Severus Piton & Alan Rickman Fan Forum

Il primo giorno, Seguito de "La prima sera"

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Camelia.
view post Posted on 17/8/2011, 00:08 by: Camelia.




Eccomi ad aggiornare con un capitolo più introspettivo. Buona lettura! :)


Capitolo 8:


Non appena la porta della sala comune si richiuse alle sue spalle, Severus venne inghiottito dal buio e dal silenzio.
Per l’ennesima volta dal suo risveglio, echi lontani di risate e brividi di paura riemersero prepotentemente dalle visioni notturne. Severus si portò una mano alla fronte scuotendo il capo, sforzandosi di far sparire dalle sue orecchie il suono di uno schianto e il rimbombo di passi di corsa nell’acqua. Strinse forte gli occhi, rivedendo l’immagine di una cornice dorata e scosse la testa con più forza, affondando entrambe le mani nei capelli.
Per un attimo si sentì preda della stessa spossatezza fisica che aveva provato appena sveglio.

Si calmò e respirò a fondo, riaprendo piano gli occhi. Dopo la diffusa luce verdina che avvolgeva tutta la sala comune, gli ci volle qualche secondo per abituarsi all’oscurità del corridoio, dominato invece da un’opaca gamma di sfumature nere, grigie e marrone. In realtà non era affatto buio; ora che i suoi occhi si stavano abituando, si accorse che le torce alle pareti fornivano luce a sufficienza per rischiare il cammino.
L’umidità penetrò ancora una volta le sue narici e di nuovo, come la sera prima, le fosche stradine di Spinner’s End parvero per un attimo sostituire i muri di pietra che lo circondavano.
Fissò intensamente la fiamma di una torcia e la desolazione del quartiere babbano dominato da una fumosa ciminiera si bruciò in quel bagliore acceso.
Piegò il collo all’indietro, tirando un respiro lento e profondo. Chissà se Lily si era già svegliata.

Cercando di ripercorrere a ritroso il cammino che la sera prima aveva percorso seguendo Malfoy, Severus prese a camminare, pensieroso. I sotterranei di Hogwarts erano vasti, tutti svolte e gradini, ma, rinfrancato dalla parole che il Prefetto aveva detto (“Non è complicato raggiungere la sala comune”), il bambino non si sentì sperduto.

***



La prima volta che era scappato di casa era davvero molto piccolo.
Da circa un anno sapeva di essere un mago, figlio di una strega. Gli capitava di fare cose strane, senza volerlo; Eileen gli aveva raccontato che ai maghi minorenni non era concesso, ma dato che lui ancora non andava ad Hogwarts e non era in grado di controllarsi, il Ministero non avrebbe preso provvedimenti.

Sempre più spesso però, il bambino tentava di compiere magie in maniera consapevole, di nascosto. Aveva anche trovato i libri di scuola di Eileen e cercava di capirci qualcosa studiandosi le illustrazioni, nello spazio relativamente privato della propria camera.
Tuttavia quella mattina, Severus, obbedendo a un desiderio più grande della paura di venir scoperto, stava cercando di avvicinare a sé, senza toccarla, la zuccheriera che si trovava in mezzo alla tavola; nessuno lo guardava, sua madre stava pulendo il pentolino dove aveva scaldato il latte e gli dava le spalle, Tobias era curvo sulla sua tazza di caffè scadente, torvo e astioso. Severus aveva allungato la mano, come se riducendo la distanza tra sé e la zuccheriera, potesse essere più semplice fare la magia; controllava che suo padre non vedesse cosa stava facendo e cercava di concentrarsi.

“Vieni da me… vieni da me” scandivano le sue labbra senza emettere suoni; le piccole dita magre si tendevano immobili nell’aria, nascoste da un cestino malandato con poche fette di pane secco all’interno.
A Eileen scivolò il pentolino mentre lo asciugava e anche se fu lesta a prenderlo al volo e a non farlo cadere, il rumore che fece contro il bordo del lavello fu sufficiente a scatenare suo marito.
Era chiaro fin dal suo risveglio… Tobias non aspettava che un pretesto per scattare.

L’uomo prese a inveire contro la sbadataggine della moglie e Severus sobbalzò, sulla sedia troppo alta per lui; fu allora che la zuccheriera cadde dal tavolo.
Il bambino rimase impietrito a fissarla, con la mano ancora tesa.
Per un momento nessuno fiatò. Tobias fissò i cocci e poi Severus, che lo guardava con gli occhi spalancati dal terrore.
“L’hai fatto apposta, vero?” urlò l’uomo.
Eileen trattenne rumorosamente il respiro.
Severus provò a dire “No”, ma nessun suono uscì dalla sua bocca. Scuoteva vigorosamente il capo e istintivamente guardò la madre; con quell’occhiata Eileen capì che non si era trattato di un semplice incidente e, se possibile, si spaventò ancora di più.

“Piccolo maldestro!” iniziò Tobias “Inutile…” e fece per agguantarlo oltre il tavolo.
Ma Severus fu più veloce e scivolò sotto il tavolo, graffiandosi le cosce sulla paglia rovinata della sedia.
“VIENI SUBITO QUI!!” urlò Tobias, accucciandosi per prenderlo e mentre Eileen si slanciava sul marito tentando di afferrargli il braccio, il bambino riuscì a sgattaiolare via, in corridoio, sentendo alle sue spalle il rumore di una sedia rovesciata e quello di un inequivocabile tonfo.
Si voltò a guardare: Tobias aveva inciampato sulla sedia di Severus ed era caduto.

“In questa casa tutto cade a pezzi! Non c’è nulla di sano!” urlava l’uomo, fuori di sé.
“No, no! Lascialo stare, ti prego!” Eileen aveva aiutato il marito a rialzarsi e adesso cercava di trattenerlo “Ti prego, è solo un bambino, non l’ha fatto apposta! Adesso… adesso sistemo tutto e…”
“LASCIAMI, maledetta puttana!”
Severus vide sua madre frapporsi con tutto il corpo tra il marito e la porta.
“ Tobias, ti prego!”
Ma l’uomo era più alto, più massiccio e più forte della donna, nonché più arrabbiato. Eppure Eileen lottava con tutta se stessa e, inspiegabilmente, resisteva.
“No, ti prego! NO!” gridava.
E Severus odiò suo padre, lo odiò come mai gli era capitato prima.
Uno strattone, un grido e Eileen finì per terra.

Severus non ricordò neppure di averlo fatto; tornò in sé solo quando si ritrovò in un vicolo maleodorante, le case appiccicate le une alle altre nell’aria stagnante.
Era uscito di casa ed era corso via, senza sapere dove. Non avrebbe neppure saputo dire per quanto aveva corso, quando si fermò ansante, smarrito, le tempie che pulsavano, circondato da case così simili alla sua eppure diverse. Dov’era? Il cuore gli sprofondò nel vuoto.
Si scostò i capelli dal viso, cercando di calmarsi.

Non era mai uscito da solo di casa. Girò su stesso, cercando di capire da quale di quelle strette vie era venuto, mentre strani fumi si sollevavano da terra e rivoli scuri si riversavano nel tombino lì accanto. Alzò il capo e vide una vecchia raggrinzita fissarlo da dietro un vetro sporco; la donna spalancò la bocca in un’orribile risata senza denti e Severus cominciò a correre di nuovo, respirando forte e inalando i miasmi di quei vicoli stretti e tutti uguali.
Le donne e gli uomini che incrociava non abbassavano neppure lo sguardo su di lui, o lo guardavano come fosse un mattone tra i mattoni. Il bambino aveva voglia di piangere, ma temeva quelle persone che camminavano grigie nel grigio.
Si strusciò sugli occhi la manica troppo lunga del golfino un tempo appartenuto a Eileen e cercò di calmarsi.
Sentì odore di naftalina misto a quello di casa sua, sulla lana consumata.

Allora ricordò come era finito lì, si ricordò della zuccheriera e di come aveva desiderato attirarla a sé, si ricordò delle urla di suo padre e di essere scappato. Aveva aperto la porta ed era saltato giù dai pochi gradini della soglia e aveva iniziato a correre, senza sapere cosa faceva.
Di nuovo si guardò attorno, smarrito e con il cuore che ora batteva forte non per la corsa appena fatta, ma per lo spavento di essersi perso.

Poi, nella confusione dei suoi pensieri, si ricordò di essere un mago, anche se ancora inesperto.

Allora tutto prese una dimensione diversa… l’intrico di Spinner’s End, i suoi brutti abitanti, le assi marcite degli scuri a una finestra, la mela caduta chissà quando e a chissà chi e ora preda di un nugolo di insetti, la bocca sdentata della vecchia, la sporcizia, i camini che sbuffavano fumo nero… se stesso.
Il cuore gli martellava in petto, ma seppe che doveva tornare a casa: e se era arrivato fin lì, voleva dire che c’era anche una strada per tornare indietro.

Vagò per ore, o mezz’ore, o forse solo minuti…
Il tempo si dilatava e al contempo restava fermo in quel quartiere, dato che era impossibile distinguere la parabola del sole. Si strinse di più nel golfino e ne rivoltò una manica quattro volte, mentre osservava bene i pochi particolari che potevano distinguere un vicolo da un altro, una fila di case da un’altra. Per un po’ peregrinò a caso, incrociando sguardi foschi e sentendosi più piccolo di quel che era in mezzo a quelle case sconosciute, ma capì di aver scelto il modo giusto di agire quando, dopo un po’ di vagare, riconobbe una strada che aveva già percorso e la evitò.

“…erus!…” si udì in lontananza.
Con il cuore in gola prese a correre nella direzione della voce, passando tra le gambe delle persone che ora più numerose affollavano i vicoli. Intravvide la ciminiera, lontana più o meno quanto appariva lontana da casa sua, non poteva essere lontano!
“Severus…!” la voce di Eileen ora era più vicina.
Alla svolta successiva, la vide.

Non aveva mai guardato sua madre da lontano: era magrissima nel nero del vestito che le arrivava fin quasi a terra e indossava ancora il grembiule. Camminava spedita e al tempo stesso scomposta, a zig-zag, come se non sapesse bene che direzione prendere per ritrovare il figlio. I capelli sciolti le ricadevano scuri sulle spalle, poche forcine allentate a fissarli qua e là, scoprendo un volto pallidissimo.
Severus si stupì di quella visione, ma il sollievo di rivederla cancellò subito ogni altra sensazione.
Non la chiamò, ma corse verso di lei. Eileen si voltò quando sentì qualcuno correre e come vide Severus si portò una mano al petto e l’altra alla fronte.

Severus si fermò di fronte a lei, guardandola da sotto in su, incapace sia di dirle qualcosa che di scusarsi. Eileen allungò un braccio e una piccola mano ossuta si fece prendere dalla sua gemella più grande.
Si diressero verso casa, in silenzio.
Ogni tanto Severus sollevava la testa per decifrare l’espressione della madre, che camminava in fretta e costringeva il figlio a fare dei passetti di corsa ogni tanto per tenersi al passo. Rientrarono in casa.
“Mamma…” cominciò Severus, ma si voltò di scatto cercando qualcosa con gli occhi.
“Dov’è lu…”
“È al lavoro” rispose asciutta sua madre, chiudendo la porta.

Lo guardò, con gli occhi scuri pieni di… angoscia? Beh, in effetti lui era scappato via, Eileen doveva essersi spaventata tanto quanto lui quando aveva capito di essersi perso.
Severus si accorse che la parte sinistra del volto di sua madre non era poi così pallida. E sembrava anche un po’ gonfia.
Lì, nel piccolo corridoio d’ingresso, Eileen si accucciò davanti al suo bambino, per guardarlo negli occhi.

“Severus… tu…” cercò le parole giuste.
“Tu devi stare attento. Ti ho detto che finché non vai a Hogwarts può essere che la magia ti venga fuori senza che te ne accorga…”
“Mi dispiace!” la interruppe precipitosamente Severus. “Mi dispiace, io volevo prendere la zuccheriera e invece è andata dall’altra parte quando lui si è…”.
“Sì, non l’hai fatto apposta, lo so.”
Eileen sospirò, chiudendo un attimo le palpebre.

“Ma non devi arrabbiarti con tuo padre”, continuò, più lentamente.
Ora il suo sguardo si era fatto più intenso.
Severus, a sentir nominare Tobias, sentì l’odio bruciargli dentro e si morse un labbro. Sua madre capì, perché gli afferrò le spalle tra le mani, spaventata.
Non devi m-a-i arrabbiarti con lui” scandì.
“Hai capito? Mi hai capito, Severus?” disse con più forza, stringendo di più le dita sulle sue spalle.
Il bambino era confuso, fissava incredulo gli occhi scuri e spalancati della madre. Sentì la stretta sulle sue spalle aumentare ancora.
“Sì…” mormorò infine, abbassando il capo.

“Severus!” lei gli sollevò piano il mento.
“Severus, piuttosto vai da un’altra parte, vai…” -un’ombra di spavento nei suoi occhi- “… no, non uscire. Non conosci ancora bene queste strade. Non ti allontanare da casa.”
“Vado in camera mia?” domandò Severus, conciliante.
“S-sì... Sì, vai in camera tua” rispose Eileen, stanca.

Severus guardò sua madre negli occhi, con uno sguardo che non aveva nulla di infantile nel suo volto di bambino, e si diresse alla scala per andare in camera sua.
Arrivato in cima, gli venne in mente una cosa.
“E la zuccheriera?” domandò voltandosi, con una punta di desiderio.
“L’ho buttata” rispose sua madre a bassa voce ma con un inequivocabile tono definitivo.
Già, Tobias avrebbe dato in escandescenze trovando la zuccheriera intatta, al suo ritorno. E Severus comprese che Eileen non avrebbe più usato la magia, neppure davanti a lui.

***



Chissà perché gli tornavano in mente certe cose, pensò Piton con fastidio, cercando di ritrovare la via per raggiungere la Sala d’Ingresso.
Il suo vagare nei sotterranei di Hogwarts non era neanche paragonabile a quella volta che si era perso a Spinner’s End, da piccolo. Certo, in seguito, aveva evitato di ripetere l’esperienza e si era sempre rifugiato in camera, anche se alle volte era stato raggiunto da Tobias e si era trovato in trappola. Questo prima che suo padre imparasse a lasciarlo in pace, ovviamente.
Ma fino a quel giorno benedetto, passato qualche anno da quella prima volta, si era trovato costretto a fuggire fuori ed era stato allora che il quartiere aveva cominciato a non avere più segreti per lui. In poco tempo aveva imparato a scovare le differenze in ciò che prima gli pareva tutto uguale e a muoversi con sicurezza tra vicoli e stradine. Sua madre non ne aveva più parlato, né era più venuta a cercarlo, sapeva che non ce n’era bisogno.
“Non conosci ancora bene queste strade”, gli aveva detto, e allora lui aveva imparato a conoscerle.

Se era riuscito a muoversi nell’intricata maglia di Spinner’s End, con Hogwarts sarebbe stato più facile. Tutto sembrava più facile lì, era anche riuscito a compiere una magia perfetta la sera prima!
Volontariamente e con la bacchetta.

Si compiacque del ricordo e improvvisamente capì.

Si immobilizzò sotto la placida luce di una torcia, folgorato dalla consapevolezza e comprese cosa era successo quella lontana mattina di tanti anni prima, finalmente capì perché Eileen si era buttata tra lui e Tobias, capì cosa davvero voleva dirgli sua madre con le parole “Non devi m-a-i arrabbiarti con lui”.
La sedia…
Tobias non aveva inciampato su una sedia, ma la sedia su cui aveva inciampato si era spostata apposta per farlo cadere... Severus l’aveva fatta spostare mentre fuggiva in corridoio, senza saperlo, senza volerlo. Anzi no, l’aveva voluto, in qualche profondo recesso di sé: aveva desiderato salvarsi, frapporre un ostacolo tra sé e la rabbia paterna e la magia che non era in grado di gestire aveva provveduto.
Forse Tobias non aveva capito, ma Eileen sì.

Non si era buttata contro il marito per difendere Severus, non solo… No, l’aveva fatto anche per dare al figlio il tempo di allontanarsi e calmarsi; per impedire non al marito di picchiare il bambino, ma a Severus di lasciar uscire da sé altra magia; l’aveva fatto per proteggerlo da se stesso e da qualcosa che poteva sfuggirgli di mano e che non era capace di controllare.
Ora Severus capiva.

La rivelazione gli provocò qualche secondo di smarrimento; il respiro gli si era fatto lentissimo, quasi assente.
Cos'altro non aveva capito di sua madre?
Il viso triste e rassegnato di lei galleggiò per un attimo davanti ai suoi occhi.

Riprese a camminare, inquieto. Anche Eileen aveva percorso quei corridoi, chissà perché non le aveva mai chiesto qual era la strada giusta da percorrere… per sette anni era stata lì, doveva ricordarsela di sicuro.
Per la seconda volta Severus finì in un corridoio cieco, con una pesante porta di ferro in fondo, e allora si fermò a riflettere. Doveva essere semplice, gli studenti mica potevano stare a vagare ore tra cunicoli e discese per entrare e uscire dalla sala comune…

Ritornando sui suoi passi, alzò per caso lo sguardo su una torcia e per un istante gli parve di veder guizzare un bagliore verde tra il fuoco. La torcia era troppo alta per lui, ma alla base del supporto su cui ardeva la fiamma, in un riflesso della luce, vide qualcosa in rilievo. Era un piccolissimo serpente sbalzato nella stessa posa dello stemma della Casa. Bisognava proprio guardare bene, era grande appena pochi centimetri e da sotto poteva essere confuso con un’irregolarità del ferro del supporto.
Severus tornò nel corridoio con la pesante porta chiusa e vi osservò le torce: nessun serpente. E nessun bagliore verde.
Con una strana idea in testa tornò a guardare la torcia con il serpentello, notando che anche quelle che la seguivano, lungo quel corridoio, erano così e inoltre, a fissarle un po’, un rapidissimo guizzo verde appariva in ciascuna. Continuò a seguire le torce segnate con il marchio e, alla fine di un’ultima, ampia scalinata aprì la porta che dava sulla Sala d’Ingresso.
Evviva! Non era affatto difficile il percorso e, fino a che non lo avesse imparato, avrebbe avuto la guida dei rilievi sulle torce a guidarlo, se si fosse perso.
Severus non lo sapeva, ma a Hogwarts, chi aveva bisogno di aiuto, lo trovava sempre.

Si guardò intorno, ammirando la Sala un po’ meglio rispetto alla sera prima: non l’aveva osservata bene, preso tra l’eccitazione di aver messo piede nel castello, il batticuore per l’imminente Smistamento e i commenti che si scambiava con Lily, semplicemente estasiata. La Professoressa McGranitt, che li aspettava al centro, rigida in un bel completo nero con cappello a punta, aveva poi parlato loro, prima di condurli in Sala Grande.

“Grifondoro!” La voce stridula del Cappello Parlante risuonò nella memoria di Severus.

Con il dispiacere sul viso, Piton si sentì piccolissimo in quel vasto ambiente vuoto. In quel momento non c’era nessuno, anche se Severus sentiva dei rumori provenire da chissà dove. Studenti e professori a breve avrebbero riempito quello spazio e, con il naso per aria a rimirare la grande balconata che si affacciava sull’ingresso, il piccolo Serpeverde si avvicinò alle porte della Sala Grande.

Erano aperte e un lieve brusio proveniva dall’interno.
Severus si affacciò, cercando lungo il tavolo di Grifondoro che però era deserto, a parte un paio studenti chiaramente grandi e un fantasma con una gorgiera.
Mentre altri studenti entravano e si accomodavano ai propri tavoli (un piatto, un bicchiere, delle posate e una quantità tra cibo e caraffe di succo di zucca apparivano davanti a loro all’istante), Severus vide che al tavolo dei professori stavano già facendo colazione il Preside Silente, la professoressa McGranitt, un insegnante piccolissimo che a malapena raggiungeva il bordo del tavolo con il collo e un altro professore dall’aria semplicemente decrepita.
Una ragazza sui quindici anni, con lo stemma di Corvonero sulla divisa, accennò un sorriso entrando nella sala e vedendo il piccolo del primo anno indeciso sulla porta.
Severus si tirò subito indietro, un po’ indispettito dal fatto di aver fatto la figura del fifone… Avrebbe aspettato Lily nella Sala d’Ingresso.

Ora gli studenti cominciavano a essere più numerosi, alcuni arrivavano scendendo la grande scalinata (Corvonero e Grifondoro, notò Severus), altri (Tassorosso) da una porta poco distante da quella da cui spuntavano fuori i Serpeverde.
Passando accanto a Severus, i suoi compagni di Casa gli lanciavano occhiate e così, per non sentirsi in imbarazzo, lui prese a guardare delle armature che decoravano una parete, fingendosi molto interessato. Con la coda dell’occhio vide Malfoy e Narcissa attraversare l’ingresso con aria regale, ragazzi entrare a far colazione parlando e gesticolando, e una ragazza con occhiali a fanale e l’aria completamente stordita riuscire a prendere in pieno lo stipite della porta della Sala Grande.
“Sibilla, sempre la solita” ridacchiarono alcune ragazze.
“Mi chiedo come ha fatto a prendere quattro G.U.F.O. l’anno scorso…”
La ragazza tuttavia non parve accorgersi dell’ilarità che aveva suscitato e toccatasi appena la fronte con la mano in un gran tintinnare di braccialetti, proseguì come se non fosse successo nulla, con un’espressione concentrata su tutto tranne che su quanto le accadeva intorno.

“Ciao Severus!!” risuonò all'improvviso alle sue spalle.

Edited by Camelia. - 25/7/2013, 20:32
 
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