Severus Piton & Alan Rickman Fan Forum

Il primo giorno, Seguito de "La prima sera"

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Camelia.
view post Posted on 26/2/2013, 01:38 by: Camelia.




Ho abbandonato Severus fuori dall'aula di Trasfigurazione per davvero taaaaanto tempo!
Spero di farmi perdonare con il capitolo nuovo!

Buona lettura :)

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Capitolo 18:


Severus distolse gli occhi dalla finestra e si avviò lungo il corridoio vuoto, la voce della McGranitt giungeva attutita dalla porta spessa dell’aula. Verificato di essere solo, corse alla porta e vi si appoggiò con le mani e un orecchio, captando qualche parola su un incantesimo per trasformare gli uccelli in mammiferi e viceversa.
“Quarto anno” si disse, riconoscendo immediatamente l’argomento già ampiamente letto sui libri di Eileen.

Poi riprese a camminare lungo il corridoio, senza fretta.
Era pensieroso, procedeva lentamente, come se il suo corpo volesse assecondare un bisogno di calma e ordine del suo animo.
Era arrabbiato.
Dalla sera prima gli eventi avevano preso una piega non prevista e lui non era assolutamente pronto a gestirla. Cominciava però a stufarsi di incappare negli stessi pensieri in continuazione.
Lily era una Grifondoro, lui un Serpeverde, punto. Erano diversi, basta, doveva farsene una ragione.

“…animo nobile e puro ardimento
doti su cui far grande assegnamento…”


Così aveva detto il Cappello Parlante a proposito dei discutibili gusti di Godric Grifondoro, quando aveva dato inizio alla cerimonia dello Smistamento cantando una canzoncina. Aveva raccontato come da secoli spettasse a lui il compito di scandagliare virtù, talenti e capacità dei nuovi studenti di Hogwarts; ripensandoci, Severus ritenne che il cappello aveva dimostrato una notevole boria per essere un semplice oggetto di pezza, con più rattoppi dei calzoni di Tobias su cui Eileen con pazienza certosina perdeva la vista rammendando con ago e filo, la sera, alla luce fioca di una lampadina elettrica di bassa potenza.

“…arguzia, brama, acume e intelletto:
di Salazar Serpeverde sarai allievo diletto…”


A quelle parole un pizzicore lo aveva pervaso e aveva guardato Lily, lo ricordava bene, certo che avrebbero condiviso un destino verde-argento.
E invece…

Senza accorgesene, era giunto alla scalinata principale e si apprestava a scendere nell’atrio. Non fosse stato per la luce che entrava dalle finestre, si sarebbe detta notte: non un’anima viva si muoveva in quello spazio antico e imponente. Severus abbandonò i suoi pensieri e si affrettò verso la porta dei sotterranei; non voleva essere beccato in giro dal custode o peggio ancora incappare nuovamente in Pix.

Attraversò la sala d’ingresso e, nonostante il passo veloce ma lieve, i suoi movimenti vennero comunque amplificati in quel silenzio. Osservò per un attimo l’imponente portone che la sera prima aveva varcato con l’eccitazione che gli usciva da ogni poro e si domandò come sarebbe stato uscirne, di lì a sette anni, completamente formato come mago scolastico e pronto a tuffarsi nell’avventura della vita, dove avrebbe conosciuto maghi potenti e avrebbe potuto affinare ulteriormente le proprie conoscenze.

Suo malgrado ripensò daccapo alle “potenzialità di un certo tipo di magia” tanto ammirate dal padre di Avery. Cose che non si imparavano a scuola, non v’era dubbio.
Ma si doveva cominciare da Hogwarts, la strada verso l’uscita da quel portone era ancora lunga.

“Ciao!” disse una voce calma e gentile alle sue spalle.
Severus fece un salto, come se avesse visto un fantasma, ed in effetti… Nick-Quasi-Senza-Testa gli fluttuò accanto con un sorriso.
“C-ciao” farfugliò Severus senza pensare.
Poi si chiese imbarazzato se non sarebbe stato meglio dire “Buongiorno” e così fece.
Il fantasma parve divertito, si fermò e guardò il bambino mentre il sorriso gli si allargò ancora di più. Severus dovette ammettere a se stesso che non c’era nulla di canzonatorio in lui, pur essendo di Grifondoro il fantasma manteneva un’aria composta e gentile.
“Beh, io allora… io vado” annunciò Severus. “Nella mia sala comune” aggiunse, e si accomiatò dal fantasma con un lieve cenno della mano che voleva essere un saluto.
“Fai bene” approvò Nick-Quasi-Senza-Testa. “Anche io sto andando nella mia sala comune, mi piace la mattina del primo giorno di scuola, c’è un’aria allegra, ancora nessuno è tutto preso dallo studio, si chiacchiera, si scherza, si conoscono nuove persone… Anche lei, signor…?”
“Piton” si affrettò a rispondere Severus.
“Anche lei, signor Piton, sarà ansioso di godersi quest’atmosfera così frizzante!”
Severus non aveva pensato alla sala comune in questi termini ma fece una faccia affermativa, per non deludere il fantasma. Nick-Quasi-Senza-Testa sembrava così autenticamente convinto… pareva un bambino goloso di fronte al suo bon bon preferito e, con un ultimo “Arrivederci!” e uno svolazzo della mano guantata, il fantasma salì in aria e sparì nell’alto soffitto.
Comodo raggiungere la torre di Grifondoro a quel modo, pensò Severus, prendendo mentalmente nota di raccontarlo a Lily. Lo avrebbe sicuramente trovato divertente.
“Arrivederci” mormorò a sua volta, mentre i piedi perlacei di Nick svanivano nella pietra.

Raggiunse la porta dei sotterranei e l’aria più fredda che lo colpì gli fece tornare alla mente i pensieri su cui aveva indugiato prima di incontrare il fantasma. Pensieri di grandezza e potenza, di magia “altra”, di magia “oltre”; pensieri che gli gonfiavano qualcosa dentro, infiammandolo di desiderio e voglia di imparare di più, sempre di più. Il ricordo della biblioteca con gli scaffali che traboccavano di sapienza gli fece brillare gli occhi.
Quando si chiuse la porta alle spalle, Severus respirò a fondo l’odore fresco e umido delle pareti e suo malgrado sorrise di soddisfazione.

Certi giorni proprio non aveva retto il mondo babbano, casa sua, la scuola del quartiere e soprattutto le persone che popolavano quei luoghi.
Lo confortava e gli dava forza soltanto il pensiero che ogni giorno che passava era un giorno in meno per Hogwarts.
Aveva letto tutti i libri di sua madre. Aveva rivissuto nella mente tutti i suoi racconti sulla scuola di magia. Aveva spiegato a Lily tutto quello che sapeva, beandosi del fatto di poterlo condividere con qualcuno. L’unica cosa che doveva fare era solamente far passare il tempo cercando di ricevere meno danno possibile dal mondo babbano.

Seguì il percorso verso la sala comune quasi senza accorgesene, immerso nelle sue riflessioni. Si sentiva euforico all’idea di aver lasciato Spinner’s End: quella sera avrebbe cenato su piatti eleganti, stracolmi di cibo (non che gli interessasse troppo il cibo, era solo una soddisfazione sapere che ce n’era a volontà), la sala sarebbe stata illuminata a giorno da migliaia di candele sospese (altro che miseri 40 watt di lampadine opache di polvere) e soprattutto… non ci sarebbe stato Tobias. Anzi, se suo padre si fosse messo in testa di venirlo a cercare, per il puro gusto di sottrarlo a una felicità senza confini, non sarebbe riuscito ad avvicinarsi al castello, perché non avrebbe neppure potuto vederlo.
Hogwarts era per Severus una specie di immenso mantello dell’invisibilità, solido come la pietra, inattaccabile. Questo pensiero lo fece gioire selvaggiamente, l’idea di inibire le velleità paterne era grandiosa.

Fu sottratto ai suoi pensieri quando udì qualcuno parlare a voce alta. Non capì cosa diceva, ma il tono era allegro e giungeva attutito al suo orecchio. Svoltò in un corridoio attiguo e si accorse subito che la luce era più forte: su ogni sostegno di ferro c’erano due torce. Guardandosi intorno, notò che diverse porte di legno spesso portavano delle targhette ed erano tutte dotate di maniglie e serrature, segno che erano accessibili a qualunque Casa, anche se solo in determinati orari e occasioni.
Si avvicinò per leggere.
“Laboratorio”, “Dispensa Studenti”, “Magazzino”, “Sala Distillazione”… Per la barba di Merlino, stava attraversando il Dipartimento di Pozioni!
Una scossa elettrica lo attraversò. Allora la voce che sentiva apparteneva al professor Lumacorno, l’aula per le lezioni era a un passo! E difatti, sull’altro lato del corridoio, una porta più alta e larga portava la targhetta “Aula – Pozioni”.
Era la seconda volta nel giro di pochi minuti che si trovava ad ascoltare una lezione in corso; si avvicinò e posò l’orecchio con cautela, non gli sarebbe piaciuto essere beccato ad origliare.

Qualcuno aveva sbagliato a versare un ingrediente nel calderone e Lumacorno lo stava sgridando, anche se bonariamente.
“…e se si gettano nella pozione zanne di serpente triturate male e per di più senza aspettare il bollore… questi sono i risultati! Esigo più precisione da voi… perché vedete, ragazzi miei, errori del genere non possono assolutamente essere possibili. Vi ricordo che siete nell’anno del G.U.F.O. e mancare un G.U.F.O. in Pozioni potrebbe chiudervi parecchie porte in futuro. Quindi, signor Tiger, la prego di ricominciare da zero. Su, su!”
Nel silenzio che seguì (Severus immaginò gli studenti chini e concentrati sui propri paioli), gli unici rumori furono quelli dei mestoli che raspavano il fondo dei calderoni o che tintinnavano contro i bordi e il blop blop delle pozioni, che si fece via via più intenso: ormai tutti i filtri stavano bollendo e ben presto un fsssssssssss sibilante annunciò a Piton che gli alunni stavano via via aggiungendo le zanne di serpente.
Si chiese che pozione stessero preparando. Le zanne di serpente erano un ingrediente assai comune, lui stesso ne aveva un po’ nel suo baule, residui scolastici di sua madre.

***



Eileen lo aveva rassicurato che anche se decisamente vecchiotte, le zanne di serpente non andavano a male e che comunque per le pozioni del primo anno poteva rifornirsi dalla dispensa comune.
Severus ci era rimasto male, anche se non era stata una sorpresa sentirselo dire: quasi tutto il suo corredo scolastico era appartenuto alla madre, divisa compresa, e l’unico acquisto a Diagon Alley era stata la bacchetta. Costosa, molto costosa; nonostante galeoni e zellini e falci non fossero monete che avesse mai usato, la bocca di Eileen aveva tremato quando Olivander ne aveva detto il prezzo.

Ora capiva l’espressione di sua madre quando pochi minuti prima aveva cambiato del denaro babbano alla Gringott.
La banca dei maghi, un posto stupefacente, grandioso.
Eileen però sembrava non curarsi della magnificenza dei marmi e della hall: appena entrata si era recata il più velocemente possibile ad uno sportello libero; Severus era troppo preso a guardare a bocca aperta ogni angolo della banca, dai pavimenti lustri come specchi al soffitto carico di lampadari di cristallo e non si accorse del disagio di sua madre che continuava nervosa a rassettarsi la veste, linda e pulita, ma inequivocabilmente umile.

Quando però Eileen aveva tirato fuori parecchie sterline e diversi penny, Severus l’aveva guardata. Era una somma ragguardevole e lui non aveva mai visto tanto denaro assieme.
Si chiese come avesse fatto sua madre a portarlo via sotto il naso di Tobias. Quello che Tobias non si scolava in qualche bettola era a malapena sufficiente a mettere insieme il pranzo con la cena e spesso nemmeno quello.

Fu allora che Severus ricordò un fatto accaduto pochi mesi prima e ne comprese il reale significato.

Un pomeriggio era rincasato prima del solito, Lily non si era fermata molto al parco e per di più aveva anche iniziato a piovigginare. Normalmente Severus se ne sarebbe infischiato, ma quel giorno al parco era venuta anche Petunia e così lui si era innervosito e prima di rendersene conto stava tornando a casa, calciando sassi e con le mani sprofondate nelle tasche troppo grandi del suo cappotto fuori misura.

Abituato a fare meno rumore possibile in casa per timore delle sfuriate di Tobias, era rientrato silenziosamente e si era diretto in camera sua. Passando davanti alla stanza dei suoi genitori si sorprese di trovarci dentro sua madre; Eileen cercava di tenersi il più lontano possibile da quella stanza, uscendone presto al mattino dopo averla rassettata e tornandoci il più tardi possibile la sera, nella speranza di trovare il marito profondamente addormentato.

“Che cosa fai?” aveva chiesto all’improvviso una voce dura alle spalle di Severus. Tobias era salito anche lui e, come il figlio, fissava Eileen.
Lei aveva sobbalzato e aveva risposto rapida:
“Nulla, mi era caduta una forcina.”
E la mostrò, prima di riporla dentro una scatolina di legno sul comodino scheggiato.
“La forcina…” aveva bofonchiato Tobias. “Non hai ancora sistemato la spesa e tra un po' è ora di cena, non te ne sei accorta?” abbaiò, rude.
“Sì! Sì, hai ragione, scendo subito!”

Eileen era scesa in cucina, seguita dal marito accigliato, e Severus, preso dalla curiosità, si era intrufolato nella stanza. Non sapeva perché lo stava facendo, non era solito entrare nella camera dei genitori e provò la sensazione che si prova quando si mette piede in un luogo nuovo e sconosciuto.

Andò al comodino e aprì la scatolina di legno. Sebbene vecchiotta, era graziosa, con intarsi scuri che formavano il disegno geometrico di un serpentello. Forse era stata un regalo di chissà chi, dimenticato nella giovinezza perduta di Eileen. Severus l’aprì e rimase deluso: conteneva davvero delle forcine, banalissime forcine. L’unica particolarità era che erano allineate con molta cura.
Ben presto Severus aveva dimenticato la scatolina e il suo contenuto, fino al giorno del viaggio a Diagon Alley. Eccitatissimo, non era quasi riuscito a dormire la sera prima e al mattino era balzato in piedi dal letto, incapace di starci un secondo di più. Sua madre non aveva dato segni che quella giornata sarebbe stata diversa dal solito: i suoi gesti stanchi e l’espressione rassegnata erano gli stessi di ogni giorno della sua triste vita a Spinner’s End.

Severus non aveva praticamente fatto colazione tanta era l’ansia di partire, e fu pronto ben prima di sua madre. Forse Eileen avrebbe preferito che il marito uscisse di casa prima di loro, ma Tobias quel giorno pareva farlo apposta a ciondolare in giro. Andava avanti e indietro seguendo la moglie qualunque cosa facesse e scoccava occhiate torve al figlio. Ad un certo punto Severus provò una fitta allo stomaco al pensiero che suo padre forse voleva impedirgli di andare a comprare la bacchetta. Il nervosismo di Tobias montava ogni minuto di più e l’odio che emanavano i suoi sguardi sempre più cattivi faceva paura; era come un animale feroce chiuso in gabbia.
“Siete della stessa razza, voi due” aveva sentenziato infine, spingendo la moglie oltre la soglia della loro camera.

Il rancore ostile di quelle poche parole aveva fatto temere a Severus il peggio, oltre al pericolo di una scenata come quella della settimana prima, quando Eileen a cena aveva raccolto il coraggio e aveva annunciato al marito che di lì a pochi giorni avrebbe portato Severus a “comprare una cosa per la scuola”.
Non aveva detto “a comprare la bacchetta”, per non urtare la fragilissima soglia di sopportazione del marito nei confronti della magia, ma non era servito a molto e la gioia di Severus era stata immediatamente spenta dalle urla di Tobias sull’inutilità di certe spese, sullo sperpero di denaro prezioso e via dicendo, in un crescendo di improperi e insulti.

Severus guardò suo padre e, come sempre accadeva, Tobias si sentì a disagio nel suo profondo, anche se dissimulò il tutto sotto la solita espressione di disprezzo.
“Vedi di non farmi aspettare per la cena” sibilò l’uomo alla moglie, spingendole il viso con la mano aperta e facendola cadere seduta sul letto. Poi scese le scale facendo bene attenzione a non guardare il figlio. Fu un sollievo sentir chiudere il portone d’ingresso.
“Allora… sei pronto?” disse Eileen con voce inespressiva.
“Sì!” rispose Severus, non osando varcare la porta della stanza.
Eileen si alzò, si diresse al comodino e prese in fretta qualcosa. Mentre usciva, Severus notò che lo infilava in tasca.

Fu quando si trovarono davanti al folletto della Gringott che Severus finalmente capì.
Eileen aveva estratto dalla tasca la scatolina di legno col serpentello e la sorpresa di Severus si trasformò immediatamente in autentico stupore quando la madre la aprì e ne tirò fuori… denaro. Denaro babbano, poche banconote piegate con cura e molte monete, divise per valore.
Allora Severus comprese.
Un soldo dopo l’altro, erano anni che Eileen risparmiava, probabilmente dal giorno dopo in cui si era manifestata nel figlio la presenza di magia. Quel piccolo capitale era il frutto di sacrifici e sotterfugi… sua madre aveva messo da parte un penny dopo l’altro, con costanza, e aveva pensato bene di trasfigurare il denaro nell’oggetto più banale che le era venuto in mente, le sue forcine. Tobias non aveva mai sospettato niente.
Quella rivelazione colpì Severus come una secchiata di acqua gelida. L’aveva fatto per lui. Aveva messo da parte un soldo dopo l’altro solo per quel momento, solo per suo figlio, per comprargli una bacchetta tutta per lui.

Una mano dalle lunghissime e brutte dita si allungò su quel tesoro, toccandolo con la noncurante indifferenza di chi non poteva sapere quanto era costato. Il folletto contò meticolosamente il denaro e lo mise via, mettendo poi sul bancone di marmo alcune splendide monete d’oro, altre d’argento e una manciata di monetine di bronzo. Eileen aveva preso tutto senza tradire alcuna emozione e aveva ringraziato il folletto senza guardarlo. Severus avrebbe voluto dire qualcosa, ma non gli uscì una sola parola.

Quando sua madre aveva pagato Olivander, solo quattro monetine di bronzo erano rimaste nella sua mano. Severus osservava il tremito della labbra di Eileen e intanto si stringeva al petto la sua bacchetta nuova nuova, contro il cuore che batteva tanto forte che sembrava voler uscire dalle costole.

Tutto il denaro era stato speso per quella bacchetta.

Per strada si era quindi dovuto accontentare di gettare occhiate a destra e a sinistra nella speranza di acchiappare quanti più particolari possibili dei numerosi negozi le cui vetrine allettanti di meraviglie gli erano prescluse.
“Possiamo guardare un attimo?” Severus quasi implorava, ma Eileen non soltanto non si fermava, ma aveva pure il passo veloce: apparentemente immune al richiamo irresistibile di tutti quegli oggetti, quegli odori e quei suoni che Severus cercava avidamente di far suoi, procedeva spedita, tenendo il figlio per mano, come se avesse paura di perderlo tra la gente. Spesso doveva tirarlo perché Severus si incantava e rallentava senza rendersene conto.
A vederli offrivano uno spettacolo strano, entrambi magri, scuri e un po’ dimessi, lei che continuava a camminare fendendo la folla e guardando in avanti un punto fisso, lui che invece si faceva tirare come un bimbetto con la testa perennemente voltata all’indietro.
Ad un certo punto Severus si era visto riflesso nella vetrina spaziosa de “Il Ghirigoro”, una libreria che pareva fornitissima e che aveva solleticato la sua già sovraeccitata attenzione. La vista di se stesso e del braccio di Eileen che lo tirava l’aveva fatto vergognare; veloce, si era rimesso al passo con sua madre e da quel momento si era costretto a camminare con lo sguardo a terra.

Si era sentito a disagio e si era calmato solo sul trenino che li aveva riportati a poche fermate d’autobus di distanza da Spinner’s End. Non aveva più scambiato una sola parola con sua madre fino a sera inoltrata, quando Eileen aveva fatto una cosa che non faceva da anni: prima di strisciare in camera sua aveva socchiuso piano la porta della stanza di Severus. Lui non dormiva, troppo preso dai ricordi di quell’ora coloratissima passata a Diagon Alley; sorpreso, sentì che ora doveva davvero dire qualcosa.
“Grazie... mamma” aveva detto sottovoce nel buio.
“Prego, Severus” aveva risposto lei, in un sospiro appena udibile, richiudendo la porta.

***



Un fischio acuto lo riportò nel corridoio del sotterraneo.
Pensò che avrebbe dovuto dare un sacco di spiegazioni ad Avery e Mulciber se avesse ancora tardato il suo ritorno alla sala comune e, anche se a malincuore, si allontanò dall’aula di Pozioni dentro cui i fischi si moltiplicavano. Forse i ragazzi stavano preparando il filtro Anti-otturazione, utile per i casi di raffreddore particolarmente violento. Nel libro di Eileen c’era un’illustrazione particolarmente buffa degli effetti collaterali di quella pozione, che causava la fuoriuscita di vapore dalle orecchie.

Supremazia” mormorò Severus giunto alla parete liscia e il muro scivolò di lato.
La sala comune era quasi vuota ma, nonostante questo, affatto silenziosa. Non ci fu bisogno di cercare la fonte del rumore crepitante che riempiva l’ambiente, Severus ci avrebbe scommesso che Avery e Mulciber non stavano impiegando quell’ora libera per studiare.
Infatti giocavano a Spara Schiocco, sotto gli sguardi divertiti di altri bambini del primo anno e quelli più rigidi di un gruppetto del sesto, seduto a un tavolo in fondo. Era chiaro che questi tolleravano l’esuberanza delle matricole solo perché era il primo giorno.
“Ah, eccoti Piton!” lo accolse Mulciber, mentre evitava un attacco di Avery facendosi scudo dello schienale di una poltrona.
Tutti si voltarono o alzarono lo sguardo sul bambino appena entrato.
“Meno male che sei arrivato, adesso posso anche bruciare la poltrona, tanto ci pensi tu a spegnerla!”
E uno scoppio più violento degli altri illuminò di scintille rosso vivo il bagliore verdino della sala.

Un paio di ragazzi del sesto anno si sussurrarono qualcosa all’orecchio.

Severus era combattuto tra il fastidio e un sottile compiacimento, ma non diede al compagno la soddisfazione di rispondergli. Voleva studiare e si diresse al dormitorio, sentendosi molti sguardi addosso. Fu tentato dalla pace del corridoio e della sua camera, ma il pensiero che i compagni avrebbero potuto trascinarlo nella sala comune gli parve decisamente possibile e non gli piacque neanche un po’.
Quando ritornò con un libro sotto il braccio, Avery si stava rassettando la veste, mentre Mulciber ansimava a terra.

Si sedette in una poltrona isolata, vicino ad un camino. Nessuno dei suoi compagni aveva intenzione di ripassare la lezione di Trasfigurazione, ora stavano tutti intorno ad Avery che -casualmente- aveva lasciato scivolare fuori da una tasca una fotografia del suo castello. Una bambina dall’aspetto cattivo si fece tutta cinguettante e cominciò a subissare Avery di domande, nella trepida speranza di essere un giorno invitata in quella dimora.
Che avessero undici anni o più, le ragazze non pensavano ad altro?
A Severus ricordò sgradevolmente l’ammirazione di Petunia Evans per le ricchezze e le comodità della sua amica Betty. Senza farsi notare sbirciò la compagna con un occhio al di sopra delle pagine del libro e quei denti cavallini rafforzarono in lui la sensazione di trovarsi di fronte alla sorella di Lily. Contrasse le dita sul volume dalle pagine ingiallite e tornò a leggere.
In realtà non avrebbe avuto bisogno di farlo, conosceva quel capitolo ed era stato attento in classe, ma un innato senso di precisione e metodo si impossessava di lui quando si trattava di studiare, perfino in una stanza dominata dalle chiacchiere chiassose dei compagni.

Tirò fuori dalla tasca il fiammifero della McGranitt e lo posò su un basso tavolino quadrato di fronte a lui. Non staccò gli occhi dal fiammifero mentre estraeva la bacchetta dalla veste. Nella sua mente stava ripassando parola per parola il procedimento di trasfigurazione, i diagrammi della professoressa, la formula dell’incantesimo.
“Scalpius” mormorò, con un preciso movimento della bacchetta. Uno stuzzicadenti apparve nel tempo di un battito di ciglia.
Bene, ora il contrario.
Severus non sentiva un solo rumore intorno a sé, era come se avesse le orecchie imbottite di ovatta. Si concentrò.
“Ce-ri-nus” scandì.

“Ottimo lavoro” fece una voce di fianco a lui.
Severus sobbalzò e accanto alla sua poltrona vide un giovane alto, dall’aspetto curatissimo e con uno sguardo molto penetrante. Temette di aver dato spettacolo e si chiese se non sarebbe stato meglio esercitarsi tra le mura del suo dormitorio, ma il ragazzo non aveva avuto un tono canzonatorio quando gli aveva rivolto la parola.
Si era avvicinato così silenziosamente che Severus non ne aveva percepito la presenza fino a che non aveva parlato.
“Yaxley” si presentò il giovane, allungando una mano.
“Piton” rispose Severus, affrettandosi a stringergliela.
Il ragazzo avvicinò una poltrona con un pigro colpo di bacchetta e si sedette, le gambe magre calzate in lucidissimi stivali e gli indici uniti sulle labbra sottili.
Scrutava Severus con qualcosa di più che curiosità.

“Ho sentito che sai fare magie avanzate” esordì, senza preamboli.
“Beh, io…”
Qualcosa in quello sguardo non gli piaceva. Era molto calcolatore sotto l’apparente gentilezza.
“E’ che ieri sera ha preso fuoco il tappeto nella nostra stanza… la stanza dove dormiamo io, Avery e Mulciber…”
“Ah sì” fece Yaxley e lanciò un’occhiata al gruppetto del primo anno ancora tutto preso in chiacchiere sul castello di Avery che ora stava intrattenendo i compagni raccontando di come suo padre aveva punito un turista babbano che aveva osato bussare alla loro porta chiedendo di poter visitare la dimora.
“Li conosco. Famiglie di tutto rispetto.”
Una piega beffarda gli incurvò un labbro. Poi tornò a fissare Severus.
“Ecco io…”
Era difficile non sentirsi intimiditi sotto lo sguardo di ghiaccio di Yaxley, ma Severus reagì.
“…io ho semplicemente usato un incantesimo Spegnifiamma.”
“Chi te l’ha insegnato?”
“Nessuno! Voglio dire, sapevo come si fa e… e ho visto mia madre usarlo, una volta.”
Da uno sguardo che Yaxley lanciò all’indietro, Severus realizzò che altri ragazzi del sesto anno stavano seguendo la scena e che anzi Yaxley era stato mandato apposta per interrogarlo sui fatti della sera prima.
“Davvero notevole, per uno come te.”

Severus arrossì.
Aveva una mezza idea sui mille significati -tutti sgradevoli- che poteva avere quella frase apparentemente innocua. Yaxley lo fissava, totalmente a suo agio.
“Sai… Piton, giusto?”
Severus annuì, sulle spine. Non capiva dove il ragazzo volesse andare a parare.
“Sai, Piton, di maghi in gamba c’è gran bisogno.”
Yaxley arricciava le labbra mentre parlava, sempre tenendoci contro gli indici.
“La magia ci rende superiori, capisci? Sei nella Casa giusta per imparare quanto questo sia importante.”
Severus dovette fare un’involontaria espressione di curiosità, perché Yaxley soggiunse, avvicinandosi di più:
“A Serpeverde si tengono in gran conto le capacità e i talenti di un mago. Non si accettano scartine qui, né ci interessano i… cuori di leone.”
Ridacchiò e Severus udì fare altrettanto anche i suoi compagni dietro di loro. Non era difficile capire che il riferimento era alla Casa di Grifondoro. Dal momento che anche lui condivideva quel giudizio, d’istinto Severus disse:
“Sì!”
Ci fu un ardore particolare nel modo in cui parlò e Yaxley ne fu molto soddisfatto.
“A noi piacciono i maghi in gamba… quelli di grande potere.”

Severus alzò gli occhi sul volto del giovane.
Allora, non gli importava che fosse un mezzosangue? Che suo padre fosse un babbano? Quel ragazzo era di certo un purosangue e pure ricco, a giudicare da come era vestito e da quella eleganza noncurante che trasudava da ogni suo gesto. Guardava il fuoco nel camino col capo mollemente piegato.
“Mi hanno detto che hai già letto i libri di scuola…” sparò Yaxley all’improvviso dopo una lunga pausa.
“Sì” rispose Severus, tornando guardingo.
“E dicono che hai letto anche quelli degli anni successivi.”
“Sì…”
Yaxley lo fissava.
“Erano di mia madre. Mi piaceva guardarli e così quando poi ho imparato a leggere, io…”
“Li guardavi prima ancora di saper leggere?”
Severus guardò il ragazzo dritto negli occhi e deglutì.
“Sì.”
Questa volta Yaxley non potè nascondere un’espressione incredula e si voltò verso i compagni del sesto anno.
Severus era combattuto tra la voglia di sentisi così al centro dell’ammirazione, per quanto sconcertata, e il desiderio di tornarsene per i fatti suoi. Decise che ne aveva abbastanza.
“Se a te non dispiace, io vorrei… ripassare l’incantesimo, adesso. Dobbiamo impararlo per giovedì.”
“Non lo conosci già?” lo canzonò Yaxley, colpito tuttavia dall’abnegazione del bambino.
“Non mi va di non provare. Penso che bisogna sempre esercitarsi!” rispose veloce Severus e non c’era falsa modestia nelle sue parole, bensì un’autentica convinzione.
“Oh! Allora ti lascio alle tue prove!” proclamò Yaxley dandosi una manata sulle cosce e alzandosi dalla poltrona.
“Sei un ragazzino… interessante” soggiunse poi, senza guardarlo più e tornando dagli amici.

Severus li sentì confabulare, ma non si sforzò di sentire che dicevano. Anche se sperava che stessero parlando bene di lui, voleva davvero concentrarsi sull’incantesimo del fiammifero. Voleva essere interrogato dalla McGrannit alla prossima lezione e produrre due incantesimi assolutamente perfetti. Alla faccia di Potter e Black.
Ringalluzzito da quella conversazione tuttavia, non potè impedirsi di ripensarci e l’idea di essere un mago prescelto per la propria abilità lo fece sentire importante. Un sentimento del tutto nuovo per lui. Solo ad Hogwarts era stato possibile.

Una voce rossa come una morbida onda di capelli e che profumava di parco babbano gli disse da lontano che no, c’erano state altre volte in cui qualcuno… qualcunA, lo aveva fatto sentire importante. Ma durò il tempo di un lampo e fu presto tacitata e riassorbita nella luce verde della sala comune.
“Scalpius!” pensò tra sé, muovendo la bacchetta.
Non accadde nulla.
“Scalpius!” pensò ancora.
“Scalpius!”
“Scalpius!”
“Scalpius!”
La bacchetta si muoveva con precisione, ma l’incantesimo non sortiva alcun effetto.

“Ma daaaai, ma stai provando a fare un incantesimo non verbale?” esclamò la voce così poco discreta di Mulciber.
Severus gli avrebbe volentieri spaccato la faccia, ma si mantenne composto e scelse di buttarla sul ridere, sentendosi gli sguardi dei ragazzi del sesto anno addosso.
“Beh, ci ho provato. Tanto prima o poi dovremo farlo, no?”
“Sì, ma p-o-i!” ribatté Mulciber, gli occhi spalancati.
Lo guardò con una specie di comica rassegnazione.
“Bah, quanto sei secchione!”
“Dovresti provare a esercitarti anche tu” replicò Severus con calma.
“Ma vaaa, questa roba è per giovedì. E se la McGranitt mi fa storie, le faccio spuntare due corna da alce su quella testa rinsecchita, uhhhh!!!”
E mimando la presenza di un palco di corna sulla testa, si diresse al galoppo contro Avery, per il divertimento di quelli del primo anno.
“Dai Piton, facciamoci una partita a Spara Schiocco tutti insieme!” lo invitò poi con ampi gesti del braccio.
Certo che non lo avrebbero lasciato in pace se si fosse rifiutato, Severus alzò la voce per rispondere:
“Finisco qui e poi vengo.”
Mulciber scosse il capo, ma si tuffò subito nella partita, ricominciando a riempire la sala della sue urla eccitate.
“Promesso eh?” gridò.
“Sì… sì.”

Severus stette per qualche secondo a guardare i compagni. Scalmanati, giravano attorno ai tavoli e alle poltrone.
Gli tornarono alla mente i bambini babbani del parco: quelle urla, quei salti, quell’eccitazione irrefrenabile… davvero sì, era come ritrovarsi di nuovo al parco, anche se i bambini qui indossavano una divisa e non c’erano né scivoli, né altalene nel bagliore delle scintille…
Scintille? Un piacere perverso invase Severus. Nessun bambino babbano avrebbe mai potuto giocare a Spara Schiocco. Al massimo potevano tirarsi un pallone di plastica.
I bambini babbani non erano come loro. Non erano in gamba, né di grande potere. Non erano come lui.

“Scalpius” sussurrò. E il fiammifero tornò stuzzicadenti.

Edited by Camelia. - 6/8/2013, 23:58
 
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