Severus Piton & Alan Rickman Fan Forum

Il primo giorno, Seguito de "La prima sera"

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Camelia.
view post Posted on 15/11/2011, 23:23




Ringraziando Sibilla per gli incitamenti... :)



Capitolo 13:


Camminarono tenendosi per mano, in silenzio.
La calma che regnava tutt’intorno a loro faceva risuonare i loro passi, anche se lievi, ed era un suono piacevole. Severus si perse in quel ritmo di perfetta armonia con Lily e si guardò attorno, vedendo e non vedendo ciò che li circondava, ora colpito da qualche particolare di cui il castello abbondava, ora estraneo a tutto e riassorbito nei suoi ricordi più dolci, quelli dei momenti passati con lei.
Al suo fianco, Lily procedeva con lo stupore sul volto. Hogwarts era magnifica, molto più bella di come se l’era figurata.

“Non me l’immaginavo così” sussurrò.
“Cosa?” domandò Severus, riscuotendosi.
“Hogwarts” rispose lei, guardandolo con un sorriso.
Gli occhi le brillavano di gratitudine, era come se trovarsi lì fosse un regalo, un regalo che Severus le aveva fatto.
Ridacchiò.
“Sai…” e gli occhi le si fecero più grandi “…se penso a quel giorno che sei spuntato fuori dal cespuglio e mi hai detto che ero una strega…”

Severus tornò con la mente a quel giorno, l’ennesimo in cui era rimasto rannicchiato a guardarla, ma il primo in cui aveva osato farsi guardare da lei e parlarle. Non era andata benissimo quella volta, la presenza di Petunia (quella babbana!) aveva rovinato tutto.
Aggrottò le sopracciglia, al ricordo.

“Come sono belle queste armature, non ne avevo mai viste tante tutte assieme! Ce ne sono un sacco anche vicino alla nostra Sala Comune, lo sai?”
“Oh” fu tutto quello che riuscì a rispondere Severus, costringendosi a un breve finto sorriso.

Non voleva che gli venisse ricordato di appartenere a una Casa diversa, era una cosa insopportabile.
Con una sola parola, “Grifondoro!”, un vecchio cappello rappezzato aveva cancellato anni di fantasticherie e pensieri.
Certo, era ad Hogwarts e gli pareva impossibile aver vissuto fino ad allora a Spinner’s End; avrebbe frequentato le lezioni, avrebbe studiato, avrebbe fatto i compiti… ma nella sua mente tutto questo era stato immaginato con Lily accanto e ora sapeva che non sarebbe diventato realtà.
Si accigliò.
Beh, almeno a Incantesimi erano stati assieme.
Il ricordo della lezione gli fece anche pensare che non aveva ancora raccontato nulla del suo perfetto incantesimo della sera prima. Tutta la sua Casa ormai lo sapeva e perfino Lumacorno, il che lo rendeva orgoglioso come non mai, ma farlo sapere a Lily sarebbe stata un’altra cosa, dirlo a lei valeva molto di più che farlo sapere alla scuola intera!
Girò la testa, studiando il suo viso sereno. Non voleva apparirle sbruffone, sarebbe stato come abbassarsi al livello di Potter e Black.

Lily stava col naso per aria, osservando rapita il soffitto di pietra a volte incrociate. C’era eleganza in quell’intrico di linee curve e al contempo un’idea di antica solidità. I raggi del sole erano come fari puntati sul pavimento e non raggiungevano l’altezza delle volte che restavano in penombra e forse per questo sembravano ancora più affascinanti.

***


Un giorno d’estate Severus si era immerso in un ruscello. Non era che un piccolissimo corso d’acqua e nel suo punto più profondo ci si poteva distendere e restare comodamente a galla.
Si era diretto in quel luogo, così diverso dal fiumiciattolo grigio e sporco che si trovava al limitare di Spinner’s End, e si era seduto sulla sponda erbosa, pensando a tutto e a niente.
Quel giorno suo padre era stato particolarmente irascibile, per questo lui era uscito di casa e si era chiuso alle spalle urla e grida. Sapeva che al suo ritorno non avrebbe trovato Tobias e che sul volto di Eileen ci sarebbe stata un’espressione di disperata angoscia, forse condita di qualche livido.

Con i palmi aperti Severus accarezzava distrattamente l’erba e seguiva con gli occhi lo scorrere lento e costante dell’acqua limpida, reso irregolare dalle pietre sul fondo.
Aveva caldo, avvolto nel suo solito cappotto, e l’acqua sembrava chiamarlo col suo sciacquìo invitante. Si era guardato intorno e quando fu sicuro di essere solo, si spogliò, con un sollievo via via sempre maggiore ogni volta che si toglieva un indumento di dosso. Cappotto, pantaloni sdruciti, camiciola logora… aveva lasciato i vestiti uno sopra l’altro in un mucchio e aveva immerso un piede nell’acqua.
Che sensazione magnifica…

Con gli occhi chiusi aveva ruotato la caviglia per sentire meglio la carezza del ruscello tra le dita. Poi aveva infilato anche l’altro piede e si era ritrovato immerso fino alle ginocchia, il fresco che gli scivolava addosso.
Con un sospiro aveva inclinato la testa all’indietro e non aveva dovuto pensare oltre: si era disteso sul fondo, aveva posato la schiena ossuta sulle pietre e l’acqua l’aveva ricoperto come un lungo mantello infinito, scivolandogli sulle spalle, sui fianchi magri e lungo le braccia abbandonate e senza peso. L’acqua scorreva sulla sua testa fino ai piedi, i capelli troppo lunghi restavano sollevati sotto la superficie e solo il suo viso rimaneva fuori.
Sopra di sé vide i rami degli alberi carichi di foglie e il sole che tentava di filtrarci attraverso. Chiuse gli occhi e macchie chiare e scure si rincorsero sotto le sue palpebre abbassate.
Le orecchie immerse gli restituivano attutito il frusciare delle fronde attraverso il rumore dell’acqua.
Respirò sempre più lentamente, perdendo la percezione del proprio corpo.

***


Ora, percorrendo il corridoio con Lily, nella scuola deserta e immersa nel silenzio delle aule chiuse, percepì la stessa meravigliosa sensazione di leggerezza. Non sentiva il suo corpo, che si muoveva da solo.
Continuò a guardare Lily e più la osservava più sentiva il benessere diffondersi impalpabile dentro e fuori di sé. Non c’erano né tempo né spazio.

“Attento!” fece Lily, spostando istintivamente un braccio a reggerlo.
Severus non si era accorto di essere arrivato a una scalinata e aveva inciampato contro il primo gradino.
Si riscosse dal suo torpore beato.
Lily gli stava parlando, snocciolando le istruzioni di Alice:
“Adesso dobbiamo salire questa scala, voltare a destra, prendere il corridoio dietro l’arazzo di un mago seduto lungo un fiume a pescare pesci volanti e…”
“…e sarete arrivati alla biblioteca!” chiocciò una voce lì a fianco.
I due bambini si voltarono e videro un mago molto vecchio con un cornetto acustico che li osservava da un piccolo quadro sulla parete.
“Siete nuovi eh?” fece, con una vocetta stridula.
“Sì!” sorrise Lily.
Severus si limitò ad annuire.
Lily era davvero affascinata dai quadri che parlavano, le mettevano allegria.
“Ohhh, ne ho visti di studenti andare in biblioteca, ma è raro vederne di così giovani alla seconda ora del loro primo giorno di scuola!”
Il vecchietto si sporse dalla sua bella poltrona di velluto verde.
“Beh, noi…” iniziò Lily.
Sembrava leggermente a disagio.
“Oh, non è mica un rimprovero, piccola! È bello vedere dei bambini così interessati a imparare!”
Lei sorrise di nuovo, rilassandosi.
“State solo attenti a non far arrabbiare Madama Pince!”
“Chi è Madama Pince?” Severus finalmente parlò.
“Oh, scusami, non te l’ho detto” rispose in fretta Lily “Alice mi ha spiegato che è la custode della biblioteca, dobbiamo chiedere a lei il permesso di prendere i libri e di studiare lì.”
“Esattamente!” riprese il vecchietto, che spingeva il cornetto acustico al limite della cornice del suo ritratto per sentire meglio.
“E non sopporta che si faccia confusione, che si mangi in biblioteca e soprattutto che si rovinino i libri” continuò, alzando un tremolante dito ammonitore.
Poi abbassò la voce e si avvicinò più che poté al bordo della sua tela:
“È un vero mastino, riesco a sentire le sue urla anche senza questo!” e agitò il cornetto di bronzo, producendosi in una risata a due soli traballanti denti.
Lily e Severus si scambiarono un’occhiata divertita.
“Va bene, signore, grazie!” si accomiatò lei.
“Sì, grazie” le fece eco Severus.
“Di niente, di niente, figlioli” biascicò il vecchietto, riaccoccolandosi sulla poltrona e agitando benevolo una mano grinzosa. “È sempre un piacere conoscere i nuovi allievi di Hogwarts!”

I due fecero per salire i gradini, quando udirono una voce squillante, che li fece sobbalzare.
“Nuovi allievi?”
Lily e Severus si guardarono attorno, spaesati; non avevano sentito avvicinarsi nessuno.
“Cucù!” fece la voce, in falsetto, ed entrambi alzarono la testa.
Un ometto dai vestiti sgargianti galleggiava un paio di metri sopra di loro, a testa in giù. Un berretto verde smeraldo con dei sonagli appesi penzolava floscio dalla sua testa e la creatura stava a braccia e gambe incrociate, fluttuando in aria. Osservava con aria furba i due bambini esterrefatti e gli si leggeva in faccia che stava tramando qualcosa.
Lily era a bocca aperta. Era chiaro che non capiva chi, o meglio che cosa fosse quell’essere dagli occhietti penetranti.

“Tu sei Pix.”
Severus parlò lentamente.
Lily si voltò verso l’amico e solo allora lui realizzò di non avergliene mai parlato. In effetti non ne sapeva molto, Eileen gliene aveva accennato una volta, ma dato che l’argomento non l’aveva particolarmente colpito, non aveva indagato oltre. Si dispiacque di non averne mai fatto parola con Lily.
“È un poltergeist” esordì “mia mamma una volta me ne ha…”
“Che cos’è un poltergeist?” chiese subito Lily.
“Un poltergeist è uno che sa fare questo” fece Pix con voce nasale e con una capriola si tuffò sulla balaustra della scalinata risalendola a balzi e producendosi in sonore pernacchie che si accompagnarono al tintinnare dei suoi sonagli.
Avrebbe anche potuto essere divertente, se non fosse stato così rumoroso…
“Sssstt” implorò Lily, scuotendo le mani.
Si guardò attorno impaurita e Severus capì che temeva la sgridata di qualche professore.
In effetti, anche a lui non andava molto tutto quel chiasso, c’era il rischio che qualcuno li rispedisse nelle rispettive Sale Comuni e questo avrebbe voluto dire separarsi da Lily.
Ma Pix assunse un’espressione estremamente soddisfatta e cominciò a canticchiare, insolente:
“La rossa dice sssst / e Pix si posa qui!”
E con orrore dei due bambini, il poltergeist fischiò fortissimo e si piazzò perpendicolare sulla parete di fianco a loro, appena sopra un lungo quadro che raffigurava uno stormo di fenicotteri fermo sulle sponde di un fiume.

Pix trasse fuori di tasca un oggetto che loro non riuscirono a distinguere.
Ma quando lo scagliò contro il quadro, fu ben chiaro cosa fosse: era una boccetta d’inchiostro che s’infranse contro il quadro e imbrattò tutte le piume rosa dei fenicotteri.
Gli uccelli presero a starnazzare e si alzarono in volo in tutte le direzioni, disperdendosi nei quadri vicini e portando scompiglio in un tinello dove due maghi stavano giocando a scacchi, in una torre dove una strega si stava pettinando i lunghi capelli biondi, in una stanza dove un bambino che dormiva in una culla si svegliò di soprassalto e cominciò a piangere, in un prato dove una donna stendeva i panni, che furono fatti cadere a terra o trasportati in altre tele appesi al becco di qualche uccello, tra le urla della strega…
Un fenicottero entrò con un gran sbatter d’ali anche nel quadro del vecchio con il cornetto acustico e il poverino ebbe il suo daffare a cercare di cacciare il riottoso volatile fuori; quando finalmente ci riuscì, parecchie piume svolazzavano per aria e presero poi a scendere placide sulla poltrona e sul suo cappello, come neve rosa.

In tutto questo, il poltergeist sembrava godersela un mondo.
I personaggi umani dei quadri che non erano impegnati a combattere con qualche fenicottero sovraeccitato, mostravo i pugni a Pix che, da parte sua, li ricambiava con smorfie e linguacce; gli animali fuggivano o cercavano di inseguire gli uccelli e tutta la parete era animata da urla e movimenti concitati.

“Andiamocene!” esclamò Severus e, afferrata Lily per la mano, salì di corsa la scala, voltò a destra e, correndo lungo il corridoio, cercò freneticamente l’arazzo col mago pescatore che l’amica gli aveva descritto poco prima.
Il putiferio alle loro spalle diminuiva di volume man mano che si allontanavano e quando trovarono l’arazzo, lo spostarono senza troppe cerimonie e vi si nascosero dietro, ansanti.

Il mago che stava pescando protestò vivacemente quando il movimento lo fece barcollare e poi cadere nell’acqua. Un nugolo di pesci volanti prese a saltellargli intorno, rituffandosi poi nel fiume.
“Ma insomma! È forse questo il modo?” protestò veemente.
“Ci scusi, signore” disse Lily sottovoce, molto dispiaciuta.
Dalla loro posizione potevano vedere il retro del ricamo.
“È che stavamo scappando da Pix…”
“Oh, Pix!” fece il mago stizzito, agitando la canna da pesca e rimettendosi in piedi grondante acqua. Riguadagnò la sponda e cominciò a togliersi le scarpe.
“Capisco, capisco. Beh, non è colpa vostra, quel poltergeist è insopportabile, non fa altro che creare fastidi e disordine!”
Svuotò le scarpe nell’acqua e un pesciolino minuscolo cadde nel fiume.
“Toh guarda, l’unico che mi era riuscito di prendere oggi!” osservò il mago dell’arazzo, scuotendo la testa con un sospiro.
Continuò: “Se solo potessi avere quella creatura tra le mani, giuro sulla barba di Merlino che gli farei passare la voglia di fare confusione una volta per tutte!”
E così dicendo, strizzò le ampie maniche della veste, ma perse l’equilibrio e scivolò sull’erba bagnata cadendo nuovamente nel fiume, tra imprecazioni e pesci volanti che gli saltellavano beffardi tutt’intorno.
I due bambini soffocarono una risata ma subito tesero le orecchie perché quella che sentivano avvicinarsi era l’inconfondibile voce impertinente di Pix.
“Oh no!” sussurrò Lily.
Ma Severus si posò un dito sulle labbra accostando l’orecchio alla tela ricamata.

“Serpeverde e Grifondoro / dove fuggon mai costoro? / Io vi trovo, ve lo giuro / non credetevi al sicuro!”
Lo spiritello canticchiava proprio nel corridoio dell’arazzo.
Un rumore di ferraglia li fece sobbalzare. Pix doveva essersi messo a giocare con le visiere delle armature o a percuoterle, perché il rimbombo era fortissimo.
“A-n-d-i-a-m-o” articolò Lily con le labbra, senza emettere suono e Severus annuì.
Si erano appena avviati in punta di piedi quando udirono una voce bassa e profonda.
“Pix.”
Immediatamente ogni rumore cessò e ci fu qualche istante di assoluto silenzio.
“Signooore, come sono contento di vederla” cominciò a dire il poltergeist con una voce sottomessa che grondava falsità.
“Pix, non tollero tutti questi schiamazzi” l’altra voce era calma, ma aveva un che di temibile.
Lily e Severus si guardarono, incuriositi. Più silenziosamente che poterono, tornarono all’arazzo e lo spostarono quel poco che bastava per avere una visione del corridoio.
Una figura perlacea con pesanti catene ai polsi e alle caviglie stava a mezz’aria di fronte a Pix.
Lo spiritello ora non faceva mostra della sua arietta compiaciuta e sembrava essersi sgonfiato. Non stava più a testa in giù e galleggiava tenendosi contro le finestre e dando tutta l’impressione di volersi dileguare al più presto.
Con voce untuosa e servile biascicò:
“Sì, dunque… Vossignoria, io adesso… io… devo andare…”
“Bene, Pix” fu la secca risposta del fantasma.
Il suo volto era terribile e severo, due ombre opache si stendevano sotto gli occhi vitrei e la voce fonda era davvero spaventosa.
Pix filò via, senza schiamazzi né pernacchie.
Il fantasma fece per voltarsi e proseguire nella direzione opposta e Lily e Severus si ritrassero di nuovo dietro l’arazzo.
Udirono il mago pescatore dire “Meno male che ci siete Voi, Barone…” e Lily sottovoce chiese:
“Barone?”
“Sì…”
Piton era un po’ in imbarazzo.
“Quello è il Barone Sanguinario” dichiarò infine, tralasciando di dirle che era il fantasma di Serpeverde, forse perché non era sicuro che a lei sarebbe piaciuto. Come aveva pensato poco prima di colazione, il Barone non ispirava certo simpatia come pareva facesse invece quel Nick-Quasi-Senza-Testa di cui Lily gli aveva parlato.
La bambina trattenne il fiato.
“Ma allora… allora quelle macchie argentate sui suoi vestiti erano sangue?”
Era inutile fingere che non fosse così, in fondo “Sanguinario” doveva pur significare qualcosa.
“Io credo.. credo di sì” rispose Severus e, notando lo sgomento negli occhi di Lily, la prese di nuovo per mano e la guardò fisso.
“Ma non è pericoloso. È un fantasma, capisci? Non può farti del male.”
Si morse il labbro, pensando concitato a qualcosa.
“Secondo me era un cavaliere che ha sgominato tutti i suoi nemici sui campi di battaglia!” concluse con foga.
Non che l’idea di eserciti trucidati fosse allegra, ma guardando il viso convinto di Severus, Lily si tranquillizzò un pochino. Si era lasciata prendere dall’emozione; la vista di quel volto trasparente, emaciato e gravato come di un peso, l’aveva turbata più del necessario.
Scosse il capo a occhi chiusi per cacciar via l’immagine del Barone e l’idea dello sterminio dei suoi nemici. I suoi capelli rossi ondeggiarono e quando riaprì le palpebre e lo guardò, Severus si sentì felice.
“Sembra triste” osservò Lily, sostituendo la paura con l’empatia.
“Chi?”
“Il Barone Sanguinario!”
“Boh, non so…” mentì Severus.

Ad essere sinceri, la sera prima in Sala Comune aveva avuto proprio la stessa impressione, ma non gli andava di parlarne. Per tutta la vita era stato circondato da tristezza e infelicità, non aveva nessuna voglia di indagare sulla sofferenza del Barone Sanguinario, che sicuramente era vecchia di secoli.
Forse era triste per essere morto. O forse di essere morto e di essere rimasto fantasma. Magari erano tutte quelle catene che si tirava dietro… Erano pesanti?, si chiese. In fondo un fantasma non aveva peso e…

“Però quei fenicotteri erano buffi!” rise Lily.
Severus riemerse dalla sue considerazioni sui fantasmi e si concentrò su quelle parole.
In effetti… ora che erano lontani da Pix e da ogni possibile sgridata per il baccano da lui provocato, potevano ripensare a quanto appena accaduto vedendone solo il lato divertente.
Rise con lei.
“Hai visto quando quel fenicottero ha cercato di uscire dal camino del quadro grande e ci è rimasto incastrato?”
“E quando altri due hanno schizzato d’inchiostro la strega in camicia da notte?”
Sì, era stato davvero comico vedere la strega che, terrorizzata dai fenicotteri imbizzarriti, si era tuffata sotto un tavolo, non prima che l’uccello le avesse spruzzato addosso abbondante inchiostro nero, il che -dato che lei stava a quattro zampe- l’aveva fatta assomigliare a un cane dalmata che guaiva disperato.
Quando gli uccelli erano scappati nel dipinto vicino la strega si era passata le mani sul viso, senza rendersi conto di spalmarsi tutto l’inchiostro nero sulla faccia.

***


Gli ci era voluto qualche giorno per trovare il coraggio di fare quello che voleva.
Ma una fredda mattina, si alzò dal letto risoluto e, incurante del freddo pungente, non si infilò neppure le pantofole prima di scendere di sotto, alla ricerca di un pezzo di carta e di uno spago.
Evitò la cucina, dalla quale provenivano i grugniti di suo padre, nervoso come al solito, e il fischio del bollitore.
La carta che trovò era semplice imballo da pacchi, purtroppo non aveva di meglio. Se solo avesse avuto una bacchetta e il permesso di fare magie, ci sarebbe voluto un attimo per renderla più bella, ma dovette accontentarsi; non voleva chiedere un altro favore a sua madre, sapeva che sarebbe stato troppo.
Tese le orecchie per assicurarsi che Tobias fosse ancora in cucina e risalì di corsa in camera, chiudendosi piano la porta alle spalle. Inginocchiato per terra, posò con cura sul letto la carta, lo spago e la boccettina di MagInk che Eileen aveva reso nuova qualche giorno prima.
Prese un’altra boccetta, di inchiostro nero, e su un lembo della carta da pacchi scrisse con cura “Lily Evans”, a lettere minute e strette; lo fece proprio così, con inchiostro e una vecchia piuma che faceva scricchiolare la carta. Poi ci incartò il MagInk e legò il tutto con lo spago.
Rimirò la sua opera.

Era un po’ triste come pacchetto natalizio, ma non poteva fare di meglio.
O sì?
In fretta si spogliò, rabbrividendo, e dopo essersi lavato si vestì più in fretta che poté. Udì suo padre uscire di casa sbattendo la porta, mentre sua madre iniziava a riassettare e pulire.
Nascose il pacchetto sotto il cuscino e rifece il letto.
Quando scese di nuovo, coperto dal vecchio cappotto, con una sciarpa marrone al collo e un berretto di lana, Eileen fu sorpresa.
“Non fai colazione?”
“No…” lui la guardò con i grandi occhi profondi e scuri e la donna non fece altre domande.
Forse aveva visto luccicare qualcosa nello sguardo del figlio, ma non indagò oltre.
“Va bene” fu tutto ciò che disse, voltandosi e prendendo una bracciata di rami secchi da una cassa.
Per un istante Severus rimase a fissarla, china sul camino, intenta ad accendere il fuoco con dei fiammiferi babbani… poi uscì, con una stretta al cuore.

L’inverno non rendeva più piacevole Spinner’s End, ma il dover camminare a capo chino per limitare i danni del vento freddo, aiutava a non soffermarsi sul grigio ghiacciato di brina che avvolgeva tutto.
Camminò svelto, senza guardarsi attorno, con il parco come unica meta; qua è là il ghiaccio gli scricchiolava sotto le suole. Incontrò pochissime persone, tutte intabarrate e con le mani in tasca.
Quando raggiunse il parco rallentò, tenendo gli occhi fissi a terra; sarebbe stato difficile trovare una piuma, ma magari qualche rapace poteva averne persa una durante le sue cacce notturne.
Non c’era nessun bambino sulle giostrine e sulle altalene e soltanto un uomo con un grande sacco attraversava frettoloso i sentieri di pietra, probabilmente per tagliare la strada verso casa. Doveva essere pieno di regali quel sacco, e Severus immaginò che il padre di Lily probabilmente ne avrebbe portato a casa uno colmo di regali proprio come quell’uomo.
Rimase a guardarlo fino a che non sparì alla sua vista.

Gli alberi del parco erano in gran parte spogli e tendevano al cielo i loro rami scuri; con una bella nevicata sarebbero stati uno spettacolo splendido. Severus si calò meglio il berretto sulla testa e tirando calci a un sasso riprese a camminare.
Si trascinò di albero in albero, osservando bene per terra, tra le foglie scure mezze marcite che ricoprivano il prato come un tappeto e fu fortunato: entro mezz’ora trovò una bella piuma grigia screziata di macchioline nere.
La infilò nel cappotto, al settimo cielo. Ora aveva voglia di correre e stava già riguadagnando l’uscita quando vide un cespuglio di agrifoglio. Ne staccò un rametto con poche foglie e qualche bacca rossa e corse via, a casa.

Fu un Severus intimorito ma anche orgoglioso quello che, quello stesso pomeriggio sul tardi, si avvicinò alla cassetta delle lettere di casa Evans e ci infilò dentro un pacchettino legato con lo spago che teneva fermi anche il ramettino di agrifoglio e la piuma. Aveva passato tre buoni quarti d'ora a pulirla per bene, a spuntarla e appuntirla a dovere, seduto a gambe incrociate in camera sua, e quando aveva finito l’aveva tesa davanti a sé ammirandola con soddisfatto compiacimento.
Aveva lanciato uno sguardo speranzoso alle finestre della casa di Lily, ma attraverso le tende tirate poté solo vedere la luce calda che vi filtrava.
Quella sera, disteso nel proprio letto con le mani dietro la testa, aveva sorriso al soffitto scrostato fino a che non si era addormentato.

La mattina dopo fu svegliato da alcune grida lontane. Erano bambini ed era ben raro sentire le loro voci allegre tra le vie di quel quartiere, ma gli bastò un’occhiata fuori dai vetri opachi della sua stanza per capire: la neve!
Durante la notte ne era caduta un bel po’ e -cosa incredibile- Spinner’s End sembrava meno brutta del solito. Sapeva che sarebbe durato solo poche ore, presto il grigio avrebbe sporcato tutto quel candore, ma fu comunque una visione inaspettata e gradita.
Pensò a Lily.
Pensò a come sarebbe stato divertente giocare a palle di neve come stavano facendo i bambini là fuori. E un pensiero improvviso lo fece sussultare: forse Lily sarebbe andata al parco!
Si vestì come una furia e si precipitò di sotto, ma si bloccò sugli ultimi gradini vedendo suo padre ritto sulla porta della cucina, come se lo aspettasse.

“Vai a fare un pupazzo di neve?” gli chiese, beffardo.
Non doveva farlo arrabbiare, Tobias era capace di impedirgli di uscire solo per il gusto di fargli un dispetto.
“Sì, io… posso?” gli domandò, col tono più umile che gli riuscì.
Questo sorprese un pochino il padre che era abituato a provocare rabbia il quel figlio gracile e anormale come la moglie.
“Tobias?” la voce di Eileen era flebile, ma chiara.
“Sta… sta finendo la legna” esalò, quando il marito si voltò a guardarla dentro la cucina.
Severus vide il volto del padre contrarsi.

L’avrebbe capito soltanto il suo primo giorno a Hogwarts -quando avrebbe ripensato a quella giornata- che Eileen aveva fatto in modo di attirare su di sé l’ira del marito per consentire a lui di uscire a giocare.
“Che hai da guardare? Sparisci!” gli aveva infatti abbaiato contro Tobias.
E Severus era corso fuori, senza farselo ripetere.

Non aveva ragionato male: il parco era effettivamente pieno di bambini intenti a giocare a palle di neve o a fare pupazzi. Severus si guardò intorno, ansimante. Chissà se c’era anche lei…
“Severus!”
La sua voce!
Si voltò, e vide una figuretta avvolta in un cappottino rosso che agitava un braccio. Aveva guanti, sciarpa e berretto bianchi a disegni rossi di stelle di natale.
Si corsero incontro.
Lily era eccitatissima, con le guance arrossate per il freddo e lo sguardo verde vispo e riconoscente.
“È bellissimo, grazie!”
E gli si tuffò addosso, abbracciandolo.
“Ti piace?” chiese lui, che tratteneva faticosamente l’impulso di abbracciarla a sua volta.
“È magico, sai?” le disse, staccandosi da lei.
“Sì, ho letto l’etichetta! Ma…” Lily era un po’ timorosa “…posso usarlo adesso? Voglio dire, non è come fare magie fuori dalla scuola?”
A Severus fece un’immensa tenerezza questa paura continua di Lily di infrangere la regola che limitava il ricorso alla magia da parte dei minorenni.
“Te l’ho detto”, spiegò paziente, “Noi non andiamo ancora a scuola, non possono farci niente!”
Lily sorrise.
“Questo è per te” gli disse poi, porgendogli un pacchettino che stringeva in mano e che Severus non aveva notato.
“Non sapevo come fare a dartelo, ma quando ho visto la neve oggi ho pensato che magari saresti venuto al parco…”
Severus abbassò gli occhi per nascondere la soddisfazione di aver avuto lo stesso suo pensiero e prese il pacchetto tra le mani.
Il vento freddo gli apriva i capelli scuri che uscivano da sotto il berretto, come due ali di corvo ai lati del viso. Quelli rossi di Lily invece sembravano due fiamme contro il biancore della neve circostante.

Severus, toltosi un guanto, sciolse il nastro colorato che chiudeva il pacchettino informe e ne trasse fuori due minuscoli pupazzetti vestiti da mago e da strega, con tanto di cappello a punta e bacchetta in mano. Erano fatti di pongo, colla e fil di ferro, tutti materiali babbani che Severus aveva visto usare in abbondanza nella scuola elementare che era costretto a frequentare, in attesa di andare in una scuola migliore, di lì a pochi mesi.
Tenne i pupazzetti nella mano, sollevandoli all’altezza degli occhi per ammirarli meglio.
La strega aveva i capelli rossi fatti di lana grossa e il mago capelli neri e lucidi di sottile filo di cotone. Le vesti erano nere, lunghe fino ai piedi e con il cappuccio e Severus riconobbe in ogni particolare i racconti su Hogwarts che aveva condiviso con Lily.
“Sono… bellissimi” disse infine, sentendosi invadere da un gran calore.
Si perse negli occhi verde chiaro di Lily, raggianti di gioia.
“Avevo paura di non riuscire a darteli!” esclamò lei, sollevata. “Per fortuna la mamma mi ha lasciata uscire da sola, Petunia è ammalata, sai...”
Si guardarono.
“Buon natale, Severus!”
“Buon Natale, Lily!”
E davvero fu una mattinata di dicembre ricca di felicità, tra un lancio di palle di neve e l’altro.
Da quel giorno in poi, Severus ogni sera prese l’abitudine di tirare fuori da sotto il cuscino i due pupazzetti, di sistemarli sul comodino uno accanto all’altro e di addormentarsi guardandoli.

***


“Credo che la biblioteca sia quella!” esclamò Lily.
Severus tornò al presente, abbandonando il freddo invernale di quel ricordo e ritrovandosi in un corridoio di Hogwarts.
Lily aveva ragione.
Avanzarono timorosi fino a una grande porta di legno pesante, uguale a tante altre porte che avevano visto fino a quel momento, a parte il fatto che era sovrastata da una finestra a mezzaluna decorata a vetri colorati.
Sullo sfondo di alcuni scaffali che traboccavano libri, vi erano raffigurati, circondati da pile di volumi aperti o chiusi, un mago e una strega intenti a leggere grossi tomi al lume di candela; dalle loro ampie vesti blu notte e bordeaux si dipanava un elegante cartiglio viola pallido che avvolgeva i libri come in un abbraccio e che recitava il motto “VIR SAPIENS FORTIS EST”.

Edited by Camelia. - 28/7/2013, 12:40
 
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Sibilla Piton
view post Posted on 18/11/2011, 12:32




Bello!
 
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Camelia.
view post Posted on 4/2/2012, 18:34




Uh, che pausa lunga che mi sono presa... :)

__________________

Capitolo 14


Severus era elettrizzato, preda di un senso vertiginoso di grande aspettativa. La biblioteca! Stava per entrare nella biblioteca di Hogwarts! Sentiva il cuore battergli forte sotto la divisa.
Lily guardava rapita la finestra in alto, dove i due studiosi non sollevavano gli occhi dalle pagine scritte e il cartiglio si muoveva lento ed elegante al ritmo del loro respiro lento.

I bambini posarono le mani sullo spesso legno lucido e antico e spinsero, cauti. Le porte si aprirono senza un cigolio, con un morbido silenzio, offrendo ai due bambini lo spettacolo di una sala incredibile, dopo qualche secondo necessario affinché i loro occhi si abituassero alla penombra.
Grandi tavoli con al centro grosse candele si susseguivano ordinati fino al fondo, lontanissimo. A destra e a sinistra invece, stavano allineati innumerevoli scaffali, alti fino al soffitto e ricolmi di libri. Tanti, tantissimi libri.
Lily e Severus erano bloccati sulla soglia, la bocca spalancata, gli occhi aperti su quella visione, immobilizzati dalla meraviglia. Nessuno dei due aveva mai visto (né immaginato) una sala come quella.
Un buon odore di legno e cera si mescolava a quello umido di carta ingiallita e pergamena polverosa. La stanza era buia, paragonata al corridoio tagliato da lame di luce oblique e forse questo aumentava il timore dei due, che restavano incerti sulla soglia, come pietrificati dalla soggezione.

Si riscossero quando due candele calarono dall’alto e si posizionarono galleggiando all’altezza delle loro teste; erano avvolte in una bolla che sembrava vetro trasparente, ma era morbida, dai contorni liquidi e molli e la luce della fiamma vi riverberava dentro creando un piacevole alone luminoso. I due si scambiarono uno sguardo e come rinfrancati dalla reciproca presenza si presero per mano e mossero un passo nella sala, silenziosi in quel silenzio quasi sacro, le loro ombre nere allungate e sottili nella luce proveniente dalle alte finestre del corridoio alle loro spalle. Le candele si mossero placide al loro fianco.

Avanzarono, guardandosi di lato sia a destra che a sinistra, e videro i lunghi e stretti corridoi laterali delimitati da file e file di scaffali, intuirono a intervalli regolari la presenza di altre zone riservate ai tavoli per lo studio e alzando gli occhi sul soffitto notarono la presenza di molte altre candele, come quelle che illuminavano la Sala Grande, anche se la biblioteca aveva un soffitto di pietra attraversato da solide travi di legno e le candele erano avvolte dallo stesso bozzolo trasparente che racchiudeva le loro.
Le lontane pareti laterali erano anch’esse ricoperte di scaffali che incorniciavano strette e alte finestre; scale a chiocciola di legno si muovevano avanti e indietro davanti ai ripiani, girando silenziose su se stesse.
Sui lati esterni degli scaffali erano appoggiati degli schedari sovrastati da grandi targhe: “TRASFIGURAZIONE” “CREATURE MAGICHE” “INCANTESIMI” “PIANTE ED ERBE” “POZIONI”…

Attirato da quest’ultima, Severus si mosse quasi senza accorgersene verso sinistra, inoltrandosi in uno dei corridoi laterali e notò che sugli scaffali vi erano altre targhe, più piccole. Sul ripiano più basso vide scritto “PROPEDEUTICA: calderoni, fuoco, attrezzatura ecc.”
Alzò gli occhi e la candela al suo fianco si alzò anch’essa a illuminargli una targa più in alto “FONDAMENTA DI POZIONI: infusi, decotti, preparazioni base…”
Sfiorando il legno degli scaffali, quasi dimenticò di avere Lily accanto e sentì un formicolio attraversargli i piedi e lo stomaco; si mosse velocemente lungo quel corridoio, leggendo in fretta le targhe che si susseguivano, “MISCELE ESPLOSIVE” - “BEVANDE CURATIVE” - “POZIONI UMORALI”…, superò un’isola di sei tavoli allineati e si rituffò tra gli scaffali, ansante, scrutando avidamente le nuove targhe, aiutato dalla candela che sembrava esattamente sapere cosa fare e rischiarava qualunque cosa lui volesse leggere.
Ed eccola lì, vecchia, rovinata e… bellissima.

“POZIONI AVANZATE”

Era piuttosto in alto per lui, ma restò a fissarla col naso all’aria, i capelli lisci che ricadevano dritti sulle spalle. Lo scaffale traboccava di tomi molto spessi e rilegati in pelle scura.
Lily si avvicinò, timorosa.
“Li conosci già questi libri?” domandò.
Severus distinse il dispiacere nella voce di lei e si riscosse, riemergendo da una specie di bolla che sembrava averlo inghiottito.
“Oh no” replicò rapido, anche se aveva già letto il libro di scuola di Eileen.
Stirò la bocca in un sorriso per tranquillizzare l’amica.
“Qui ce ne sono centinaia, vedi? Io non ne ho letti così tanti, mia madre ne aveva uno solo, l’hai visto anche tu…”
Lo cercò, saettando lo sguardo sullo scaffale. La candela si spostò alla sua destra, appena poco sopra della sua spalla e illuminò un volume.
“Eccolo!” e Severus allungò una mano per prenderlo.
Sentì la copertina ruvida sulla punta delle dita ma non fece in tempo ad afferrarlo perché un grido stridulo fece sussultare sia lui che Lily.
“Cosa state facendo voi due??”
Una donna era piombata su di loro come un rapace, all’improvviso, e i bambini si fecero piccoli piccoli stringendosi involontariamente l’uno all’altra contro la mensola di legno che sporgeva dallo scaffale per consentire una più comoda consultazione dei volumi.

Due occhietti lucidi e cattivi li fissavano in un volto magro e rinsecchito, rischiarato dalla luce tremula di una candela.
“Vo… Volevamo solo guardare quel libro!”
Superato il primo momento di spavento, Lily aveva parlato con una vocina, ma nel suo viso doveva leggersi la verità perché, nonostante la donna che li sovrastava continuasse a guardarli con sospetto, qualcosa rese la sua espressione meno ostile.
Tuttavia, dopo un’occhiata alla sezione che stava alle loro spalle, ritornò ad accigliarsi.
“Questi sono libri di livello M.A.G.O., cosa ci fate qui? Siete del primo anno, non vi ho mai visti!” aggiunse poi in tono accusatore, afferrando la candela che galleggiava di fianco a lei e abbassandosi al livello delle facce spaventate dei due bambini, scrutandoli cupa.
Severus era sulle spine, la situazione era spiacevole e si sentiva in colpa anche se non stavano facendo nulla di male.

Ma fu Lily ad esternare un dubbio che aveva appena preso forma nella sua mente.
“È proibito leggere i libri degli studenti più grandi?”
Sebbene la paura fosse evidente in ogni parola, c’era anche dell’innocenza nella domanda e perfino la donna la colse.
Si raddrizzò, rigida nella sua veste grigio scuro, e la luce della sua candela fece riverberare il nero fermaglio di osso che le chiudeva il colletto. Strane ombre presero a danzare tremule sulle rughe del suo volto.
Ancora sospettosa osservò la bambina. I grandi occhi verdi di Lily fissavano lo sguardo duro della donna da sotto in su.

“Lei è Madama Pince?” si intromise Severus, con il tono più gentile e umile che riuscì a produrre.
La bibliotecaria parve gonfiarsi un pochino, soddisfatta, e poi disse secca:
“Sì, e in questa biblioteca vi sono regole molto severe...”
“Stavamo solo guardando” la interruppe Severus, guardandola con una leggera punta di sfida.
Ma poi aggiunse, prima che lei potesse ribattere, con più calma:
“Noi… abbiamo un’ora libera e volevamo conoscere la biblioteca.”
Lui e Lily annuirono e si scambiarono uno sguardo.

Madama Pince si raddrizzò gli occhialetti sul naso e scrutò i due bambini. Notò che sul petto portavano gli stemmi di due Case diverse e parve lievemente stupita.
“Non mi era mai successo di vedere studenti in biblioteca il primo giorno di scuola… Dopo una sola ora di lezione!”
E li guardò torva.
C’era un che di accusatore nelle sue parole. Severus si innervosì.
Ma che si credeva quella? Che volessero rovinare i libri? Proprio loro due e lui in particolare, che per i libri aveva una specie di reverenza! I libri di magia, che erano stati l’unica cosa bella della sua esistenza da babbano (a parte Lily, ovvio), la sua fonte di speranza, il rifugio segreto di ogni sua pena e dolore che aveva esorcizzato nella lettura furiosa della descrizione di incantesimi e ricette di magiche pozioni…

Il ricordo della mano di Tobias che sbatacchiava un libro, la sua volgare ignoranza babbana fecero salire il sangue al cervello di Severus. Il suo braccio abbandonato lungo la veste si irrigidì.

Volle mettere in chiaro la questione una volta per tutte.
“Noi… Era tanto che aspettavamo di venire a Hogwarts, per studiare, per imparare!…” le parole gli inciampavano sulle labbra nella foga di dirle “…e volevamo solo vedere la biblioteca. E i libri che mia madre aveva studiato e…”
Pallidissimo nell’atmosfera scura della biblioteca, il volto di Severus era appassionato e teso.
“È vero” annuì Lily, dandogli man forte. “Lo sappiamo che questi libri sono per gli studenti più grandi…”
Esitò un momento, sogguardando l’amico. Anche lui la guardò ed entrambi pensarono la stessa cosa, provando un moto di complicità.
“Il professor Vitious ce l’ha appena spiegato che dobbiamo studiare molto per arrivare ai M.A.G.O…” continuò Lily.
“Ah, avete avuto Incantesimi” l’interruppe Madama Pince.
“Sì” risposero i bambini all’unisono.
“Bene, il reparto dei libri di Incantesimi è di qua” disse spiccia la donna e senza indugiare oltre si avviò rapida, risalendo il corridoio dedicato ai volumi di Pozioni e superando i tavoli.

Arrivata al grande corridoio centrale ancora illuminato dalla luce della porta lasciata aperta, si bloccò di colpo, voltandosi verso i due bambini che arrancavano dietro di lei e si fermarono in un fruscìo di vesti. Le loro candele li avevano seguiti rilasciando una sottile scia di fumo evanescente dalle fiammelle inclinate.

“Lì in fondo c’è la mia scrivania” indicò Madama Pince con tono inutilmente perentorio, dopo aver chiuso le porte con un gesto lieve della bacchetta. La biblioteca parve piombare nel buio per qualche istante.
La donna sembrava convinta che i due giovanissimi studenti volessero giocarle chissà che tiro sotto il naso e li osservava truce, come a volerli cogliere in fallo. Ma parve un po’ indispettita quando dovette ammettere a se stessa che quella bambina dai capelli rossi e il ragazzino sparuto non erano entrati nella sua biblioteca con intenzioni poco gradite.

Lily e Severus intanto avevano seguito la direzione del suo dito puntato e, gli occhi ormai abituati alla penombra, notarono che in fondo alla Sala c’era un tavolo posto di traverso rispetto a quelli destinati agli studenti. Scorsero anche un’inferriata alle spalle della scrivania.

“Quando volete prendere un libro in prestito dovete venire da me per il permesso e la registrazione” continuò la bibliotecaria, recuperando un che di tagliente nella voce, come se desse per scontato che loro due avrebbero tentato di rubarle qualche libro.
“Sì, certo” si affrettarono a dire Severus e Lily.
Ma, come calamitati, tornarono a guardare l’inferriata posta dietro alla scrivania, in fondo. Si intravvedevano a malapena altri scaffali perché, diversamente dal resto della sala, non vi erano candele a illuminare la zona. Immersa com’era nell’oscurità, non l’avevano neppure vista al loro ingresso.

Madama Pince aveva ripreso a camminare diretta agli scaffali di destra e intanto snocciolava una serie di norme e divieti.
“Non si fa rumore, non si parla a voce alta, non si devono sporcare i libri, non ci si deve scrivere assolutamente NULLA sopra, non si mangia in biblioteca, non si strappano le pagine, non si piegano, non si lanciano i libri come fresbee zannnuti, oh!, se doveste mai fare una cosa del genere, giuro che vi proibirei l’ingresso alla biblioteca per sempre…” e nel dire questo Madama Pince si voltò verso i due bambini.
Quando li vide ancora fermi a fissare il fondo della sala, marciò verso di loro.
Lily e Severus si resero conto di aver esitato un attimo di troppo e si affrettarono verso di lei che ostentava un’espressione di trionfo.

“Cosa state facendo?”
Di nuovo quel tono inquisitore.
“Noi…”
Lily stavolta era davvero imbarazzata. Quella donna era tremenda.
Ma fu Severus a porre la domanda. Anche se intimorito, chiese:
“Che cosa c’è là in fondo?”
Madama Pince socchiuse gli occhi, malevola.
Con deliberata lentezza alzò il mento e li osservò dall’alto.
Scandì le parole:
“Lì in fondo c’è il Reparto Proibito. P-r-o-i-b-i-t-o, chiaro? Solo gli studenti più grandi possono accedervi e solo con il permesso scritto di un professore.”

Silenzio.
Ora non sapevano che dire, Lily si era pentita si essersi fermata e Severus, pur condividendo lo stesso sentimento, non poté fare a meno di chiedersi se il quel reparto ci fosse una parte di quelle “cose più interessanti” da sapere cui aveva fatto cenno Mulciber la sera prima, quando aveva parlato del Signore Oscuro e della magia che Silente e il Ministero non volevano venisse imparata e praticata. “Gente senza onore” li aveva definiti il compagno, ripetendo a pappagallo con tracotante arroganza quello che sentiva dire dagli adulti di casa sua.

“Ehm… allora ci può mostrare il reparto di Incantesimi, per favore?” Severus alla fine si riscosse dai suoi pensieri e riuscì a parlare.
Lily sembrò attraversata da un’idea improvvisa e aggiunse:
“Sì, oggi il professor Vitious ci ha spiegato come tenere le bacchette, non avrebbe qualche libro da consigliarci per approfondire?”
Madama Pince gradì la richiesta. Era evidente che le piaceva sentirsi indispensabile nel suo “regno”.
Fece loro cenno di seguirli e raggiunse uno schedario sotto la targa “INCANTESIMI”.

“Qui potete trovare l’elenco dei libri suddivisi per argomento o per titolo o per autore.”
Nel dirlo, sfiorò appena con la bacchetta uno schedario che si aprì rivelando uno stretto cassetto inaspettatamente lungo; sempre con la bacchetta puntata la bibliotecaria ne trasse un foglietto quadrato di spessa pergamena. Sul foglietto che rimase sospeso in aria all’altezza dei loro occhi, Severus e Lily lessero il titolo di un libro e la sua descrizione, scritti a lettere eleganti e chiare.
“Questo è solo per la teoria, sia chiaro!” sbraitò la donna facendoli sobbalzare. “La biblioteca non è un’aula per incantesimi pratici!”

Lily si rabbuiò un pochino ma Severus si affrettò a ringraziare Madama Pince e a chiederle se potevano prendere quel volume. Lei batté un colpetto leggero di bacchetta sul foglietto, che tornò nel suo schedario, e indicò lo stretto corridoio laterale.
Le candele dei due bambini li stavano già precedendo e si fermarono poco più avanti appena un po’ sopra le loro teste. Incerti, si guardarono attorno e una scala a chiocciola arrivò fermandosi di fianco a loro. Capirono e, mentre lanciavano occhiate di sottecchi a Madama Pince che li fissava severa all’imbocco del corridoio, Severus ritenne giusto che fosse Lily ad avere il piacere.
Le fece cenno di salire sulla scala e lei vi posò un piede, trepidante e felice. Con la mano posata sul corrimano si lasciò trasportare in alto: appena un giro e mezzo, ma fu sufficiente a farle mordere il labbro inferiore per la gioia.
La scala si fermò alla giusta altezza e la candela di Lily illuminò un libriccino dalla copertina marrone chiaro: Adalbert Incant - Primi colpi di bacchetta - Teoria, guida con esercizi illustrati e un’appendice sulla storia delle bacchette.

Severus osservava l’amica prendere con delicatezza il libro tra le mani, lieto di vederla felice mentre la scala la riportava a terra. Lily stringeva il libro al petto come una cosa preziosa e disse sottovoce:
“Ci mettiamo lì?”
Indicò uno spazio in fondo al corridoio, con sei tavoli.
Sì, era meglio stare tra gli scaffali che non nel corridoio centrale dove Madama Pince non avrebbe fatto altro che fissarli con quella bieca espressione sospettosa.

Si avvicinarono quasi in punta di piedi e non appena si accomodarono sulle sedie le grosse candele che stavano in fila in mezzo al tavolo si accesero, subito avvolte da una bolla vitrea, a illuminare il libro che stava posato tra loro. Le due candele che li accompagnavano restarono sospese sopra la testa di ciascuno.

“È lo stesso autore del libro che abbiamo preso al Ghirigoro” osservò Lily.
Severus ebbe un pensiero bizzarro: aveva appena pensato che anche quell’Incant doveva essere stato uno studente a Hogwarts, un bambino come loro, come il ragazzo del ritratto nel suo dormitorio… Ci sarebbe stato un giorno un volume, magari di Pozioni, scritto da “Severus Tobias Piton”?

Il nome di suo padre lo colpì come un ceffone.

“A ogni mago la sua bacchetta… Corretta impugnatura… Corretta postura…” Lily stava leggendo l’indice.
“…I movimenti base: polso, gomito e braccio…”
“Vediamo questo!” la interruppe lui.
Sfogliarono il libro fino al capitolo giusto e cominciarono a leggere. Era come risentire le parole del professor Vitious e si divertirono moltissimo a guardare le illustrazioni in bianco e nero animate, che si muovevano al rallentatore, Lily ne rimase affascinata.

La voglia di provare era tanta, in fondo a loro serviva più la pratica che non la teoria; fu difficile non sfilare la bacchetta da sotto la veste e tentare di riprodurre i movimenti delle illustrazioni o provare gli esercizi dati dall’insegnante. Istintivamente si guardarono intorno per essere sicuri che Madama Pince non fosse nelle vicinanze, come se temessero che potesse legger loro nel pensiero e cacciarli via.
“Se oggi pomeriggio abbiamo tempo prima della lezione di volo, possiamo provare insieme” suggerì Severus. “Saremo all’aperto, non penso che sia priobito esercitarsi fuori.”

Anche se la biblioteca era un luogo assolutamente meraviglioso e Severus sarebbe rimasto volentieri lì dentro a leggere tutti, ma proprio tutti i libri che conteneva, adesso si dispiaceva un pochino di non aver pensato di uscire dal castello durante quell’ora. Sarebbe stato come essere ancora nel parco babbano, teatro di tante cose belle.

“Sì, voglio provare ancora l’esercizio degli incantesimi intercettati!” stava intanto dicendo Lily. “Mi aiuterai, vero? Non voglio sbagliare alla prossima lezione quando Vitious ci interrogherà.”
“Ma certo!” replicò Severus. “E non ti devi preoccupare. Sei stata bravissima oggi!”
Lei sorrise.

Con dita distratte aveva raggiunto l’ultima parte del libro, introdotta da una curiosa illustrazione in cui una bacchetta circondata da maghi e streghe ruotava come l’ago di una bussola e poi andava a posarsi nella mano tesa di una delle persone; la didascalia recitava “È la bacchetta che sceglie il mago. - Olivander -”.
Il disegno introduceva l’Appendice I – “Introduzione e storia delle bacchette”.
Testa contro testa, Lily e Severus cominciarono a leggere.


Sebbene all’inizio di questo volume abbiamo asserito che ad ogni mago si adatta la giusta bacchetta, molti fabbricanti di bacchette e non solo ritengono sia più corretto affermare che è lo strumento a scegliere il suo padrone. Pare ormai provato ad esempio che sensazioni particolari quali calore, formicolio, pizzicore o tensione improvvisi nel braccio siano i segnali inequivocabili dell’affinità trovata tra mago e bacchetta.
Da molti riconosciuto come il migliore artigiano vivente d’Inghilterra, il signor Olivander è un acceso sostenitore di questa teoria. La sua bottega in Diagon Alley a Londra è giustamente famosa e non v’è mago o strega tra i suoi clienti che abbia mai avuto problemi con una bacchetta da cui si è sentito “scelto”.

Non esistono due bacchette uguali, così come non esistono due esseri umani uguali. Ogni mago è un pezzo unico nel tempo e così pure il suo strumento.
Le obiezioni più comuni a questa tesi sono che un mago può tranquillamente utilizzare anche la bacchetta di un altro e che, a differenza degli esseri viventi, le bacchette vivono molto più a lungo e possono attraversare le generazioni. Obiezioni innegabili, tuttavia sembra che se una bacchetta - per usare le parole di Olivander stesso - “funziona sempre, è altresì vero che essa darà il meglio di sé con l’essere umano che più le si addice. E viceversa.”

Il fatto che una bacchetta riesca ad esprimere il suo massimo potenziale anche con più di una persona è a tutt’oggi materia di studi, ipotesi e diatribe.
Il signor Olivander, oltre ad essere un esperto dell’arte della fabbricazione delle bacchette - dalla scelta dei legni
(vd.Appendice II) a quella delle sostanze magiche che ne costituiscono il nucleo (vd. Appendice III) - si interessa di indagare oltre la mera arte manuale ed è un profondo studioso della materia nonché di testi antichi che riguardano l’argomento: le leggi che si ritiene governino questi strumenti magici sono leggi tutt'ora non del tutto sviscerate e comprese e il lavoro di paziente ricerca che Olivander e altri suoi colleghi svolgono è sicuramente destinato a scoperte di cui saremo ben lieti di dare conto in maniera più esaustiva di quanto non sia finora possibile (vd. Appendice IV), quando le loro osservazioni troveranno maggior riscontro e si potrà squarciare il velo di mistero attorno a questo affascinante argomento.


“Io non la vorrei la bacchetta di un altro” mormorò Severus.
Gli piaceva l’idea che quella che possedeva fosse sua.
Lily era pensierosa.
“Sì…” disse poi lentamente, sfilando la sua dalla divisa.
La tenne sulla mano, sorridendo.
“Anch’io!”
Guardò di scatto Severus e sussurrò: “Ti ricordi quando al parco usavo i rametti?”
Si portò l’altra mano alle labbra, gli occhi socchiusi in una risatina.

Sì, lui se lo ricordava eccome.
Tutte le meravigliose ore passate con Lily al parco erano state ripercorse più e più volte nella memoria di Severus, quando ritornava allo squallore di Spinner’s End, all’atmosfera pesante di casa sua, nella solitudine della sua camera o nei momenti in cui Tobias litigava con Eileen.
Quei ricordi erano un’isola di pace e li avrebbe conservati per sempre, nessuno mai glieli avrebbe portati via.

Lessero rapidamente una breve storia delle bacchette e di come, dopo accese dispute con altre creature magiche come ad esempio i folletti, solo ai maghi e alle streghe fosse stato concesso di usarle. Tali contese non erano state prive di violenza (Lily si turbò un pochino, ma per fortuna Incant non si dilungava in dettagli); il tutto si era poi risolto con un trattato e delle leggi che regolamentavano l’utilizzo delle bacchette, come ad esempio quella che impediva ai minori di undici anni di possederne una.
L’argomento avrebbe meritato qualche approfondimento, Severus si sentiva molto curioso a riguardo e si domandò in quali libri dello scaffale “STORIA DELLA MAGIA” avrebbe potuto trovare qualche notizia in più. Sui manuali di sua madre aveva già letto qualcosa, ma sentiva che c’era certamente altro da imparare.

Lily iniziò a sfogliare il capitolo dedicato ai legni adatti alla fabbricazione di bacchette e scorse col dito fino alla voce “salice”, leggendo con molta attenzione.
Era uno spettacolo così bello mentre era assorbita nella lettura e le fiamme delle candele creavano bagliori di fuoco sui suoi capelli, che Severus si dimenticò del libro, anche se era interessante.

“Posso girare?” chiese Lily alzando lo sguardo su di lui che subito si riscosse, confuso.
“Sì! Sì, ho letto” mentì.
Quando lei voltò pagina, si costrinse a concentrarsi e lesse le proprietà del legno di sambuco, di sicomoro, di tasso, di tiglio…
A proposito del legno di sambuco si faceva rapido accenno alla leggenda di una bacchetta particolare detta anche “Bacchetta del Destino” o “Stecca della Morte”, ma Adalbert Incant non sembrava propenso a dare credito a voci non confermate e rimandava nuovamente all’Appendice IV che raccoglieva in maniera sommaria tutte quelle ipotesi e dicerie che erano ancora oggetto di studio.

Quando iniziarono a leggere il capitolo sui nuclei la campanella li fece sobbalzare sulla sedia.
Concentrati com’erano nel silenzio ovattato della biblioteca, il suono era giunto alle loro orecchie come amplificato.
Un po’ dispiaciuti di dover andare via, ma d’altra parte contenti di avere la loro prima ora di Trasfigurazione, scesero con un saltello dalle sedie un po’ troppo grandi e, mentre Lily rimetteva a posto la bacchetta nella veste, le candele del tavolo si spensero.
Sottili fili di fumo rimasero perlescenti nel buio, quando le bolle vitree si dissolsero.

“Cosa facciamo con il libro? Speravo di finirlo!” disse Lily sottovoce.
“Puoi prenderlo in prestito, dillo a Madama Pince!”
“Non lo vuoi tu?”
Ecco uno dei difetti di appartenere a Case diverse fare di nuovo capolino: non avrebbero potuto leggere assieme in Sala Comune.

Stavano risalendo lo stretto corridoio tra gli scaffali dedicati ai libri di incantesimi, seguiti dalle due candele sottili che non li avevano mollati da quando erano entrati.
“Lo leggerò quando tu avrai finito” rispose Severus.
Lily accelerò il passo.
“Facciamo presto, non voglio arrivare tardi, abbiamo la McGranitt adesso!”
Era la direttrice della sua Casa, era chiaro che non voleva farle una cattiva impressione, rifletté Severus. Non aveva anche lui fatto lo stesso con Lumacorno?

Un po’ affannati raggiunsero il tavolo della bibliotecaria che era china su un mucchio di pergamene fittamente scritte in colonne ordinate.
“Vorrei prendere questo libro in prestito” dichiarò Lily e gli occhietti di Madama Pince la fissarono.
“Bene. Allora… “Adalbert Incant - Primi colpi di bacchetta”, signorina…?”
“Evans.”
“Evans e di nome?” fece secca la donna.
“Lily. Lily Evans.” si affrettò a rispondere la bambina.

Madama Pince aveva tratto da un calamaio una lunga piuma ricurva e grigia, un po’ spelacchiata, e prese a scrivere su un grosso registro dalle larghe pagine, sotto la colonna “2 settembre 1971”, sillabando a mezza voce.
Lily si spostò sulle spalle una ciocca rossa di capelli, in un gesto caratteristico che Severus amava molto.
“L-i-l-y E-v-a-n-s… p-r-i-m-o a-n-n-o… G-r-i-f-o-n-d-o-r-o.”
Severus aggrottò le sopracciglia. La odiava quella parola.

“Molto bene.” Madama Pince assunse un tono spiccio.
“Hai due settimane di tempo per riportarlo indietro e bada bene di non danneggiarlo in alcun modo, perché altrimenti…”
“Posso darlo a lui appena ho finito?” Lily interruppe la donna e indicò l’amico.
La bibliotecaria boccheggiò e si agitò tanto che per un momento assomigliò a un vecchio gufo che arruffava le piume.
“Nient’affatto signorina Evans! Lei dovrà tornare qui, io registrerò che ha restituito il libro e solo allora il signor…?” si girò verso Severus.
“Piton.”
“…solo allora il signor Piton potrà chiedere in prestito il libro a sua volta. N-e-s-s-u-n-a eccezione.”
E picchettò decisa un dito nervoso sul registro.
“Sì, signora” risposero i due bambini all’unisono.
Non vedevano l’ora di allontanarsi dalle grinfie di quel “mastino” come l’aveva chiamata il vecchietto sul quadro lungo le scale che avevano incrociato prima. Mai definizione era stata più azzeccata!

Quando Lily riprese il libro in mano, Madama Pince la fissò con il suo sguardo da avvoltoio e i due se lo sentirono addosso per tutto il salone fino a quando raggiunsero di nuovo le alte porte d’ingresso.
Tirarono le spesse maniglie quadrate e le due candele che li affiancavano tornano silenziose sul soffitto, a confondersi con le loro gemelle.

Edited by Camelia. - 31/7/2013, 12:06
 
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Camelia.
view post Posted on 13/3/2012, 01:17




Capitolo 15


Furono investiti da luce e rumore. Sopra e sotto di loro i ragazzi uscivano dalle aule e percorrevano i corridoi chiacchierando in vivace confusione.
Abbacinati dalla luce forte che entrava dalle finestre davanti a loro, Lily e Severus si diressero verso l’arazzo del mago pescatore sbattendo gli occhi e la sagoma delle finestre apparve sotto le loro palpebre attraversata da lampi di luce verde e violetti.

“Possiamo passare?” chiese Severus al mago pescatore, tutto nodi di fili di seta, visto da dietro.
“Oh, siete voi!” li riconobbe il mago. “Ma certamente!”
Dette uno strattone alla sua canna da pesca. Nessun pesce penzolava dall’amo.
“È stato istruttivo andare in biblioteca?”
“Sì!” rispose Lily con entusiasmo, stringendosi al petto il libro appena preso in prestito.
“Bene, bene!” farfugliò il mago impegnato in una manovra complicata per alzarsi e districare la lenza che si era impigliata sull’orlo della sua veste.
Si alzò e corse da un lato all’altro dell’arazzo annunciando poi che Pix non c’era.
Severus scostò delicatamente l’arazzo e lo tenne sollevato per far passare Lily.
“Spero di avere nuovamente il piacere di…” cominicò il mago, ora molto più nitido e ordinato da osservare dal lato dritto del manufatto.
Ma non finì, perché scivolò daccapo sulla sponda finendo a gambe all’aria dentro all’acqua, col cappello di traverso e nugoli di pesci che gli saltavano davanti, irridenti.
Lily e Severus si allontanarono soffocando una risata, quel mago era disperatamente maldestro!

Scesero rapidi le scale dando un’occhiata ai quadri appesi alla parete. I fenicotteri parevano tornati tutti al loro posto ma, nei dipinti accanto, diverse piume rosa svolazzanti rimanevano a testimoniare l’invasione degli uccelli un’ora prima.
Maghi e streghe erano ancora intenti a spazzarle via o a staccarle una per una dalle poltrone di velluto o dalle vesti. Una donna sfregava sconsolata un grande lenzuolo in un mastello colmo di acqua e lisciva, un’altra si osservava allo specchio con espressione furiosa, alle prese sia con le piume che le si erano impigliate tra i capelli, sia con l’inchiostro che le impiastricciava il viso.
Il vecchio con il cornetto acustico era tornato a sedere nella sua poltrona e pareva rassegnato a tenersi qualche piuma addosso. Salutò i bambini quando gli passarono davanti, con un cenno stanco della mano rugosa e un sorriso.

Nel corridoio di Trasfigurazione chiacchieravano concitati gruppi di ragazzi, alcuni preoccupati, altri decisamente allarmati.
“Non riuscirò mai a prendere un G.U.F.O. decente in Trasfigurazione! Quando non ho saputo rispondere alla McGrannitt su cose che dovrei saper fare da due anni…!”
“Ma no, è normale dopo le vacanze non ricordarsi tutto alla perfezione, se vuoi stasera ripassiamo assieme…”
“È meglio che io corra a studiare in sala comune…”
“Credevo di aver trasfigurato quel gatto in un cuscino alla perfezione, ma appena si è avvicinata la McGranitt ha fatto delle fusa paurose…”
“Vieni in biblioteca con me?”
“Sì, mi sa che devo ricominciare dai libri del primo anno…”

I ragazzi del quinto anno si disperdevano velocemente, senza nemmeno accorgesi che alcuni bambini del primo arrivavano da entrambe le imboccature del corridoio, timorosi e stringendosi l’uno all’altro.
Una ragazza dalle guance molto rosse superò di corsa Severus e Lily, quasi travolgendoli.
“Devo studiare Trasfigurazione almeno due ore, stasera!” mormorava agitatissima.
Di sicuro si stava recando in biblioteca e Lily fece in tempo a notare che sul petto portava lo stemma giallo e nero di Tassorosso.
La seguì con lo sguardo, chiedendosi, come Severus, se l’anno dei G.U.F.O. sarebbe stato così duro anche per loro. Già dal primo giorno mandava in crisi gli studenti!
“Bisogna studiare molto” disse Lily sovrappensiero.
“Sì, abbiamo fatto bene ad andare in biblioteca” concordò Severus.
Guardando la ragazza sparire sulle scale si ripromise di non dimenticare mai quanto aveva studiato a scuola durante le estati venture.

***


Non gli era mai successo, a dire il vero.
Nella scuola babbana che aveva dovuto frequentare fino all’anno prima, ai margini di Spinner’s End, non si era mai fatto trovare impreparato, pur non appassionandosi a nulla di ciò che gli veniva insegnato.
Si annoiava in classe e ricordava come un incubo le canzoncine per imparare l’alfabeto che una maestrina dai capelli color topo annodati in una coda asfittica aveva preteso che cantassero per settimane.
Doveva tuttavia ammettere che imparare a leggere aveva segnato una svolta fondamentale nella sua vita, finalmente i libri di sua madre potevano essere penetrati nella loro essenza più vera, le illustrazioni che tanto amava guardare venivano rese complete da capitoli e capitoli di nozioni interessantissime.
Le meraviglie contenute nei libri di testo di Hogwarts non potevano reggere il confronto con le tabelline e i banalissimi dettati pieni di scoiattoli e tartarughe parlanti che Severus doveva sopportare a scuola. Rendersi conto che per i babbani era “magia” un animale che parla, non poteva che accrescere in lui il disprezzo che provava per loro.

Insofferente verso quelle persone troppo incomplete, anche per questo non aveva amici.
Gli altri bambini fuggivano quel compagno dall’espressione scostante e dai vestiti bizzarri troppo grandi e logori; forse percepivano che era diverso da loro.
Qualcuno aveva provato a stuzzicarlo o a farne uno zimbello ma aveva dovuto battere in ritirata.
Non che ci fossero state zuffe o cose del genere, ma Severus, in qualche modo, era sempre riuscito a far desistere ogni tentativo di bullismo nei suoi confronti. I bambini coinvolti non ne volevano parlare, presero ad evitarlo e ben presto l’aggettivo “strano” fu l’unico utilizzato per indicare “il figlio dei Piton”, sempre serio sotto la cortina di capelli lunghi e neri.
Nessuno lo prendeva in giro, Severus veniva isolato e basta e lui non chiedeva di meglio.
Dopo un po’ anche la maestra smise di tentare un avvicinamento tra lui e gli altri bambini e accettò il corso delle cose, dal momento che non si verificavano episodi di prepotenza.
Severus ascoltava le lezioni annoiandosi a morte e avrebbe tanto voluto portarsi dietro uno dei libri di Eileen da leggere in classe, ma era troppo rischioso.
Passava quindi quattro ore al giorno a fantasticare su Hogwarts e sul momento in cui sarebbe finalmente stato lontano da Tobias. Anche se apparentemente svagato, rispondeva sempre correttamente a tutte le domande.
E non aveva quasi bisogno di studiare, i compiti (troppo facili per lui) li svolgeva in fretta come per liberarsi di un impiccio; poi si rituffava avidamente nelle sue letture preferite, imparando cose che avrebbero dovuto essere ben al di là del suo essere un giovanissimo mago.

Che gioia aver poi potuto parlare finalmente di Hogwarts con qualcuno, aver potuto condividere i suoi sogni con Lily! Da allora la scuola babbana era scivolata ancora più in basso nella sua considerazione.

***


Il chiacchiericcio nel corridoio parve aumentare improvvisamente di volume quando una risata molto sonora distolse Severus dai suoi ricordi.
I ragazzi più grandi erano andati tutti via e i piccoli Serpeverde e Grifondoro attendevano fuori dall’aula di Trasfigurazione, accuratamente separati; una rapida occhiata confermò -inutile dirlo- che Potter e Black erano i più rumorosi.
Black rideva senza freni, Potter si produceva in un inchino teatrale e tutti i suoi compagni erano eccitatissimi e battevano le mani. A quanto pareva, nell’ora buca i Grifondoro avevano avuto di che divertirsi con quei due al comando. Il ragazzino grasso era il più entusiasta di tutti e quasi saltellava andando avanti e indietro per meglio godere delle prodezze di Potter e Black.
I Serpeverde se ne stavano poco distanti, senza manifestare alcun desiderio di mescolarsi agli altri e con una certa aria di supponenza.
“Ehi secchione!”
Severus seguì il suono della voce inconfondibile di Mulciber e fece un cenno rapido col capo. Sperava che bastasse, invece vide il compagno muoversi verso di lui subito seguito da Avery.
D’istinto si irrigidì e con la coda dell’occhio guardò Lily, quieta accanto a lui e intenta a guardare i compagni della sua Casa. Sorrideva e forse stava cercando la sua amica Mary con lo sguardo.

Severus vide Avery osservare ostentatamente il libro che lei stringeva tra le mani.
Era talmente concentrato a spiare le mosse dei sui compagni di stanza, che non si rese conto che la voce di Mulciber aveva attirato l’attenzione anche di Potter e Black.
Fece appena in tempo ad accorgersi che ridacchiavano senza staccargli gli occhi di dosso quando Avery, col suo insopportabile sorrisetto, disse:
“Passata una piacevole ora di studio?”
Lily si voltò.
Severus si chiese se anche lei aveva colto il tono velatamente canzonatorio e da come lei strinse rapida le labbra dovette capire che era così.
“Sì, grazie” rispose la bambina, un po’ freddamente.
Mulciber le strappò il libro di mano.
“Ehi!” protestò lei, mentre Severus con un moto involontario aveva cercato di fermare il compagno.
Ma Mulciber stava già leggendo il titolo con la sua voce squillante:
Primi colpi di bacchetta - Teoria, guida con esercizi illustrati e un’appendice su…
“Posso essere utile qui?”

Severus, con immensa rabbia, vide che Black si era avvicinato a loro.

“No Black, ce la caviamo bene anche senza di te” fu la risposta sfrontata di Avery che non fece nulla per nascondere una smorfia di disgusto quando posò gli occhi sullo stemma di Grifondoro.
Black se ne accorse perché parve caricarsi come per cercare la rissa.
“Avete bisogno di fregare un libro ai Grifondoro per imparare meglio le cose?” chiese, aggressivo.
“Scherzi?” Avery prese il libro dalle mani di Mulciber e lo lanciò a Lily “Non siamo certo noi ad aver bisogno di imparare.”

Pronunciò quel “noi” in un modo tale che, anche se la maggior parte dei bambini intorno lo percepirono solo come uno sfottò nei confronti di Grifondoro, Severus realizzò benissimo che l’allusione era alle origini babbane di Lily.
Non capì se anche Black o qualcun altro avesse colto perché si concentrò con un certo spavento sul viso dell’amica, sperando con tutta l'anima che lei non avesse capito.
“Tutti abbiamo bisogno di imparare” replicò pacatamante Lily. “Siamo qui per questo.”
Una profonda convinzione traspariva dal suo volto, mentre con le mani quasi accarezzava il libro.
Potter intanto si era avvicinato. Guardava Lily e gli altri sistemandosi gli occhiali sul naso.
“Non il secchione!” ruggì Mulciber con un’ennesima pacca a Severus che in quel momento si sentì quasi disposto a odiarlo tanto quanto Black.
“Questo qui sa fare magie da terzo anno, altroché!”

Stavolta lo sentirono proprio tutti.

Severus divenne il punto focale dell’attenzione collettiva, una cosa che avrebbe dovuto fargli piacere e inorgoglirlo, ma che invece lo indispettì.
Non era questo il modo e il luogo per far sapere a tutti quanto era brillante, senza contare che a Lily non aveva ancora detto niente e voleva essere lui a raccontarle ciò che era accaduto nel dormitorio di Serpeverde la sera prima.

Si dispiacque di non avergliene fatto ancora parola e ci pensò Potter a peggiorare ulteriormente la situazione:
“Chi, Mocciosus?!”
Rise senza ritegno immediatamente seguito da Black. Irritatissimo, Severus notò che tutti i Grifondoro si accodavano ai loro leader, chi più chi meno.
A dire la verità il bambino pallido dai capelli fini si teneva in disparte e cercava di non farsi coinvolgere, ma per Severus era molto più facile in quel momento fare di tutta un’erba un fascio, anzi, l’atteggiamento di quel bambino dall’aria dimessa gli dette sui nervi.
Non poteva soffrire i Grifondoro, non poteva soffrirli al punto che invece di riconoscere nell’aria quasi sofferente del ragazzino la sua stessa tristezza che si portava dietro da quando era nato, lo bollò subito come un nemico, forse perché era più facile prendersela con uno solo e indifeso, anche se non c’entrava nulla.
Incrociò lo sguardo di Lily e qualcosa prese a dibattersi furiosamente in lui. Ah, perché lei stava in quella Casa?

Anche lei era dispiaciuta e preda dello stesso conflitto. Non le piaceva questo continuo battibeccarsi, non aveva certo creduto che appartenere a Case diverse significasse aperta ostilità. Ne era profondamente amareggiata.

“Attenzione! Attenzione!” andava dicendo Potter gesticolando. Ma prima che potesse dire altro Lily intervenne decisa.
“Perché non la smettete?”
“Cosa fai, Evans, difendi i Serpeverde?” chiese Black aspro.
Noi non abbiamo bisogno di farci difendere da… lei” rispose rapido Avery.
Di nuovo Severus fu certissimo che se solo avesse voluto, Avery l’avrebbe chiamata “sporca babbana”.

Ma la furbizia brillava negli occhi di Avery e Severus comprese che mai il ragazzino avrebbe offeso platealmente Lily, perché mai avrebbe voluto perdere il privilegio di avere un compagno dotato come lui.
Fu tutto chiaro nel tempo che occorse ai due bambini per incrociare i loro sguardi.
Per pura convenienza Avery era disposto a soprassedere sul padre babbano di Severus e sulla sua povertà pur di tenersi buono quel bambino eccezionale; e questo sarebbe tornato utile a Severus nella forma di un’amicizia da parte di un purosangue la cui famiglia era più che ben inserita nella società magica e poteva aprirgli parecchie porte.
Però Severus doveva accettare anche dell'altro in questa amicizia fondata sullo scambio: Avery aveva imparato a rispettare le sue notevoli capacità, ma non poteva sopportare l’idea che un mezzosangue fosse migliore di lui e che per di più fosse amico di una sanguemarcio, nonché Grifondoro.
Severus doveva tollerare tutte le frecciate antibabbane di Avery, doveva rassegnarsi al fatto che non solo quello di Tobias, ma anche il sangue babbano di Lily sarebbero stati presi di mira, sempre.

Era un prezzo da pagare, prendere o lasciare.

E nell’attimo in cui lesse tutto questo negli occhi arroganti di Avery, Severus ricordò nuovamente la sera prima, la sensazione di potenza e il rispetto che si era guadagnato presso i suoi compagni purosangue.
Ancora una volta arse in lui una fiamma e quel calore era così… bello, così desiderabile, che non vi avrebbe rinunciato per nessuna ragione.
Non poteva permettere che si spegnesse, non voleva che si spegnasse.

Non l’avrebbe spento.

“Non difendo nessuno, voglio solo che la smettiate di litigare” stava dicendo Lily, guardandoli tutti torva.
Era seccata, quei bambini erano insopportabili in pari misura, eppure parevano decisi ad essere meno in colpa di chi sul petto aveva uno stemma diverso dal proprio.
“Severus…” proseguì, voltandosi e cercando la sua complicità.
Lui sentì gli occhi di tutti i Serpeverde fissarlo.
“È meglio smetterla, siamo davanti all’aula di Trasfigurazione” disse Severus, in tono indifferente, scegliendo un modo neutro per cavarsi d’impaccio.

L’evocazione di un docente funzionò e la gran parte dei bambini, voltandosi a fissare la porta dell'aula, parve rendersi conto che in effetti forse avevano fatto un po’ troppo chiasso. Perfino Potter e Black batterono in ritirata, le due Case si separarono di nuovo e i bambini ripresero a parlottare a coppie o gruppetti. Quell’ora buca aveva chiaramente fatto stringere diverse amicizie.

Severus si sentì in colpa per non essersi esposto troppo e fu imbarazzato quando Lily lo studiò intensamente per qualche lungo istante, un’occhiata che lui sopportò a fatica. Ma poi lei sembrò soddisfatta del fatto che gli animi si fossero calmati.

Qualcosa prese a ronzare nella testa di Severus e lui cercò di tacitarla. Finse di sistemarsi la bacchetta nella piega della veste e intanto teneva il capo abbassato, lasciando che i capelli gli coprissero il viso.
Senza una parola, Avery gli sfiorò la spalla con la mano allontanandosi da lui e Severus, teso, rimase immobile a fissare il pavimento per qualche secondo.
Si sentì improvvisamente distante da tutto e da tutti e l’unica cosa che gli venne in mente fu il ricordo delle ore felici passate al parco con Lily, un ricordo senza Avery, Mulciber, Potter o Black. Un ricordo senza stemmi sul petto.

“Che libro hai preso?”
La voce di Mary McDonald suonò vicinissima.
“Oh, un libro preparatorio sull’uso delle bacchette!” rispose Lily entusiasta e lo fece vedere all’amica. “Se vuoi dopo proviamo assieme, te lo mostro in Sala Comune.”
Una fitta.
Una fitta al petto.
“…leggerlo, poi però devo portarlo indietro, ho promesso a Severus che glielo avrei lasciato” concluse Lily sorridendo al suo indirizzo.

Ecco, lui non avrebbe letto e non avrebbe provato insieme a Lily nella Sala Comune. Mary avrebbe avuto il piacere, lui sarebbe arrivato dopo, avrebbe ricevuto il libro con uno scambio arido segnato scrupolosamente sul registro di Madama Pince.
Lui avrebbe raccolto le briciole.

“Ti sei perso un’ora di risposo, sgobbone!” Mulciber lo tirò per la manica, come per portarlo in mezzo agli altri Serpeverde.
“Credo di averla impegnata bene invece, la biblioteca è magnifica” replicò Severus asciutto.
Cercò di recuperare quel contegno che la sera prima gli aveva permesso di marcare il proprio valore e la distanza abissale che correva tra loro, parlando di capacità s’intende.

“Sarà…” Mulciber pareva seriamente dubbioso.
“Noi abbiamo parlato delle vacanze di Natale, tu cosa farai?”
“Co…? Io… Le vacanze di Natale?”
Era appena iniziata la scuola e Mulciber pensava già alle vacanze…
Lo spettro dei Natali passati a Spinner’s End passò velocemente davanti a Severus, ma la pena di rispondere gli fu risparmiata da un rumore di sonagli che risuonò proprio sopra le loro teste.

Presi come erano stati dai battibecchi tra di loro, i bambini non si erano accorti che Pix aveva veleggiato fino a lì dall’imboccatura est del corridoio.
“Ohhhhh, quanti ragazzini del primo anno!!!” la voce nasale di Pix tradiva la soddisfazione di chi sta per addentare un boccone succulento.
Tutti alzarono il capo.
“Ehi, guarda lì!”
“Ma chi è?”
“Cos’è?”
Queste domande rimbalzavano di bocca in bocca, era chiaro che la maggior parte dei bambini non sapeva rispondere.

“Sei Pix!” esclamò subito Potter.
Severus provò un certo fastidio nel sentirsi scippare la risposta proprio da lui.
“Mio padre mi ha parlato di te!”
“Ah davvero, ragazzino…”
Pix rotolò in aria e suscitò qualche risata: era ovvio che quasi tutti non erano consapevoli che fosse uno spirito del caos. Beh, era ora di chiarire le cose.

Pix trafficò con le mani sotto il gilet e le ritirò fuori tenendole chiuse a coppa. Girando rapido su se stesso, soffiò forte riempiendo l’aria di polvere bianca.
I bambini si lasciarono scappare urletti di sorpresa e presero a scansarsi lungo le pareti del corridoio, coprendosi la testa con le braccia o i cappucci delle divise, ma ciò non impedì alla polvere di gesso di investirli tutti.
Colpi di tosse presero il posto delle urla mentre Pix cantava stonato e accennava dei passi di danza per aria.

L’aula di Trasfigurazione si aprì di botto.
Sulla soglia si stagliava dritta e rigida la professoressa McGranitt e le bastò un’occhiata per capire cos’era successo.
Agitò la bacchetta e la polvere sparì dall’aria e dalle vesti dei bambini, che si calmarono e rimasero in attesa, osservando le narici frementi dell’insegnante e Pix che, a testa in giù, si toglieva il cappello a sonagli come se volesse omaggiarla.
“Pix! Come ti permetti di disturbare durante le ore di lezione!!”
Una pernacchia.
“PIX!!”
Il folletto ritornò lentamente in posizione dritta, come ruotando su un perno invisibile.
“Non mi ero accorto che ci fosse un’aula qui” disse con tono innocente e occhi maligni.
La McGranitt chiuse gli occhi e tirò un lungo respiro, come per invocare la pazienza.
“Bene, ora lo sai. Esci da questo corridoio, per favore.”
Pix non parve per nulla intenzionato ad andarsene.
“Voi, entrate su!” invitò la McGranitt scostandosi contro uno stipite e i bambini varcarono la soglia alla spicciolata.

Lo sguardo torvo della professoressa non sembrava intimorire affatto Pix che infilò nuovamente la mano nel gilet. D’istinto lei gli puntò contro la bacchetta e Pix fu investito in pieno dall'incantesimo: si ribaltò a testa in giù e rimase per aria immobilizzato e incapace di parlare. Solo gli occhi balenavano a destra e sinistra carichi di dispetto.
I bambini che ancora non erano entrati non poterono non trovare la cosa divertente e in quella suonò la campana d’inizio della terza ora.
“Dentro, forza!” incalzò la McGranitt, entrando a sua volta rapida e dirigendosi veloce alla cattedra.

Mulciber dette uno spintone a chi gli stava davanti e il ragazzino pallido di Grifondoro andò a sbattere in pieno contro le schiene di Lily e Severus.
“Scusatemi… scusatemi!” farfugliò immediatamente, con gli occhi spalancati e la voce flebile.
Severus si era voltato di scatto e lo fissava con odio, anche se la vista dell’espressione soddisfatta di Mulciber, poco dietro, gli disse che il compagno era il vero responsabile.
Ma Lily sorrideva. “Non importa! Non l’hai fatto apposta” e la sua espressione dolce parve stupire il ragazzino.

“Seduti!” ordinò la McGranitt e gli ultimi arrivati si affrettarono.
Potter e Black si accomodarono nell’ultimo banco della fila di sinistra, Lily e Severus al centro, Avery e Mulciber a destra. Il ragazzino pallido si guardò attorno e sgattaiolò verso il bambino grasso, l’unico ad avere un posto libero accanto a sé.
“Di nuovo compagni, Remus!” disse quest’ultimo con una vocetta.
Remus sorrise anche se la sua espressione evocava solo un’immensa pena interiore. Era come se avesse paura di tutto e di tutti, come se volesse mimetizzarsi con l’aria e scomparire, come se si sentisse fuori luogo e temesse di venir scacciato da un momento all’altro.
Si sedette proprio davanti a Lily, e Severus notò che oltre al taglio scuro che gli attraversava la guancia, vi erano degli strani segni anche sul dorso della pallida mano sinistra.

“Benvenuti alla vostra prima lezione di Trasfigurazione!” scandì la professoressa McGranitt con voce chiara e immediatamente il brusio nell’aula si spense.

Edited by Camelia. - 31/7/2013, 18:22
 
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Camelia.
view post Posted on 4/5/2012, 12:21




Capitolo 16


Per qualche secondo la professoressa McGranitt non disse nient’altro e li fissò uno per uno muovendo impercettibilmente il capo per abbracciare tutta la stanza.
Non vi era nulla di spaventoso in lei, tuttavia dalla sua posa rigida e immobile emanava qualcosa di indefinito, un’invisibile aura che parve dilatare il silenzio calato nell’aula, quasi solidificandolo. Era come se nessuno fosse fisicamente in grado di aprire bocca.
I bambini fissavano la donna, alta e magra, stagliata nella luce della finestra che dal fondo proiettava un fascio di luce dorata.
Stava in piedi davanti alla cattedra, con le mani unite all’altezza dell’addome. Assieme al viso, le mani erano l’unica cosa chiara in lei, avvolta completamente da una veste di velluto molto scuro, di cui solo la luce che lo investiva rivelava una sfumatura rosso bordeaux; Le maniche erano ampie, piccoli bottoni neri risalivano ordinati dalla vita al collo alto e stretto; le pieghe della gonna leggermente svasata e una cintura scozzese intonata ai colori della veste erano le uniche concessioni a un che di gentile in tutta quella rigidità che faceva sembrare la McGranitt una statua di legno scolpito sorta dal pavimento stesso.
I capelli scuri raccolti in uno chignon strettissimo sulla nuca completavano il ritratto di quella donna che, non c’era alcun dubbio, doveva essere severa quanto il suo aspetto.

La professoressa parlò di nuovo e gli allievi si riscossero dal loro intorpidimento, prendendo a guardarsi di sottecchi come a voler verificare se anche i compagni erano rimasti ammutoliti di fronte alla presenza algida della docente.

Subito comunque tutti gli occhi tornarono a fissarsi su di lei, che parlava con voce chiara e sicura:
“La Trasfigurazione è una materia difficile…” e Severus udì il ragazzino grasso davanti a lui emettere un flebile gemito. Quello che si chiamava Remus gli posò la mano sul braccio con un pallido sorriso, per fargli coraggio.
Ora Severus vide meglio i segni sulla mano, erano scuri, ravvicinati e formavano una specie di lunga e stretta “U”.

“…difficile e che richiede una fortissima capacità di concentrazione. Non potete pensare di raggiungere l’eccellenza in questa materia senza una costante applicazione, poiché per poter eseguire le trasfigurazioni più complesse è necessario conoscere a fondo la teoria ed avere una perfetta padronanza dell’esecuzione pratica.”
I bambini ora respiravano un po’ affannosamente.
La professa non stava dicendo nulla di diverso da ciò che avevano sentito circa due ore prima, ma nelle sue parole e nel suo aspetto severo mancava quel non so che di rassicurante che emanava invece da Vitious.
Severus spiò Lily e notò che aveva le dita contratte e gli occhi spalancati, fissi sulla professoressa.
Con la coda dell’occhio gettò uno sguardo rapido anche alla sua sinistra e non fu sorpreso di vedere Potter e Black fermi e tranquilli. Non facevano tanto i pagliacci ora, con la direttrice della loro Casa!

Come se avesse colto nell’aria quel pensiero vagante, la McGranitt disse: “Voglio essere ben chiara, prima di procedere: io non tollero chiasso, chiacchiere e qualunque forma di disturbo nella mia aula. Chiunque trasgredisca non potrà più seguire questo corso.”
Un lampo le attraversò le lenti rettangolari. Diceva sul serio, non c’era da scherzare con lei.
Ottenuto un silenzio ancora maggiore, riprese:

“L’esecuzione di qualunque incantesimo di Trasfigurazione richiede l’utilizzo di una bacchetta. E’ quindi fondamentale che voi impariate al più presto a padroneggiare la vostra e per questo confido che vi impegnerete al massimo nelle prime lezioni con il professor Vitious.
A proposito, dato che lo avete avuto già alla prima ora, immagino che vi abbia esaurientemente illustrato il funzionamento di Hogwarts...”
La professoressa si interruppe e spostò lo sguardo sui bambini.
Molti annuirono e qualche sporadico, timido “sì” si levò da qua e là dai banchi.
“Molto bene” riprese la McGranitt, spiccia, “ora farò l’appello”.
Si voltò e andò a sedersi dietro la cattedra.
Qualche bambino di sistemò meglio sulla sedia, ma tutti tornarono immobili appena lei aprì il registro e si aggiustò gli occhiali rettangolari sul naso.
“Avery” cominciò.
A uno a uno i chiamati alzarono la mano e dissero “Presente!”
Anche se nell’aula continuava a non volare una mosca, in qualche modo il sentire le proprie voci contribuì a far calare un po’ la tensione: i bambini si guardavano a vicenda, imparando i nomi di chi ancora non avevano conosciuto o di quelli che appartenevano ad un’altra Casa.
“Evans…”
“Presente!”
Lily alzò il braccio e si rilassò. Sorrise a Severus.

***



Evans.
L’incontro con quel cognome era avvenuto in modo strano, un pomeriggio, qualche mese dopo che Severus e Lily avevano fatto amicizia.
Lei parlava spesso della propria famiglia, era una gran chiacchierona al riguardo. Amava in maniera incondizionata i suoi genitori e perfino la sorella Petunia che Severus invece odiava con tutta l’anima. Lui restava molto colpito dai racconti di Lily, nelle sue parole scopriva per la prima volta che “famiglia” era qualcosa di più che condividere un cognome.
Era una sensazione sconosciuta e lui se ne sentiva spiazzato.
Ogni volta che Lily parlava, Severus percepiva lo scarto tra le loro vite e le poche volte che, solo, aveva concesso a una parte di sé di indugiare sul concetto di “famiglia felice”, subito si era ritratto con spavento da quei pensieri e aveva impedito a se stesso di soffermarcisi oltre.
Quando usciva da quei sogni, casa Piton si ridisegnava di colpo davanti ai suoi occhi, richiudendosi attorno a lui con i suoi muri scrostati e grigi.
Cercava allora di immaginare la casa di Lily.

Quel giorno lei aveva accennato al postino babbano che le aveva portato una lettera dei nonni e di come le era venuto da ridere immaginandolo come un gufo enorme che invece della mano usava il becco per infilare la posta nella cassetta. Mentre lei raccontava, Piton come al solito la guardava incantato e per la seconda volta in vita sua gli sembrò di vedere qualcosa negli occhi verde chiaro di fronte a lui.
Vide chiaramente un uomo vestito tutto di blu, con un berretto in testa e una borsa marrone a tracolla. Lo vide estrarre una lettera e infilarla in una linda cassetta di metallo chiaro con su scritto “EVANS” a nere lettere inclinate.
Sorpreso, aveva sobbalzato, il cuore che batteva fortissimo.
Cos’era? Cos’era stato?
Già una volta… Sì, già una volta aveva visto qualcosa, se stesso, negli occhi di Lily.

Nei ricordi di Lily…
Ecco, adesso lo capiva! Lui era in grado di vedere nei suoi ricordi! Ma come funzionava? Forse succedeva quando Lily si concentrava molto nel raccontargli qualcosa e allora lui era in grado di leggerglielo negli occhi. Sì, doveva essere così.
Evans.
Aveva un suono gentile il suo cognome.

***



Si riscosse da quel piacevole ricordo quando vide il bambino pallido seduto davanti a Lily alzare la mano e dire “Presente!” dopo che la McGranitt aveva chiamato “Lupin”
“McDonald…”
“Presente!” Mary e i suoi capelli ricciuti stavano seduti in seconda fila.
“Minus…”
“Presente…” esalò una vocetta.
“Signor Minus, parli a voce alta e chiara la prossima volta!” lo riprese la McGranitt con severità.
Il bambino farfugliò delle scuse impacciate.
“Mulciber…”
“Presente!” rispose Mulciber quasi urlando e Severus udì una risata alla sua sinistra. Inutile voltarsi, sapeva benissimo chi era stato.

Prese a stare più attento, ormai toccava quasi a lui. La professoressa scorreva i nomi con l’indice e sollevava poi gli occhi quel tanto che bastava a inquadrare di sopra le lenti degli occhiali l’allievo chiamato.
Severus era certo che, nonostante non concedesse più di una frazione di secondo all’operazione, la McGranitt registrava perfettamente i loro volti e il loro atteggiamento.
Raddrizzò le spalle.
“Piton…”
“Presente!”
Ecco fatto, nessuna esitazione nella voce e aveva guardato la professoressa dritto negli occhi. Si rilassò anche lui.
“Potter…”
“Presente!”

Il fatto che quel nome fosse di seguito al proprio indispettì parecchio Severus.
Non capiva perché quel ragazzino gli desse tanto sui nervi… Insomma, era cretino e antipatico, era di Grifondoro e fiero di esserlo (la razza peggiore), faceva comunella con un altro idiota totale… tutte ragioni valide e sufficienti perché non vi fosse un solo motivo per andarci d’accordo, ok, ma Severus poteva benissimo ignorarlo, no? Come quella Mary, per esempio. Era facile ignorarla.

Perché allora con Potter non ci riusciva? E nemmeno con Black?
Avrebbe voluto non curarsi di loro così come era sempre riuscito a fare con i compagni della scuola babbana.
Voltò di nuovo la testa a spiare i due e notò che Potter guardava dalla sua parte. Ma i loro occhi non si incrociarono, Potter stava guardando di sottecchi Lily.
Qualcosa scattò in Severus che, fingendo di sistemarsi sulla panca, si spostò di pochi centimetri in modo da coprire all’occhialuto Grifondoro la vista della bambina.

La McGranitt ultimò l’appello e improvvisamente fece un gesto brusco col braccio: la cattedra si trasformò da un momento all’altro in uno stormo di gru pronte a spiccare il volo. Furono però bloccate da un altro incantesimo che immobilizzò le loro ali già spiegate e ritramutò gli uccelli in cattedra.

Come con Vitious, un “Ohhhhh” generale uscì da tutte le bocche dei presenti.

Consapevole di aver ottenuto l’attenzione totale della classe, la McGranitt chiese con tono pratico a un bambino della prima fila, Carlyle, di distribuire ai compagni il contenuto di una scatola. Molti colli si allungarono, curiosi.

“La lezione di oggi non sarà solo teorica, anche se ancora non padroneggiate molto bene le vostre bacchette” esordì la professoressa. Tutti tornarono a fissarla.
“La Trasfigurazione, come vi dicevo prima, è una materia complessa, perché trasformare qualcosa in qualcos’altro non si ottiene semplicemente mormorando una formula. Voi imparerete a mutare l’apparenza delle cose, a cambiare un materiale in un altro, l’inanimato in animato e viceversa.”

Nella classe non volava una mosca e non si sentiva un respiro. La professoressa parlava a voce chiara e sicura.

“Ora, Carlyle vi sta distribuendo dei fiammiferi. Quello che faremo oggi è trasformarli in stuzzicadenti, una delle trasfigurazioni più semplici in assoluto visto che non dovrete operare nessun cambio totale di materia.”
Con un gesto appena accennato della bacchetta, la McGranitt fece apparire sulla lavagna posta di fianco alla cattedra una serie di disegni collegati tra loro da frecce. La professoressa si alzò e cominciò a spiegare.
“Questo diagramma illustra esaurientemente il tipo di sforzo che dovete chiedere a voi stessi. Non concentratevi sulle similitudini tra i due oggetti, ma visualizzate in che cosa differiscono nel loro aspetto esteriore. Signorina Jones?”
Tutti i bambini sussultarono. Non si aspettavano che venisse chiamato qualcuno e si levò un timidissimo: “Sì?”
La voce apparteneva a una bambina della seconda fila, dai lisci capelli biondi ordinatamente pettinati sulle spalle e con una sottile treccia al centro.
La McGranitt le chiese quali fossero le differenze tra un fiammifero e uno stuzzicadenti, ma il suo tono non era inquisitore e questo rassicurò la classe, signorina Jones compresa.
“Beh… lo stuzzicadenti ha due punte… e… e non ha capocchie di zolfo” rispose.
“Molto bene. Un punto per Grifondoro! Nient’altro?”
Severus alzò la mano prima di rendersene conto. Conosceva quell’esercizio e aveva già risposto a quella domanda anni prima, leggendo il libro di Trasfigurazione di sua madre.
“Sì, signor Piton?”
Per la miseria, la McGranitt aveva già imparato i nomi di ciascuno?
Severus si riscosse dalla sorpresa e rispose:
“Lo stuzzicadenti è più sottile, più lungo e non è squadrato.”
“Ottimo spirito di osservazione!” lo gratificò la McGranitt. “Un punto anche per Serpeverde!”

Severus provò un certo compiacimento per aver pareggiato i conti con Grifondoro e stava quasi per voltarsi verso Potter e Black quando Lily al suo fianco gli sussurrò “Bravo!”, con un gran sorriso.
Era felice davvero, per lui.

“I vostri due compagni hanno centrato perfettamente gli elementi sui quali dovrete applicarvi.”
La Mc Granitt aveva ripreso a spiegare e aveva raddoppiato al lunghezza della propria bacchetta per indicare alcuni dei disegni sulla lavagna.
“Il metodo più efficace per ottenere una buona trasfigurazione del vostro fiammifero è partire dagli elementi più semplici per poi potervi concentrare con calma su quelli più complicati. In questo caso è bene che voi partiate dalle dimensioni dell’oggetto…” e indicò il primo disegno “...poi dedicatevi alla sua forma, da squadrata a cilindrica…” ecco il secondo disegno “…infine cercate di creare due punte alle estremità, partendo da quella inferiore, più semplice, e lasciando per ultima la trasfigurazione della capocchia di zolfo.”
Molte fronti erano corrugate.
“La parte finale è la più complicata, procedete per gradi, come per il resto. Prima le dimensioni, poi la forma e solo alla fine la…”
…la trasformazione dello zolfo in legno, o se preferite, la sua sparizione.” concluse Severus mormorando a mezza bocca.

Conosceva a memoria quella procedura, per averla letta infinite volte sul libro di Eileen. Tuttavia non gli piaceva molto, sapeva che, pur se efficace, era un metodo lento; già nei libri del secondo anno si insegnava a concentrarsi prima di tutto sulla trasfigurazione della materia.
Un formicolìo lo pervase. Avrebbe osato applicare una procedura avanzata dopo che la McGranitt era stata così precisa nell’esporre quella per principianti totali?
Era una tentazione fortissima, già stringeva la bacchetta nella mano.

“Osservate bene il diagramma e imparatelo, copiatelo se lo ritenete opportuno, anche se lo troverete nel vostro libro “Guida pratica alla Trasfigurazione per principianti”, che vi invito a portare in classe dalla prossima lezione in poi."
Tutti i bambini fissarono la lavagna, poi i fiammiferi che stavano immobili sui banchi, poi, di sottecchi, i compagni. Nessuno sembrava aver la più pallida idea di come procedere.
La McGranitt continuò:
“La formula che dovrete pronunciare è “SCALPIUS” e vi prego di prestare attenzione al movimento della bacchetta.”
E mostrò alla classe come il fiammifero che teneva tra pollice e indice diventava uno stuzzicadenti con un passaggio lento e dall’alto in basso della bacchetta.
“Forza ora, riguardate il diagramma e provate!”

Tutti tornarono a fissare la lavagna e parecchie fronti adesso erano corrugate. Alcuni bambini mormoravano le istruzioni ma parevano restii a provare l’incantesimo. Si giravano le bacchette tra le mani, osservano il fiammifero davanti a loro come fosse un nemico imbattibile.
Infine qualche voce sporadica azzardò un timidissimo “SCALPIUS...”

“Non stringa troppo forte la bacchetta, signor Dwellington, ecco, così… E lei la muova più lentamente, signorina McDonald…”
La McGranitt aveva preso a fare il giro della classe, correggendo, consigliando, qualche volta mostrando il movimento della bacchetta. Alle volte rispiegava daccapo tutta la procedura illustrata alla lavagna.
Era un’insegnante molto attenta, riusciva a capire quali fossero le difficoltà di ciascun allievo e subito era pronta a porvi rimedio. Sembrava non le importasse ripetere continuamente le stesse cose.
“SCALPIUS!”
“SCALPIUS!”
“SCALPIUS!”
“SCALPIUS!”
Ora le voci erano più sicure anche se la quantità di tentativi denunciava lo scarso successo dell’incantesimo.

Dopo essersi scambiati un’occhiata d’incoraggiamento, Severus e Lily si dedicarono al proprio fiammifero.
Severus era certo di riuscire a trasfigurarlo senza difficoltà, ma decise di aspettare che l’amica tentasse per prima; ciò che più gli premeva, in verità, era decidere se fare a modo suo o seguire le istruzioni della McGranitt.
Lily era concentratissima, del tutto estranea a quanto le accadeva davanti, con Minus che, ripetendo uno “SCALPIUS!” dietro l’altro, agitava la bacchetta con tale frenesia da picchiare continuamente il banco.
“Piano, Peter!” gli sussurrò Lupin.
Lily intanto fissava la lavagna e teneva le braccia posate conserte sul banco, stringendo la bacchetta.
Infine si decise e sfiorando appena il fiammifero mormorò “S-C-A-L-P-I-U-S”.
Il fiammifero si allungò, si assottigliò e la sua estremità inferiore si appuntì.
Lily era così incredula che per qualche secondo rimase a fissare la sua prima magia a occhi spalancati, incapace perfino di esprimere gioia.
“Bravissima!” la incoraggiò Severus, che aveva notato un leggero tremito nel polso della bambina.
Era per quello che la trasfigurazione non le era riuscita bene.
“Prova tu, dai!” fece lei.

Severus, che per puro perfezionismo aveva avuto cura di riguardare il diagramma alla lavagna nonostante lo conoscesse già, si concentrò.
Non aveva fretta e si scoprì a pensare che sarebbe stato bello eseguire l’incantesimo al primo colpo e alla perfezione. Era una magia facile in fondo e lui si sentiva già così teso verso cose più complesse che qualunque tentativo andato a vuoto con quel fiammifero sarebbe stato quasi una sconfitta, per lui.
Si trattenne però, la fretta poteva essere una nemica e in Severus l’istinto era sempre fortemente bilanciato da una straordinaria capacità di riflessione e voglia di approfondire, del tutto inusuali in un bambino così piccolo.
Lo tratteneva inoltre il pensiero di Lily: di nuovo, non voleva sembrarle sbruffone o intimidirla con la sua bravura, ancora non le aveva raccontato dell’incantesimo della sera prima...

Severus cincischiava, accarezzando il fiammifero con la punta della bacchetta: usare il metodo da novellini o saltarlo a piè pari e seguire quello spiegato nel libro di Trasfigurazione del secondo anno?
Guardò distrattamente Lupin che era riuscito ad arrotondare e appuntire il suo fiammifero, mentre Minus gli lanciava occhiate ansiose e picchiava la sua bacchetta più che mai (“SCALPIUS! SCALPIUS! SCALPIUS!”)

“Molto bene signor Potter, ottima esecuzione!”
Severus sobbalzò sulla panca.
Si era così concentrato sui propri pensieri, su Lily e sui due che gli sedevano davanti che non aveva registrato i gridolini che da circa un minuto provenivano dalla sua sinistra, né si era accorto che la McGranitt stava avvicinandosi all’ultima fila.
Potter era riuscito a trasfigurare il suo fiammifero e Black dopo un paio di tentativi lo aveva seguito a ruota, guadagnandosi anche lui l’approvazione della professoressa.
Tutta la classe si era voltata e molti bambini avevano ripreso a lavorare con più lena. Il fatto che qualcuno fosse riuscito ad eseguire l’esercizio infondeva fiducia; Lily riprese a concentrarsi e a tentare di completare la sua trasfigurazione a metà.

La McGranitt si avvicinò a Severus. Il suo fiammifero era ancora un fiammifero e il cuore accelerò i suoi battiti.
Qualcosa di prepotente gli premeva dentro gridandogli chissà perché e da chissà quale luogo remoto della sua mente di battere Potter, di fare meglio di lui, battere Potter, battere Potter…
Non li vedeva, ma percepì con sicurezza che Potter e Black stavano guardando verso di lui.
Era fatta, aveva deciso: avrebbe prodotto un incantesimo perfetto e avanzato sotto gli occhi della McGranitt.
Concentrò tutto il suo essere in ciò che stava per fare, serrò la bacchetta nella mano e disse con sicurezza “SCALPIUS!”, muovendola deciso con un movimento fluido sopra il fiammifero.
La magia fu rapidissima, nel tempo di battito di ciglia uno stuzzicadenti perfetto giaceva sul banco, ma l’occhio allenato della professoressa non poté non notare che il procedimento era diverso da quello che aveva spiegato.

“Signor Piton… lei non ha seguito il diagramma alla lavagna”, disse con calma.
Severus deglutì.
Vide Lupin gettargli un’occhiata di sbieco da sopra la spalla per poi tornare a lavorare sul suo fiammifero, vide Minus girarsi con quei suoi occhietti vacui che dardeggiavano da lui alla professoressa, udì Lily accanto a sé trattenere piano il respiro.
Fissò la McGranitt, pronto a ricevere il castigo.
“Trasfigurazione perfetta, comunque.”
Severus aprì la bocca e sentì la tensione sciogliersi e fluire via da lui. Non era arrabbiata, la professoressa non era arrabbiata! Era sorpresa, anche se l’espressione del suo viso restava severa.

“Vorrei tuttavia essere certa che la procedura oggetto di questa lezione sia nelle sue corde, se non le spiace” e con appena un accenno di movimento di bacchetta, ritrasformò lo stuzzicadenti in fiammifero.
Severus si sistemò raddrizzando le spalle e ripeté la trasfigurazione come voleva la McGranitt.
“Molto bene, signor Piton.”

La professoressa passò oltre, senza aggiungere altro ma… possibile? Fu come se l’ombra di un sorriso le facesse fremere l’angolo della bocca.
Severus sentì dei borbottii alla sua destra, oltre Lily, e con la coda dell’occhio vide che anche Avery e Mulciber stavano commentando la scenetta. Dietro la cortina unticcia dei suoi capelli, Severus aveva l’aria molto soddisfatta e fu uno sforzo non guardare dritto negli occhi Potter, Black e i compagni di Serpeverde.

Ora era Lily sotto esame: era quasi riuscita a terminare la sua trasfigurazione, il suo stuzzicadenti aveva ancora una punta di zolfo.
Corrugò la fronte tanto da fare quasi il broncio e Severus notò una maggiore decisione nei suoi movimenti. La vicinanza della McGranitt la stimolava.
“SCALPIUS!”
E anche Lily ebbe il suo stuzzicadenti e l’approvazione della professoressa.

Si lasciò sfuggire uno sbuffo di sollievo e guardò l’amico interrogativa, ma non osò parlare perché la McGranitt stava osservando il lavoro di Lupin e Minus.
Il primo era sulla buona strada ma scarseggiava in determinazione (“Signor Lupin, non abbia paura di sbagliare”), il secondo invece era in completa balìa del panico e l’unico risultato che era riuscito ad ottenere con i suoi movimenti scomposti era di far vagabondare il suo povero fiammifero su e giù per il banco.
“Signor Minus… tenga il braccio lungo il corpo e muova solo il polso. Agitarsi sulla sedia non è affatto necessario nella Trasfigurazione.”

***



La prima volta che Severus aveva letto “Guida pratica alla Trasfigurazione per principianti” aveva desiderato poter prendere la bacchetta di sua madre: era così tanto tempo che Eileen non la usava più, ma lui spesso sognava di vederla ancora compiere magie. Quei sogni gli lasciavano una piacevole sensazione al risveglio, che però acuiva ancora di più il disgusto per la sua vita.
Da quando aveva saputo di essere un mago destinato ad Hogwarts, ogni giorno passato in trappola nel mondo babbano era per Severus motivo di grandissima (in)sofferenza.

Il ricordo degli ultimi incantesimi che aveva visto fare ad Eileen era indelebile nella sua mente, ma anche lontano, così lontano che era come se appartenesse ad un altro tempo e, forse, ad un’altra persona.
Casa Piton, triste, opprimente e grigia, sembrava non aver ospitato mai la magia.
Severus osservava i fiammiferi con cui sua madre accendeva il fuoco e ripensava al primo capitolo del libro; l’idea che una cosa potesse trasformarsi in un'altra gli piaceva da morire, forse perché apriva infinite possibilità a proposito della bruttezza di quella casa, tanto per dirne una.

Quella mattina, nell’aula della scuola elementare di Spinner’s End, Severus era stato apparentemente attento ma in realtà molto lontano dalla lezione con le cartine di tornasole che la maestra aveva distribuito ad ogni bambino. Quelle striscioline che cambiavano colore divertivano tanto i suoi compagni e lui li aveva disprezzati più del solito, provando il desiderio bruciante di poter aprire il libro di Eileen e dedicarsi a qualcosa di serio.
Portare i libri di Hogwarts nella scuola babbana era potenzialmente pericoloso, anche nessuno si avvicinava a “quel Piton”.
Di solito lo evitava, ma che gusto era stato quel giorno tenere il volume dalle pagine ingiallite nella borsa sdrucita, mentre i suoi compagni seguivano la lezione, ignari della magia, di Hogwarts e di tutto ciò che li rendeva diversi e inesorabilmente inferiori a lui!

Di ritorno a casa, aveva camminato per le strade di Spinner’s End osservandone la miseria con le labbra incurvate di disprezzo, stringendo a sé la borsa come un tesoro, come se il libro gli infondesse calore.
Non vedeva l’ora di andarsene, ma come sarebbe stato bello nel frattempo avere una bacchetta e poter trasformare l’intero quartiere…
Si immaginò fermo all’incrocio di quei vicoli sporchi, muovere lentamente il braccio armato di bacchetta, mormorando un incantesimo dopo l’altro.
Era un Severus alto quello della sua fantasia, così alto da poter abbracciare con lo sguardo i confini di quel quartiere malsano.
La sua veste nera si allungava in tutte le direzioni, come un polipo dagli innumerevoli tentacoli scuri che penetravano ogni angolo sperduto dei vicoli, colandovi dentro come inchiostro.
Quel Severus così potente era il padrone totale di Spinner’s End e ne avrebbe trasformato anche i suoi inutili abitanti. Li avrebbe trasformati in vasi di coccio, così avrebbe potuto coltivarci dentro le erbe e le piante per le pozioni.
Suo padre invece, l’avrebbe trasformato in uno zerbino, così ci si sarebbe pulito le scarpe sopra e l’avrebbe potuto calpestare tutte le volte che voleva. Tutto allora sarebbe stato come voleva lui.
Gran cosa la Trasfigurazione.

***



La McGranitt stava ultimando il suo giro con Avery e Mulciber. Il primo era quasi riuscito ad eseguire l’esercizio, l’altro invece riusciva solo a far vibrare il suo fiammifero più che mai, senza che vi si producesse il minimo cambiamento. Aveva la faccia tutta rossa, più per la rabbia che per lo sforzo.
“Stupido fiammifero” borbottò quando la professoressa si voltò per tornare alla cattedra.
“Temo non sia la formula corretta, quella, signor Mulciber” disse gelida la McGranitt girando il capo.

Raggiunto il fondo dell’aula, riprese:
“Molto bene. Alcuni di voi sono riusciti già a trasfigurare il proprio fiammifero, molti hanno capito il meccanismo e necessitano solo di pratica. Per i pochi che ancora non si sono impadroniti dell’incantesimo, spiegherò di nuovo il diagramma prima che finisca la nostra ora. Siete tutti pregati di stare attenti, perché essere riusciti ad eseguire un incantesimo una volta non significa padroneggiarlo. Dovete continuare ad esercitarvi.”
E fece un gesto con la bacchetta.
Tutti i bambini si ritrovarono daccapo un fiammifero sotto gli occhi.

“Allora…” e la McGranitt spiegò di nuovo tutto.
Alla fine fece comparire su un’altra lavagna un secondo diagramma.
Peter Minus si lasciò sfuggire un altro gemito.
La professoresa alzò appena un sopracciglio, poi disse: “Vi sono diversi modi di riportare un oggetto trasfigurato alle sue sembianze originarie. Qualcuno di voi sa dirmeli?”
Severus sapeva rispondere ed alzò la mano.
Pure Lily l’alzò, anche se più timidamente e lui le sorrise. Una manciata di bambini osò fare lo stesso.
“Sì, signor Potter?”
Severus strinse le labbra e voltò il viso.
“Beh, c’è sicuramente l’incantesimo inverso” rispose James aggiustandosi gli occhiali sul naso.

“Capirai che risposta difficile”, pensò Severus. “Praticamente ogni incantesimo ha il suo contrario, sono proprio pochi quelli irreversibili e per lo più sono proibiti. E poi non ci vuole un genio per accorgersi che il nuovo diagramma alla lavagna spiega il procedimento inverso!”
“Altri metodi?” stava chiedendo la McGranitt.
A questa domanda Potter non sapeva rispondere e quasi tutte le mani alzate si abbassarono, compresa quella di Lily.
Rimase solo Severus.
“Signor Piton?”
“Si può far cessare un incantesimo con la formula “FINITUS”, oppure si può costringere qualcosa che si pensa sia stato trasfigurato a tornare al suo stato originario. Ci sono diversi incante…”
“Molto bene, signor Piton. Molto bene!”
La McGranitt era piacevolmente sorpresa.
“Sì, esistono vari incantesimi per “smascherare”, diciamo così, una trasfigurazione. Ovviamente non è questo il momento di parlarne…” il suo tono si fece più pratico “…certamente siete consapevoli del livello avanzato che tale magia richiedebbe.”
“Bravo” sussurrò di nuovo Lily.
Era ammirata e contenta della preparazione dell’amico, a differenza degli altri compagni di classe che oscillavano tra lo stupore e un senso di inadeguatezza. L’eccezione ovviamente erano Potter e Black che sbuffarono abbastanza forte da farsi sentire da Severus, che li gratificò di un’unica rapida occhiata sprezzante.

“Bene, al momento ci dedicheremo allo studio delle formule inverse, a un mago può tornare molto utile saper eseguire un incantesimo inverso. E’ chiaro che per la prossima lezione mi aspetto che abbiate imparato a trasfigurare un fiammifero in uno stuzzicadenti e mi auguro che sarete a buon punto anche con il procedimento contrario.”
Mormorii intimoriti accolsero queste parole.
“In via del tutto eccezionale vi sarà consentito di portare i fiammiferi nei vostri dormitori, fino alla prossima lezione. Ovviamente sono stati incantati perché non possano accendersi. Su, adesso, non scoraggiatevi e approfittate dei minuti che ci restano ancora per riprovare! SCALPIUS!” li esortò la McGranitt.

I bambini ripresero a lavorare, qualcuno si rimboccò le maniche.
Severus ripetè l’incanto senza problemi e dalle esclamazioni soddisfatte che presero a moltiplicarsi, fu presto chiaro che anche la gran parte degli altri allievi era riuscita a produrre una trasfigurazione.
Certo, per molti ci volevano almeno tre tentativi e quindi tre trasfigurazioni parziali, ma i risultati incoraggianti aumentavano la fiducia nei confronti di quella materia. Oltretutto era anche un buon esercizio per maneggiare con sicurezza la bacchetta.

“Ci sei riuscito, Remus!” fece la vocetta acuta di Minus e Severus alzò appena gli occhi per notare l’espressione incredula di Lupin. Era felice e per la prima volta sembrò meno stanco e sconfitto.
Lily intanto era riuscita a trasfigurare il suo fiammifero al primo colpo e Severus si complimentò con lei:
“Hai visto? Lo sapevo che ce la facevi!”
“Proviamo a fare l’inverso?” propose lei.
“Sì”
“C-E-R-I-N-U-S” mormorarono assieme.

Questo era più difficile. Far riapparire la capocchia di zolfo era la parte più ardua e sia Lily che Severus incontrarono delle difficoltà.
“Voilà! Ah, che roba facile!” fece la voce di Potter, piano ma udibilissima lì nelle ultime file.
Severus lo vide assumere un’espressione di tronfia soddisfazione.
Ci era riuscito, eh? Un caso fortunato, senz’altro.
James sollevava l’ex stuzzicadenti tornato fiammifero per ammirarlo, o meglio, per farsi ammirare. Black gli aveva dato una pacca sulla spalla e alcuni bambini nei posti vicini lo osservavano colpiti, Minus aveva il respiro affannato per il continuo voltarsi di qua e di là cercando sguardi altrettanto ammirati come il suo.

Severus, seccatissimo, raddoppiò la concentrazione e si ripromise di esercitarsi appena possibile, perché voleva imparare a fare senza problemi l’incantesimo, sia come voleva la McGranitt, sia come spiegato nel secondo volume di “Guida pratica alla Trasfigurazione”.
Già si vedeva trasformare fiammiferi e stuzzicadenti in serie, senza la minima esitazione, muovendo la bacchetta in modo impercettibile… Altro che Potter.

La fronte di Severus era così contratta che il suono della campanella gli giunse inaspettato e quasi lo spaventò.
Beh, intanto era riuscito a trasformare daccapo il fiammifero in stuzzicadenti e mentre se lo infilava in tasca decise che si sarebbe impadronito anche dell’incantesimo inverso entro quella sera.
Un brusio si diffuse nell’aula, subito represso dalla McGranitt che ripeteva i compiti e li invitava a studiare bene i diagrammi nonché il primo capitolo del libro di testo. Sembrava una montagna di lavoro e, mentre tutti si alzavano, a parecchi bambini sfuggirono delle lamentele.

Severus attese che Lily riponesse con cura il suo stuzzicadenti semitrasfigurato in tasca e si apprestò ad uscire con lei.

Edited by Camelia. - 5/8/2013, 13:03
 
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Camelia.
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Capitolo 17:


Ora che la lezione era finita, i ragazzini osarono scambiare qualche parola tra di loro, mentre si alzavano dai banchi. Lo fecero comunque con un certo ordine, in fondo la McGranitt era seduta alla cattedra.
Essendo nelle ultime file, Severus, Lily, James, Sirius, Avery e Mulciber furono i primi ad avviarsi all’uscita, così, per evitare scontri, Severus finse di sistemare la bacchetta nella tasca interna della divisa e rallentò il passo. Con la coda dell’occhio, a capo chino, cercò di capire se i suoi compagni di Casa e quei due scemi di Grifondoro avrebbero creato problemi.

“Che bella lezione!” esclamò Lily raggiante, accordandosi al passo di Severus. “Non vedo l’ora di riprovare con il fiammero!”
Severus alzò la testa per sorriderle ma non potè dire nulla perché una voce a lui sgradita si intromise:
“Vuoi andare di nuovo in biblioteca con Mocciosus, Evans?”
Lily fulminò James e senza dire una parola si diresse decisa alla porta, agguantò la maniglia, tirò e uscì.
Severus la seguì immediatamente, non prima di aver notato che Sirius se la godeva un mondo e che anche Avery e Mulciber ostentavano dei sorrisetti fastidiosi.
Dai rumori soffocati che sentì alle sue spalle, intuì che i quattro si stavano litigando il diritto di uscire dall’aula per primi. Quant’erano infantili.

Non si voltò a giudicare la scena con il disprezzo negli occhi solo perché notò l’espressione divertita di Lily che, ferma in mezzo al corridoio, fissava qualcosa in alto.
Non poté trattenere una risatina pure lui: se n’era dimenticato, ma in aria galleggiava ancora Pix, bloccato a testa in giù dall’incantesimo della McGranitt. Sapere che si trovava in quella posizione da un’ora rendeva la scena decisamente comica.
Gli occhietti del poltergeist dardeggiavano a destra e a sinistra, indispettendosi ogni secondo di più per il divertimento dei bambini che uscivano dall’aula di Trasfigurazione e si ritrovavano davanti quello spettacolo.
Alcuni lo additavano platealmente e non c’era un ragazzino che non ridesse di lui.

“Comodo?” lo canzonò Sirius.
A Peter sfuggì una risata acuta e affannosa mentre gli occhi di Pix si strinsero carichi di odio.
James prese a saltare sotto di lui cercando di toccargli con la mano un lembo della veste che pendeva rovesciata o di far suonare i campanelli del suo berretto, ben calzato sulla zucca.

Severus si indispettì. Adesso la scena non gli sembrava più spassosa: vedere come Potter si divertiva e faceva divertire gli altri (perché diciamolo, quasi tutti ora lo incoraggivano e lo incitavano), gli provocava una voglia prepotente di essere diverso e di non avere nulla a che spartire con lui.
Prendere in giro uno appeso a testa in giù, sai che ridere. Roba da deficienti.

Guardò Lily che, come tutti gli altri, stava naso all’aria e per la prima volta in vita sua si dispiacque di vederle un sorriso sulla bocca. Non si curò del fatto che lei non stava minimamente dando corda a Potter, né di aver riso lui stesso di Pix appena un minuto prima; qualunque cosa facesse Potter, lui voleva solo fare il contrario e voleva che Lily lo affiancasse.

“Cos’è questo baccano?”
La voce della McGranitt zittì il corridoio.
La parentesi di Pix aveva fatto dimenticare a tutti che erano appena usciti da un’aula e Potter cercò di nascondere dietro la schiena il berretto a sonagli che era riuscito a strappare dalla testa del poltergeist.
La professoressa alzò lo sguardo e capì la fonte di tutta quell’ilarità e agitazione; mosse rapidamente la bacchetta con un gesto veloce del braccio.
Non aveva pronunciato una sola parola (Severus provò l’acutissimo desiderio di saperlo fare), ma Pix parve liberarsi da invisibili lacci e bavagli. Si raddrizzò subito, rimanendo però per aria.
“Così piccoli e così antipatici!” strillò con quanto fiato aveva in gola, rivolto ai ragazzini che, anche se all’erta ora che era di nuovo libero, non parevano però spaventati da lui, sapendo che la McGranitt era con loro.

“Basta così, Pix!” ordinò lei. “Che ti serva di lezione, non tollero confusione quando…”
Ma a questo punto Pix le rivolse una sonora linguaccia.
“PIX!!!” tuonò lei, con un pericoloso lampo degli occhiali, mentre parecchi bambini trattenevano il respiro, colpiti dall’audacia folle di quell’essere.
“Vuoi passare un’altra ora bloccato in aria?” lo minacciò la McGranitt.
Pix le voltò le spalle fischiettando.

Intanto dalle estremità del corridoio stavano arrivando dei ragazzi un po’ più grandi, potevano essere del quarto o del quinto anno.
“Su, voi del primo anno, tornate alle vostre sale comuni, forza!” disse la McGranitt muovendo le mani come per scacciarli via.
I bambini si ammucchiarono a gruppetti, allontandosi dall’ingresso dell’aula.
I ragazzi appena arrivati cominciarono a entrarvi alla spicciolata, al seguito della McGranitt, chi sorridendo e chi scuotendo la testa alla vista di Pix.

“Che cosa fai adesso?” chiese Lily sottovoce.
Severus sobbalzò, si era perso nei suoi pensieri alla vista di Nott e McNair che entravano in classe. Gli era parso che Nott l’avesse guardato appena di sfuggita, registrando il fatto di vederlo ancora accanto a quella bambina di Grifondoro. Ma era stato tutto così rapido che Severus ancora si chiedeva se se l’era immaginato.
“Oh… io… Io pensavo di esercitarmi con gli esercizi della McGranitt” rispose in fretta Severus, mordendosi la lingua per non aggiungere davanti a tutti “…con te”.
A capo leggermente chino, spiò attraverso le cortine lisce dei suoi capelli, per assicurarsi che non ci fossero orecchie indiscrete all’ascolto.
Vide Narcissa, altera e biondissima, entrare nell’aula.

Poi un gruppo di ragazzi con lo stemma di Corvonero arrivarono tutti assieme e Pix si avventò su uno di loro, tirandolo per il cappuccio della divisa.
“Q-Qui… Q-Q-Qui…” cominciò a dire, con voce nasale.
“P-P-Pix! L-Lasciami, hai ca-caaapito?” reagì il ragazzo, un tipo pallido e nervoso, dagli occhietti piccoli.
Alcuni compagni del giovane ridacchiarono e due o tre Serpeverde non si fecero alcun problema a ridere forte.
“Q-Q-Qui… Q-Qui… rinus” lo sbeffeggiò Pix, senza mollare la presa. “N-N-No che no-non t-ti l-la-lascio…” continuò, maligno.
Il ragazzo agitava le braccia, nel vano tentativo di allontanare Pix e di togliergli il cappuccio dalle mani. I suoi movimenti si fecero sempre più impacciati e un rossore violento gli colorò le guance.
“Ehi Ra-Ra-Raptor, c-cerca di p-parlare più ch-chiaaa-ra-ramente, o P-Pix no-non c-c-capirà!” shignazzò un ragazzo alto e grosso che Severus ricordò di aver visto nella sala comune, quella mattina.

“Insomma ora basta!”
La McGranitt era uscita di nuovo dall’aula a passo spedito.
“Goyle, vada in classe!”
I bambini del primo anno si allontanarono per non prendersi una sgridata, i ritardatari tra i più grandi filarono nell’aula.
La professoressa mosse appena la bacchetta e Pix lasciò andare il cappuccio del giovane Corvonero che ora era rosso fino alla radice dei capelli.
“Pix, un’altra e giuro che te la vedrai con Silente!” sbottò la professoressa, infuriata.
Poi si rivolse al ragazzo che ora si massaggiva il collo:
“Signor Raptor, si sistemi e vada in classe anche lei!”
“S-sì, pr-prof…eeessoressa…” farfugliò lui, rassettandosi la veste e rifugiandosi nell’aula.
Con un ultimo sguardo di fuoco a Pix e ai bambini del primo anno che passettin passettino si allontanavano cercando di non perdersi l’epilogo di quella scena, la McGranitt entrò nell’aula chiudendosi con decisione la porta alle spalle.

“Gneaaaaah!” le fece Pix allargandosi la bocca con le dita.

I bambini smisero subito di ridere quando si resero conto di essere soli alla mercé del poltergeist. A coppie o gruppetti si mossero verso la fine del corridoio, seguiti dallo sguardo cattivo di Pix.
Tuttavia non vi furono attacchi, né Pix si mise a schiamazzare o altro; evidentemente evocare la figura di Silente era bastato a calmarlo. Beh, almeno per il momento.
Continuando a fare boccacce e versi sottovoce, il poltergeist filò via dal corridoio, ormai quasi vuoto.

“Lily, ti va di ripassare la lezione con me, Jane e Charlotte? Pensavamo di provare gli esercizi in questa ora libera.”
A parlare era stata Mary.
Lily guardò Severus, combattuta: era chiaro che le sarebbe piaciuto andare via con le nuove amiche e al tempo stesso però le dispiaceva non poter provare gli incantesimi da sola con lui.
E non c’era neppure la possibilità di proporre un’ora di studio ed esercizio tutti assieme, dato che appartenevano a due dormitori diversi, senza contare il fatto che Severus e le bambine cercavano invano di dissimulare il disagio che provavano anche solo a guardarsi.
In quei pochi momenti di sospensione, Piton si accorse che nel corridoio c’era ancora qualche compagno Serpeverde e, per evitare l’imbarazzo di attirare l’attenzione, disse, più bruscamente di quanto volesse:
“Va bene, allora io torno alla mia Sala Comune.”

Non sapeva perché l’aveva detto, perché non si era dato come meta di nuovo la biblioteca.
Ora sarebbe stato costretto ad unirsi ad Avery e Mulciber che di sicuro l’avevano sentito anche se stavano… ma che stavano facendo?
Ridacchiavano e confabulavano alle spalle del pallido Lupin, avvicinandosi piano piano.
Il bambino stava guardando qualcosa fuori dalla finestra del corridoio, un’ombra di tristezza addosso, completamente assorbito nella contemplazione di qualcosa.
Un’espressione strana e tesa aleggiava sul suo viso. Era concentrato e… possibile?, spaventato.

“Occhioooo!”
Avery e Mulciber avevano raggiunto Lupin e con due colpi ben assestati gli avevano fatto cedere le ginocchia. Scapparono immediatamente, ridendo sottovoce per paura della McGranitt, e Remus dovette aggrapparsi con le mani al cornicione della finestra per non cadere.
Si rimise dritto.
Non disse nulla, non protestò, non seguì neppure con gli occhi la fuga dei due Serpeverde. Di nuovo apparve il bambino sconfitto, con quell’aria umile e dimessa che tanto infastidiva Severus; si limitò ad aggiustarsi un ciuffo di capelli castani che gli era caduto sulla fronte e fece per andarsene.

Severus si riscosse quando percepì una macchia rossa muoversi vicino a lui e con sua grande irritazione vide Lily abbandonare le nuove amichette e avvicinarsi a quel bambino.
Lupin non guardava nessuno, i suoi occhi vagavano sul pavimento per tornare poi al panorama fuori dalla finestra. Occhi tristi, quasi sull’orlo del pianto.
Severus provò qualcosa di molto simile alla vergogna e fu assalito dal ricordo imbarazzante dei propri occhi che piangevano. Scacciò da sé quella memoria sgradevole.

“Tutto bene?” Lily sfiorò un braccio al compagno di Grifondoro.
Remus alzò lo sguardo di scatto, incredulo. Lì per lì sembrò sul punto di allontanarsi da lei, ma qualcosa lo bloccò e un’espressione nuova apparve sul suo volto, la calma ne distese i tratti.
“Sì, tutto bene” rispose piano. E sorrise.

Severus provò un’indicibile fitta di invidia riconoscendo in Lupin gli effetti dello sguardo gentile di Lily.

***


“Sei triste oggi?”
“No!”
Mentiva.
“E allora perché non sorridi?”

Lo colse alla sprovvista, per qualche secondo non seppe cosa dire.
Se non era triste perché non sorrideva? La domanda era lecita. Ma la verità era che era triste e nessuna parola poteva contraddire i suoi occhi.
Proprio quella mattina aveva letto in un libro di sua madre un capitolo sugli incantesimi rallegranti. Peccato non avere una bacchetta e saperli fare, si sarebbe risparmiato quel momento di completo imbarazzo.

“Io non…”
Era difficile confessare una cosa del genere, si guardò i piedi.
“Io non sorrido… molto.”

Si sentì vuoto, percepì il suo essere defluire via. Ora che l’aveva detto non aveva più il coraggio di guardarla in faccia.
Ma cosa diavolo gli era saltato in mente?
Si sarebbe fatta beffe di lui e lui non l’avrebbe sopportato! Se fosse stato capace di scomparire nell’aria, l’avrebbe fatto immediatamente, per sempre.
Ciocche scure di capelli mossi dal vento gli carezzavano la mascella irrigidita.
Lily non parlava.

Infine Severus la guardò, alzando gli occhi e incontrando i suoi, ansioso.
Fu come se dei nodi che lo stringevano si sciogliessero e si sentì libero, leggero; un balsamo scendeva fresco sul suo capo, gli avvolgeva il corpo facendolo rinascere, leniva tutte le pene passate e future.
Si perse in quel mare verde chiaro fatto di calma e dolcezza e… sorrise.
Ma quali incantesimi rallegranti. Gli occhi di Lily erano magici senza bisogno di bacchette.

***


“Severus, allora… Ci vediamo dopo?”
Lily era ritornata sui suoi passi, nel corridioio non restavano che le sue amiche, Lupin e lui, unico Serpeverde.
Sì sentì fuori luogo e si odiò per questo.
“Sì… dopo. A dopo.”, rispose in fretta.

Gettò un ultimo sguardo a Lily e abbozzò un sorriso tirato, ma sentiva impellente la fretta di allontanarsi.
La stessa fretta che condividevano le altre bambine di Grifondoro che lo guardarono di sottecchi senza dire una parola e fecero poi quadrato attorno a Lily portandosela via.
Lupin le seguì tenendosi un po’ distante.
“Allora, sei riuscita a fare la trasfigurazione?”
“Sì, ma adesso voglio riprovare subito! E tu?”
“Uhm, no…”
“Io solo metà, non sono riuscita a togliere lo zolfo…”

Le voci delle bambine si persero su per una scala e il silenzio del corridoio parve addensarsi su Severus, rimasto solo.
Si massaggiò il collo e fece per incamminarsi, gettando distrattamente un’occhiata fuori dalla finestra.
Ricordò allora lo sguardo di Lupin e si avvicinò rapidamente al vetro.
Non vide nulla di strano, anzi da lì si poteva godere un’ampia e splendida vista sul parco della scuola, ben tenuto e punteggiato qua e là da gruppi di alberi ombrosi, l’ideale per studiare o rilassarsi nelle giornate calde.

Un solo albero si ergeva solitario e maestoso, distante e isolato da tutto, il tronco nodoso come contorto su se stesso.

Edited by Camelia. - 5/8/2013, 18:28
 
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Camelia.
view post Posted on 26/2/2013, 01:38




Ho abbandonato Severus fuori dall'aula di Trasfigurazione per davvero taaaaanto tempo!
Spero di farmi perdonare con il capitolo nuovo!

Buona lettura :)

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Capitolo 18:


Severus distolse gli occhi dalla finestra e si avviò lungo il corridoio vuoto, la voce della McGranitt giungeva attutita dalla porta spessa dell’aula. Verificato di essere solo, corse alla porta e vi si appoggiò con le mani e un orecchio, captando qualche parola su un incantesimo per trasformare gli uccelli in mammiferi e viceversa.
“Quarto anno” si disse, riconoscendo immediatamente l’argomento già ampiamente letto sui libri di Eileen.

Poi riprese a camminare lungo il corridoio, senza fretta.
Era pensieroso, procedeva lentamente, come se il suo corpo volesse assecondare un bisogno di calma e ordine del suo animo.
Era arrabbiato.
Dalla sera prima gli eventi avevano preso una piega non prevista e lui non era assolutamente pronto a gestirla. Cominciava però a stufarsi di incappare negli stessi pensieri in continuazione.
Lily era una Grifondoro, lui un Serpeverde, punto. Erano diversi, basta, doveva farsene una ragione.

“…animo nobile e puro ardimento
doti su cui far grande assegnamento…”


Così aveva detto il Cappello Parlante a proposito dei discutibili gusti di Godric Grifondoro, quando aveva dato inizio alla cerimonia dello Smistamento cantando una canzoncina. Aveva raccontato come da secoli spettasse a lui il compito di scandagliare virtù, talenti e capacità dei nuovi studenti di Hogwarts; ripensandoci, Severus ritenne che il cappello aveva dimostrato una notevole boria per essere un semplice oggetto di pezza, con più rattoppi dei calzoni di Tobias su cui Eileen con pazienza certosina perdeva la vista rammendando con ago e filo, la sera, alla luce fioca di una lampadina elettrica di bassa potenza.

“…arguzia, brama, acume e intelletto:
di Salazar Serpeverde sarai allievo diletto…”


A quelle parole un pizzicore lo aveva pervaso e aveva guardato Lily, lo ricordava bene, certo che avrebbero condiviso un destino verde-argento.
E invece…

Senza accorgesene, era giunto alla scalinata principale e si apprestava a scendere nell’atrio. Non fosse stato per la luce che entrava dalle finestre, si sarebbe detta notte: non un’anima viva si muoveva in quello spazio antico e imponente. Severus abbandonò i suoi pensieri e si affrettò verso la porta dei sotterranei; non voleva essere beccato in giro dal custode o peggio ancora incappare nuovamente in Pix.

Attraversò la sala d’ingresso e, nonostante il passo veloce ma lieve, i suoi movimenti vennero comunque amplificati in quel silenzio. Osservò per un attimo l’imponente portone che la sera prima aveva varcato con l’eccitazione che gli usciva da ogni poro e si domandò come sarebbe stato uscirne, di lì a sette anni, completamente formato come mago scolastico e pronto a tuffarsi nell’avventura della vita, dove avrebbe conosciuto maghi potenti e avrebbe potuto affinare ulteriormente le proprie conoscenze.

Suo malgrado ripensò daccapo alle “potenzialità di un certo tipo di magia” tanto ammirate dal padre di Avery. Cose che non si imparavano a scuola, non v’era dubbio.
Ma si doveva cominciare da Hogwarts, la strada verso l’uscita da quel portone era ancora lunga.

“Ciao!” disse una voce calma e gentile alle sue spalle.
Severus fece un salto, come se avesse visto un fantasma, ed in effetti… Nick-Quasi-Senza-Testa gli fluttuò accanto con un sorriso.
“C-ciao” farfugliò Severus senza pensare.
Poi si chiese imbarazzato se non sarebbe stato meglio dire “Buongiorno” e così fece.
Il fantasma parve divertito, si fermò e guardò il bambino mentre il sorriso gli si allargò ancora di più. Severus dovette ammettere a se stesso che non c’era nulla di canzonatorio in lui, pur essendo di Grifondoro il fantasma manteneva un’aria composta e gentile.
“Beh, io allora… io vado” annunciò Severus. “Nella mia sala comune” aggiunse, e si accomiatò dal fantasma con un lieve cenno della mano che voleva essere un saluto.
“Fai bene” approvò Nick-Quasi-Senza-Testa. “Anche io sto andando nella mia sala comune, mi piace la mattina del primo giorno di scuola, c’è un’aria allegra, ancora nessuno è tutto preso dallo studio, si chiacchiera, si scherza, si conoscono nuove persone… Anche lei, signor…?”
“Piton” si affrettò a rispondere Severus.
“Anche lei, signor Piton, sarà ansioso di godersi quest’atmosfera così frizzante!”
Severus non aveva pensato alla sala comune in questi termini ma fece una faccia affermativa, per non deludere il fantasma. Nick-Quasi-Senza-Testa sembrava così autenticamente convinto… pareva un bambino goloso di fronte al suo bon bon preferito e, con un ultimo “Arrivederci!” e uno svolazzo della mano guantata, il fantasma salì in aria e sparì nell’alto soffitto.
Comodo raggiungere la torre di Grifondoro a quel modo, pensò Severus, prendendo mentalmente nota di raccontarlo a Lily. Lo avrebbe sicuramente trovato divertente.
“Arrivederci” mormorò a sua volta, mentre i piedi perlacei di Nick svanivano nella pietra.

Raggiunse la porta dei sotterranei e l’aria più fredda che lo colpì gli fece tornare alla mente i pensieri su cui aveva indugiato prima di incontrare il fantasma. Pensieri di grandezza e potenza, di magia “altra”, di magia “oltre”; pensieri che gli gonfiavano qualcosa dentro, infiammandolo di desiderio e voglia di imparare di più, sempre di più. Il ricordo della biblioteca con gli scaffali che traboccavano di sapienza gli fece brillare gli occhi.
Quando si chiuse la porta alle spalle, Severus respirò a fondo l’odore fresco e umido delle pareti e suo malgrado sorrise di soddisfazione.

Certi giorni proprio non aveva retto il mondo babbano, casa sua, la scuola del quartiere e soprattutto le persone che popolavano quei luoghi.
Lo confortava e gli dava forza soltanto il pensiero che ogni giorno che passava era un giorno in meno per Hogwarts.
Aveva letto tutti i libri di sua madre. Aveva rivissuto nella mente tutti i suoi racconti sulla scuola di magia. Aveva spiegato a Lily tutto quello che sapeva, beandosi del fatto di poterlo condividere con qualcuno. L’unica cosa che doveva fare era solamente far passare il tempo cercando di ricevere meno danno possibile dal mondo babbano.

Seguì il percorso verso la sala comune quasi senza accorgesene, immerso nelle sue riflessioni. Si sentiva euforico all’idea di aver lasciato Spinner’s End: quella sera avrebbe cenato su piatti eleganti, stracolmi di cibo (non che gli interessasse troppo il cibo, era solo una soddisfazione sapere che ce n’era a volontà), la sala sarebbe stata illuminata a giorno da migliaia di candele sospese (altro che miseri 40 watt di lampadine opache di polvere) e soprattutto… non ci sarebbe stato Tobias. Anzi, se suo padre si fosse messo in testa di venirlo a cercare, per il puro gusto di sottrarlo a una felicità senza confini, non sarebbe riuscito ad avvicinarsi al castello, perché non avrebbe neppure potuto vederlo.
Hogwarts era per Severus una specie di immenso mantello dell’invisibilità, solido come la pietra, inattaccabile. Questo pensiero lo fece gioire selvaggiamente, l’idea di inibire le velleità paterne era grandiosa.

Fu sottratto ai suoi pensieri quando udì qualcuno parlare a voce alta. Non capì cosa diceva, ma il tono era allegro e giungeva attutito al suo orecchio. Svoltò in un corridoio attiguo e si accorse subito che la luce era più forte: su ogni sostegno di ferro c’erano due torce. Guardandosi intorno, notò che diverse porte di legno spesso portavano delle targhette ed erano tutte dotate di maniglie e serrature, segno che erano accessibili a qualunque Casa, anche se solo in determinati orari e occasioni.
Si avvicinò per leggere.
“Laboratorio”, “Dispensa Studenti”, “Magazzino”, “Sala Distillazione”… Per la barba di Merlino, stava attraversando il Dipartimento di Pozioni!
Una scossa elettrica lo attraversò. Allora la voce che sentiva apparteneva al professor Lumacorno, l’aula per le lezioni era a un passo! E difatti, sull’altro lato del corridoio, una porta più alta e larga portava la targhetta “Aula – Pozioni”.
Era la seconda volta nel giro di pochi minuti che si trovava ad ascoltare una lezione in corso; si avvicinò e posò l’orecchio con cautela, non gli sarebbe piaciuto essere beccato ad origliare.

Qualcuno aveva sbagliato a versare un ingrediente nel calderone e Lumacorno lo stava sgridando, anche se bonariamente.
“…e se si gettano nella pozione zanne di serpente triturate male e per di più senza aspettare il bollore… questi sono i risultati! Esigo più precisione da voi… perché vedete, ragazzi miei, errori del genere non possono assolutamente essere possibili. Vi ricordo che siete nell’anno del G.U.F.O. e mancare un G.U.F.O. in Pozioni potrebbe chiudervi parecchie porte in futuro. Quindi, signor Tiger, la prego di ricominciare da zero. Su, su!”
Nel silenzio che seguì (Severus immaginò gli studenti chini e concentrati sui propri paioli), gli unici rumori furono quelli dei mestoli che raspavano il fondo dei calderoni o che tintinnavano contro i bordi e il blop blop delle pozioni, che si fece via via più intenso: ormai tutti i filtri stavano bollendo e ben presto un fsssssssssss sibilante annunciò a Piton che gli alunni stavano via via aggiungendo le zanne di serpente.
Si chiese che pozione stessero preparando. Le zanne di serpente erano un ingrediente assai comune, lui stesso ne aveva un po’ nel suo baule, residui scolastici di sua madre.

***



Eileen lo aveva rassicurato che anche se decisamente vecchiotte, le zanne di serpente non andavano a male e che comunque per le pozioni del primo anno poteva rifornirsi dalla dispensa comune.
Severus ci era rimasto male, anche se non era stata una sorpresa sentirselo dire: quasi tutto il suo corredo scolastico era appartenuto alla madre, divisa compresa, e l’unico acquisto a Diagon Alley era stata la bacchetta. Costosa, molto costosa; nonostante galeoni e zellini e falci non fossero monete che avesse mai usato, la bocca di Eileen aveva tremato quando Olivander ne aveva detto il prezzo.

Ora capiva l’espressione di sua madre quando pochi minuti prima aveva cambiato del denaro babbano alla Gringott.
La banca dei maghi, un posto stupefacente, grandioso.
Eileen però sembrava non curarsi della magnificenza dei marmi e della hall: appena entrata si era recata il più velocemente possibile ad uno sportello libero; Severus era troppo preso a guardare a bocca aperta ogni angolo della banca, dai pavimenti lustri come specchi al soffitto carico di lampadari di cristallo e non si accorse del disagio di sua madre che continuava nervosa a rassettarsi la veste, linda e pulita, ma inequivocabilmente umile.

Quando però Eileen aveva tirato fuori parecchie sterline e diversi penny, Severus l’aveva guardata. Era una somma ragguardevole e lui non aveva mai visto tanto denaro assieme.
Si chiese come avesse fatto sua madre a portarlo via sotto il naso di Tobias. Quello che Tobias non si scolava in qualche bettola era a malapena sufficiente a mettere insieme il pranzo con la cena e spesso nemmeno quello.

Fu allora che Severus ricordò un fatto accaduto pochi mesi prima e ne comprese il reale significato.

Un pomeriggio era rincasato prima del solito, Lily non si era fermata molto al parco e per di più aveva anche iniziato a piovigginare. Normalmente Severus se ne sarebbe infischiato, ma quel giorno al parco era venuta anche Petunia e così lui si era innervosito e prima di rendersene conto stava tornando a casa, calciando sassi e con le mani sprofondate nelle tasche troppo grandi del suo cappotto fuori misura.

Abituato a fare meno rumore possibile in casa per timore delle sfuriate di Tobias, era rientrato silenziosamente e si era diretto in camera sua. Passando davanti alla stanza dei suoi genitori si sorprese di trovarci dentro sua madre; Eileen cercava di tenersi il più lontano possibile da quella stanza, uscendone presto al mattino dopo averla rassettata e tornandoci il più tardi possibile la sera, nella speranza di trovare il marito profondamente addormentato.

“Che cosa fai?” aveva chiesto all’improvviso una voce dura alle spalle di Severus. Tobias era salito anche lui e, come il figlio, fissava Eileen.
Lei aveva sobbalzato e aveva risposto rapida:
“Nulla, mi era caduta una forcina.”
E la mostrò, prima di riporla dentro una scatolina di legno sul comodino scheggiato.
“La forcina…” aveva bofonchiato Tobias. “Non hai ancora sistemato la spesa e tra un po' è ora di cena, non te ne sei accorta?” abbaiò, rude.
“Sì! Sì, hai ragione, scendo subito!”

Eileen era scesa in cucina, seguita dal marito accigliato, e Severus, preso dalla curiosità, si era intrufolato nella stanza. Non sapeva perché lo stava facendo, non era solito entrare nella camera dei genitori e provò la sensazione che si prova quando si mette piede in un luogo nuovo e sconosciuto.

Andò al comodino e aprì la scatolina di legno. Sebbene vecchiotta, era graziosa, con intarsi scuri che formavano il disegno geometrico di un serpentello. Forse era stata un regalo di chissà chi, dimenticato nella giovinezza perduta di Eileen. Severus l’aprì e rimase deluso: conteneva davvero delle forcine, banalissime forcine. L’unica particolarità era che erano allineate con molta cura.
Ben presto Severus aveva dimenticato la scatolina e il suo contenuto, fino al giorno del viaggio a Diagon Alley. Eccitatissimo, non era quasi riuscito a dormire la sera prima e al mattino era balzato in piedi dal letto, incapace di starci un secondo di più. Sua madre non aveva dato segni che quella giornata sarebbe stata diversa dal solito: i suoi gesti stanchi e l’espressione rassegnata erano gli stessi di ogni giorno della sua triste vita a Spinner’s End.

Severus non aveva praticamente fatto colazione tanta era l’ansia di partire, e fu pronto ben prima di sua madre. Forse Eileen avrebbe preferito che il marito uscisse di casa prima di loro, ma Tobias quel giorno pareva farlo apposta a ciondolare in giro. Andava avanti e indietro seguendo la moglie qualunque cosa facesse e scoccava occhiate torve al figlio. Ad un certo punto Severus provò una fitta allo stomaco al pensiero che suo padre forse voleva impedirgli di andare a comprare la bacchetta. Il nervosismo di Tobias montava ogni minuto di più e l’odio che emanavano i suoi sguardi sempre più cattivi faceva paura; era come un animale feroce chiuso in gabbia.
“Siete della stessa razza, voi due” aveva sentenziato infine, spingendo la moglie oltre la soglia della loro camera.

Il rancore ostile di quelle poche parole aveva fatto temere a Severus il peggio, oltre al pericolo di una scenata come quella della settimana prima, quando Eileen a cena aveva raccolto il coraggio e aveva annunciato al marito che di lì a pochi giorni avrebbe portato Severus a “comprare una cosa per la scuola”.
Non aveva detto “a comprare la bacchetta”, per non urtare la fragilissima soglia di sopportazione del marito nei confronti della magia, ma non era servito a molto e la gioia di Severus era stata immediatamente spenta dalle urla di Tobias sull’inutilità di certe spese, sullo sperpero di denaro prezioso e via dicendo, in un crescendo di improperi e insulti.

Severus guardò suo padre e, come sempre accadeva, Tobias si sentì a disagio nel suo profondo, anche se dissimulò il tutto sotto la solita espressione di disprezzo.
“Vedi di non farmi aspettare per la cena” sibilò l’uomo alla moglie, spingendole il viso con la mano aperta e facendola cadere seduta sul letto. Poi scese le scale facendo bene attenzione a non guardare il figlio. Fu un sollievo sentir chiudere il portone d’ingresso.
“Allora… sei pronto?” disse Eileen con voce inespressiva.
“Sì!” rispose Severus, non osando varcare la porta della stanza.
Eileen si alzò, si diresse al comodino e prese in fretta qualcosa. Mentre usciva, Severus notò che lo infilava in tasca.

Fu quando si trovarono davanti al folletto della Gringott che Severus finalmente capì.
Eileen aveva estratto dalla tasca la scatolina di legno col serpentello e la sorpresa di Severus si trasformò immediatamente in autentico stupore quando la madre la aprì e ne tirò fuori… denaro. Denaro babbano, poche banconote piegate con cura e molte monete, divise per valore.
Allora Severus comprese.
Un soldo dopo l’altro, erano anni che Eileen risparmiava, probabilmente dal giorno dopo in cui si era manifestata nel figlio la presenza di magia. Quel piccolo capitale era il frutto di sacrifici e sotterfugi… sua madre aveva messo da parte un penny dopo l’altro, con costanza, e aveva pensato bene di trasfigurare il denaro nell’oggetto più banale che le era venuto in mente, le sue forcine. Tobias non aveva mai sospettato niente.
Quella rivelazione colpì Severus come una secchiata di acqua gelida. L’aveva fatto per lui. Aveva messo da parte un soldo dopo l’altro solo per quel momento, solo per suo figlio, per comprargli una bacchetta tutta per lui.

Una mano dalle lunghissime e brutte dita si allungò su quel tesoro, toccandolo con la noncurante indifferenza di chi non poteva sapere quanto era costato. Il folletto contò meticolosamente il denaro e lo mise via, mettendo poi sul bancone di marmo alcune splendide monete d’oro, altre d’argento e una manciata di monetine di bronzo. Eileen aveva preso tutto senza tradire alcuna emozione e aveva ringraziato il folletto senza guardarlo. Severus avrebbe voluto dire qualcosa, ma non gli uscì una sola parola.

Quando sua madre aveva pagato Olivander, solo quattro monetine di bronzo erano rimaste nella sua mano. Severus osservava il tremito della labbra di Eileen e intanto si stringeva al petto la sua bacchetta nuova nuova, contro il cuore che batteva tanto forte che sembrava voler uscire dalle costole.

Tutto il denaro era stato speso per quella bacchetta.

Per strada si era quindi dovuto accontentare di gettare occhiate a destra e a sinistra nella speranza di acchiappare quanti più particolari possibili dei numerosi negozi le cui vetrine allettanti di meraviglie gli erano prescluse.
“Possiamo guardare un attimo?” Severus quasi implorava, ma Eileen non soltanto non si fermava, ma aveva pure il passo veloce: apparentemente immune al richiamo irresistibile di tutti quegli oggetti, quegli odori e quei suoni che Severus cercava avidamente di far suoi, procedeva spedita, tenendo il figlio per mano, come se avesse paura di perderlo tra la gente. Spesso doveva tirarlo perché Severus si incantava e rallentava senza rendersene conto.
A vederli offrivano uno spettacolo strano, entrambi magri, scuri e un po’ dimessi, lei che continuava a camminare fendendo la folla e guardando in avanti un punto fisso, lui che invece si faceva tirare come un bimbetto con la testa perennemente voltata all’indietro.
Ad un certo punto Severus si era visto riflesso nella vetrina spaziosa de “Il Ghirigoro”, una libreria che pareva fornitissima e che aveva solleticato la sua già sovraeccitata attenzione. La vista di se stesso e del braccio di Eileen che lo tirava l’aveva fatto vergognare; veloce, si era rimesso al passo con sua madre e da quel momento si era costretto a camminare con lo sguardo a terra.

Si era sentito a disagio e si era calmato solo sul trenino che li aveva riportati a poche fermate d’autobus di distanza da Spinner’s End. Non aveva più scambiato una sola parola con sua madre fino a sera inoltrata, quando Eileen aveva fatto una cosa che non faceva da anni: prima di strisciare in camera sua aveva socchiuso piano la porta della stanza di Severus. Lui non dormiva, troppo preso dai ricordi di quell’ora coloratissima passata a Diagon Alley; sorpreso, sentì che ora doveva davvero dire qualcosa.
“Grazie... mamma” aveva detto sottovoce nel buio.
“Prego, Severus” aveva risposto lei, in un sospiro appena udibile, richiudendo la porta.

***



Un fischio acuto lo riportò nel corridoio del sotterraneo.
Pensò che avrebbe dovuto dare un sacco di spiegazioni ad Avery e Mulciber se avesse ancora tardato il suo ritorno alla sala comune e, anche se a malincuore, si allontanò dall’aula di Pozioni dentro cui i fischi si moltiplicavano. Forse i ragazzi stavano preparando il filtro Anti-otturazione, utile per i casi di raffreddore particolarmente violento. Nel libro di Eileen c’era un’illustrazione particolarmente buffa degli effetti collaterali di quella pozione, che causava la fuoriuscita di vapore dalle orecchie.

Supremazia” mormorò Severus giunto alla parete liscia e il muro scivolò di lato.
La sala comune era quasi vuota ma, nonostante questo, affatto silenziosa. Non ci fu bisogno di cercare la fonte del rumore crepitante che riempiva l’ambiente, Severus ci avrebbe scommesso che Avery e Mulciber non stavano impiegando quell’ora libera per studiare.
Infatti giocavano a Spara Schiocco, sotto gli sguardi divertiti di altri bambini del primo anno e quelli più rigidi di un gruppetto del sesto, seduto a un tavolo in fondo. Era chiaro che questi tolleravano l’esuberanza delle matricole solo perché era il primo giorno.
“Ah, eccoti Piton!” lo accolse Mulciber, mentre evitava un attacco di Avery facendosi scudo dello schienale di una poltrona.
Tutti si voltarono o alzarono lo sguardo sul bambino appena entrato.
“Meno male che sei arrivato, adesso posso anche bruciare la poltrona, tanto ci pensi tu a spegnerla!”
E uno scoppio più violento degli altri illuminò di scintille rosso vivo il bagliore verdino della sala.

Un paio di ragazzi del sesto anno si sussurrarono qualcosa all’orecchio.

Severus era combattuto tra il fastidio e un sottile compiacimento, ma non diede al compagno la soddisfazione di rispondergli. Voleva studiare e si diresse al dormitorio, sentendosi molti sguardi addosso. Fu tentato dalla pace del corridoio e della sua camera, ma il pensiero che i compagni avrebbero potuto trascinarlo nella sala comune gli parve decisamente possibile e non gli piacque neanche un po’.
Quando ritornò con un libro sotto il braccio, Avery si stava rassettando la veste, mentre Mulciber ansimava a terra.

Si sedette in una poltrona isolata, vicino ad un camino. Nessuno dei suoi compagni aveva intenzione di ripassare la lezione di Trasfigurazione, ora stavano tutti intorno ad Avery che -casualmente- aveva lasciato scivolare fuori da una tasca una fotografia del suo castello. Una bambina dall’aspetto cattivo si fece tutta cinguettante e cominciò a subissare Avery di domande, nella trepida speranza di essere un giorno invitata in quella dimora.
Che avessero undici anni o più, le ragazze non pensavano ad altro?
A Severus ricordò sgradevolmente l’ammirazione di Petunia Evans per le ricchezze e le comodità della sua amica Betty. Senza farsi notare sbirciò la compagna con un occhio al di sopra delle pagine del libro e quei denti cavallini rafforzarono in lui la sensazione di trovarsi di fronte alla sorella di Lily. Contrasse le dita sul volume dalle pagine ingiallite e tornò a leggere.
In realtà non avrebbe avuto bisogno di farlo, conosceva quel capitolo ed era stato attento in classe, ma un innato senso di precisione e metodo si impossessava di lui quando si trattava di studiare, perfino in una stanza dominata dalle chiacchiere chiassose dei compagni.

Tirò fuori dalla tasca il fiammifero della McGranitt e lo posò su un basso tavolino quadrato di fronte a lui. Non staccò gli occhi dal fiammifero mentre estraeva la bacchetta dalla veste. Nella sua mente stava ripassando parola per parola il procedimento di trasfigurazione, i diagrammi della professoressa, la formula dell’incantesimo.
“Scalpius” mormorò, con un preciso movimento della bacchetta. Uno stuzzicadenti apparve nel tempo di un battito di ciglia.
Bene, ora il contrario.
Severus non sentiva un solo rumore intorno a sé, era come se avesse le orecchie imbottite di ovatta. Si concentrò.
“Ce-ri-nus” scandì.

“Ottimo lavoro” fece una voce di fianco a lui.
Severus sobbalzò e accanto alla sua poltrona vide un giovane alto, dall’aspetto curatissimo e con uno sguardo molto penetrante. Temette di aver dato spettacolo e si chiese se non sarebbe stato meglio esercitarsi tra le mura del suo dormitorio, ma il ragazzo non aveva avuto un tono canzonatorio quando gli aveva rivolto la parola.
Si era avvicinato così silenziosamente che Severus non ne aveva percepito la presenza fino a che non aveva parlato.
“Yaxley” si presentò il giovane, allungando una mano.
“Piton” rispose Severus, affrettandosi a stringergliela.
Il ragazzo avvicinò una poltrona con un pigro colpo di bacchetta e si sedette, le gambe magre calzate in lucidissimi stivali e gli indici uniti sulle labbra sottili.
Scrutava Severus con qualcosa di più che curiosità.

“Ho sentito che sai fare magie avanzate” esordì, senza preamboli.
“Beh, io…”
Qualcosa in quello sguardo non gli piaceva. Era molto calcolatore sotto l’apparente gentilezza.
“E’ che ieri sera ha preso fuoco il tappeto nella nostra stanza… la stanza dove dormiamo io, Avery e Mulciber…”
“Ah sì” fece Yaxley e lanciò un’occhiata al gruppetto del primo anno ancora tutto preso in chiacchiere sul castello di Avery che ora stava intrattenendo i compagni raccontando di come suo padre aveva punito un turista babbano che aveva osato bussare alla loro porta chiedendo di poter visitare la dimora.
“Li conosco. Famiglie di tutto rispetto.”
Una piega beffarda gli incurvò un labbro. Poi tornò a fissare Severus.
“Ecco io…”
Era difficile non sentirsi intimiditi sotto lo sguardo di ghiaccio di Yaxley, ma Severus reagì.
“…io ho semplicemente usato un incantesimo Spegnifiamma.”
“Chi te l’ha insegnato?”
“Nessuno! Voglio dire, sapevo come si fa e… e ho visto mia madre usarlo, una volta.”
Da uno sguardo che Yaxley lanciò all’indietro, Severus realizzò che altri ragazzi del sesto anno stavano seguendo la scena e che anzi Yaxley era stato mandato apposta per interrogarlo sui fatti della sera prima.
“Davvero notevole, per uno come te.”

Severus arrossì.
Aveva una mezza idea sui mille significati -tutti sgradevoli- che poteva avere quella frase apparentemente innocua. Yaxley lo fissava, totalmente a suo agio.
“Sai… Piton, giusto?”
Severus annuì, sulle spine. Non capiva dove il ragazzo volesse andare a parare.
“Sai, Piton, di maghi in gamba c’è gran bisogno.”
Yaxley arricciava le labbra mentre parlava, sempre tenendoci contro gli indici.
“La magia ci rende superiori, capisci? Sei nella Casa giusta per imparare quanto questo sia importante.”
Severus dovette fare un’involontaria espressione di curiosità, perché Yaxley soggiunse, avvicinandosi di più:
“A Serpeverde si tengono in gran conto le capacità e i talenti di un mago. Non si accettano scartine qui, né ci interessano i… cuori di leone.”
Ridacchiò e Severus udì fare altrettanto anche i suoi compagni dietro di loro. Non era difficile capire che il riferimento era alla Casa di Grifondoro. Dal momento che anche lui condivideva quel giudizio, d’istinto Severus disse:
“Sì!”
Ci fu un ardore particolare nel modo in cui parlò e Yaxley ne fu molto soddisfatto.
“A noi piacciono i maghi in gamba… quelli di grande potere.”

Severus alzò gli occhi sul volto del giovane.
Allora, non gli importava che fosse un mezzosangue? Che suo padre fosse un babbano? Quel ragazzo era di certo un purosangue e pure ricco, a giudicare da come era vestito e da quella eleganza noncurante che trasudava da ogni suo gesto. Guardava il fuoco nel camino col capo mollemente piegato.
“Mi hanno detto che hai già letto i libri di scuola…” sparò Yaxley all’improvviso dopo una lunga pausa.
“Sì” rispose Severus, tornando guardingo.
“E dicono che hai letto anche quelli degli anni successivi.”
“Sì…”
Yaxley lo fissava.
“Erano di mia madre. Mi piaceva guardarli e così quando poi ho imparato a leggere, io…”
“Li guardavi prima ancora di saper leggere?”
Severus guardò il ragazzo dritto negli occhi e deglutì.
“Sì.”
Questa volta Yaxley non potè nascondere un’espressione incredula e si voltò verso i compagni del sesto anno.
Severus era combattuto tra la voglia di sentisi così al centro dell’ammirazione, per quanto sconcertata, e il desiderio di tornarsene per i fatti suoi. Decise che ne aveva abbastanza.
“Se a te non dispiace, io vorrei… ripassare l’incantesimo, adesso. Dobbiamo impararlo per giovedì.”
“Non lo conosci già?” lo canzonò Yaxley, colpito tuttavia dall’abnegazione del bambino.
“Non mi va di non provare. Penso che bisogna sempre esercitarsi!” rispose veloce Severus e non c’era falsa modestia nelle sue parole, bensì un’autentica convinzione.
“Oh! Allora ti lascio alle tue prove!” proclamò Yaxley dandosi una manata sulle cosce e alzandosi dalla poltrona.
“Sei un ragazzino… interessante” soggiunse poi, senza guardarlo più e tornando dagli amici.

Severus li sentì confabulare, ma non si sforzò di sentire che dicevano. Anche se sperava che stessero parlando bene di lui, voleva davvero concentrarsi sull’incantesimo del fiammifero. Voleva essere interrogato dalla McGrannit alla prossima lezione e produrre due incantesimi assolutamente perfetti. Alla faccia di Potter e Black.
Ringalluzzito da quella conversazione tuttavia, non potè impedirsi di ripensarci e l’idea di essere un mago prescelto per la propria abilità lo fece sentire importante. Un sentimento del tutto nuovo per lui. Solo ad Hogwarts era stato possibile.

Una voce rossa come una morbida onda di capelli e che profumava di parco babbano gli disse da lontano che no, c’erano state altre volte in cui qualcuno… qualcunA, lo aveva fatto sentire importante. Ma durò il tempo di un lampo e fu presto tacitata e riassorbita nella luce verde della sala comune.
“Scalpius!” pensò tra sé, muovendo la bacchetta.
Non accadde nulla.
“Scalpius!” pensò ancora.
“Scalpius!”
“Scalpius!”
“Scalpius!”
La bacchetta si muoveva con precisione, ma l’incantesimo non sortiva alcun effetto.

“Ma daaaai, ma stai provando a fare un incantesimo non verbale?” esclamò la voce così poco discreta di Mulciber.
Severus gli avrebbe volentieri spaccato la faccia, ma si mantenne composto e scelse di buttarla sul ridere, sentendosi gli sguardi dei ragazzi del sesto anno addosso.
“Beh, ci ho provato. Tanto prima o poi dovremo farlo, no?”
“Sì, ma p-o-i!” ribatté Mulciber, gli occhi spalancati.
Lo guardò con una specie di comica rassegnazione.
“Bah, quanto sei secchione!”
“Dovresti provare a esercitarti anche tu” replicò Severus con calma.
“Ma vaaa, questa roba è per giovedì. E se la McGranitt mi fa storie, le faccio spuntare due corna da alce su quella testa rinsecchita, uhhhh!!!”
E mimando la presenza di un palco di corna sulla testa, si diresse al galoppo contro Avery, per il divertimento di quelli del primo anno.
“Dai Piton, facciamoci una partita a Spara Schiocco tutti insieme!” lo invitò poi con ampi gesti del braccio.
Certo che non lo avrebbero lasciato in pace se si fosse rifiutato, Severus alzò la voce per rispondere:
“Finisco qui e poi vengo.”
Mulciber scosse il capo, ma si tuffò subito nella partita, ricominciando a riempire la sala della sue urla eccitate.
“Promesso eh?” gridò.
“Sì… sì.”

Severus stette per qualche secondo a guardare i compagni. Scalmanati, giravano attorno ai tavoli e alle poltrone.
Gli tornarono alla mente i bambini babbani del parco: quelle urla, quei salti, quell’eccitazione irrefrenabile… davvero sì, era come ritrovarsi di nuovo al parco, anche se i bambini qui indossavano una divisa e non c’erano né scivoli, né altalene nel bagliore delle scintille…
Scintille? Un piacere perverso invase Severus. Nessun bambino babbano avrebbe mai potuto giocare a Spara Schiocco. Al massimo potevano tirarsi un pallone di plastica.
I bambini babbani non erano come loro. Non erano in gamba, né di grande potere. Non erano come lui.

“Scalpius” sussurrò. E il fiammifero tornò stuzzicadenti.

Edited by Camelia. - 6/8/2013, 23:58
 
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Camelia.
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Capitolo 19:


Severus tese le orecchie per capire cosa stavano facendo i compagni senza dover alzare la testa e guardarli. Si finse profondamente concentrato sul suo stuzzicadenti e chinò la testa sul tavolino; voleva ritardare il più possibile il momento di unirsi ad Avery e Mulciber nella loro chiassosa partita a Spara-Schiocco.
Ripensò alla lezione con la McGranitt e si perse a ricordare quanto era stato bello venir elogiati e prendere perfino un punto per la propria Casa. Chissà quanti punti aveva Serpeverde dopo solo mezza giornata? Entro fine settimana voleva guadagnarne molti altri!
Guardò i compagni che giocavano e si sorprese del fatto che non desiderava unirsi a loro.

***



“Ma dai, davvero non hai mai giocato con la corda?!”
Lily era sinceramente stupita.
Severus si sentì a disagio e capì che non sarebbe stato così imbarazzante se non ci fosse stata anche Petunia presente; percepì il suo sguardo sprezzante ma non ebbe tempo di guardarla male a sua volta perché Lily gli aveva già infilato la sua corda tra le dita.
Sentì il calore delle mani di lei sulle maniglie di legno colorato.
“Ecco, mettila così… dietro… bravo. E adesso falla venire in avanti e quando arriva ai tuoi piedi… salta!” gli spiegò Lily tutta eccitata.
Petunia si era fermata, a quanto pareva per attendere di veder Piton fallire.
Severus si sforzò con tutto se stesso di ignorare quella fastidiosissima presenza babbana e si concentrò, le ginocchia leggermente piegate, tutto teso nell’ansia di poter sbagliare.
Sbagliò.
La corda si impigliò tra i suoi piedi, il salto non riuscì e lui si sbilanciò in avanti. Quel maledetto cappotto!

Sentì Petunia soffocare un verso maligno e sfilare accanto a loro con finta noncuranza, saltellando perfettamente la sua corda; pareva gioire nell’intimo nel constatare che un semplice gioco “babbano” metteva in difficoltà il bambino-mago.
Questo fece infuriare Severus, ma Lily era troppo intenta a riposizionare l’amico per rendersi conto della guerra silenziosa che era in corso tra lui e sua sorella.

“E’ sempre così le prime volte… devi solo provare ancora… ecco, tieni i piedi un po’ più separati… stai mollo… sei troppo rigido… così… dai riprova!”
La bambina non smetteva di chiacchierare, girando attorno a Severus, tutta presa in quel che stava facendo. Mimò davanti a lui il movimento del salto.
Severus desiderò potersi togliere il cappotto ma davanti a Petunia era una cosa troppo imbarazzante, fosse stato da solo con Lily avrebbe al massimo provato un po’ di vergogna per lo stato dei suoi vestiti, ma lei non badava a queste cose e non ci sarebbe stato nessun problema.
Ma con Petunia… Ah, quanto le piaceva fargli sapere anche solo con una muta occhiata quanto disprezzava i suoi poveri vestiti! Era una cosa contro cui Severus non poteva nulla e Petunia quindi non perdeva mai l’occasione di esercitare quell’unico potere che aveva su quel ragazzino.
No… Severus non poteva togliersi il cappotto, anche se lo stava facendo sudare e soffocare, per non parlare di quanto lo impacciasse.

La corda ruotò sopra di lui. Un piede e subito l’altro, rapidamente…
“Bravissimo! Hai visto che ce l’hai fatta? Non è difficile, no?!” Lily batteva le mani.
Auff… ci era riuscito. Si costrinse a non voltarsi per guardare la reazione di Petunia.
“Prova con i piedi uniti adesso, dai!”
Piton stese le braccia appesantite dal cappotto e… oooplà! Ooooplà… olpà, olpà! Il tonfo di ogni atterraggio sull’erba era una risposta ai saltelli perfettamente coordinati di Petunia.
La sentì allontanarsi e abbandonare la corda sul prato, indispettita.

“Posso usarla io?” le chiese Lily a voce alta.
“Fai quello che ti pare!!” strillò di rimando Petunia, senza guardarla, mentre correva giù dalla collinetta erbosa, verso lo spiazzo delle altalene.
“Dai, saltiamo insieme!” propose Lily, la corda della sorella già in mano.
Severus giudicò la distanza con Petunia sufficiente per osare togliersi il cappotto. Quel giorno la camicia di nylon che indossava era appena poco più abbondante della sua taglia, ma aveva un colore orrendo, una fantasia di ghirigori color senape e puntolini mattone su un fondo verde acido. Il colletto dalle lunghe punte esasperava la magrezza del mento affilato del bambino, incorniciato dalle solite bande lisce di capelli un po’ troppo lunghi e unti.
“Pronto?”
“Sì.”
E saltò e saltò e saltò assieme a Lily, senza però riuscire a divertirsi come avrebbe potuto se fossero stati soli. Petunia si era esclusa dalla loro compagnia, ma il suo atteggiamento ostile investiva Piton a ondate, escludendo anche lui dalla perfezione del momento con Lily.
La ragazzina li osservava con odio seduta sull’altalena, i sandali che raspavano nervosi della ghiaia, la bocca incurvata in una piega di disprezzo, giudicando i progressi di Piton. Severus ebbe la certezza che se lui avesse preso in mano la corda di Petunia, lei non l’avrebbe più toccata neppure con la punta delle scarpe.

***



Provò quella stessa sensazione di partecipazione distante quando non poté più esimersi dal giocare con Avery e Mulciber.
Pur agile nei suoi movimenti, una certa rigidità traspariva nell’insieme, tradendo qualcosa che non era solamente poca voglia di abbassarsi al livello dei compagni, ma addirittura insofferenza. Lo infastidiva comportarsi come una chiassosa matricola di fronte agli sguardi severi e calcolatori dei ragazzi più grandi. Perché lo stavano osservando, lo sapeva bene.
Tuttavia Severus recitò la sua parte e lasciò pure che Mulciber vincesse; aveva capito che era meglio mantere un equilibrio in quella compagnia che non si era scelto e se lui avrebbe primeggiato a scuola era in qualche modo “giusto” che anche gli altri due godessero di un contentino.
“Uhhhhhh! Sono il migliore!!” saltellava Mulciber, i capelli appiccicati sulla fronte per il sudore.

Era quasi ora di pranzo e già qualcuno dei ragazzi si era mosso verso la porta d’uscita, mentre le ragazze erano quasi tutte svicolate nei dormitori, sicuramente per pettinarsi davanti a uno specchio. Uscirono di nuovo nella sala comune a gruppetti o a coppie, cianciando sottovoce e ridacchiando come oche.
Yaxley si preparò ad uscire con i suoi amici e si fermò a pochi passi da Mulciber, apparentemente per caso; si sistemò con intenzione i polsini della divisa, rassettò le pieghe e lisciò il colletto, con movimenti misurati. Severus capì al volo e con un moto involontario prese a controllare di essere in ordine. Perfino Mulciber capì e con stupore di Severus infilò la porta dei dormitori.
“Arrivo subito, aspettatemi voi due!” disse in fretta.

Yaxley non li guardava, ma Severus notò una piega di trionfo increspargli l’angolo della bocca. Silenziosamente Piton tornò al tavolino, si mise lo stuzzicadenti in tasca e prese in mano il libro con inconsapevole delicatezza. Provava da sempre un che di religioso nei confronti dei libri di Eileen, fin dalla prima volta che li aveva toccati.

***



“Sono un mago.”
Fu il primo pensiero dopo quella notte che aveva rivoluzionato il suo destino; per la prima volta nella sua brevissima vita riemerse dal sonno e tornò alla coscienza con un sentimento diverso dalla tristezza targata Spinner’s End.
Ripeté quella frase più volte, stringendo i pugni sotto il lenzuolo. Non aveva sognato… era successo per davvero? Vero?
Strinse le palpebre e si sforzò di ripercorrere mentalmente ogni dettaglio della sera precedente, urla di Tobias comprese. Rivide sua madre ansante, a terra sul pavimento squallido della cucina. La sedia poco lontano, la sedia rovesciata, la sedia che “si tirava su”. Sorrise.
Era successo.

Aprì gli occhi e la vista dei muri spogli e macchiati di umido della sua cameretta portò con sé una domanda: “Sarà già uscito?”
Braccia e gambe si irrigidirono, il sorriso si raffreddò, un brivido lo attraversò da capo a piedi. Tese le orecchie, concentrandosi.
Eileen stava spazzando la cucina, Tobias doveva essere già fuori.
Con uno scatto balzò fuori dal letto, si infilò sopra il pigiama un lunghissimo e vecchio cardigan qua e là rattoppato con fili di colori diversi; gli copriva quasi completamente le gambine magre, le maniche pendevano flosce e larghe lungo i fianchi. Anche le pantofole che infilò ai piedi erano troppo grandi e vecchie. Ma non importava, scese le scale aggrappato alla ringhiera scrostata, con tutta la velocità che poteva, impedito com’era.
Quando sbucò in cucina, Eileen si fermò.

Madre e figlio si guardarono, l’uno per chiedere conferme, l’altra un po’ spaventata. Bastò l’atteggiamento guardingo di Eileen per far avere a Severus la conferma definitiva che non aveva sognato.
Voleva mettersi a saltellare e perfino gettarsi al collo della donna, ma non fece nessuna delle due cose.
“Severus?...”
“Mamma…”
Si studiarono in silenzio.
Poi Severus non poté più trattanersi.
“Cosa facciamo?”
Eileen lo guardò.
Severus era così piccolo e magro e pallido… Ma un guizzo, una piccola fiammella si accese dentro di lei. Era orgogliosa. Suo figlio era un mago.
Spostò lo sguardo sui suoi capelli lisci così scuri, così simili ai suoi. Sul naso, pronunciato. Sulla forma del viso, piccolo, sfilato, con le guance scarne. Non c’era niente di Tobias in lui, né fuori né dentro.
Un lieve sorriso crepò la sua solita espressione vuota.
Appoggiò la scopa al muro, accese il fuoco sotto il pentolino del latte e posò una tazza sul tavolo. Agì con lentezza, come per prendersi il tempo necessario di pensare, di scegliere le parole migliori da dire. Slacciò il grembiule e lo posò sullo schienale di una sedia, poi girò attorno al tavolo e si avvicinò al bambino.
Fu sorprendente.
Una mano leggera si posò su quella testa nera e vi indugiò qualche secondo prima di scivolare lungo il viso di Severus. Era una mano rovinata e un po’ ruvida, ma fu così… bello.
Al bambino mancò il fiato.
Eileen si accucciò davanti al figlio e i loro occhi neri si incontrarono alla stessa altezza, comunicandosi cose che le loro bocche serrate non riuscivano a dire.

“Severus…” esordì la donna.
Si morse le labbra, cercando di formulare al meglio i suoi pensieri e intanto le sue mani si erano appoggiate sulle spalle del figlio, ma non stringevano come la sera prima, erano delicate questa volta. Scesero lungo le braccia e presero infine le manine di Severus.
“Severus, ora che sai di essere un… mago, devi stare attento a non usare la magia. A lui… a lui non piace.”
I pollici di Eileen accarezzavano involontariamente i palmi del figlio.
“Sei ancora piccolo e non riesci a controllarla bene… Mi prometti di stare attento?”
Lo sguardo della donna penetrò negli occhi di Severus.
Era importante, era una supplica e anche un ordine.
“Va bene… mamma.”
E poi Eileen fece una cosa che da allora non fu mai più ripetuta. Abbracciò il suo bambino, sollevandolo da terra mentre si rimetteva in piedi e lo portò a una sedia, adagiandocelo sopra con molta delicatezza. Severus combatteva tra la sorpresa, l’imbarazzo ed una lontanissima, ignota sensazione di benessere.
La donna si voltò rapida e spense la fiamma del fornello. Tornò al tavolo con il pentolino fumante e versò il latte bollente nella tazza. Severus allungò automaticamente una mano a prendere una fetta di pane secco dal cestino, ma fu bloccato da Eileen.
“Aspetta” gli disse.
Andò al piccolo frigo e ne estrasse un minuscolo panetto di burro. Con un coltellino ne prese una parte e cominciò a spalmarla sul pane, per l’incredulità di Severus. Infine ci sparse sopra anche un cucchiaino di zucchero.
Quella era una colazione da re.
Severus seppe che forse nemmeno a Natale avrebbe mangiato una delizia del genere e quando la donna gli porse la fetta, fu solo in grado di dire “grazie” e di assaporarne lentamente ogni boccone.
Eileen rimase seduta a guardarlo, con le braccia poggiate sul tavolo e per cinque minuti in casa Piton aleggiò un’aria di serenità sconosciuta e perfino la lampadina a bassa potenza parve illuminare tutto di una luce calda.

Quando Severus ebbe finito di mangiare il pane imburrato e stava ingollando l’ultimo sorso di latte, Eileen parlò di nuovo.
Gli spiegò tante e tante cose: come funzionava Hogwarts, come ci si arrivava, della lettera che sarebbe stata portata da un gufo (un gufo!!), delle materie che avrebbe studiato…
Fu a questo punto che accennò ai libri e fu allora che Severus cominciò a fare domande. Aveva capito che i libri di sua madre erano in quella casa, che c’era qualcosa di magico vicinissimo e nascosto chissà dove e lui non l’aveva mai saputo!
Eileen parve inizialmente un po’ restia a rispondere, ma la luce negli occhi del figlio le fece capire che quei libri non sarebbero rimasti nascosti a lungo.
Cercò di cambiare discorso e iniziò a parlare del Ministero della Magia, delle regole che i maghi dovevano seguire, dei limiti imposti ai minorenni, della “traccia”. Fece di tutto per far comprendere a Severus che c’era da andarci cauti e non solo davanti a Tobias.
Finito di parlare si era alzata, aveva preso la tazza sporca e aveva cominciato a rassettare la cucina. Percepiva le decine di domande inespresse che suo figlio aveva sulla punta della lingua, ma non parlò più, si diede da fare come se quello fosse un giorno come un altro.

Dopo un po’ Severus ci aveva rinunciato ed era andato in camera sua a cambiarsi. I vestiti che aveva indossato erano anch’essi troppo grandi sotto quel maglione, ma non ci badò. Aveva altro a cui pensare, troppe idee che si rincorrevano in testa, nemmeno l’acqua fredda con cui si lavò la faccia riuscì a calmarlo.
Udì sua madre salire e le corse incontro, come sicuro che avrebbero parlato ancora, ma l’antica espressione stanca sembrava aver ripreso il suo posto sul volto della donna. Senza una parola lei entrò in camera e ne uscì infilandosi un cappotto dai gomiti un po’ lisi.
“Vado a comprare un po’ farina” comunicò laconica al figlio. “Stai buono.”

E Severus era rimasto sul pianerottolo, deluso; non si mosse neppure quando udì la porta di casa chiudersi.
Tutto qui? Da adesso in poi doveva solo “stare buono” e attendere che arrivassero i suoi undici anni e il gufo da Hogwarts? L’idea di dover aspettare così tanto tempo gli strinse il cuore in una morsa.

No, non poteva aspettare, doveva cercare, ora sapeva che quella brutta casa nascondeva un tesoro.
Fece per entrare nella camera dei suoi, ma si bloccò sulla soglia. No, lì non poteva essere.
Ragionò e gli venne in mente un’unica altra soluzione e si precipitò giù per le scale con le maniche del golf che ballonzolavano di qua e di là.
E scese ancora, nel piccolo e umido seminterrato, una stanza angusta, dal soffitto basso, invasa dalle ragnatele e ancora più malmessa del resto della casa, il che era tutto dire. In un angolo in alto una minuscola finestrella dal vetro opaco e sporco e chiusa da un rete lasciava filtrare il ricordo della luce grigia del quartiere; un odore pesante di chiuso opprimeva lo spazio occupato quasi interamente da una pletora di oggetti scassati.
Severus non era sceso praticamente mai in quel posto, privo della minima attrattiva.

Osservò quel luogo così desolato, la luce della lampadina che tremolava. Poi, conscio di non avere molto tempo, prese a spostare scatoloni, ferri arrugginiti, lo scheletro di un lampadario, sedie dalle gambe spezzate, una vecchia poltroncina tarmata; tirava e spingeva, alcune cose si spostavano con facilità, per altre doveva chiamare a raccolta tutte le sue forze di bimbo. Sudava copiosamente.
Molti scatoloni rovinarono a terra senza che lui riuscisse a impedirlo ma avrebbe sistemato dopo, non contenevano quello che cercava. Si fece male più e più volte, nuvole di polvere resero l’aria irrespirabile, rapidissimi movimenti in tutte le direzioni rivelarono la posizione dei ragni.
Severus tossiva, un ginocchio si era sbucciato, aveva lividi su tutte le braccia, ma non si fermava. Si arrampicava sugli oggetti caduti, si puntellava sugli schienali delle sedie rotte, apriva gli scatoloni cercando di guardare cosa c’era dentro, tastandone il contenuto alla cieca quando non riusciva ad aprirli del tutto.

La stanza era un caos, non sarebbe mai riuscito a rimettere tutto come prima.
Nell’angolo più nascosto c’era un ultimo scatolone, anch’esso sformato e inumidito come gli altri. Era quello? Non restava altro…
Severus ansimava, si infilò nel disastro che aveva combinato e allungò una manina. Non appena sfiorò il cartone flaccido con la punta delle dita, lo scatolone... divenne un baule. Vecchio e impolverato, ma solido, con una serratura che un tempo doveva essere stata lucida.
Fu meraviglioso, gli mancò il fiato.
Aveva trovato! Severus sentì il sangue martellargli le tempie.
Si avvicinò di più, teso ed eccitato. Aprì, tremando tutto, e vide; rimase immobile a fissare il contenuto del baule, incapace di muoversi per lunghi istanti.

Un mucchio di oggetti, all’apparenza cianfrusaglie, roba vecchia abbandonata.
A sinistra, ripiegata con cura, c’era una specie di divisa di un nero un po’ scolorito e, sotto, un mantello di lana grossa. Boccette di vario genere, di tutte le forme e dimensioni, alcune vuote, altre piene di chissà quali liquidi e sostanze erano contenute dentro un calderone panciuto, decisamente usato ma forse per questo così affascinante. Severus lo toccò e il freddo contatto lo fece rabbrividrire.
Continuò a guardare e sfiorare: boccettine di inchiostro, un paio di vecchi guanti fatti di uno strano materiale, numerosi rotoli di pergamena ingiallita arrotolati o a pezzi, alcuni scritti di una grafia piccola e puntuta, piume spelacchiate sparse un po’ ovunque… ogni oggetto lo attraeva e lo seduceva, provocandogli scoppi di calore all’altezza del petto.
Infine, nella parte destra del baule, sotto una scatola che conteneva delle strane biglie, scassati ma messi via con ordine, c’erano i libri. Severus non capì cosa lo attirasse tanto, forse le eleganti scritte d’oro un po’ rovinate, forse la consapevolezza che la “magia” era tutta spiegata lì dentro.
Ne prese uno.
Sulla copertina campeggiava un animale dal corpo allungato, le narici fumanti e le ali spiegate. Un drago! E all’interno del libro vi erano parecchie altre illustrazioni di creature di cui Severus non poteva conoscere il nome.
Un altro libro, con un gatto che diventava cuscino e decine di altre trasformazioni (“no, tra…sfigurazioni” si disse Piton, ricordando le parole di sua madre a proposito delle materie di studio).
Un altro, con una bacchetta che sprizzava scintille in copertina e poi… un altro ancora, con il disegno di un calderone fumante. La luce intermittente della lampadina sembrava rendere vive le volute del fumo; la curiosità si impossessò di Severus. Toccò la superficie ruvida, si riempì le narici dell’odore umido delle pagine ingiallite e impolverate. Aprì il libro a metà e vide, disposte su colonne ordinate, tante scritte che non era in grado di decifrare e il disegno di alcune piante; toccò il foglio con il palmo aperto, come a voler assorbirne le informazioni. Andò alla prima pagina su cui vide ripetuta la facciata del volume e con il dito seguì la forma delle lettere stampate; poi prese a sfogliare le pagine con il desiderio di capire cosa dicevano che si faceva via via più pressante.
Non si accorse di essersi più o meno seduto nello spazio angusto tra il baule e gli altri oggetti della stanza che ora erano accumulati in disordine.

“Severus!”
La voce di Eileen spezzò l’aria come uno scoppio.

Severus balzò in piedi e il libro cadde tra le sue gambe. Vide il gran caos che aveva combinato, gli scatoloni rovesciati, le ferraglie sparse, un pala in bilico su una sedia sfondata. Come aveva potuto? Non aveva scusanti.
Ma…
“Rimettiamo a posto” si limitò a dire Eileen, che guardava fisso il baule.
Severus la guardò, incredulo. Il volto di sua madre non era ben distinguibile nella penombra.
Non l’aveva sgridato, forse allora…
“Mamma…?” disse pianissimo.
Eileen si avvicinò e raccolse il libro. Quando lo chiuse e fece per rimetterlo nel baule, Severus quasi pianse:
“No!”
Non poteva, proprio non poteva pensare di richiudere il baule. E di lasciare lì i libri.
“Ascolta, Severus” disse Eileen con inusuale dolcezza.
Si era inginocchiata e lo guardava con immenso dolore.
“Non possiamo” esalò.
“Ma…”
“No.” Ora lo sguardo le si fece duro.
Ma guardando suo figlio capì che non avrebbe potuto tenerlo lontano da lì. Per qualche istante parve riflettere intensamente, lo sguardo indugiò sul baule aperto e parve soffermarsi pensoso sulla scatola con le biglie. Una linea si disegnò sulla fronte di Eileen che infine si decise.

“Dobbiamo fare un accordo, Severus.”
Lui la guardò con aria interrogativa.
Eileen parlò lentamente, senza distogliere gli occhi da quelli del piccolo.
“Ora rimettiamo tutto a posto, no, ascoltami… Ora rimettiamo tutto a posto, ma ti permetterò di guardare i libri quando vorrai se… se sarai solo.”
Esitò un momento, poi riprese, con tono più fermo.
“Lui non deve vederti.”

“Hai capito?”
“Sì.”
Non poteva non capire.
“Mi vai a prendere la scopa, in cucina?”
“Sì.”
Severus corse via e agguantò la scopa in cucina, trascinandola poi giù dalle scale con gran fracasso, le scarpe un po’ troppo grandi a rallentarlo.
“Eccol…”
Si bloccò sulla soglia. Tutto era tornato come prima.
Sentì il manico della scopa scivolargli tra le dita e cadere per terra.
Eileen aveva sistemato tutto con la magia e l’aveva fatto di nascosto. Severus non capiva se era più bruciante la delusione o la rabbia e rimase lì, a fissare intensamente la madre, senza riuscire a profferir parola.
“Scusami, Severus. Devi essere paziente. Ti prego... devi essere paziente” concluse con un filo di voce. Si accasciò sulla poltroncina tarmata, predendosi la testa tra le mani.
Severus le si avvicinò, ma non poté impedirsi di lanciare un’occhiata carica di desiderio in direzione del baule che era nuovamente sparito alla vista.

In quella sua madre gli afferrò una mano e lo condusse di fronte al cumulo di oggetti.
“Riesci a passare lì dietro?” gli chiese, indicando una stretta fessura tra la parete e due scatoloni impilati particolarmente grossi.
Severus si mise di fianco e infilando prima una gamba e un braccio e poi il resto del corpo vide che riusciva a passare piuttosto agevolmente. E vide anche che nell’angolo lì dietro uno scatolone era libero da impedimenti.
“Puoi aprirlo?” lo raggiunse la voce di Eileen da dietro il muro di oggetti.
Severus scivolò con tutto il corpo lungo il muro fino a raggiungere lo scatolone, completamente protetto alla vista di chiunque fosse entrato nella stanza e senza nulla accanto o sopra che ne impedisse l’apertura. Di nuovo, quando lo toccò, si trasformò nel baule di sua madre.
“Sì!” le rispose.
Seguì uno strano silenzio che Severus ruppe per primo.
“Ne prendo uno solo…” annunciò e non si capiva se era una richiesta di permesso o una decisione.
“Va bene” rispose la voce piatta di Eileen.
Severus agguantò felice il libro con il calderone sulla copertina e richiuse il baule che riprese le sembianze del vecchio scatolone. Riemerse dalla stretta fessura con il tesoro in mano e si precipitò da sua madre che era ancora seduta sulla poltrona.

“Ti permetterò di andare al mio baule” disse lei.
“Sì.”
“Potrai guardare tutto quello che vorrai.”
“Sì.”
“Ma non potrai toccare tutto.”
Severus tacque.
“Ci sono cose pericolose. Le boccette con gli ingredienti per le pozioni…” disse.
Severus la guardò eccitato.
“…sono pericolose. Quelle non le devi aprire” lo ammonì Eileen.
“Ho sigillato le chiusure” aggiunse, tanto per essere chiara.
Severus abbassò lo sguardo sul libro che stringeva tra le mani. Era bellissimo. Non avrebbe chiesto di più.
“Sì!”
“E…? Cos’altro Severus?” lo interrogò lei.
Il bambino la guardò. Era pallidissima.
“Lui non deve vedere” rispose.
“Esatto” sospirò lei. “Me lo devi promettere.”
“Sì. Promesso.” disse il bambino.

Lei posò una mano sulla spalla del figlio, poi gli tirò su la manica del maglione e lo prese per mano, risalendo di sopra con lui. Severus non aveva occhi che per il libro e ne accarezzava la copertina con il pollice.

***



Strinse al petto il libro di Trasfigurazione mentre percorreva il corridoio dei dormitori. Aveva la mente piena del ricordo delle innumerevoli volte che era sgattaiolato nel seminterrato ed aveva strisciato lungo il muro, nello stretto passaggio che sua madre, con la magia, aveva lasciato per permettergli di raggiungere il baule.
Eileen ne aveva trasfigurato l’aspetto nell’eventualità, per quanto remota, che suo marito potesse mai metterci le mani sopra. Severus comprese che quell’incantesimo era anche dotato di un sistema di sicurezza che consentiva al baule di riprendere la sua forma originaria solo se un mago l’avesse toccato. Poteva capire questa scelta e sapeva anche perché sua madre aveva lasciato la magia nascosta e chiusa nel baule, nell'umido polveroso di un seminterrato.

Ma a lui non sarebbe successo, si disse, mentre entrava in camera sua, lui non avrebbe mai dovuto nascondere niente quando sarebbe stato grande.
E non sarebbe finito in uno sporco quartiere babbano come Spinner’s End, maledizione.
Aveva appena richiuso la porta alle sue spalle e stava andando alla scrivania su cui erano schierati in bell’ordine tutti i suoi libri, quando Mulciber riaprì la porta senza tante cerimonie annunciando:
“Sono pronto, andiamo?”
Si era dato una lavata e aveva cercato di pettinarsi i capelli.
“Sì, arrivo” rispose Severus.
“Daiiii, liberati di quel libro…” incalzò Mulciber, avvicinandosi in un balzo.
Glielo strappò di mano e lo lanciò sul tavolo.
Il libro atterrò con un tonfo, scivolando fino al muro e Severus dovette richiamare a sé tutto l’autocontrollo di cui era capace per non urlare contro al compagno o mettergli le mani addosso. Trattare a quel modo i libri, i suoi libri!!
Ma Mulciber già lo stava spingendo fuori dalla camera e poi si precipitò nella sala comune ormai vuota, dichiarando di avere una fame tale da potersi mangiare due ippogrifi. Avery, che si era dato una sistemata alla veste pure lui, li accolse con un sorrisetto.
“Andiamo.”
E, usciti dalla sala, imboccarono il corridoio del sotterraneo, Mulciber parlando a voce alta, Avery divertito e Piton silenzioso e assorto. Chissà se sarebbe riuscito a scambiare due parole con Lily.
 
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