Severus Piton & Alan Rickman Fan Forum

Il primo giorno, Seguito de "La prima sera"

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Camelia.
view post Posted on 29/10/2016, 23:29 by: Camelia.




Capitolo 19:


Severus tese le orecchie per capire cosa stavano facendo i compagni senza dover alzare la testa e guardarli. Si finse profondamente concentrato sul suo stuzzicadenti e chinò la testa sul tavolino; voleva ritardare il più possibile il momento di unirsi ad Avery e Mulciber nella loro chiassosa partita a Spara-Schiocco.
Ripensò alla lezione con la McGranitt e si perse a ricordare quanto era stato bello venir elogiati e prendere perfino un punto per la propria Casa. Chissà quanti punti aveva Serpeverde dopo solo mezza giornata? Entro fine settimana voleva guadagnarne molti altri!
Guardò i compagni che giocavano e si sorprese del fatto che non desiderava unirsi a loro.

***



“Ma dai, davvero non hai mai giocato con la corda?!”
Lily era sinceramente stupita.
Severus si sentì a disagio e capì che non sarebbe stato così imbarazzante se non ci fosse stata anche Petunia presente; percepì il suo sguardo sprezzante ma non ebbe tempo di guardarla male a sua volta perché Lily gli aveva già infilato la sua corda tra le dita.
Sentì il calore delle mani di lei sulle maniglie di legno colorato.
“Ecco, mettila così… dietro… bravo. E adesso falla venire in avanti e quando arriva ai tuoi piedi… salta!” gli spiegò Lily tutta eccitata.
Petunia si era fermata, a quanto pareva per attendere di veder Piton fallire.
Severus si sforzò con tutto se stesso di ignorare quella fastidiosissima presenza babbana e si concentrò, le ginocchia leggermente piegate, tutto teso nell’ansia di poter sbagliare.
Sbagliò.
La corda si impigliò tra i suoi piedi, il salto non riuscì e lui si sbilanciò in avanti. Quel maledetto cappotto!

Sentì Petunia soffocare un verso maligno e sfilare accanto a loro con finta noncuranza, saltellando perfettamente la sua corda; pareva gioire nell’intimo nel constatare che un semplice gioco “babbano” metteva in difficoltà il bambino-mago.
Questo fece infuriare Severus, ma Lily era troppo intenta a riposizionare l’amico per rendersi conto della guerra silenziosa che era in corso tra lui e sua sorella.

“E’ sempre così le prime volte… devi solo provare ancora… ecco, tieni i piedi un po’ più separati… stai mollo… sei troppo rigido… così… dai riprova!”
La bambina non smetteva di chiacchierare, girando attorno a Severus, tutta presa in quel che stava facendo. Mimò davanti a lui il movimento del salto.
Severus desiderò potersi togliere il cappotto ma davanti a Petunia era una cosa troppo imbarazzante, fosse stato da solo con Lily avrebbe al massimo provato un po’ di vergogna per lo stato dei suoi vestiti, ma lei non badava a queste cose e non ci sarebbe stato nessun problema.
Ma con Petunia… Ah, quanto le piaceva fargli sapere anche solo con una muta occhiata quanto disprezzava i suoi poveri vestiti! Era una cosa contro cui Severus non poteva nulla e Petunia quindi non perdeva mai l’occasione di esercitare quell’unico potere che aveva su quel ragazzino.
No… Severus non poteva togliersi il cappotto, anche se lo stava facendo sudare e soffocare, per non parlare di quanto lo impacciasse.

La corda ruotò sopra di lui. Un piede e subito l’altro, rapidamente…
“Bravissimo! Hai visto che ce l’hai fatta? Non è difficile, no?!” Lily batteva le mani.
Auff… ci era riuscito. Si costrinse a non voltarsi per guardare la reazione di Petunia.
“Prova con i piedi uniti adesso, dai!”
Piton stese le braccia appesantite dal cappotto e… oooplà! Ooooplà… olpà, olpà! Il tonfo di ogni atterraggio sull’erba era una risposta ai saltelli perfettamente coordinati di Petunia.
La sentì allontanarsi e abbandonare la corda sul prato, indispettita.

“Posso usarla io?” le chiese Lily a voce alta.
“Fai quello che ti pare!!” strillò di rimando Petunia, senza guardarla, mentre correva giù dalla collinetta erbosa, verso lo spiazzo delle altalene.
“Dai, saltiamo insieme!” propose Lily, la corda della sorella già in mano.
Severus giudicò la distanza con Petunia sufficiente per osare togliersi il cappotto. Quel giorno la camicia di nylon che indossava era appena poco più abbondante della sua taglia, ma aveva un colore orrendo, una fantasia di ghirigori color senape e puntolini mattone su un fondo verde acido. Il colletto dalle lunghe punte esasperava la magrezza del mento affilato del bambino, incorniciato dalle solite bande lisce di capelli un po’ troppo lunghi e unti.
“Pronto?”
“Sì.”
E saltò e saltò e saltò assieme a Lily, senza però riuscire a divertirsi come avrebbe potuto se fossero stati soli. Petunia si era esclusa dalla loro compagnia, ma il suo atteggiamento ostile investiva Piton a ondate, escludendo anche lui dalla perfezione del momento con Lily.
La ragazzina li osservava con odio seduta sull’altalena, i sandali che raspavano nervosi della ghiaia, la bocca incurvata in una piega di disprezzo, giudicando i progressi di Piton. Severus ebbe la certezza che se lui avesse preso in mano la corda di Petunia, lei non l’avrebbe più toccata neppure con la punta delle scarpe.

***



Provò quella stessa sensazione di partecipazione distante quando non poté più esimersi dal giocare con Avery e Mulciber.
Pur agile nei suoi movimenti, una certa rigidità traspariva nell’insieme, tradendo qualcosa che non era solamente poca voglia di abbassarsi al livello dei compagni, ma addirittura insofferenza. Lo infastidiva comportarsi come una chiassosa matricola di fronte agli sguardi severi e calcolatori dei ragazzi più grandi. Perché lo stavano osservando, lo sapeva bene.
Tuttavia Severus recitò la sua parte e lasciò pure che Mulciber vincesse; aveva capito che era meglio mantere un equilibrio in quella compagnia che non si era scelto e se lui avrebbe primeggiato a scuola era in qualche modo “giusto” che anche gli altri due godessero di un contentino.
“Uhhhhhh! Sono il migliore!!” saltellava Mulciber, i capelli appiccicati sulla fronte per il sudore.

Era quasi ora di pranzo e già qualcuno dei ragazzi si era mosso verso la porta d’uscita, mentre le ragazze erano quasi tutte svicolate nei dormitori, sicuramente per pettinarsi davanti a uno specchio. Uscirono di nuovo nella sala comune a gruppetti o a coppie, cianciando sottovoce e ridacchiando come oche.
Yaxley si preparò ad uscire con i suoi amici e si fermò a pochi passi da Mulciber, apparentemente per caso; si sistemò con intenzione i polsini della divisa, rassettò le pieghe e lisciò il colletto, con movimenti misurati. Severus capì al volo e con un moto involontario prese a controllare di essere in ordine. Perfino Mulciber capì e con stupore di Severus infilò la porta dei dormitori.
“Arrivo subito, aspettatemi voi due!” disse in fretta.

Yaxley non li guardava, ma Severus notò una piega di trionfo increspargli l’angolo della bocca. Silenziosamente Piton tornò al tavolino, si mise lo stuzzicadenti in tasca e prese in mano il libro con inconsapevole delicatezza. Provava da sempre un che di religioso nei confronti dei libri di Eileen, fin dalla prima volta che li aveva toccati.

***



“Sono un mago.”
Fu il primo pensiero dopo quella notte che aveva rivoluzionato il suo destino; per la prima volta nella sua brevissima vita riemerse dal sonno e tornò alla coscienza con un sentimento diverso dalla tristezza targata Spinner’s End.
Ripeté quella frase più volte, stringendo i pugni sotto il lenzuolo. Non aveva sognato… era successo per davvero? Vero?
Strinse le palpebre e si sforzò di ripercorrere mentalmente ogni dettaglio della sera precedente, urla di Tobias comprese. Rivide sua madre ansante, a terra sul pavimento squallido della cucina. La sedia poco lontano, la sedia rovesciata, la sedia che “si tirava su”. Sorrise.
Era successo.

Aprì gli occhi e la vista dei muri spogli e macchiati di umido della sua cameretta portò con sé una domanda: “Sarà già uscito?”
Braccia e gambe si irrigidirono, il sorriso si raffreddò, un brivido lo attraversò da capo a piedi. Tese le orecchie, concentrandosi.
Eileen stava spazzando la cucina, Tobias doveva essere già fuori.
Con uno scatto balzò fuori dal letto, si infilò sopra il pigiama un lunghissimo e vecchio cardigan qua e là rattoppato con fili di colori diversi; gli copriva quasi completamente le gambine magre, le maniche pendevano flosce e larghe lungo i fianchi. Anche le pantofole che infilò ai piedi erano troppo grandi e vecchie. Ma non importava, scese le scale aggrappato alla ringhiera scrostata, con tutta la velocità che poteva, impedito com’era.
Quando sbucò in cucina, Eileen si fermò.

Madre e figlio si guardarono, l’uno per chiedere conferme, l’altra un po’ spaventata. Bastò l’atteggiamento guardingo di Eileen per far avere a Severus la conferma definitiva che non aveva sognato.
Voleva mettersi a saltellare e perfino gettarsi al collo della donna, ma non fece nessuna delle due cose.
“Severus?...”
“Mamma…”
Si studiarono in silenzio.
Poi Severus non poté più trattanersi.
“Cosa facciamo?”
Eileen lo guardò.
Severus era così piccolo e magro e pallido… Ma un guizzo, una piccola fiammella si accese dentro di lei. Era orgogliosa. Suo figlio era un mago.
Spostò lo sguardo sui suoi capelli lisci così scuri, così simili ai suoi. Sul naso, pronunciato. Sulla forma del viso, piccolo, sfilato, con le guance scarne. Non c’era niente di Tobias in lui, né fuori né dentro.
Un lieve sorriso crepò la sua solita espressione vuota.
Appoggiò la scopa al muro, accese il fuoco sotto il pentolino del latte e posò una tazza sul tavolo. Agì con lentezza, come per prendersi il tempo necessario di pensare, di scegliere le parole migliori da dire. Slacciò il grembiule e lo posò sullo schienale di una sedia, poi girò attorno al tavolo e si avvicinò al bambino.
Fu sorprendente.
Una mano leggera si posò su quella testa nera e vi indugiò qualche secondo prima di scivolare lungo il viso di Severus. Era una mano rovinata e un po’ ruvida, ma fu così… bello.
Al bambino mancò il fiato.
Eileen si accucciò davanti al figlio e i loro occhi neri si incontrarono alla stessa altezza, comunicandosi cose che le loro bocche serrate non riuscivano a dire.

“Severus…” esordì la donna.
Si morse le labbra, cercando di formulare al meglio i suoi pensieri e intanto le sue mani si erano appoggiate sulle spalle del figlio, ma non stringevano come la sera prima, erano delicate questa volta. Scesero lungo le braccia e presero infine le manine di Severus.
“Severus, ora che sai di essere un… mago, devi stare attento a non usare la magia. A lui… a lui non piace.”
I pollici di Eileen accarezzavano involontariamente i palmi del figlio.
“Sei ancora piccolo e non riesci a controllarla bene… Mi prometti di stare attento?”
Lo sguardo della donna penetrò negli occhi di Severus.
Era importante, era una supplica e anche un ordine.
“Va bene… mamma.”
E poi Eileen fece una cosa che da allora non fu mai più ripetuta. Abbracciò il suo bambino, sollevandolo da terra mentre si rimetteva in piedi e lo portò a una sedia, adagiandocelo sopra con molta delicatezza. Severus combatteva tra la sorpresa, l’imbarazzo ed una lontanissima, ignota sensazione di benessere.
La donna si voltò rapida e spense la fiamma del fornello. Tornò al tavolo con il pentolino fumante e versò il latte bollente nella tazza. Severus allungò automaticamente una mano a prendere una fetta di pane secco dal cestino, ma fu bloccato da Eileen.
“Aspetta” gli disse.
Andò al piccolo frigo e ne estrasse un minuscolo panetto di burro. Con un coltellino ne prese una parte e cominciò a spalmarla sul pane, per l’incredulità di Severus. Infine ci sparse sopra anche un cucchiaino di zucchero.
Quella era una colazione da re.
Severus seppe che forse nemmeno a Natale avrebbe mangiato una delizia del genere e quando la donna gli porse la fetta, fu solo in grado di dire “grazie” e di assaporarne lentamente ogni boccone.
Eileen rimase seduta a guardarlo, con le braccia poggiate sul tavolo e per cinque minuti in casa Piton aleggiò un’aria di serenità sconosciuta e perfino la lampadina a bassa potenza parve illuminare tutto di una luce calda.

Quando Severus ebbe finito di mangiare il pane imburrato e stava ingollando l’ultimo sorso di latte, Eileen parlò di nuovo.
Gli spiegò tante e tante cose: come funzionava Hogwarts, come ci si arrivava, della lettera che sarebbe stata portata da un gufo (un gufo!!), delle materie che avrebbe studiato…
Fu a questo punto che accennò ai libri e fu allora che Severus cominciò a fare domande. Aveva capito che i libri di sua madre erano in quella casa, che c’era qualcosa di magico vicinissimo e nascosto chissà dove e lui non l’aveva mai saputo!
Eileen parve inizialmente un po’ restia a rispondere, ma la luce negli occhi del figlio le fece capire che quei libri non sarebbero rimasti nascosti a lungo.
Cercò di cambiare discorso e iniziò a parlare del Ministero della Magia, delle regole che i maghi dovevano seguire, dei limiti imposti ai minorenni, della “traccia”. Fece di tutto per far comprendere a Severus che c’era da andarci cauti e non solo davanti a Tobias.
Finito di parlare si era alzata, aveva preso la tazza sporca e aveva cominciato a rassettare la cucina. Percepiva le decine di domande inespresse che suo figlio aveva sulla punta della lingua, ma non parlò più, si diede da fare come se quello fosse un giorno come un altro.

Dopo un po’ Severus ci aveva rinunciato ed era andato in camera sua a cambiarsi. I vestiti che aveva indossato erano anch’essi troppo grandi sotto quel maglione, ma non ci badò. Aveva altro a cui pensare, troppe idee che si rincorrevano in testa, nemmeno l’acqua fredda con cui si lavò la faccia riuscì a calmarlo.
Udì sua madre salire e le corse incontro, come sicuro che avrebbero parlato ancora, ma l’antica espressione stanca sembrava aver ripreso il suo posto sul volto della donna. Senza una parola lei entrò in camera e ne uscì infilandosi un cappotto dai gomiti un po’ lisi.
“Vado a comprare un po’ farina” comunicò laconica al figlio. “Stai buono.”

E Severus era rimasto sul pianerottolo, deluso; non si mosse neppure quando udì la porta di casa chiudersi.
Tutto qui? Da adesso in poi doveva solo “stare buono” e attendere che arrivassero i suoi undici anni e il gufo da Hogwarts? L’idea di dover aspettare così tanto tempo gli strinse il cuore in una morsa.

No, non poteva aspettare, doveva cercare, ora sapeva che quella brutta casa nascondeva un tesoro.
Fece per entrare nella camera dei suoi, ma si bloccò sulla soglia. No, lì non poteva essere.
Ragionò e gli venne in mente un’unica altra soluzione e si precipitò giù per le scale con le maniche del golf che ballonzolavano di qua e di là.
E scese ancora, nel piccolo e umido seminterrato, una stanza angusta, dal soffitto basso, invasa dalle ragnatele e ancora più malmessa del resto della casa, il che era tutto dire. In un angolo in alto una minuscola finestrella dal vetro opaco e sporco e chiusa da un rete lasciava filtrare il ricordo della luce grigia del quartiere; un odore pesante di chiuso opprimeva lo spazio occupato quasi interamente da una pletora di oggetti scassati.
Severus non era sceso praticamente mai in quel posto, privo della minima attrattiva.

Osservò quel luogo così desolato, la luce della lampadina che tremolava. Poi, conscio di non avere molto tempo, prese a spostare scatoloni, ferri arrugginiti, lo scheletro di un lampadario, sedie dalle gambe spezzate, una vecchia poltroncina tarmata; tirava e spingeva, alcune cose si spostavano con facilità, per altre doveva chiamare a raccolta tutte le sue forze di bimbo. Sudava copiosamente.
Molti scatoloni rovinarono a terra senza che lui riuscisse a impedirlo ma avrebbe sistemato dopo, non contenevano quello che cercava. Si fece male più e più volte, nuvole di polvere resero l’aria irrespirabile, rapidissimi movimenti in tutte le direzioni rivelarono la posizione dei ragni.
Severus tossiva, un ginocchio si era sbucciato, aveva lividi su tutte le braccia, ma non si fermava. Si arrampicava sugli oggetti caduti, si puntellava sugli schienali delle sedie rotte, apriva gli scatoloni cercando di guardare cosa c’era dentro, tastandone il contenuto alla cieca quando non riusciva ad aprirli del tutto.

La stanza era un caos, non sarebbe mai riuscito a rimettere tutto come prima.
Nell’angolo più nascosto c’era un ultimo scatolone, anch’esso sformato e inumidito come gli altri. Era quello? Non restava altro…
Severus ansimava, si infilò nel disastro che aveva combinato e allungò una manina. Non appena sfiorò il cartone flaccido con la punta delle dita, lo scatolone... divenne un baule. Vecchio e impolverato, ma solido, con una serratura che un tempo doveva essere stata lucida.
Fu meraviglioso, gli mancò il fiato.
Aveva trovato! Severus sentì il sangue martellargli le tempie.
Si avvicinò di più, teso ed eccitato. Aprì, tremando tutto, e vide; rimase immobile a fissare il contenuto del baule, incapace di muoversi per lunghi istanti.

Un mucchio di oggetti, all’apparenza cianfrusaglie, roba vecchia abbandonata.
A sinistra, ripiegata con cura, c’era una specie di divisa di un nero un po’ scolorito e, sotto, un mantello di lana grossa. Boccette di vario genere, di tutte le forme e dimensioni, alcune vuote, altre piene di chissà quali liquidi e sostanze erano contenute dentro un calderone panciuto, decisamente usato ma forse per questo così affascinante. Severus lo toccò e il freddo contatto lo fece rabbrividrire.
Continuò a guardare e sfiorare: boccettine di inchiostro, un paio di vecchi guanti fatti di uno strano materiale, numerosi rotoli di pergamena ingiallita arrotolati o a pezzi, alcuni scritti di una grafia piccola e puntuta, piume spelacchiate sparse un po’ ovunque… ogni oggetto lo attraeva e lo seduceva, provocandogli scoppi di calore all’altezza del petto.
Infine, nella parte destra del baule, sotto una scatola che conteneva delle strane biglie, scassati ma messi via con ordine, c’erano i libri. Severus non capì cosa lo attirasse tanto, forse le eleganti scritte d’oro un po’ rovinate, forse la consapevolezza che la “magia” era tutta spiegata lì dentro.
Ne prese uno.
Sulla copertina campeggiava un animale dal corpo allungato, le narici fumanti e le ali spiegate. Un drago! E all’interno del libro vi erano parecchie altre illustrazioni di creature di cui Severus non poteva conoscere il nome.
Un altro libro, con un gatto che diventava cuscino e decine di altre trasformazioni (“no, tra…sfigurazioni” si disse Piton, ricordando le parole di sua madre a proposito delle materie di studio).
Un altro, con una bacchetta che sprizzava scintille in copertina e poi… un altro ancora, con il disegno di un calderone fumante. La luce intermittente della lampadina sembrava rendere vive le volute del fumo; la curiosità si impossessò di Severus. Toccò la superficie ruvida, si riempì le narici dell’odore umido delle pagine ingiallite e impolverate. Aprì il libro a metà e vide, disposte su colonne ordinate, tante scritte che non era in grado di decifrare e il disegno di alcune piante; toccò il foglio con il palmo aperto, come a voler assorbirne le informazioni. Andò alla prima pagina su cui vide ripetuta la facciata del volume e con il dito seguì la forma delle lettere stampate; poi prese a sfogliare le pagine con il desiderio di capire cosa dicevano che si faceva via via più pressante.
Non si accorse di essersi più o meno seduto nello spazio angusto tra il baule e gli altri oggetti della stanza che ora erano accumulati in disordine.

“Severus!”
La voce di Eileen spezzò l’aria come uno scoppio.

Severus balzò in piedi e il libro cadde tra le sue gambe. Vide il gran caos che aveva combinato, gli scatoloni rovesciati, le ferraglie sparse, un pala in bilico su una sedia sfondata. Come aveva potuto? Non aveva scusanti.
Ma…
“Rimettiamo a posto” si limitò a dire Eileen, che guardava fisso il baule.
Severus la guardò, incredulo. Il volto di sua madre non era ben distinguibile nella penombra.
Non l’aveva sgridato, forse allora…
“Mamma…?” disse pianissimo.
Eileen si avvicinò e raccolse il libro. Quando lo chiuse e fece per rimetterlo nel baule, Severus quasi pianse:
“No!”
Non poteva, proprio non poteva pensare di richiudere il baule. E di lasciare lì i libri.
“Ascolta, Severus” disse Eileen con inusuale dolcezza.
Si era inginocchiata e lo guardava con immenso dolore.
“Non possiamo” esalò.
“Ma…”
“No.” Ora lo sguardo le si fece duro.
Ma guardando suo figlio capì che non avrebbe potuto tenerlo lontano da lì. Per qualche istante parve riflettere intensamente, lo sguardo indugiò sul baule aperto e parve soffermarsi pensoso sulla scatola con le biglie. Una linea si disegnò sulla fronte di Eileen che infine si decise.

“Dobbiamo fare un accordo, Severus.”
Lui la guardò con aria interrogativa.
Eileen parlò lentamente, senza distogliere gli occhi da quelli del piccolo.
“Ora rimettiamo tutto a posto, no, ascoltami… Ora rimettiamo tutto a posto, ma ti permetterò di guardare i libri quando vorrai se… se sarai solo.”
Esitò un momento, poi riprese, con tono più fermo.
“Lui non deve vederti.”

“Hai capito?”
“Sì.”
Non poteva non capire.
“Mi vai a prendere la scopa, in cucina?”
“Sì.”
Severus corse via e agguantò la scopa in cucina, trascinandola poi giù dalle scale con gran fracasso, le scarpe un po’ troppo grandi a rallentarlo.
“Eccol…”
Si bloccò sulla soglia. Tutto era tornato come prima.
Sentì il manico della scopa scivolargli tra le dita e cadere per terra.
Eileen aveva sistemato tutto con la magia e l’aveva fatto di nascosto. Severus non capiva se era più bruciante la delusione o la rabbia e rimase lì, a fissare intensamente la madre, senza riuscire a profferir parola.
“Scusami, Severus. Devi essere paziente. Ti prego... devi essere paziente” concluse con un filo di voce. Si accasciò sulla poltroncina tarmata, predendosi la testa tra le mani.
Severus le si avvicinò, ma non poté impedirsi di lanciare un’occhiata carica di desiderio in direzione del baule che era nuovamente sparito alla vista.

In quella sua madre gli afferrò una mano e lo condusse di fronte al cumulo di oggetti.
“Riesci a passare lì dietro?” gli chiese, indicando una stretta fessura tra la parete e due scatoloni impilati particolarmente grossi.
Severus si mise di fianco e infilando prima una gamba e un braccio e poi il resto del corpo vide che riusciva a passare piuttosto agevolmente. E vide anche che nell’angolo lì dietro uno scatolone era libero da impedimenti.
“Puoi aprirlo?” lo raggiunse la voce di Eileen da dietro il muro di oggetti.
Severus scivolò con tutto il corpo lungo il muro fino a raggiungere lo scatolone, completamente protetto alla vista di chiunque fosse entrato nella stanza e senza nulla accanto o sopra che ne impedisse l’apertura. Di nuovo, quando lo toccò, si trasformò nel baule di sua madre.
“Sì!” le rispose.
Seguì uno strano silenzio che Severus ruppe per primo.
“Ne prendo uno solo…” annunciò e non si capiva se era una richiesta di permesso o una decisione.
“Va bene” rispose la voce piatta di Eileen.
Severus agguantò felice il libro con il calderone sulla copertina e richiuse il baule che riprese le sembianze del vecchio scatolone. Riemerse dalla stretta fessura con il tesoro in mano e si precipitò da sua madre che era ancora seduta sulla poltrona.

“Ti permetterò di andare al mio baule” disse lei.
“Sì.”
“Potrai guardare tutto quello che vorrai.”
“Sì.”
“Ma non potrai toccare tutto.”
Severus tacque.
“Ci sono cose pericolose. Le boccette con gli ingredienti per le pozioni…” disse.
Severus la guardò eccitato.
“…sono pericolose. Quelle non le devi aprire” lo ammonì Eileen.
“Ho sigillato le chiusure” aggiunse, tanto per essere chiara.
Severus abbassò lo sguardo sul libro che stringeva tra le mani. Era bellissimo. Non avrebbe chiesto di più.
“Sì!”
“E…? Cos’altro Severus?” lo interrogò lei.
Il bambino la guardò. Era pallidissima.
“Lui non deve vedere” rispose.
“Esatto” sospirò lei. “Me lo devi promettere.”
“Sì. Promesso.” disse il bambino.

Lei posò una mano sulla spalla del figlio, poi gli tirò su la manica del maglione e lo prese per mano, risalendo di sopra con lui. Severus non aveva occhi che per il libro e ne accarezzava la copertina con il pollice.

***



Strinse al petto il libro di Trasfigurazione mentre percorreva il corridoio dei dormitori. Aveva la mente piena del ricordo delle innumerevoli volte che era sgattaiolato nel seminterrato ed aveva strisciato lungo il muro, nello stretto passaggio che sua madre, con la magia, aveva lasciato per permettergli di raggiungere il baule.
Eileen ne aveva trasfigurato l’aspetto nell’eventualità, per quanto remota, che suo marito potesse mai metterci le mani sopra. Severus comprese che quell’incantesimo era anche dotato di un sistema di sicurezza che consentiva al baule di riprendere la sua forma originaria solo se un mago l’avesse toccato. Poteva capire questa scelta e sapeva anche perché sua madre aveva lasciato la magia nascosta e chiusa nel baule, nell'umido polveroso di un seminterrato.

Ma a lui non sarebbe successo, si disse, mentre entrava in camera sua, lui non avrebbe mai dovuto nascondere niente quando sarebbe stato grande.
E non sarebbe finito in uno sporco quartiere babbano come Spinner’s End, maledizione.
Aveva appena richiuso la porta alle sue spalle e stava andando alla scrivania su cui erano schierati in bell’ordine tutti i suoi libri, quando Mulciber riaprì la porta senza tante cerimonie annunciando:
“Sono pronto, andiamo?”
Si era dato una lavata e aveva cercato di pettinarsi i capelli.
“Sì, arrivo” rispose Severus.
“Daiiii, liberati di quel libro…” incalzò Mulciber, avvicinandosi in un balzo.
Glielo strappò di mano e lo lanciò sul tavolo.
Il libro atterrò con un tonfo, scivolando fino al muro e Severus dovette richiamare a sé tutto l’autocontrollo di cui era capace per non urlare contro al compagno o mettergli le mani addosso. Trattare a quel modo i libri, i suoi libri!!
Ma Mulciber già lo stava spingendo fuori dalla camera e poi si precipitò nella sala comune ormai vuota, dichiarando di avere una fame tale da potersi mangiare due ippogrifi. Avery, che si era dato una sistemata alla veste pure lui, li accolse con un sorrisetto.
“Andiamo.”
E, usciti dalla sala, imboccarono il corridoio del sotterraneo, Mulciber parlando a voce alta, Avery divertito e Piton silenzioso e assorto. Chissà se sarebbe riuscito a scambiare due parole con Lily.
 
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37 replies since 1/7/2011, 23:47   671 views
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