Severus Piton & Alan Rickman Fan Forum

Il primo giorno, Seguito de "La prima sera"

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Camelia.
view post Posted on 15/11/2011, 23:23 by: Camelia.




Ringraziando Sibilla per gli incitamenti... :)



Capitolo 13:


Camminarono tenendosi per mano, in silenzio.
La calma che regnava tutt’intorno a loro faceva risuonare i loro passi, anche se lievi, ed era un suono piacevole. Severus si perse in quel ritmo di perfetta armonia con Lily e si guardò attorno, vedendo e non vedendo ciò che li circondava, ora colpito da qualche particolare di cui il castello abbondava, ora estraneo a tutto e riassorbito nei suoi ricordi più dolci, quelli dei momenti passati con lei.
Al suo fianco, Lily procedeva con lo stupore sul volto. Hogwarts era magnifica, molto più bella di come se l’era figurata.

“Non me l’immaginavo così” sussurrò.
“Cosa?” domandò Severus, riscuotendosi.
“Hogwarts” rispose lei, guardandolo con un sorriso.
Gli occhi le brillavano di gratitudine, era come se trovarsi lì fosse un regalo, un regalo che Severus le aveva fatto.
Ridacchiò.
“Sai…” e gli occhi le si fecero più grandi “…se penso a quel giorno che sei spuntato fuori dal cespuglio e mi hai detto che ero una strega…”

Severus tornò con la mente a quel giorno, l’ennesimo in cui era rimasto rannicchiato a guardarla, ma il primo in cui aveva osato farsi guardare da lei e parlarle. Non era andata benissimo quella volta, la presenza di Petunia (quella babbana!) aveva rovinato tutto.
Aggrottò le sopracciglia, al ricordo.

“Come sono belle queste armature, non ne avevo mai viste tante tutte assieme! Ce ne sono un sacco anche vicino alla nostra Sala Comune, lo sai?”
“Oh” fu tutto quello che riuscì a rispondere Severus, costringendosi a un breve finto sorriso.

Non voleva che gli venisse ricordato di appartenere a una Casa diversa, era una cosa insopportabile.
Con una sola parola, “Grifondoro!”, un vecchio cappello rappezzato aveva cancellato anni di fantasticherie e pensieri.
Certo, era ad Hogwarts e gli pareva impossibile aver vissuto fino ad allora a Spinner’s End; avrebbe frequentato le lezioni, avrebbe studiato, avrebbe fatto i compiti… ma nella sua mente tutto questo era stato immaginato con Lily accanto e ora sapeva che non sarebbe diventato realtà.
Si accigliò.
Beh, almeno a Incantesimi erano stati assieme.
Il ricordo della lezione gli fece anche pensare che non aveva ancora raccontato nulla del suo perfetto incantesimo della sera prima. Tutta la sua Casa ormai lo sapeva e perfino Lumacorno, il che lo rendeva orgoglioso come non mai, ma farlo sapere a Lily sarebbe stata un’altra cosa, dirlo a lei valeva molto di più che farlo sapere alla scuola intera!
Girò la testa, studiando il suo viso sereno. Non voleva apparirle sbruffone, sarebbe stato come abbassarsi al livello di Potter e Black.

Lily stava col naso per aria, osservando rapita il soffitto di pietra a volte incrociate. C’era eleganza in quell’intrico di linee curve e al contempo un’idea di antica solidità. I raggi del sole erano come fari puntati sul pavimento e non raggiungevano l’altezza delle volte che restavano in penombra e forse per questo sembravano ancora più affascinanti.

***


Un giorno d’estate Severus si era immerso in un ruscello. Non era che un piccolissimo corso d’acqua e nel suo punto più profondo ci si poteva distendere e restare comodamente a galla.
Si era diretto in quel luogo, così diverso dal fiumiciattolo grigio e sporco che si trovava al limitare di Spinner’s End, e si era seduto sulla sponda erbosa, pensando a tutto e a niente.
Quel giorno suo padre era stato particolarmente irascibile, per questo lui era uscito di casa e si era chiuso alle spalle urla e grida. Sapeva che al suo ritorno non avrebbe trovato Tobias e che sul volto di Eileen ci sarebbe stata un’espressione di disperata angoscia, forse condita di qualche livido.

Con i palmi aperti Severus accarezzava distrattamente l’erba e seguiva con gli occhi lo scorrere lento e costante dell’acqua limpida, reso irregolare dalle pietre sul fondo.
Aveva caldo, avvolto nel suo solito cappotto, e l’acqua sembrava chiamarlo col suo sciacquìo invitante. Si era guardato intorno e quando fu sicuro di essere solo, si spogliò, con un sollievo via via sempre maggiore ogni volta che si toglieva un indumento di dosso. Cappotto, pantaloni sdruciti, camiciola logora… aveva lasciato i vestiti uno sopra l’altro in un mucchio e aveva immerso un piede nell’acqua.
Che sensazione magnifica…

Con gli occhi chiusi aveva ruotato la caviglia per sentire meglio la carezza del ruscello tra le dita. Poi aveva infilato anche l’altro piede e si era ritrovato immerso fino alle ginocchia, il fresco che gli scivolava addosso.
Con un sospiro aveva inclinato la testa all’indietro e non aveva dovuto pensare oltre: si era disteso sul fondo, aveva posato la schiena ossuta sulle pietre e l’acqua l’aveva ricoperto come un lungo mantello infinito, scivolandogli sulle spalle, sui fianchi magri e lungo le braccia abbandonate e senza peso. L’acqua scorreva sulla sua testa fino ai piedi, i capelli troppo lunghi restavano sollevati sotto la superficie e solo il suo viso rimaneva fuori.
Sopra di sé vide i rami degli alberi carichi di foglie e il sole che tentava di filtrarci attraverso. Chiuse gli occhi e macchie chiare e scure si rincorsero sotto le sue palpebre abbassate.
Le orecchie immerse gli restituivano attutito il frusciare delle fronde attraverso il rumore dell’acqua.
Respirò sempre più lentamente, perdendo la percezione del proprio corpo.

***


Ora, percorrendo il corridoio con Lily, nella scuola deserta e immersa nel silenzio delle aule chiuse, percepì la stessa meravigliosa sensazione di leggerezza. Non sentiva il suo corpo, che si muoveva da solo.
Continuò a guardare Lily e più la osservava più sentiva il benessere diffondersi impalpabile dentro e fuori di sé. Non c’erano né tempo né spazio.

“Attento!” fece Lily, spostando istintivamente un braccio a reggerlo.
Severus non si era accorto di essere arrivato a una scalinata e aveva inciampato contro il primo gradino.
Si riscosse dal suo torpore beato.
Lily gli stava parlando, snocciolando le istruzioni di Alice:
“Adesso dobbiamo salire questa scala, voltare a destra, prendere il corridoio dietro l’arazzo di un mago seduto lungo un fiume a pescare pesci volanti e…”
“…e sarete arrivati alla biblioteca!” chiocciò una voce lì a fianco.
I due bambini si voltarono e videro un mago molto vecchio con un cornetto acustico che li osservava da un piccolo quadro sulla parete.
“Siete nuovi eh?” fece, con una vocetta stridula.
“Sì!” sorrise Lily.
Severus si limitò ad annuire.
Lily era davvero affascinata dai quadri che parlavano, le mettevano allegria.
“Ohhh, ne ho visti di studenti andare in biblioteca, ma è raro vederne di così giovani alla seconda ora del loro primo giorno di scuola!”
Il vecchietto si sporse dalla sua bella poltrona di velluto verde.
“Beh, noi…” iniziò Lily.
Sembrava leggermente a disagio.
“Oh, non è mica un rimprovero, piccola! È bello vedere dei bambini così interessati a imparare!”
Lei sorrise di nuovo, rilassandosi.
“State solo attenti a non far arrabbiare Madama Pince!”
“Chi è Madama Pince?” Severus finalmente parlò.
“Oh, scusami, non te l’ho detto” rispose in fretta Lily “Alice mi ha spiegato che è la custode della biblioteca, dobbiamo chiedere a lei il permesso di prendere i libri e di studiare lì.”
“Esattamente!” riprese il vecchietto, che spingeva il cornetto acustico al limite della cornice del suo ritratto per sentire meglio.
“E non sopporta che si faccia confusione, che si mangi in biblioteca e soprattutto che si rovinino i libri” continuò, alzando un tremolante dito ammonitore.
Poi abbassò la voce e si avvicinò più che poté al bordo della sua tela:
“È un vero mastino, riesco a sentire le sue urla anche senza questo!” e agitò il cornetto di bronzo, producendosi in una risata a due soli traballanti denti.
Lily e Severus si scambiarono un’occhiata divertita.
“Va bene, signore, grazie!” si accomiatò lei.
“Sì, grazie” le fece eco Severus.
“Di niente, di niente, figlioli” biascicò il vecchietto, riaccoccolandosi sulla poltrona e agitando benevolo una mano grinzosa. “È sempre un piacere conoscere i nuovi allievi di Hogwarts!”

I due fecero per salire i gradini, quando udirono una voce squillante, che li fece sobbalzare.
“Nuovi allievi?”
Lily e Severus si guardarono attorno, spaesati; non avevano sentito avvicinarsi nessuno.
“Cucù!” fece la voce, in falsetto, ed entrambi alzarono la testa.
Un ometto dai vestiti sgargianti galleggiava un paio di metri sopra di loro, a testa in giù. Un berretto verde smeraldo con dei sonagli appesi penzolava floscio dalla sua testa e la creatura stava a braccia e gambe incrociate, fluttuando in aria. Osservava con aria furba i due bambini esterrefatti e gli si leggeva in faccia che stava tramando qualcosa.
Lily era a bocca aperta. Era chiaro che non capiva chi, o meglio che cosa fosse quell’essere dagli occhietti penetranti.

“Tu sei Pix.”
Severus parlò lentamente.
Lily si voltò verso l’amico e solo allora lui realizzò di non avergliene mai parlato. In effetti non ne sapeva molto, Eileen gliene aveva accennato una volta, ma dato che l’argomento non l’aveva particolarmente colpito, non aveva indagato oltre. Si dispiacque di non averne mai fatto parola con Lily.
“È un poltergeist” esordì “mia mamma una volta me ne ha…”
“Che cos’è un poltergeist?” chiese subito Lily.
“Un poltergeist è uno che sa fare questo” fece Pix con voce nasale e con una capriola si tuffò sulla balaustra della scalinata risalendola a balzi e producendosi in sonore pernacchie che si accompagnarono al tintinnare dei suoi sonagli.
Avrebbe anche potuto essere divertente, se non fosse stato così rumoroso…
“Sssstt” implorò Lily, scuotendo le mani.
Si guardò attorno impaurita e Severus capì che temeva la sgridata di qualche professore.
In effetti, anche a lui non andava molto tutto quel chiasso, c’era il rischio che qualcuno li rispedisse nelle rispettive Sale Comuni e questo avrebbe voluto dire separarsi da Lily.
Ma Pix assunse un’espressione estremamente soddisfatta e cominciò a canticchiare, insolente:
“La rossa dice sssst / e Pix si posa qui!”
E con orrore dei due bambini, il poltergeist fischiò fortissimo e si piazzò perpendicolare sulla parete di fianco a loro, appena sopra un lungo quadro che raffigurava uno stormo di fenicotteri fermo sulle sponde di un fiume.

Pix trasse fuori di tasca un oggetto che loro non riuscirono a distinguere.
Ma quando lo scagliò contro il quadro, fu ben chiaro cosa fosse: era una boccetta d’inchiostro che s’infranse contro il quadro e imbrattò tutte le piume rosa dei fenicotteri.
Gli uccelli presero a starnazzare e si alzarono in volo in tutte le direzioni, disperdendosi nei quadri vicini e portando scompiglio in un tinello dove due maghi stavano giocando a scacchi, in una torre dove una strega si stava pettinando i lunghi capelli biondi, in una stanza dove un bambino che dormiva in una culla si svegliò di soprassalto e cominciò a piangere, in un prato dove una donna stendeva i panni, che furono fatti cadere a terra o trasportati in altre tele appesi al becco di qualche uccello, tra le urla della strega…
Un fenicottero entrò con un gran sbatter d’ali anche nel quadro del vecchio con il cornetto acustico e il poverino ebbe il suo daffare a cercare di cacciare il riottoso volatile fuori; quando finalmente ci riuscì, parecchie piume svolazzavano per aria e presero poi a scendere placide sulla poltrona e sul suo cappello, come neve rosa.

In tutto questo, il poltergeist sembrava godersela un mondo.
I personaggi umani dei quadri che non erano impegnati a combattere con qualche fenicottero sovraeccitato, mostravo i pugni a Pix che, da parte sua, li ricambiava con smorfie e linguacce; gli animali fuggivano o cercavano di inseguire gli uccelli e tutta la parete era animata da urla e movimenti concitati.

“Andiamocene!” esclamò Severus e, afferrata Lily per la mano, salì di corsa la scala, voltò a destra e, correndo lungo il corridoio, cercò freneticamente l’arazzo col mago pescatore che l’amica gli aveva descritto poco prima.
Il putiferio alle loro spalle diminuiva di volume man mano che si allontanavano e quando trovarono l’arazzo, lo spostarono senza troppe cerimonie e vi si nascosero dietro, ansanti.

Il mago che stava pescando protestò vivacemente quando il movimento lo fece barcollare e poi cadere nell’acqua. Un nugolo di pesci volanti prese a saltellargli intorno, rituffandosi poi nel fiume.
“Ma insomma! È forse questo il modo?” protestò veemente.
“Ci scusi, signore” disse Lily sottovoce, molto dispiaciuta.
Dalla loro posizione potevano vedere il retro del ricamo.
“È che stavamo scappando da Pix…”
“Oh, Pix!” fece il mago stizzito, agitando la canna da pesca e rimettendosi in piedi grondante acqua. Riguadagnò la sponda e cominciò a togliersi le scarpe.
“Capisco, capisco. Beh, non è colpa vostra, quel poltergeist è insopportabile, non fa altro che creare fastidi e disordine!”
Svuotò le scarpe nell’acqua e un pesciolino minuscolo cadde nel fiume.
“Toh guarda, l’unico che mi era riuscito di prendere oggi!” osservò il mago dell’arazzo, scuotendo la testa con un sospiro.
Continuò: “Se solo potessi avere quella creatura tra le mani, giuro sulla barba di Merlino che gli farei passare la voglia di fare confusione una volta per tutte!”
E così dicendo, strizzò le ampie maniche della veste, ma perse l’equilibrio e scivolò sull’erba bagnata cadendo nuovamente nel fiume, tra imprecazioni e pesci volanti che gli saltellavano beffardi tutt’intorno.
I due bambini soffocarono una risata ma subito tesero le orecchie perché quella che sentivano avvicinarsi era l’inconfondibile voce impertinente di Pix.
“Oh no!” sussurrò Lily.
Ma Severus si posò un dito sulle labbra accostando l’orecchio alla tela ricamata.

“Serpeverde e Grifondoro / dove fuggon mai costoro? / Io vi trovo, ve lo giuro / non credetevi al sicuro!”
Lo spiritello canticchiava proprio nel corridoio dell’arazzo.
Un rumore di ferraglia li fece sobbalzare. Pix doveva essersi messo a giocare con le visiere delle armature o a percuoterle, perché il rimbombo era fortissimo.
“A-n-d-i-a-m-o” articolò Lily con le labbra, senza emettere suono e Severus annuì.
Si erano appena avviati in punta di piedi quando udirono una voce bassa e profonda.
“Pix.”
Immediatamente ogni rumore cessò e ci fu qualche istante di assoluto silenzio.
“Signooore, come sono contento di vederla” cominciò a dire il poltergeist con una voce sottomessa che grondava falsità.
“Pix, non tollero tutti questi schiamazzi” l’altra voce era calma, ma aveva un che di temibile.
Lily e Severus si guardarono, incuriositi. Più silenziosamente che poterono, tornarono all’arazzo e lo spostarono quel poco che bastava per avere una visione del corridoio.
Una figura perlacea con pesanti catene ai polsi e alle caviglie stava a mezz’aria di fronte a Pix.
Lo spiritello ora non faceva mostra della sua arietta compiaciuta e sembrava essersi sgonfiato. Non stava più a testa in giù e galleggiava tenendosi contro le finestre e dando tutta l’impressione di volersi dileguare al più presto.
Con voce untuosa e servile biascicò:
“Sì, dunque… Vossignoria, io adesso… io… devo andare…”
“Bene, Pix” fu la secca risposta del fantasma.
Il suo volto era terribile e severo, due ombre opache si stendevano sotto gli occhi vitrei e la voce fonda era davvero spaventosa.
Pix filò via, senza schiamazzi né pernacchie.
Il fantasma fece per voltarsi e proseguire nella direzione opposta e Lily e Severus si ritrassero di nuovo dietro l’arazzo.
Udirono il mago pescatore dire “Meno male che ci siete Voi, Barone…” e Lily sottovoce chiese:
“Barone?”
“Sì…”
Piton era un po’ in imbarazzo.
“Quello è il Barone Sanguinario” dichiarò infine, tralasciando di dirle che era il fantasma di Serpeverde, forse perché non era sicuro che a lei sarebbe piaciuto. Come aveva pensato poco prima di colazione, il Barone non ispirava certo simpatia come pareva facesse invece quel Nick-Quasi-Senza-Testa di cui Lily gli aveva parlato.
La bambina trattenne il fiato.
“Ma allora… allora quelle macchie argentate sui suoi vestiti erano sangue?”
Era inutile fingere che non fosse così, in fondo “Sanguinario” doveva pur significare qualcosa.
“Io credo.. credo di sì” rispose Severus e, notando lo sgomento negli occhi di Lily, la prese di nuovo per mano e la guardò fisso.
“Ma non è pericoloso. È un fantasma, capisci? Non può farti del male.”
Si morse il labbro, pensando concitato a qualcosa.
“Secondo me era un cavaliere che ha sgominato tutti i suoi nemici sui campi di battaglia!” concluse con foga.
Non che l’idea di eserciti trucidati fosse allegra, ma guardando il viso convinto di Severus, Lily si tranquillizzò un pochino. Si era lasciata prendere dall’emozione; la vista di quel volto trasparente, emaciato e gravato come di un peso, l’aveva turbata più del necessario.
Scosse il capo a occhi chiusi per cacciar via l’immagine del Barone e l’idea dello sterminio dei suoi nemici. I suoi capelli rossi ondeggiarono e quando riaprì le palpebre e lo guardò, Severus si sentì felice.
“Sembra triste” osservò Lily, sostituendo la paura con l’empatia.
“Chi?”
“Il Barone Sanguinario!”
“Boh, non so…” mentì Severus.

Ad essere sinceri, la sera prima in Sala Comune aveva avuto proprio la stessa impressione, ma non gli andava di parlarne. Per tutta la vita era stato circondato da tristezza e infelicità, non aveva nessuna voglia di indagare sulla sofferenza del Barone Sanguinario, che sicuramente era vecchia di secoli.
Forse era triste per essere morto. O forse di essere morto e di essere rimasto fantasma. Magari erano tutte quelle catene che si tirava dietro… Erano pesanti?, si chiese. In fondo un fantasma non aveva peso e…

“Però quei fenicotteri erano buffi!” rise Lily.
Severus riemerse dalla sue considerazioni sui fantasmi e si concentrò su quelle parole.
In effetti… ora che erano lontani da Pix e da ogni possibile sgridata per il baccano da lui provocato, potevano ripensare a quanto appena accaduto vedendone solo il lato divertente.
Rise con lei.
“Hai visto quando quel fenicottero ha cercato di uscire dal camino del quadro grande e ci è rimasto incastrato?”
“E quando altri due hanno schizzato d’inchiostro la strega in camicia da notte?”
Sì, era stato davvero comico vedere la strega che, terrorizzata dai fenicotteri imbizzarriti, si era tuffata sotto un tavolo, non prima che l’uccello le avesse spruzzato addosso abbondante inchiostro nero, il che -dato che lei stava a quattro zampe- l’aveva fatta assomigliare a un cane dalmata che guaiva disperato.
Quando gli uccelli erano scappati nel dipinto vicino la strega si era passata le mani sul viso, senza rendersi conto di spalmarsi tutto l’inchiostro nero sulla faccia.

***


Gli ci era voluto qualche giorno per trovare il coraggio di fare quello che voleva.
Ma una fredda mattina, si alzò dal letto risoluto e, incurante del freddo pungente, non si infilò neppure le pantofole prima di scendere di sotto, alla ricerca di un pezzo di carta e di uno spago.
Evitò la cucina, dalla quale provenivano i grugniti di suo padre, nervoso come al solito, e il fischio del bollitore.
La carta che trovò era semplice imballo da pacchi, purtroppo non aveva di meglio. Se solo avesse avuto una bacchetta e il permesso di fare magie, ci sarebbe voluto un attimo per renderla più bella, ma dovette accontentarsi; non voleva chiedere un altro favore a sua madre, sapeva che sarebbe stato troppo.
Tese le orecchie per assicurarsi che Tobias fosse ancora in cucina e risalì di corsa in camera, chiudendosi piano la porta alle spalle. Inginocchiato per terra, posò con cura sul letto la carta, lo spago e la boccettina di MagInk che Eileen aveva reso nuova qualche giorno prima.
Prese un’altra boccetta, di inchiostro nero, e su un lembo della carta da pacchi scrisse con cura “Lily Evans”, a lettere minute e strette; lo fece proprio così, con inchiostro e una vecchia piuma che faceva scricchiolare la carta. Poi ci incartò il MagInk e legò il tutto con lo spago.
Rimirò la sua opera.

Era un po’ triste come pacchetto natalizio, ma non poteva fare di meglio.
O sì?
In fretta si spogliò, rabbrividendo, e dopo essersi lavato si vestì più in fretta che poté. Udì suo padre uscire di casa sbattendo la porta, mentre sua madre iniziava a riassettare e pulire.
Nascose il pacchetto sotto il cuscino e rifece il letto.
Quando scese di nuovo, coperto dal vecchio cappotto, con una sciarpa marrone al collo e un berretto di lana, Eileen fu sorpresa.
“Non fai colazione?”
“No…” lui la guardò con i grandi occhi profondi e scuri e la donna non fece altre domande.
Forse aveva visto luccicare qualcosa nello sguardo del figlio, ma non indagò oltre.
“Va bene” fu tutto ciò che disse, voltandosi e prendendo una bracciata di rami secchi da una cassa.
Per un istante Severus rimase a fissarla, china sul camino, intenta ad accendere il fuoco con dei fiammiferi babbani… poi uscì, con una stretta al cuore.

L’inverno non rendeva più piacevole Spinner’s End, ma il dover camminare a capo chino per limitare i danni del vento freddo, aiutava a non soffermarsi sul grigio ghiacciato di brina che avvolgeva tutto.
Camminò svelto, senza guardarsi attorno, con il parco come unica meta; qua è là il ghiaccio gli scricchiolava sotto le suole. Incontrò pochissime persone, tutte intabarrate e con le mani in tasca.
Quando raggiunse il parco rallentò, tenendo gli occhi fissi a terra; sarebbe stato difficile trovare una piuma, ma magari qualche rapace poteva averne persa una durante le sue cacce notturne.
Non c’era nessun bambino sulle giostrine e sulle altalene e soltanto un uomo con un grande sacco attraversava frettoloso i sentieri di pietra, probabilmente per tagliare la strada verso casa. Doveva essere pieno di regali quel sacco, e Severus immaginò che il padre di Lily probabilmente ne avrebbe portato a casa uno colmo di regali proprio come quell’uomo.
Rimase a guardarlo fino a che non sparì alla sua vista.

Gli alberi del parco erano in gran parte spogli e tendevano al cielo i loro rami scuri; con una bella nevicata sarebbero stati uno spettacolo splendido. Severus si calò meglio il berretto sulla testa e tirando calci a un sasso riprese a camminare.
Si trascinò di albero in albero, osservando bene per terra, tra le foglie scure mezze marcite che ricoprivano il prato come un tappeto e fu fortunato: entro mezz’ora trovò una bella piuma grigia screziata di macchioline nere.
La infilò nel cappotto, al settimo cielo. Ora aveva voglia di correre e stava già riguadagnando l’uscita quando vide un cespuglio di agrifoglio. Ne staccò un rametto con poche foglie e qualche bacca rossa e corse via, a casa.

Fu un Severus intimorito ma anche orgoglioso quello che, quello stesso pomeriggio sul tardi, si avvicinò alla cassetta delle lettere di casa Evans e ci infilò dentro un pacchettino legato con lo spago che teneva fermi anche il ramettino di agrifoglio e la piuma. Aveva passato tre buoni quarti d'ora a pulirla per bene, a spuntarla e appuntirla a dovere, seduto a gambe incrociate in camera sua, e quando aveva finito l’aveva tesa davanti a sé ammirandola con soddisfatto compiacimento.
Aveva lanciato uno sguardo speranzoso alle finestre della casa di Lily, ma attraverso le tende tirate poté solo vedere la luce calda che vi filtrava.
Quella sera, disteso nel proprio letto con le mani dietro la testa, aveva sorriso al soffitto scrostato fino a che non si era addormentato.

La mattina dopo fu svegliato da alcune grida lontane. Erano bambini ed era ben raro sentire le loro voci allegre tra le vie di quel quartiere, ma gli bastò un’occhiata fuori dai vetri opachi della sua stanza per capire: la neve!
Durante la notte ne era caduta un bel po’ e -cosa incredibile- Spinner’s End sembrava meno brutta del solito. Sapeva che sarebbe durato solo poche ore, presto il grigio avrebbe sporcato tutto quel candore, ma fu comunque una visione inaspettata e gradita.
Pensò a Lily.
Pensò a come sarebbe stato divertente giocare a palle di neve come stavano facendo i bambini là fuori. E un pensiero improvviso lo fece sussultare: forse Lily sarebbe andata al parco!
Si vestì come una furia e si precipitò di sotto, ma si bloccò sugli ultimi gradini vedendo suo padre ritto sulla porta della cucina, come se lo aspettasse.

“Vai a fare un pupazzo di neve?” gli chiese, beffardo.
Non doveva farlo arrabbiare, Tobias era capace di impedirgli di uscire solo per il gusto di fargli un dispetto.
“Sì, io… posso?” gli domandò, col tono più umile che gli riuscì.
Questo sorprese un pochino il padre che era abituato a provocare rabbia il quel figlio gracile e anormale come la moglie.
“Tobias?” la voce di Eileen era flebile, ma chiara.
“Sta… sta finendo la legna” esalò, quando il marito si voltò a guardarla dentro la cucina.
Severus vide il volto del padre contrarsi.

L’avrebbe capito soltanto il suo primo giorno a Hogwarts -quando avrebbe ripensato a quella giornata- che Eileen aveva fatto in modo di attirare su di sé l’ira del marito per consentire a lui di uscire a giocare.
“Che hai da guardare? Sparisci!” gli aveva infatti abbaiato contro Tobias.
E Severus era corso fuori, senza farselo ripetere.

Non aveva ragionato male: il parco era effettivamente pieno di bambini intenti a giocare a palle di neve o a fare pupazzi. Severus si guardò intorno, ansimante. Chissà se c’era anche lei…
“Severus!”
La sua voce!
Si voltò, e vide una figuretta avvolta in un cappottino rosso che agitava un braccio. Aveva guanti, sciarpa e berretto bianchi a disegni rossi di stelle di natale.
Si corsero incontro.
Lily era eccitatissima, con le guance arrossate per il freddo e lo sguardo verde vispo e riconoscente.
“È bellissimo, grazie!”
E gli si tuffò addosso, abbracciandolo.
“Ti piace?” chiese lui, che tratteneva faticosamente l’impulso di abbracciarla a sua volta.
“È magico, sai?” le disse, staccandosi da lei.
“Sì, ho letto l’etichetta! Ma…” Lily era un po’ timorosa “…posso usarlo adesso? Voglio dire, non è come fare magie fuori dalla scuola?”
A Severus fece un’immensa tenerezza questa paura continua di Lily di infrangere la regola che limitava il ricorso alla magia da parte dei minorenni.
“Te l’ho detto”, spiegò paziente, “Noi non andiamo ancora a scuola, non possono farci niente!”
Lily sorrise.
“Questo è per te” gli disse poi, porgendogli un pacchettino che stringeva in mano e che Severus non aveva notato.
“Non sapevo come fare a dartelo, ma quando ho visto la neve oggi ho pensato che magari saresti venuto al parco…”
Severus abbassò gli occhi per nascondere la soddisfazione di aver avuto lo stesso suo pensiero e prese il pacchetto tra le mani.
Il vento freddo gli apriva i capelli scuri che uscivano da sotto il berretto, come due ali di corvo ai lati del viso. Quelli rossi di Lily invece sembravano due fiamme contro il biancore della neve circostante.

Severus, toltosi un guanto, sciolse il nastro colorato che chiudeva il pacchettino informe e ne trasse fuori due minuscoli pupazzetti vestiti da mago e da strega, con tanto di cappello a punta e bacchetta in mano. Erano fatti di pongo, colla e fil di ferro, tutti materiali babbani che Severus aveva visto usare in abbondanza nella scuola elementare che era costretto a frequentare, in attesa di andare in una scuola migliore, di lì a pochi mesi.
Tenne i pupazzetti nella mano, sollevandoli all’altezza degli occhi per ammirarli meglio.
La strega aveva i capelli rossi fatti di lana grossa e il mago capelli neri e lucidi di sottile filo di cotone. Le vesti erano nere, lunghe fino ai piedi e con il cappuccio e Severus riconobbe in ogni particolare i racconti su Hogwarts che aveva condiviso con Lily.
“Sono… bellissimi” disse infine, sentendosi invadere da un gran calore.
Si perse negli occhi verde chiaro di Lily, raggianti di gioia.
“Avevo paura di non riuscire a darteli!” esclamò lei, sollevata. “Per fortuna la mamma mi ha lasciata uscire da sola, Petunia è ammalata, sai...”
Si guardarono.
“Buon natale, Severus!”
“Buon Natale, Lily!”
E davvero fu una mattinata di dicembre ricca di felicità, tra un lancio di palle di neve e l’altro.
Da quel giorno in poi, Severus ogni sera prese l’abitudine di tirare fuori da sotto il cuscino i due pupazzetti, di sistemarli sul comodino uno accanto all’altro e di addormentarsi guardandoli.

***


“Credo che la biblioteca sia quella!” esclamò Lily.
Severus tornò al presente, abbandonando il freddo invernale di quel ricordo e ritrovandosi in un corridoio di Hogwarts.
Lily aveva ragione.
Avanzarono timorosi fino a una grande porta di legno pesante, uguale a tante altre porte che avevano visto fino a quel momento, a parte il fatto che era sovrastata da una finestra a mezzaluna decorata a vetri colorati.
Sullo sfondo di alcuni scaffali che traboccavano libri, vi erano raffigurati, circondati da pile di volumi aperti o chiusi, un mago e una strega intenti a leggere grossi tomi al lume di candela; dalle loro ampie vesti blu notte e bordeaux si dipanava un elegante cartiglio viola pallido che avvolgeva i libri come in un abbraccio e che recitava il motto “VIR SAPIENS FORTIS EST”.

Edited by Camelia. - 28/7/2013, 12:40
 
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