’impossibile.

Abbiamo discusso a lungo, abbiamo vagliato ogni possibilità, studiato ed approfondito ogni eventualità; ho ripercorso con Silente ogni frase pronunciata dal Signore che ha saputo vincere la morte, che aveva affermato d’essersi spinto più d’ogni altro sul sentiero dell’immortalità. Ho richiamato alla mente ogni indizio, anche quelli meno verosimili, ogni più piccola informazione, ogni minimo dettaglio, ogni infimo particolare. Ho ricordato misteriose parole di Regulus e certi suoi ambigui comportamenti.
La risposta, all’improvviso, è stata chiara: l’Oscuro Signore ha un Horcrux, nascosto chissà dove.
O, probabilmente, più di uno.
Il sole filtra pallido nel cielo nebbioso del giorno in cui nasce la mia rassegnata attesa.
Arriverà anche il momento della mia vendetta ed io non mi farò cogliere impreparato.

Ora so che Lui tornerà ed ho di nuovo uno scopo nella vita: attendere pazientemente il suo ritorno e poi tornare a combatterlo, facendogli credere d’essergli sempre stato fedele, di essergli ancora fedele. Rimanendo al suo fianco, baciando ancora l’orlo di tenebra della sua veste, ma solo per scoprire dove nasconde i suoi Horcrux.
Mi preparerò con meticolosa cura: sono già un buon Occlumante, ma diventerò il migliore, e saprò ingannarlo come nessuno mai l’ha saputo fare, prima di me.
Dovrò lavorarmi parecchio anche Lucius, convincerlo d’essermi ricreduto, d’aver capito la lezione che mi ha impartito. Anche se continuerà a dubitare di me, non mi tradirà… e non ci sarà nessun’altra Lys che Lucius potrà uccidere per fermarmi, questa volta.
Non cercherò mai la mia piccola Lys, anche se potrei farlo, così Lucius non avrà alcuna arma contro di me, e neppure l’Oscuro, quando finalmente sarà tornato, non saprà mai nulla di lei. Averla vicina, vorrebbe dire esporla ad un mortale pericolo e già la mia adorata Lys è morta per causa mia.
Mia figlia, almeno, deve vivere; anche se questo, per me, vuol dire averla per sempre perduta.
L’ambiguità del mio comportamento sarà perfetta, perfino i nuovi amici di oggi dubiteranno di me, mi sospetteranno d’essere ancora un Mangiamorte: però si fideranno e mi accetteranno, perché così vuole Silente.
Ma io rimarrò solo, per sempre, odiandomi e facendomi odiare da tutti, senza più amore, senza più amici. Indosserò una maschera disgustosa, che terrà tutti a distanza, lontani da un uomo che non sa più piangere, discosti da un uomo che ha un solo scopo nella vita: liberare il mondo dall’Oscuro Signore.
Condannato a vivere, con la morte nel cuore.
Ed a vedere quegli occhi, ogni giorno, quando lui arriverà a Hogwarts, tra dieci anni.
Occhi verdi, come quelli della figlia che non ho più.
Verde come la speranza che mai più albergherà nel mio cuore.
Verde come la gioventù che ho bruciato in una scelta folle.
Verde come il lampo dell’Avada Kedavra che un giorno spegnerà per sempre la vita dell’Oscuro e non ha alcuna importanza se non sarò io a lanciarlo, ma il bambino che mi ha condannato a vivere.
Un bambino che odio, solo per poter ancor più odiare me stesso, la vera e sola causa di tutto.

*


Quasi quindici anni fa: era la notte di Halloween, la notte dei morti viventi, la notte in cui un bambino che doveva morire è sopravvissuto grazie all’amore, la notte in cui il più oscuro dei maghi ha sconfitto la morte.
La notte in cui ho perso tutto.
La notte in cui sono rimasto solo, morto nell’anima ma condannato a vivere.
A vivere solo per poter lentamente morire, giorno per giorno, di dolore e rimpianto.
Condannato a vivere una vita fatta solo di passato, dove la metodica attesa di un futuro di morte si è sostituita alle mie giovanili speranze, furiosamente bruciate in un grande rogo nella notte di Halloween: faville di brace alte nel cielo scuro, a portare l’odio dove un tempo c’era l’amore, a lasciare cenere fredda che il vento dissolve piano, stemperando la mia vita nel nero, freddo e silenzioso, della notte dei morti viventi.
Così è stata la mia triste e solitaria vita: attesa di un nulla intriso d’odio, speranza di vendetta gelosamente conservata e ferocemente alimentata giorno per giorno, viso duro e impassibile che è diventato una maschera ripugnante ed occhi vuoti, pieni d’oscurità e senza vita, che non sanno più che cos’è l’amore.
Senza più lacrime.
Le ho piante tutte in quella notte dannata, davanti al rogo del mio unico amore, mentre rinnegavo mia figlia pur di salvarla da me stesso.
Senza più lacrime per poter piangere i miei rimpianti, senza più lacrime per poter lavare via i miei rimorsi e le mie colpe.
Condannato a vivere e a ricordare un sogno, senza più essere capace di sognare.

*



Il mio destino s’è compiuto, oggi, quando il terzo anello di fuoco ha incatenato la mia mano tremante a quella bianca ed elegante di Narcissa: non ucciderò mai Albus!
Così, finalmente, potrò morire!




FINE








lavoro n.4
(avatar realizzato da Carmen del Fanatsymagazine)
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I ♥ Severus


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Io ho votato^^
scelta difficilissima perchè sono davvero lavori stupendi
Vorrei avere 4 account x votarli tutti!!XDXD


COMPLIMENTI
 
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view post Posted on 30/11/2006, 12:59
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Erede Universale del prof. Snape

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quando chiude il contest?
 
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view post Posted on 30/11/2006, 16:21
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:unsure: Albus quando chiude? :D
 
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Naomy
view post Posted on 30/11/2006, 18:58




Ho votato anche io! ^_^" image image image image image image
Belli tutti i lavori!
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Lisa Grifon
view post Posted on 30/11/2006, 22:16




ho votato anche io!!! Tutti bellissimi image
 
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view post Posted on 1/12/2006, 09:48
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Erede Universale del prof. Snape

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incredibile!!! io e vivi andiamo a braccetto!
 
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view post Posted on 1/12/2006, 16:07
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CITAZIONE (ellyson @ 1/12/2006, 09:48)
incredibile!!! io e vivi andiamo a braccetto!

Una lotta all'ultimo piton(e) XD :D
Complimenti :yuhù:
 
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Sophy
view post Posted on 1/12/2006, 19:55




E' stato difficilissimo votare ma alla fine ci son riuscita anchio!!
:angel:
 
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AlbusSilente
view post Posted on 3/12/2006, 19:39




E dunque la vincitrice è Viviana del lago!!!
Congratulazioni!!!
^___^
 
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view post Posted on 3/12/2006, 21:42
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I ♥ Severus


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Bravissima Viviana, la tua storia è molto divertente ed anche ben scritta: complimenti!
Io, ammetto che però avevo votato per quella di Ellyson, che ho trovato molto originale e affascinante (quella contrapposizione tra sole e luna, ed è proprio LUI ad essere il sole! Favoloso!) anche se non sono certa di aver capito alcune cose.
DOVE lui ha capito che l'avrebbe potuta ritrovare? Tra i mangiamorte? Ed è poi rimasto sempre in contatto con lei? Fino alla scena finale in cui, però, risulta che loro stanno entrambi dalla parte di Silente, vero?

Ida
 
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Sivra
view post Posted on 3/12/2006, 22:20




Brava Viviiiiiii
 
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22 replies since 28/11/2006, 14:16   445 views
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