Severus Piton & Alan Rickman Fan Forum

Traditore

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Astry
view post Posted on 17/6/2011, 12:38




Dalle lacrime passiamo ad un po' d'azione :-)


Cap. 8: La grotta



L’inverno era trascorso: la seconda guerra infuriava e, mentre le schiere di Voldemort continuavano ad accogliere sempre nuovi seguaci, le forze del bene sembravano invece indebolirsi.
Piton aveva appena consegnato al suo Padrone l’ennesima pozione mortifera. Ormai non usciva quasi più da quel sotterraneo.
Si abbandonò sulla poltrona di fronte al camino rileggendo per la quarta volta la pergamena.
Draco gli aveva scritto per informarlo che sarebbe tornato in Inghilterra per qualche giorno. Non diceva altro nella lettera, ma il fatto che avesse deciso di far ritorno in quel momento, nel pieno dell’attività scolastica, poteva significare solo una cosa: aveva trovato quello che cercava.
Quella sera stessa, infatti, dopo aver salutato suo padre, il ragazzo si presentò davanti alla porta dello studio di Piton.
Il suo ex professore lo invitò ad accomodarsi, aveva preparato una tazza di tè e qualche biscotto e, senza dire una parola, fece cenno al giovane di servirsi.
La tensione era palpabile: Draco fece qualche passo avanti e, con le mani che tremavano, srotolò sulla scrivania di Piton una pergamena molto antica.
Severus non aveva rivelato al giovane a cosa gli servisse quella che appariva come la mappa di una ragnatela di cunicoli sotterranei, ciò nonostante non erano state necessarie molte spiegazioni perché Draco capisse di avere in mano la chiave per la distruzione di Voldemort.
“Ci sono molte grotte simili a questa a Durmstrang,” lo informò il giovane mago. “Tuttavia, seguendo le sue istruzioni, ho potuto ridurre le possibilità ad una sola: roccia lavica, formazione geologica recente e una quantità di leggende su avvistamenti di strani esseri simili a Draghi in quelle zone.”
“Ottimo!” Piton era raggiante, Draco non lo aveva mai visto così, sembrava un’altra persona. Si alzò e, poggiando affettuosamente le mani sulle spalle del ragazzo, proseguì:
“Ora non ci resta che far avere all’Ordine le nostre stesse informazioni.”
Draco lo guardò preoccupato, come poteva sperare Piton di avvicinarsi all’Ordine senza essere catturato, e, soprattutto, chi gli avrebbe creduto?
Il mago, indovinando i dubbi del ragazzo, lo guardò di sottecchi e le sue labbra si piegarono in un sorriso obliquo.
“Dovrai farti catturare.” disse.
“Cosa?” Draco era balzato indietro e ora fissava l’uomo di fronte a lui con gli occhi e la bocca spalancati.
Piton, per tutta risposta, si voltò e si diresse verso lo scaffale pieno di libri in fondo alla stanza, prese il grosso volume nero che aveva sottratto dalla casa di Black e lo posò sulla scrivania di fronte a Draco.
“Vedi… questo libro non è mio, l’ho preso in prestito alla famiglia Black.”
“Lo ha rubato.” precisò l’altro.
Le labbra di Piton si curvarono ulteriormente.
“Probabilmente nessuno si sarà ancora accorto del furto, ma è necessario che sappiano che nel libro ci sono informazioni vitali per l’Ordine. Tu dovrai farti scoprire mentre tenti di rubarlo.”
“Mi sta dicendo che devo far finta di rubare qualcosa che lei ha già rubato?”
“Esatto! Solo che questa volta la refurtiva tornerà al legittimo proprietario.”
“Potter.” Concluse Draco con una smorfia.
“Sì, proprio lui, dato che Sirius Black ha avuto la brillante idea di nominarlo suo erede. Quando ti interrogheranno, dovrai rivelargli quello che sappiamo sulla grotta e” Piton indicò sul libro l’elenco delle proprietà della famiglia di Sirius. “ sulla cripta dei Black. Potter deve sapere che quello che cerca si trova li, ma, soprattutto, dovrà credere di esserci arrivato da solo.”
Draco continuava a guardarlo perplesso.
“Non preoccuparti, non ti tratterranno per molto: non si finisce ad Azkaban per il furto di un libro e non possono accusati di niente altro. Non hanno prove del tuo coinvolgimento nei fatti di Hogwarts, non hai il marchio dei Mangiamorte e non ti arresteranno solo perché sei figlio di tuo padre.”
A quest’ultima affermazione il volto di Draco si fece triste. Piton finse di non notarlo.
“Ma Potter era sulla torre, lui mi ha visto!”
Piton abbassò lo sguardo e restò a fissare il vuoto per alcuni secondi.
“Lui non ti denuncerà.” disse con un profondo sospiro. “Potter vuole me. Sono certo che cercherà di usarti per trovarmi. Forse ti seguirà, in tal caso saremo fortunati perché lo porteremo esattamente dove vogliamo.”
Incrociò le braccia e proseguì con le sue istruzioni.
“La casa dei Black è stata usata come quartier generale dell’Ordine ed è protetta dall’Incanto Fidelius.”
“Chi è il custode segreto?”
“Il custode era Silente perciò la possono vedere solo quelli ai quali lui aveva rivelato l’indirizzo.”
“Quindi io non la vedrò?” chiese preoccupato.
“Non hai bisogno di vederla: ti basterà farti trovare fra il numero 11 e il 13 di Grimmauld Place. La casa è nel mezzo. Quando vedranno il libro nelle tue mani, penseranno che tu sia riuscito ad entrare nella casa. Non si stupiranno: sanno che io conosco l’indirizzo.”
Stava per dire ‘si aspettano che io li tradisca’, ma scosse semplicemente il capo sospirando e consegnò il libro al ragazzo.
“Lei cosa farà?” domandò Draco nervoso.
“Credo che faro una visita a quella grotta”.
Draco uscì dallo studio di Piton portandosi dietro il voluminoso oggetto e l’ex professore richiuse la porta dietro di lui.



* * *




La caverna era molto profonda, i passi dell’uomo echeggiavano tra le pareti umide, coperte da una patina viscida; anche il rumore provocato dalle gocce d’acqua veniva amplificato, tanto da somigliare al suono di uno xilofono. Camminava lungo quelli che sembravano corridoi. Erano così stretti da consentire il passaggio ad una sola persona alla volta, ma tanto alti da non poterne vedere il soffitto.
Nonostante la luce emanata dalla bacchetta, il mago era costretto a procedere tentoni, facendo scorrere la mano sulla parete. Sembrava che qualcosa, in quelle rocce, assorbisse la luce.
Si addentrò in quella che doveva essere la cavità principale. Qui i cunicoli si facevano leggermente più ampi e talmente ramificati che sembrava di trovarsi in un unico ambiente puntellato da enormi pilastri rocciosi.
Strinse gli occhi cercando di vedere meglio quelle strane formazioni rocciose. Ebbe l’impressione che qualcosa si frapponesse fra lui e le enormi colonne di pietra. Qualcosa di incorporeo e trasparente, che, però, passando davanti alle superfici, le rendeva liquide e tremolanti. L’effetto ricordava molto quello visibile nelle assolate giornate estive, quando il selciato sembra sciogliersi sotto i roventi raggi del sole.
Eppure, in quella grotta non faceva caldo e c’era anche pochissima luce. Cosa si muoveva tra le rocce?
Il mago tese il braccio con la bacchetta davanti a sé.
Oltre quello strano vapore, altre colonne si susseguivano, sembravano formazioni naturali, ma la loro disposizione era così regolare da lasciar intuire l’intervento di un mago.
Fece qualche passo ma si bloccò di nuovo, quando quello strano effetto ottico prese a muoversi più velocemente. Sembrava girare intorno a qualcosa, un piccolo oggetto che pareva essere fuso con la roccia, come se fosse stato pietrificato o semplicemente scolpito nella pietra.
Era quello che stava cercando? Forse la pietra stessa era l’Horcrux: quelle rocce, in effetti, erano davvero particolari, magiche. La loro capacità di assorbire la luce le rendeva uniche. Forse l’Horcrux non era custodito nella grotta, ma era la grotta stessa o almeno una parte di essa: Voldemort poteva aver affidato la sua anima ad un frammento di quelle pietre.
Sì, quello doveva essere il posto giusto.
Piton ne ebbe la certezza quando quella visione si materializzò in un’enorme bestia squamosa che scivolava sul pavimento roccioso come un rettile obeso, uno strano incrocio fra un drago e un serpente.
Il mago si riparò dietro uno spuntone di roccia e rimase a guardare quello spettacolo inquietante, finché un rumore di passi non lo fece trasalire. Si voltò verso l’entrata della grotta con la bacchetta in pugno, pronto ad affrontare l’intruso poi…
“Draco? Che diavolo ci fai qui?” domandò a voce bassa.
“Rispetto i patti, sono venuto a darle una mano.” rispose piano mentre, su indicazione di Piton, si accucciava dietro la roccia.
“Aveva ragione, mi hanno rilasciato subito e Potter non ci metterà molto ad arrivare.”
“Come hai fatto a trovarmi?” chiese continuando a tenere d’occhio la bestia che, ignara della loro presenza, sembrava aver intenzione di tornare invisibile.
“So leggere anch’io una mappa.”
“Già!” sospirò Piton, constatando l’ovvietà della risposta.
“Cos’è quello?” si informò indicando la bestia di fronte a loro.
“Quello è il nostro problema, sta di guardia. Credo che Potter avrà qualche difficoltà a superarlo.”
“Ma Harry ha già affrontato un drago al torneo dei tre maghi.”
“Quello era un gioco scolastico, la bestia che abbiamo di fronte è stata evocata con la Magia Oscura da Voldemort in persona.”
Draco rabbrividì nel sentire Piton pronunciare quel nome. Capì che ormai erano vicini allo scontro finale e il suo ex professore era deciso ad andare fino in fondo. Guardò l’uomo che aveva di fronte con timore e rispetto. Piton si era alzato lasciando scivolare a terra il mantello, guardò verso il punto in cui la bestia era tornata al precedente stato incorporeo e poi si rivolse a Draco:
“Quando avrò finito… se avrò successo… dovrai tirarmi fuori di qui prima che arrivi Potter.”
Draco lo fissò perplesso.
“Che significa?”
“Lo vedrai.”
Si avvicinò silenziosamente al punto in cui si trovava la bestia, con la bacchetta in pugno. L’altro trattenne il fiato, mentre si sporgeva dallo spuntone di roccia per vedere meglio. Piton si chinò e posò lentamente per terra la bacchetta ancora accesa. Ormai il giovane Serpeverde poteva sentire il cuore che gli rimbombava nelle orecchie, la paura gli aveva seccato la gola. Continuò a guardare e, senza che se ne rendesse conto, le sue dita presero a stringere la pietra con tanta forza da sanguinare.
Il mago più anziano, ora, era in piedi a qualche metro da lui, gli voltava le spalle e teneva le braccia aperte, Sembrava stesse recitando qualche formula magica.
D’improvviso cadde come se fosse stato schiantato e, istintivamente, Draco si guardò attorno cercando l’autore dell’incantesimo, ma capì che quello doveva essere il risultato della magia di Piton quando dal suo corpo disteso si sprigionò una sorta di nebbia scura.
Lo strano vapore plasmò una figura evanescente che aveva le sembianze del mago. In quell’istante, come se fosse stata richiamata dallo stesso incantesimo, la creatura tornò visibile.
Draco notò che, proprio come l’immagine di Piton, anche la bestia sembrava non avere un corpo solido.
Non incorporeo come Nick-quasi-senza-testa, poiché muovendosi faceva un minimo rumore, ma abbastanza immateriale da passare attraverso i pilastri rocciosi che puntellavano la grotta.
Capì che cosa voleva fare Piton: solo un essere altrettanto immateriale poteva sconfiggerlo.
Piton, o, piuttosto, quello che sembrava il suo fantasma, si avvicinò al mostro. Non aveva la bacchetta in mano, ma sollevò ugualmente il braccio tenendo il pugno chiuso, come se stringesse qualcosa fra le dita.
La bestia, ora completamente visibile, si gettò su di lui e il mago la colpì. Era stato il il movimento del braccio che diede a Draco quest’impressione.
La creatura sì sollevò sulle zampe posteriori agitando il lungo collo, come se provasse dolore, per poi tornare a scagliarsi sul suo avversario, e di nuovo questo abbassò il braccio con tutta la forza.
Il giovane mago rimase a guardare con la bocca spalancata le due figure che lottavano quasi galleggiando nell’aria. Solo dopo un po’ si rese conto che l’immagine di Piton stringeva effettivamente qualcosa fra le dita, qualcosa che somigliava ad una spada che appariva e poi spariva nuovamente. Draco osservò che diventava visibile ogni qual volta l’uomo colpiva la bestia, come se il contatto le rendesse solide entrambe.
Nella caverna il rumore era diventato assordante. I fendenti di Piton rendevano solido il corpo della creatura, che, non riuscendo più a muoversi liberamente tra i pilastri di pietra, si apriva la strada colpendo e distruggendo le rocce con la coda. Grossi massi precipitarono al suolo sollevando una gran nuvola di polvere.
Il ragazzo cercò di ripararsi alla meglio appiattendosi contro la parete, mentre fissava terrorizzato il corpo di Piton steso a terra proprio sotto quella pioggia di detriti. Gridò, portandosi le mani tra i capelli, quando uno dei pilastri che sostenevano la volta crollò proprio accanto all’uomo.
Avrebbe voluto trascinarlo al riparo, ma era pietrificato dalla paura.
Ancora un colpo e il drago indietreggiò verso il punto in cui si trovava il giovane Malfoy che trattenne il respiro: questa volta, era certo, non ne sarebbe uscito vivo, solo un altro passo e l’enorme bestia squamosa l’avrebbe schiacciato contro le rocce.

Il drago tornò ad attaccare, e come Draco immaginava, questa volta reagì ai colpi di Piton gettandosi all’indietro contro la parete. Il giovane ebbe appena il tempo di tuffarsi di lato e si trascinò verso il punto dove il corpo del suo ex insegnante giaceva come morto.
Si accucciò accanto a lui, sperando di non restare colpito dai massi che continuavano a precipitare dal soffitto.
Ad ogni colpo di Piton, il Drago rispondeva scuotendo con violenza la lunga coda squamosa, spazzando via tutto quello che si trovava sulla sua strada.
Il giovane Malfoy si gettò a terra, coprendosi la testa con le mani, quando l’enorme coda passò sopra di lui come una falce.
Sollevò appena lo sguardo e gli si gelò il sangue, l’immagine di Piton fu presa in pieno e sparì nel nulla. Nello stesso istante il suo corpo sussultò, ma l’uomo rimase nell’incoscienza.
Draco si sollevò da terra quel tanto da poter vedere meglio il luogo nel quale il suo fantasma era sparito. Nulla. Forse l’incantesimo si era spezzato.
Si sentì gelare: era solo davanti a quella creatura.
Prese a scuotere l’altro mago.
“Professore, Professor Piton, si svegli, la prego!”
Il Drago si avvicinò. Distratto da Piton, infatti, non aveva notato la presenza del ragazzo, fino a quel momento.
Ora, però, l’uomo sdraiato e il giovane biondo al suo fianco sembravano aver attirato la sua attenzione, anche se pareva ancora piuttosto indeciso.
Draco lo fissò terrorizzato: non sapeva cosa fare. Doveva alzarsi e fuggire di corsa, sperando di essere più veloce di lui? O attendere immobile, nell’improbabile eventualità che il Drago non fosse in grado di distinguere un essere vivente dai vari massi sparsi al suolo?
Si accucciò accanto al suo ex insegnante, mentre, aggrappato al braccio dell’altro, cercava ancora di svegliarlo dal suo sonno magico.
“Professore… la… la prego…” Il suo richiamo divenne quasi un lamento, era certo ormai che Piton non si sarebbe svegliato e comunque, anche se lo avesse fatto, sarebbe stato troppo tardi: il Drago era proprio sopra di loro. Poteva sentirne l’alito caldo e umido, mentre faceva ondeggiare il muso ricoperto di piccole scaglie nel tentativo di captare il loro odore.
Il giovane si portò le ginocchia al petto come se ciò potesse servire a nasconderlo.
Gridò quando la bestia si scagliò improvvisamente su di loro con la bocca spalancata.
Tuttavia le sue zanne aguzze non raggiunsero i due maghi a terra. Qualcosa bloccò il Drago prima che potesse sferrare il suo morso, qualcosa o qualcuno si era interposto fra il mostro e le sue vittime.
“Professore!”
Ancora aggrappato al corpo di Piton, il giovane fissò sbigottito l’ombra del mago che era nuovamente comparsa dal nulla come se n’era andata ed ora se ne stava immobile di fronte al Drago con le braccia protese in avanti. Il tempo sembrava essersi arrestato.
Draco guardò l’immagine di Piton e poi l’uomo disteso accanto a lui: pur nell’incoscienza i suoi lineamenti erano tesi per lo sforzo, ma ci volle qualche secondo perché Draco potesse realizzare ciò che era appena accaduto. Lo stesso tempo che ci volle alla creatura per reagire con un grido agghiacciante.
La spada di Piton era conficcata nel suo petto dal quale presero a uscire scintille luminose. Il Drago barcollò pericolosamente in avanti rischiando di travolgere i due maghi, poi si accasciò su se stesso emettendo un sibilo acuto.
Draco indugiò per un attimo, poi si alzò e gli si avvicinò.
Camminava barcollando, le gambe gli tremavano e faticava a mantenersi in equilibrio.
Guardò il mostro, notando che era diventato completamente solido, e per un attimo fu tentato di toccare la sua pelle squamosa. Poi rivolse l’attenzione all’uomo a terra.
L’immagine del professore era sparita di nuovo, ma lui non aveva ancora ripreso conoscenza, così il giovane mago fece come gli aveva chiesto: lo afferrò per le spalle trascinandolo fuori dalla grotta.
Lo adagiò dietro un cespuglio all’ingresso della caverna e attese ben nascosto l’arrivo di Potter.
Harry non si fece attendere molto, camminava lentamente verso di loro, era solo e si guardava intorno circospetto.
“Il solito sbruffone.” borbottò Draco mentre lo osservava entrare nella grotta.
Si sedette a fianco all’uomo svenuto, fissando l’ingresso della caverna, attendendosi di dover restare lì ancora a lungo.
Un leggero lamento attirò la sua attenzione: Piton si stava svegliando e cercava di mettersi seduto.
Sembrava ancora piuttosto stordito. Quando vide Draco, che si mosse per aiutarlo, gli rivolse uno sguardo interrogativo.
“Tutto bene, Potter è dentro.” disse il ragazzo anticipando la sua domanda.
Entrambi si sporsero dal nascondiglio per poter captare anche il più piccolo rumore, quando, improvvisamente, la parete di roccia sembrò sciogliersi come lava e prese scivolare verso il basso ostruendo il passaggio. Piton si alzò di scatto, ma quando giunse all’entrata della grotta, la pietra si era completamente solidificata imprigionando il giovane Grifondoro all’interno.
Rabbia e impotenza esplosero, e il suo pugno colpì il muro roccioso che ora li separava da Harry Potter.
“Che è successo?” domandò Draco, preoccupato più per la reazione di Piton che per ciò che era appena accaduto.
“Lo ha riconosciuto,” mormorò. “La roccia sente la presenza del Prescelto”
“E adesso che succederà, cosa dobbiamo fare?”
“Nulla, aspettiamo.”
“Ma… Potter cosa farà? Come potrà liberarsi? Forse… forse dovremmo andarcene, l’Oscuro Signore potrebbe scoprirci.” mugolò nervoso.
Piton fissò il suo ex allievo piuttosto irritato.
“Non ho la più pallida idea di quello che succederà ora, signor Malfoy.” sbottò.
“Ma immagino che colui che è destinato a sconfiggere il più grande mago vivente abbia le capacità per venir fuori da questa situazione.” sospirò.
Draco fece una smorfia.
“In alternativa, possiamo sempre sperare nella fortuna sfacciata, che Potter ha mostrato di possedere sempre in abbondanza.” concluse acido.
“Già, come no, se lui avrà fortuna, noi due non ne usciremo vivi.” borbottò l’altro fra i denti, ignorando l’occhiataccia del suo ex insegnante.
Ma Piton non ribatté, gli voltò le spalle appoggiando entrambe le mani sulla parete rocciosa. Prese a tastarla come se cercasse di percepire qualcosa di vivo nella pietra.
E, infatti, le sue dita sensibili riuscirono a captare una leggera vibrazione, come un respiro.
La roccia si stava muovendo, anche se in maniera quasi impercettibile.
Piton si voltò all’improvviso, gridando:
“Scappa!”
Il ragazzo riuscì a fare appena qualche passo, quando la parete prese ad espandersi velocemente. Nella pietra si aprirono minuscole crepe, mentre il muro roccioso pareva avanzare verso di loro.
Il forte boato, e lo spostamento d’aria che ne seguì, li scaraventò indietro di un paio di metri. Piton scattò in ginocchio afferrandosi il braccio sinistro, il viso contratto in una smorfia di dolore.
“Che succede, che cos’ha?” Draco lo aveva afferrato per le spalle e lo scuoteva spaventato.
“Potter ha distrutto l’Horcrux … Lui lo sa,” i suoi occhi corsero ad indicare il Marchio che pulsava dolorosamente. “mi sta chiamando.”
Accennò col capo verso il passaggio che conduceva all’interno della caverna, ora di nuovo accessibile.
Harry Potter si era trascinato zoppicando fino all’ingresso. Era ferito, ma non gravemente.
Una rapida occhiata fu sufficiente a Piton per capire che il giovane Grifondoro poteva cavarsela da solo. Si sentì sollevato e ringraziò mentalmente la ‘fortuna’ del ragazzo sopravvissuto. Poi, rivolto a Draco, sussurrò:
“Non deve vederti, torna da tuo padre.”
Si rimise in piedi e si smaterializzò lasciando Draco a fissare il vuoto davanti a lui.





Continua…



 
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Camelia.
view post Posted on 17/6/2011, 23:31




Sono ripetitiva... ma sei tu che scrivi bene e hai creato una storia veramente avvincente. BRAVA!
 
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Astry
view post Posted on 20/6/2011, 19:05




Sono contenta di sapere che la storia ti piace, e i tuoi commenti mi invogliano a proseguire la pubblicazione, quindi grazie! Spero che continuerai a seguire.

Cap. 9: La trappola



Voldemort era furioso e, come sempre, sfogò la sua ira contro i suoi stessi seguaci.
Quando Piton si materializzò nella sala delle udienze, vide Lucius Malfoy, era appoggiato ad una parete, era piuttosto malconcio e gli lanciò un’occhiata malevola.
Il mago indugiò per qualche istante su di lui, poi guardò il suo Signore. La sua espressione non tradiva nessuna emozione, sollevò il mento drizzando ulteriormente la schiena, mentre gli occhi si gettavano senza alcuna esitazione nel fuoco delle pupille dell’altro.
Voldemort era immobile sul suo piedistallo e sembrava in attesa. Era seduto sul bordo del trono quasi volesse spiccare il volo da un momento all’altro, mentre le sue mani scheletriche artigliavano i braccioli dove erano scolpite due teste di serpente.
Nel vedere Piton, il suo sguardo lampeggiò minaccioso.
“Dov’eri?” ruggì.
“Mio Signore,” Il mago s’inginocchiò a baciare l’orlo della sua veste. “Stavo cercando gli ingredienti per la pozione che mi avete richiesto”.
Voldemort balzò in piedi e, con un rapido movimento, del braccio scagliò Piton contro una colonna. “Potter!” urlò. “Voglio Potter!” La sua voce risuonò come un tuono in quell’ambiente, poi, minacciando con la bacchetta gli uomini che aveva di fronte, sibilò:
“Non tollererò altri fallimenti”.
In quel momento il grande portale si spalancò e Bellatrix Lestrange irruppe nella sala come una furia. Solo l’espressione infastidita del suo padrone frenò per un istante la sua corsa, ma nonostante la maga cercasse di mantenere un atteggiamento di rispetto, la sua collera era tale che sgorgò dalle sue labbra come un fiume di lava incandescente.
“Quel verme, quello sporco traditore del suo sangue!” strillò, poi si rivolse al suo padrone accennando un inchino:
“Mio Signore, io non lo sapevo. Se l’avessi saputo, gli avrei strappato il cuore con queste mani.” portò le mani davanti a sé mimando degli artigli.
Voldemort la scrutò con un’espressione dubbiosa, ma al tempo stesso interessata.
“Bella,” disse calmo, “immagino che tu non ti riferisca a nessuno dei presenti.”
La strega diede una rapida occhiata a Piton che, intanto, si era rimesso in piedi e osservava la scena appoggiandosi con un braccio ad una colonna, poi si rivolse nuovamente al Mago sul trono: “Sto parlando di Black”. Sputò quel nome come un boccone amaro, accompagnandosi con un plateale gesto delle braccia.
Si voltò con uno scatto e marciò verso Piton, che continuava a fissarla con le labbra serrate.
“Tu lo sapevi, tu…” Estrasse la bacchetta puntandola al petto dell’altro, che restò immobile come se fosse fatto di marmo.
“Bella, prima di uccidermi, forse dovresti cercare di spiegarti, così il nostro Signore saprà per quale ragione dovrà rinunciare ai miei servigi.” Inclinò appena la testa di lato. “Sempre che le tue ragioni siano valide”.
“Oh, certo che lo sono.” gracchiò. “Il Quartier Generale dell’Ordine, Severus. Tu sapevi che si trattava di una proprietà dei Black, mi chiedo come mai ti sia sfuggito quest’insignificante particolare.”
Severus aprì la bocca per parlare, ma lei lo anticipò:
“L’incanto Fidelius? Sì, conosco le tue scuse! Non dovevi necessariamente rivelare l’indirizzo per dirmi quello che aveva osato fare quel cane rognoso di mio cugino.”
“Avrebbe fatto qualche differenza?”
“Non osare prenderti gioco di me.” urlò torcendo minacciosa la bacchetta contro il petto dell’altro, finché, con un colpo del braccio, l’uomo scansò la sua mano con tanta forza da farle cadere il legno magico.
“Ora basta!” tuonò Voldemort.
Tutti, compresi Piton e Bellatrix, chinarono la testa in segno di rispetto.
“Bella, chi ti ha dato quest’informazione?” continuò.
“L’ho scoperto da sola, mio Signore: conoscevo quella casa, ci sono stata molte volte da bambina. Potete immaginare l’orrore che ho provato quando non sono più riuscita a vedere l’edificio.”
Voldemort si alzò lentamente e, passando vicino a Bella fin quasi a sfiorarla, si diresse verso Piton.
Il mago non guardava il suo Padrone, ma teneva gli occhi fissi sulla strega, finché l’altro parlò.
“Cos’hai da dire?”
“Nulla!” le nere pupille tornarono a sfidare le fiamme nello sguardo di Voldemort. “Non immaginavo che le vecchie questioni della famiglia Black potessero interessare il mio Signore”.
“Tutto mi interessa, se c’è di mezzo Potter.” soffiò.
“Mio Signore,” Bellatrix si avvicinò al mago strusciandosi come una gatta. “sono certa che Potter si trova lì. Molti uomini di Silente sono stati visti nei pressi dell’edificio. Se solo riuscissi a vedere la casa ve lo porterei qui.”
“Silente…” mormorò Voldemort meditabondo, poi si rivolse a Piton. “Il Custode, era lui?”
Piton guardò Bella, poi di nuovo il suo Signore e annuì.
“Immagino cosà volete chiedermi. Sì, il custode era Silente, quindi io ora posso rivelare l’indirizzo.”
Bella si lasciò sfuggire un gemito di soddisfazione.
“Secondo le mie informazioni, il Quartier Generale è stato abbandonato dopo la morte del custode, ma se Bella è certa di quello che dice…” concluse lanciando un’occhiata provocatoria alla strega.
“Certo che lo sono!” sbottò. “Io stessa ho visto maghi aggirarsi su quella strada e guardarsi intorno come se temessero di essere scoperti.”
Piton tornò a guardare Voldemort. “Vi porterò da loro.” disse dopo qualche istante.
Voldemort parve soddisfatto e, con un cenno del capo, congedò i presenti.
Molti Mangiamorte si smaterializzarono, qualcuno si allontanò a piedi lungo i corridoi del castello, fra questi Lucius Malfoy e Severus Piton. Quando furono abbastanza lontani dalla sala delle udienze, il mago biondo si gettò contro l’altro con tutta la forza che gli era rimasta e, premendogli la bacchetta sul collo, lo spinse violentemente contro il muro.
“Che razza di idee stai mettendo in testa a mio figlio, traditore!” soffiò.
Severus annaspava tentando di respirare, mentre la bacchetta di Lucius schiacciava la sua trachea.
“Dra… co?... Non … so… co...”
Lucius lo afferrò per il mantello e lo scaraventò a terra continuando a puntargli contro la bacchetta. Piton si voltò di scatto massaggiandosi il collo.
“Se hai problemi a badare ad un ragazzino, Lucius, non prendertela con me.” ringhiò.
Malfoy si chinò verso di lui con aria di sfida, mentre un sorriso maligno piegava le sue labbra.
“Se verrò a sapere che lo stai mettendo contro di me, ti ucciderò con le mie mani.” disse con un filo di voce e si smaterializzò.
Piton, ancora stordito, si alzò da terra. Draco era di fronte a lui, aveva osservato la scena nascosto dietro una porta i loro sguardi s’incrociarono e tanto bastò a far capire al mago che il giovane non avrebbe ceduto. Aveva preso la sua decisione e Lucius aveva perso.
Si avvicinò, ma non disse nulla, attendendo che fosse l’altro a parlare per primo.
Draco accennò al punto dove Lucius era sparito.
“Si è insospettito quando non mi ha visto rientrare stanotte.” spiegò. Poi abbassò la testa come se si sentisse imbarazzato per ciò che stava per dire.
“Ero qui fuori, ho sentito zia Bellatrix e...” si bloccò, mentre gli occhi presero a fissare il muro dietro Piton.
“E…?” lo esortò l’altro chinando leggermente il capo verso il ragazzo.
“Beh, non capisco.” mormorò con la voce tremante.
“Cosa non capisci, Draco?” sibilò assumendo un’aria di rimprovero.
“Non capisco perché ha detto che li porterà da Potter”.
Le labbra del mago più anziano si piegarono leggermente.
“Credi che voglia consegnarlo a Voldemort?” domandò amareggiato.
“Io… io non so cosa pensare, mi dispiace.”
Severus lo zittì con un gesto della mano: l’ansia gli aveva fatto alzare inconsciamente la voce. Poi proseguì.
“Draco, nemmeno io credo che Potter sia così stupido da restare in quella casa, sapendo che potrei piombare lì con un esercito di Mangiamorte da un giorno all’altro”.
“Ma…”
“Sono certo che sia tutta una messinscena per attirarci lì”.
“Una trappola? Vuol dire che Potter ci sta aspettando.” pigolò spaventato il giovane mago.
“E’ probabile. Se Bellatrix dice di aver visto uomini aggirarsi intorno al Quartier Generale, posso solo immaginare che si siano scoperti deliberatamente.”
“Ci uccideranno, non dovremmo andare, lei… lei può fermarli”.
“Fermarli? In realtà io ci conto. Non conoscendo i piani dell’Ordine, non ci resta che assecondarli, qualsiasi idea abbiano in mente. Probabilmente stanno preparando quest’azione da settimane, se cercassimo di intrometterci rischieremmo di mandare all’aria i loro progetti.”
“Quegli uomini non faranno differenza, loro non sanno da che parte stiamo, ci cacceremo nella loro trappola con le nostre stesse mani”.
L’uomo si rabbuiò e poggiò le mani sulle spalle del giovane Malfoy.
“Mi dispiace, se insistessi col Signore Oscuro per farti restare qui, potrei insospettirlo.”
“Io non voglio restare qui, se lei ci andrà.” Disse sforzandosi di apparire risoluto.
Piton sorrise, ma il suo sguardo era carico di tristezza.
“Tieni gli occhi aperti, d’accordo?”
Non disse altro, si voltò e si incamminò verso la sua stanza. Doveva prepararsi, quella sera stessa avrebbe guidato i Mangiamorte verso ciò che li attendeva.




* * *




Una fitta nebbia avvolgeva la città e uno spesso strato di umidità copriva ogni cosa, strade, panchine e muri delle case, rendendoli lucidi e facendo sì che la luce gialla dei lampioni vi si potesse specchiare. Anche l’alone creato dal riflettersi della stessa luce in quel muro di nebbia contribuiva a dare una sensazione d’irrealtà, come se gli oggetti avessero perso la loro compattezza e solidità. Un immenso specchio d’acqua e vapore che, solo vagamente, ricordava la forma di una città.
Come spettri neri, i Mangiamorte, a cavallo delle loro scope, vennero fuori dalla nebbia.
Davanti a loro stava Piton, e Draco era accanto a lui.
Nel momento in cui il Mago pronunciò ad alta voce l’indirizzo di casa Black, il vecchio edificio si manifestò davanti ai loro occhi.
Decine di mantelli si agitarono al vento, mentre l’esercito di Voldemort si gettava, come uno sciame di api, contro le finestre del quartier generale dell’Ordine.
Tuttavia, il frastuono provocato dalla rottura dei vetri e dalle urla e risate degli assalitori, cessò quasi immediatamente, non appena i Mangiamorte si resero conto che il palazzo era completamente deserto.
Bella tornò indietro come una furia e si avvicinò a Piton che era rimasto fuori.
“Che significa?” gracchiò.
“Perché lo domandi a me, Bella?” Scattò infastidito. Poi piegandosi in avanti sulla scopa, la fissò sottilmente divertito. “Non potresti prendere in considerazione la remota possibilità che ti sia sbagliata?”
“So quello che ho visto, Severus e tu…”
Improvvisamente altre ombre comparvero sulla facciata della casa sommandosi a quelle dei Mangiamorte. Piton e Bella si voltarono di scatto.
Gli uomini dell’Ordine li avevano circondati. Le loro sagome si stagliavano davanti alla luce dei lampioni moltiplicandosi all’infinito.
L’insolito gioco di ombre rese la loro manifestazione ancor più spaventosa. I Mangiamorte presi alla sprovvista fuggirono in tutte le direzioni, mentre gli altri si lanciarono all’inseguimento.
La via fu illuminata a giorno dalle esplosioni, dagli incantesimi e dalle decine di luci che si accesero contemporaneamente nelle case, mentre gli abitanti di Grimmauld Place, svegliati dal frastuono si affacciavano curiosi dalle finestre, per poi richiudere immediatamente le imposte sperando di proteggersi da quell’incomprensibile finimondo. Le loro urla si sommarono a quelle dei combattenti e l’intero quartiere Babbano piombò nel caos.
Gli uomini dell’Ordine e i Mangiamorte erano ormai confusi in un turbinio di mantelli e lampi colorati.
Tonks si gettò contro Bellatrix che rispose ai suoi attacchi, unendo alle parole magiche insulti di ogni genere. Finché, la Metamorfomagus si accorse che Remus Lupin era in difficoltà, proprio sotto di loro.
Inclinò la sua scopa e si tuffò quasi verticalmente contro il gruppo di Mangiamorte che aveva circondato l’uomo di cui si era innamorata, costringendoli a sparpagliarsi per evitare di essere investiti da quella furia rosa.
Bellatrix urlò, furibonda, ma dovette rinunciare alla sua ambita preda per evitare di essere colpita da altri incantesimi lanciati da un nutrito gruppo di maghi che l’aveva appena individuata.
Sfrecciò con la sua scopa proprio davanti a Piton che era appena riuscito ad allontanare due inseguitori, confondendoli.
Il mago, vedendo quegli uomini venire dalla sua parte, puntò verso l’alto seguito da Draco, quando un rumore di vetri e urla terrorizzate lo fecero voltare indietro.
Uno dei Mangiamorte aveva perso il controllo della sua scopa ed era finito contro una finestra, terrorizzando gli abitanti Babbani.
I due Maghi che lo inseguivano riuscirono ad evitare per un soffio di schiantarsi assieme a lui. Uno di loro si guardò attorno e poi fece cenno agli altri di seguirlo. Molti Mangiamorte, come Piton, avevano puntato le loro scope verso il cielo sperando di seminare gli inseguitori. Ma questi ultimi, incitati da quello che Piton riconobbe come Alastor Moody, si ricompattarono lanciandosi su di loro come un muro umano, uno sciame silenzioso che volava così velocemente da non lasciare il tempo agli altri di Smaterializzarsi, costringendoli così ad una spericolata fuga nei cieli di Londra.
Tuttavia, non erano i soli a volare in mezzo a quella nebbia.
Quando i Mangiamorte superarono i tetti di alcune palazzine piuttosto alte, inaspettatamente un altro gruppo di Maghi a cavallo di scope tagliò loro la strada.
Nessuno di loro, però, fece niente per fermarli. Sembravano avere l’intenzione di lasciarli passare. Tutti tranne uno: Draco Malfoy, che seguiva Piton e gli altri a poca distanza, fu circondato e una miriade di incantesimi esplosero all’improvviso sopra la sua testa, senza colpirlo, ma rischiando di farlo cadere dalla scopa.
Erano i ragazzi dell’Esercito di Silente e sembravano intenzionati a costringerlo a scendere a terra. Draco si era avvinghiato al manico della sua scopa che, del tutto fuori controllo, puntava pericolosamente verso il selciato.
Severus vide che Lucius aveva virato per raggiungerlo e si precipitò verso di lui gridando:
“Lasciali a me!”
Lo superò maledicendo mentalmente la folle iniziativa di quei ragazzini: se Potter aveva deciso di far ammazzare qualcuno dei suoi amici, aveva scelto il modo più rapido. Era di sicuro una pessima idea attirare un drago colpendo il suo cucciolo.
Puntò la bacchetta contro l’incauto esercito. Una bolla d’aria li costrinse a sparpagliarsi, mentre lui afferrava il giovane Malfoy prima che potesse cadere dalla scopa.
Lo sollevò di peso permettendogli di riprendere il controllo del volo.
Poi tutto avvenne in un istante: Neville, riuscito a rimettere in rotta la sua scopa si gettò nuovamente sui due maghi.
Piton, che teneva ancora il ragazzo stretto per un braccio, sollevò la mano libera e puntò la bacchetta verso Paciock, ma le sue labbra non pronunciarono mai il sortilegio, un improvviso bruciore alla schiena gli fermò le parole in gola.
Le dita che reggevano Draco si contrassero per un attimo, e il ragazzo lo fissò spaventato, mentre, sbilanciato dal colpo ricevuto, si piegava in avanti cercando di non cadere.
Gli incantesimi cessarono immediatamente, i ragazzi dell’ES rimasero immobili sulle loro scope, in attesa.
Draco sollevò lo sguardo e vide Harry Potter con la bacchetta puntata verso l’ex insegnante. Aveva le labbra serrate e una strana luce gli illuminava lo sguardo.
Il tempo sembrava aver rallentato la sua corsa. La mano di Piton che sosteneva il giovane mago allentò la presa e ricadde inerte al suo fianco e, prima ancora che Draco potesse afferrarlo, l’uomo era scivolato dalla sua scopa precipitando nel vuoto come un pupazzo inanimato e sparendo nella nebbia.






Continua…



 
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Camelia.
view post Posted on 21/6/2011, 15:41




Noooo, non lasciarmi con Piton che cade dalla scopa!!

La battuta “Bella, prima di uccidermi, forse dovresti cercare di spiegarti, così il nostro Signore saprà per quale ragione dovrà rinunciare ai miei servigi.”, mi ricorda tanto quella della tua firma, puro humor pitonesco :lol:
 
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Astry
view post Posted on 23/6/2011, 09:25




CITAZIONE (Camelia. @ 21/6/2011, 16:41) 
Noooo, non lasciarmi con Piton che cade dalla scopa!!

Ecco il capitolo 10, così saprai cosa ho combinato a Piton.


Cap. 10: Pietà per un Mangiamorte



Gli occhi di Draco continuarono a fissare il vuoto, anche dopo che Piton era stato inghiottito dalla fitta coltre di umidità.
Restò a guardare, non urlò, né tentò di seguirlo. Non sapeva cosa fare, ma non voleva nemmeno pensarci: non aveva importanza, niente ne aveva.
Era solo in mezzo ai suoi nemici. Suo padre era andato avanti come Piton gli aveva chiesto, ed ora lui era lì, incapace di reagire, persino di provare rabbia o paura.
Si riscosse, quando i ragazzi dell’ES, uno alla volta, si allontanarono da lui puntando le loro scope verso il luogo in cui Piton era caduto.
La consapevolezza di quello che era successo lo assalì in tutta la sua crudele realtà: non era lui la loro preda, no, loro lo avevano semplicemente usato, avevano sfruttato l’affetto che Piton provava per lui, per uccidere il traditore. Un’esca, solo una maledetta esca, ecco cos’era. Sicuramente Potter doveva aver notato come Piton l’aveva difeso a Hogsmeade e lui era caduto nella loro trappola come uno stupido.
Li seguì con lo sguardo, finché anche loro furono inghiottiti dalla coltre di umidità.
Il buio e la nebbia non gli permettevano di vedere la strada. I tetti delle case, infatti, sembravano galleggiare sopra una nuvola che alla luce dei lampioni aveva assunto una colorazione giallastra. Fu grato per questo, era certo che il suo ex insegnante fosse morto, nessuno poteva sopravvivere cadendo da quell’altezza, ma l’idea di vedere il suo corpo lo terrorizzava.
Si sentì un vigliacco, mentre dirigeva la sua scopa lontano da lì, lontano da ciò che era accaduto. Non aveva una meta precisa, l’unica cosa che desiderava era mettere più distanza possibile tra lui e quel maledetto posto.
Le lacrime presero a scendere sulle sue guance pallide, si aggrappò al manico della sua scopa come all’ultima certezza e si lasciò guidare attraverso la notte.

Molti metri più in basso, imprigionato nel suo mantello nero, quasi come fosse un pesce nella rete, l’assassino di Silente giaceva immobile, macabra rievocazione del suo stesso delitto.
La via babbana era deserta, nessuno si era ancora accorto di lui, nonostante la sua figura fosse completamente immersa nella luce. C’era, infatti, un grosso lampione che pendeva da un sostegno in ferro battuto fissato al vecchio muro di una casa. La strada era piuttosto stretta, e si piegava ad angolo retto di fronte ad un portoncino scuro.
D’improvviso il corpo dell’uomo sussultò e riprese a respirare con un gemito, come se avesse trattenuto il fiato fino a quel momento. In effetti era così: l’impatto con il lastricato era stato terribile, nonostante il Mago fosse riuscito a frenare la caduta con la magia.
Teneva ancora la bacchetta stretta con forza fra le dita, sotto le pieghe del mantello. Non era riuscito a liberarla dalla stoffa che gli si era legata intorno al braccio mentre cadeva. Era ancora lì, fortunatamente intatta.
Severus aprì gli occhi. La luce del lampione lo investì in pieno costringendolo a voltare il capo di scatto.
Con fatica riuscì a districare il braccio dal pesante drappo nero e se lo portò a coprire il viso: la luce era fastidiosa, ma doveva capire dove si trovava.
Si sollevò appena, osservando la strada deserta. Potter e i suoi non avrebbero impiegato molto per trovarlo. Ringraziò mentalmente la nebbia londinese che non aveva permesso loro di vedere il punto in cui era caduto, offrendogli così un piccolo vantaggio.
Ma, mentre elaborava questo pensiero, le sue labbra si piegarono in una smorfia quando posò lo sguardo sulle proprie gambe. Avevano assunto una piega bizzarra, difficile non capire che erano spezzate malamente.
No, non sarebbe potuto andare da nessuna parte in quelle condizioni.
Tentò di trascinarsi a sedere, tuttavia il piccolo movimento si rivelò più complicato del previsto strappandogli non poche imprecazioni. Riuscì dopo molti sforzi ad appoggiare la schiena al muro. Il contatto gli procurò un forte bruciore, ma cercò di ignorarlo e si abbandonò contro quel ruvido sostegno.
I rumori della battaglia erano cessati, a rompere il silenzio della notte era ormai solo il rantolo inquietante dei suoi polmoni. Avrebbe solo voluto dormire, chiudere gli occhi e lasciarsi sprofondare nel sonno e, probabilmente, nella morte. In effetti, anche se la debolezza riusciva in qualche modo ad attutire il dolore, sapeva di essere ferito in modo grave. Per un attimo lo invase un senso di liberazione, persino di gioia.
Se fosse finito tutto così? Perché lottare, perché cercare ancora ostinatamente di sopravvivere? Ora che, a quanto pareva, Potter aveva deciso di fargli questo favore, quale occasione migliore per rilassarsi e lasciar fare al destino?
Chiuse gli occhi e sorrise, chi voleva prendere in giro? Se fosse stato capace di rinunciare così facilmente, non avrebbe tentato di frenare la caduta con la magia. Un attacco di tosse scosse il petto dolorante. Già, poteva aver scelto una morte rapida, invece di starsene lì, in terra, a formulare idee deliranti.
Sentì dei passi che si avvicinavano. Ecco, Potter stava arrivando e lui non aveva abbastanza forza per Smaterializzarsi. Aveva ancora la sua bacchetta, ma per quanto? Non era proprio nelle condizioni di sostenere uno scontro e privarlo della sua arma sarebbe stata la prima cosa che quei ragazzini avrebbero cercato di fare.
Si guardò intorno. Sulla parete di una delle case, ai lati della strada, si arrampicava una pianta striminzita: sembrava secca, però alcuni rami erano stati tagliati di recente o, forse, erano semplicemente stati spezzati dal vento, ed erano sparpagliati nella strada.
Ne individuò uno delle dimensioni giuste e puntò la bacchetta. Il ramo si raddrizzò e divenne di un bel colore nero lucido, mentre delle incisioni si formavano su una delle estremità.
“Eccolo, guardate, è lì!”
Alla voce della ragazza, Piton nascose la sua bacchetta sotto il mantello e protese il braccio come se tentasse di afferrare il rametto che ora era diventato la copia esatta del suo legno magico.
Un incantesimo lo colpì e quello schizzò lontano, fino a ricadere ai piedi di Hermione Granger che lo raccolse e, dopo averlo fissato per un attimo, lo ripose nella tasca.
Uno alla volta, richiamati da quella che Piton riconobbe essere Luna Lovegood, i ragazzi dell’ES spuntarono dai vicoli laterali. Neville Paciock, seguito da un Ronald Weasley dall’espressione disgustosamente allegra, arrivò di corsa e si bloccò a meno di un metro dall’uomo a terra.
Nel suo viso vi era un misto di incredulità, eccitazione e odio. Teneva la bacchetta puntata su di lui e lo fissava senza parlare. Sembrava un cacciatore intento ad ammirare la propria preda.
“Devo essere uno spettacolo interessante, signor Paciock, se continui a fissarmi in quel modo”. Disse Piton debolmente, lanciandogli un’occhiata caustica.
Neville non rispose, ma si fece da parte lasciando il posto al ragazzo sopravvissuto.
L’ex insegnante sollevò il mento e si sforzò di raddrizzare la schiena.
Harry Potter zoppicava vistosamente, non si era ancora ripreso dall’incidente alla grotta. Il Mago lo scrutò curioso, poi guardò le proprie gambe, anche Potter fece la stessa cosa. Non sapeva perché, ma trovava la situazione piuttosto comica ed era evidente che il ragazzo doveva aver pensato la stessa cosa. Il destino amava fare scherzi di pessimo gusto.
“I miei complimenti, Potter: un trucchetto degno di tuo padre.” Piegò leggermente le labbra. “Il… cattivo sangue viene fuori… dopotutto.”
“Non è nella posizione migliore per insultarmi, Professore.” Caricò la parola ‘professore’ di tutto il suo disprezzo.
Un lampo attraversò le iridi scure dell’uomo.
“Altrimenti? Cosa farai, Potter, mi ucciderai?” lo provocò.
Gli occhi di tutti seguirono lo sguardo del Mago più anziano fino al rivolo scarlatto che, colando dal muro dietro la sua schiena, scorreva lentamente verso di loro incanalandosi tra le pietre squadrate del pavimento.
“L’hai gia fatto.” mormorò.
Hermione e Luna abbassarono le bacchette e si avvicinarono. Hermione si chinò sul Mago e, ignorando l’occhiata carica di rabbia che lui le rivolse, lo afferrò per le spalle sollevandolo appena dal muro, per esaminare la ferita sulla schiena.
Nessuno si era chiesto quale incantesimo avesse usato Harry, ma ora era tutto chiaro: Piton non era stato schiantato, per quello era cosciente e, soprattutto, ancora vivo dopo quel volo dalla scopa.
Si voltò di scatto verso l’amico.
“Harry, dev’essere curato.” sentenziò con urgenza. “Non possiamo aspettare qui che muoia dissanguato.”
Harry si accorse che tutti lo stavano fissando aspettando una sua risposta. La cosa lo infastidiva, non doveva giustificarsi con loro: voleva Piton, non aveva pensato cosa avrebbe fatto una volta che fosse riuscito a farlo cadere nella sua trappola.
“Portarlo a San Mungo non servirebbe.” mormorò, poi chinò appena la testa verso Piton. “Non è vero, Professore?”
Il Mago sorrise, sprezzante.
“Il Sectumsempra è una sua invenzione: solo lui conosce la cura.” Spiegò ai compagni.
“E tu hai pensato bene di appropriartene,vero, Potter?” ringhiò Piton.
Nessuno parlò. Anche Neville aveva abbassato la bacchetta e fissava inorridito il sangue sulla strada che aveva preso a scorrere nella sua direzione. Un filo sottile che sembrava corrergli incontro. Non sapeva perché, ma non riusciva a muoversi. Era certo che, se quel sangue fosse arrivato a lambirgli le scarpe, avrebbe urlato come un bambino terrorizzato.
Hermione si guardò attorno, poi, chinandosi nuovamente su Piton, sussurrò:
“Mi dica le parole dell’incantesimo: posso impararle, la curerò io.”
La mano di Piton scattò ad afferrarle il polso. La ragazza fu stupita dalla forza di quella stretta, persino troppa per un uomo in quelle condizioni.
“La… Magia Oscura non… è cosa per te.” Soffiò a fatica a pochi centimetri dal suo viso.
“Mi lasci!” la giovane cercò di divincolarsi, quando un'altra mano afferrò quella di Piton immobilizzandola a terra.
“Non osare toccarla!”
Harry aveva scansato l’amica e, inginocchiatosi accanto a Piton, lo teneva fermo per i polsi.
“Forse dovrei lasciarti crepare, forse… forse mi sentirei meglio dopo.” La sua voce tremava.
Si sollevò di scatto liberandolo dalla stretta.
Gli occhi erano fissi in quelli di lui, i pugni chiusi con forza fino a sbiancare le nocche. Sentiva di volergli fare del male, voleva sfogare tutto il suo odio, ora che poteva farlo, ora che lui era completamente nelle sue mani. Eppure si sentiva nauseato dal suo stesso desiderio.
Piton non reagì: per un attimo lo osservò, senza provare assolutamente niente, né odio, né rabbia. Fu come guardare il suo riflesso in uno specchio: l’espressione di quel ragazzino non era poi così diversa da quella che rivolgeva a se stesso ogni giorno. Si rese conto che in quei mesi aveva persino sentito la mancanza di quello sguardo. Quell’odio, gli insulti che Potter gli aveva rivolto dopo l’omicidio di Silente lo avevano spinto a reagire, a colpirlo a sua volta con il suo sarcasmo. Insultare James, insultare suo figlio, era un modo per gettare all’esterno ciò che gli divorava l’anima.
“Harry!” Luna si era avvicinata e aveva puntato i suoi occhioni enormi sul ragazzo. “Tu non sei così.” mormorò scuotendo la testa.
Harry sollevò il viso e le sorrise.
“Io conosco l’incantesimo, gliel’ho sentito pronunciare.” sospirò, come se avesse preferito non avere per le mani la possibilità di salvare l’uomo che odiava.
Un’espressione mista di stupore e orrore si dipinse sul volto sempre più pallido di Piton. Mentre un mormorio di approvazione si sollevò dal gruppo.
Il giovane Mago fece cenno ai suoi amici, Ron e Neville, che si avvicinarono.
Se gli occhi di Piton avessero potuto uccidere, i due Grifondoro sarebbero stati inceneriti all’istante.
Tutto, ma non quello: dovere la sua vita ad un Potter per la seconda volta era una cosa che proprio non riusciva ad accettare.
Cercò di tirarsi indietro, contro il muro, come se ciò bastasse ad allontanarlo da quei due odiosi ragazzini. Ma loro ignorarono, malignamente divertiti, il suo gesto istintivo, lo afferrarono piuttosto rudemente per le braccia strappandogli un flebile lamento, e lo costrinsero a piegarsi in avanti esponendo la schiena ferita.
“Potter!” ruggì con tutto il fiato che gli era rimasto. “Spero che tu ti ci soffochi con quell'incantesimo, stupido… ragazzino presuntuoso… AAAH!”
“Le consiglio di non innervosirmi, Professore!”
“No!” Piton cercò, inutilmente, di liberarsi.
Sollevò il volto sul quale i capelli scompigliati e bagnati di sudore si erano attaccati disegnando strani arabeschi. Gli occhi erano arrossati e lucidi di febbre.
“Ti stai divertendo?” Domandò in un ringhio feroce.
“Niente affatto! Mi divertirò quando la vedrò condannare per omicidio, ma per questo mi serve vivo.”
Piton riuscì a sciogliere un braccio dalla presa dei due Grifondoro, afferrò Harry per il colletto della camicia e lo tirò a sé.
“E’ per questo che lo fai? O è per alleggerirti la coscienza?” soffiò.
Il ragazzo non rispose, ma, liberatosi con uno strattone dalla mano di Piton si alzò e, girando attorno a Ron, si inginocchiò dietro il Mago che continuava ad agitarsi, anche se in modo sempre più debole. Sollevò con una smorfia di repulsione la stoffa del mantello zuppa di sangue, scoprendo tre profondi tagli trasversali sulla sua schiena, ben visibili attraverso gli strappi della giacca.
Puntò la bacchetta e si accinse a ripetere la formula che aveva sentito pronunciare da Piton nel bagno di Mirtilla. Il terrore che aveva provato quel giorno aveva inciso quelle parole profondamente nella sua memoria: gli sembrava ancora di udire la voce del suo professore, mentre salvava la vita di Draco e salvava lui dal diventare un assassino.
“Sei un vigliacco… Potter.” mormorò Piton, ormai privo di forze. “Se… non imparerai ad uccidere… non… sopravvivrai a questa guerra”.
Harry lo ignorò, iniziando a cantilenare l’incantesimo.
La ferita prese a rimarginarsi e la perdita di sangue diminuì. Ma il processo era molto più lento rispetto a quando il suo insegnante aveva eseguito lo stesso sortilegio su Draco, e anche più doloroso a giudicare dall’espressione sofferente del Mago. Harry era agitato e la sua voce tremava leggermente: forse anche il tono della voce era importante, in quel tipo di magia, e lui stava facendo un pessimo lavoro.
Piton era scosso da violenti spasmi. Neville e Ron allentarono la stretta su di lui, mentre Luna si avvicinò e si sedette con le gambe incrociate al suo fianco.
Fissò per qualche secondo il suo volto magro: il Mago teneva le palpebre serrate con forza e cercava di soffocare anche il più piccolo lamento.
Luna sorrise e, sotto lo sguardo allibito di Ron, gli prese la mano fra le sue.
“Stia tranquillo, professore, Harry è un bravo Mago: vedrà che fra poco starà meglio”. Disse con semplicità.
Piton aprì gli occhi e la guardò, confuso. Il suo primo istinto era stato quello di sottrarre la mano che la ragazza continuava a tenere con dolcezza, ma non lo fece. Rimase, invece, a fissarla, quasi aggrappandosi ai suoi occhi azzurri, per diversi minuti, finché l’incantesimo di guarigione non fu completato.
Neville e Ron lo aiutarono a stendersi, mentre Harry fu attorniato dai suoi amici che si complimentavano per il successo.
Piton non reagì: chiuse nuovamente gli occhi e si abbandonò nelle braccia dei due giovani che lo sistemarono in terra con inaspettata delicatezza.
Aveva bisogno di ritrovare le forze per fuggire, prima che i ragazzi fossero raggiunti dagli altri membri dell’Ordine.
Moody non si sarebbe lasciato ingannare tanto facilmente, doveva agire in fretta.
Mosse il braccio nascosto tra le pieghe del mantello, fino a toccare con la punta delle dita la bacchetta. Era sempre lì, nessuno si era accorto che l’aveva addosso. Ora doveva solo pensare a non sprecare quel vantaggio.
Dischiuse appena le palpebre: intorno a lui i giovani maghi stavano facendo una gran confusione, vedeva decine di paia di gambe muoversi freneticamente per poter raggiungere il “Prescelto” che attendeva di essere incensato. La cosa lo irritò parecchio, anche se, doveva ammettere, l’incantesimo gli era riuscito egregiamente, nonostante fosse il suo primo tentativo.
Era ancora debole, una Smaterializzazione era impensabile. Come poteva andarsene da lì? Non certo correndo con le gambe spezzate.
Lo sguardo si posò su un gruppo di scope appoggiate al muro. Volando?
Scacciò immediatamente quel pensiero: anche se fosse riuscito ad aggrapparsi ad una di quelle scope, Potter lo avrebbe raggiunto in pochi secondi. Sfidare il cercatore dei Grifondoro in un inseguimento in volo non era una buona idea. Quel ragazzino borioso l’aveva già umiliato a sufficienza.
Forse poteva tentare qualcosa di più semplice. Doveva solo arrivare al di là del muro. Aveva appena l’energia per spostarsi di qualche metro, ma quei ragazzi non potevano saperlo. L’avrebbero cercato lontano, intanto lui avrebbe potuto aspettare nascosto il momento più adatto per chiamare aiuto.
Potter si avvicinò e si chinò su di lui, evidentemente per controllare di non averlo ucciso con i suoi maldestri esperimenti di magia. Severus non si mosse: se solo avesse potuto, avrebbe riso della situazione. Anche Luna si avvicinò di nuovo, scrutandolo come se fosse una specie di tenera Puffola Pigmea da coccolare.
“Sono vivo, Potter!” La sua voce bassa li fece sussultare entrambi.
“Gentile da parte sua non privarmi del piacere di assistere alla sua condanna.” Ribatté, il ragazzo cercando di recuperare dopo la prima reazione istintiva.
Piton arricciò le labbra rivolgendogli uno sguardo infuocato.
“Certo, e tu sei sempre il solito sciocco presuntuoso.” Afferrò la bacchetta e la puntò su di loro.
Qualcuno gridò, altri si prepararono a difendersi.
“Mai avere pietà di un Mangiamorte, Potter, loro non ne avranno.” disse prima di sparire.
“NOOO!” Harry colpì il suolo con un pugno, mentre gli altri accorsero al suo fianco, fissando allibiti il punto in cui il Mago era scomparso.
“Come accidenti c’è riuscito?” Ron era in piedi dietro Harry, paonazzo e con le mani nei capelli.
“Ci ha imbrogliati.” Hermione fece un passo avanti mostrando quella che tutti avevano scambiato per la bacchetta di Piton che ora era tornata al suo aspetto naturale. “E’ solo un inutile pezzo di legno.”
Harry scattò in piedi.
“Mi stai dicendo che, per tutto il tempo, lui ha avuto la bacchetta?”
“Esatto!”
Neville si appoggiò al muro, era bianco come un cencio e fissava l’amico come fosse un miracolato.
“Per fortuna eravate tutti qui: non ha avuto il coraggio di uccidermi, con l’Esercito di Silente al completo pronto a saltargli addosso.” disse, Harry, sfoderando un bel sorriso colmo di gratitudine.
“Già, mi dispiace Harry, ormai chissà dove si sarà materializzato, non lo riprenderemo più.” mugugnò Hermione chinando il capo.
“Non è colpa tua: come potevi immaginare che avesse creato una copia della sua bacchetta?” la rassicurò l’amico. “Andiamocene, ormai non abbiamo più niente da fare qui: gli altri ci staranno aspettando.”
Fece loro cenno di seguirlo mentre si avviava verso la sua scopa.
Solo Luna era rimasta indietro, continuava a guardare per terra dove fino a pochi minuti prima era sdraiato Piton. Giocherellava pensierosa con il suo orecchino di ravanelli, poi si chinò, come se di fronte a lei ci fosse ancora qualcuno.
“Loro non ne avranno?” sussurrò, poi si voltò e, saltellando, raggiunse gli amici.

Qualche metro più in là, all’interno di una casa disabitata, Severus si appoggiò alla sottile parete che lo separava dal vicolo e dai suoi inseguitori. Da lì, seduto in quel pavimento polveroso, poteva sentire il vociare dei ragazzi dell’ES, non riusciva a comprenderne le parole, ma poteva facilmente immaginare il loro disappunto, per come li aveva ingannati.
Chiuse gli occhi e attese.






Continua…



 
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Camelia.
view post Posted on 23/6/2011, 11:03




Wow!
Sai cos'è che mi piace molto? Che i personaggi hanno proprio il loro carattere ed agiscono, pensano e parlano come ci si aspetta che facciano.
(Grande Luna! :))
 
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Astry
view post Posted on 25/6/2011, 12:53




Una doppia dose di Malfoy. Mi spiace per mamma Rowling, ma, a dispetto del canon, che ammetto di non aver rispettato, li ho un po' addomesticati come piacevano a me.

Cap. 11: Il figlio e il padre



Draco correva a perdifiato. I corridoi del castello non gli erano mai sembrati così lunghi. Doveva raggiungere la sala delle udienze, l’unico ambiente in cui era possibile la Smaterializzazione. Non stava nemmeno guardando dove metteva i piedi quando andò a cozzare contro qualcosa o, piuttosto, qualcuno che lo afferrò per le braccia scuotendolo.
“Draco!”
Suo padre lo fissava dall’alto della sua statura, con un’espressione minacciosa.
“Dove corri?”
Il ragazzo ansimava.
“Io… io…”
“Allora?” insistette sempre più cupo.
“Piton! E’ vivo, lui è… è ferito, io… devo aiutarlo.” balbettò, con urgenza. Aveva già perso troppo tempo: sua zia Bellatrix lo aveva trattenuto tempestandolo di domande, nella speranza di scoprire ogni minimo particolare su ciò che era accaduto a Grimmauld Place.
I Mangiamorte avevano subito molte perdite, e poi Piton che, per quanto lei ne sapeva, si era fatto uccidere per proteggere suo nipote. Bellatrix, non riusciva proprio a capacitarsi di come fosse caduto nella trappola che, secondo la strega, lui stesso aveva architettato.
Lucius lo lasciò di colpo, stupito e in un primo momento sollevato dalla notizia. Poi, però, l’ombra del dubbio tornò ad oscurare il suo sguardo.
“Perché ha chiamato te?”
“Io… io non lo so.” Draco si pentì immediatamente di quella risposta troppo affrettata. “Forse, dopo le tue minacce di ieri, avrà preferito non fidarsi.” riprese astioso. “Ti ho sentito mentre dicevi di volerlo uccidere.”
Di nuovo le mani bianchissime di Lucius si erano strette con forza sulle spalle del figlio.
Per un istante i loro sguardi si sfidarono, poi l’uomo abbassò le braccia e mormorò, più ragionevole:“Dove si trova?”
Il ragazzo non rispose, ma inconsciamente chiuse con forza il pugno tentando di nascondere qualcosa all’interno.
Agli occhi di Lucius non sfuggì quel gesto e l’uomo protese imperioso il palmo della mano verso il figlio.
“Dammelo!”
Draco si ritrasse, ma a Lucius bastò ribadire la sua richiesta tendendo maggiormente la mano, perché il giovane capisse che opporsi era inutile.
Consegnò un piccolo pezzo di carta a suo padre. Vi era appuntato sopra un indirizzo. Lucius guardò il foglio, poi di nuovo Draco.
“E’ una casa abbandonata vicino a Grimmauld Place.” mormorò il ragazzo. “Piton è lì.”
“Dunque è vero, lui è vivo.”
“Sì, lo è, e ha bisogno del mio aiuto.”
Draco fece per allontanarsi quando il padre lo bloccò di nuovo.
“Andrò io!” Affermò categorico.
Il terrore si dipinse sul volto del giovane che, incapace di parlare, fissò lo sguardo gelido di Lucius.
“Non hai motivo di fare quella faccia, Draco, Severus è un mio amico, mi occuperò io di lui.” disse e, lanciandosi il mantello sulle spalle, si allontanò.



* * *




Il sole era già alto e la sua luce filtrava dalle fessure delle imposte. Severus aveva gli occhi chiusi. Si era addormentato dopo aver inviato il suo Patronus a Draco. La febbre aveva avuto la meglio persino sul dolore, facendolo scivolare lentamente nell’incoscienza.
La temperatura era scesa parecchio in quelle ore. Il Mago si accorse di avere i muscoli delle mani indolenziti: per tutta la notte erano rimaste aggrappate ai lembi del mantello, nel tentativo di tenerlo il più possibile stretto al corpo.
Aprì gli occhi e si guardò intorno.
Ora una tenue luce illuminava un mobilio scuro e polveroso.
Lo sguardo percorse tutta la stanza: la casa doveva essere abbandonata da anni a giudicare dalla polvere e dalle ragnatele.
Si trovava in una specie di soggiorno. C’era una vecchia credenza con la vetrinetta rotta. All’interno erano rimaste due tazzine che non avevano un aspetto migliore.
Gli abitanti della casa avevano portato via con loro tutto tranne i mobili. Anche le pareti erano state spogliate dei loro quadri, dei quali restava come unica traccia una macchia più scura sulla tappezzeria.
Era stata una fortuna che quella casa abbandonata si trovasse proprio lì. Era un posto ideale per nascondersi, l’unico che potesse raggiungere con la poca energia magica che gli era rimasta.
Gli occhi si posarono sul modesto orologio a pendolo accanto alla credenza: segnava mezzogiorno, o mezzanotte, da chissà quanti anni. Era immobile, congelato in quell’ultimo rintocco, in attesa della mano di un uomo, in attesa che qualcuno gli permettesse di tornare a ticchettare.
Severus si morse il labbro, mentre miriadi di pensieri gli si affollavano nella testa. Aveva perso la cognizione del tempo, ma sicuramente dovevano essere passate diverse ore dalla sua richiesta d’aiuto.
Perché Draco non era arrivato? Forse gli era successo qualcosa, forse era stato catturato dopo che lui era caduto dalla scopa?
Continuò a fissare l’orologio. probabilmente nessuno sarebbe venuto a prenderlo. Magari la sua attesa era inutile come quella del pendolo sulla parete. Rabbrividì.
Con uno sforzo si trascinò fino alla porta. Il legno era consumato e marcio in basso, ed era possibile vedere l’esterno. Si sentivano voci di bambini, indubbiamente Babbani che vivevano nel quartiere.
Si piegò per poter vedere sotto la porta.
Almeno non era solo, non correva il rischio di morire dimenticato in quel posto lurido.
Spostò la stoffa del mantello e osservò le proprie gambe.
Non poteva muoversi, era troppo debole per Smaterializzarsi e non poteva tentare di curarsi da solo. Saldare le ossa con la magia era un’operazione piuttosto dolorosa, avrebbe rischiato di perdere i sensi durante il processo e l’incantesimo avrebbe potuto avere conseguenze imprevedibili.
Forse avrebbe dovuto chiedere aiuto ai Babbani?
La memoria corse alla sua infanzia, ricordò che suo padre una volta si era rotto un braccio. Aveva portato addosso, per un mese, uno strano bendaggio rigido che chiamava ingessatura. Era riuscito a picchiarlo persino in quelle condizioni. Faceva male, e lui aveva imparato a temere quei colpi.
Si passò la mano sul viso, sospirando.
No, probabilmente era meglio lasciare i Babbani come ultima alternativa. Oltretutto, la voce avrebbe potuto spargersi per il quartiere con la velocità di un bolide. La notizia non avrebbe impiegato molto tempo a giungere alle orecchie di qualcuno dell’Ordine. L’avrebbero trovato, magari bloccato nel letto di un orribile ospedale babbano.
Le sue labbra si piegarono in una smorfia. Guardò ancora l’orologio e le dita si strinsero in un pugno. Il tempo non passava mai, mentre il dolore stava diventando insopportabile.
Afferrò con rabbia la bacchetta e la puntò contro il pendolo che riprese ad oscillare. Il suo braccio ricadde immediatamente, privo di forze, come se il legno magico fosse divenuto pesantissimo.
Cullato dal piacevole dondolio, si lasciò scivolare su un fianco e chiuse di nuovo gli occhi.
Il rumore della Materializzazione lo svegliò circa un’ora dopo.
Voltò la testa di scatto e vide Lucius in piedi, accanto a sé, con la bacchetta puntata.
Sì sentì gelare: perché lui?
“Draco” mormorò. “Cosa gli è accaduto?”
Lucius sorrise, maligno.
“Nulla, sta bene.” disse gelido. Il mago si sentì sollevato, ma ancora non riusciva a capire.
“Sai, era piuttosto riluttante a dirmi dove trovarti. Ma Draco non è mai stato in grado di nascondere qualcosa a suo padre.”
“Avrebbe avuto dei motivi per farlo?”
Lucius lo scrutò e nel suo viso si disegnò una smorfia di commiserazione mista a disgusto nel vederlo sporco e ferito.
“Temeva che ti avrei ucciso.” rispose, con un sorriso beffardo.
Severus abbassò lo sguardo fissando la bacchetta di Lucius.
“E aveva ragione?” chiese calmo.
Lucius gli voltò le spalle e, dopo essersi guardato un po’ intorno, si avvicinò alla credenza, prese una delle vecchie tazzine e usando la magia la riempì d’acqua fresca.
Non disse nulla, tornò accanto al Mago steso in terra, si chinò e, passandogli la mano dietro la schiena, lo sollevò quel tanto perché potesse dissetarsi.
Severus bevve avidamente. Non si era nemmeno reso conto di averne bisogno, ma quando il liquido fresco raggiunse la sua gola riarsa si sentì subito meglio.
“Hai salvato la vita di mio figlio, sarebbe quantomeno scortese da parte mia ucciderti.” disse Lucius con voce melliflua.
L’altro arricciò le labbra, ma non ribatté. Lasciò che il suo amico lo sollevasse e, stringendolo fra le braccia, pronunciasse l’incantesimo di Smaterializzazione che avrebbe riportato entrambi alla residenza dei Malfoy.




* * *




Erano trascorsi due mesi, le vacanze estive erano iniziate, e Draco, dopo aver sostenuto gli esami a Durmstrang, era tornato per vivere con suo padre nel maniero che ospitava Voldemort e molti Mangiamorte che, come Piton, erano ricercati e avevano trovato lì un posto sicuro per nascondersi.
Quel pomeriggio, Severus sentì bussare alla sua porta.
“Puoi entrare, è aperto.” disse, immaginando già chi fosse il visitatore.
Draco, infatti, non mancava mai di andarlo a salutare ogni volta che tornava dal suo soggiorno a Durmstrang.
Malfoy entrò, ma si bloccò davanti all’ingresso. Piton si era alzato dalla sua poltrona per andargli incontro. Il giovane notò che camminava in maniera spedita, era decisamente migliorato da quando lo aveva visto l’ultima volta prima di ripartire per la scuola.
“Come sta?” domandò.
“Bene, grazie!” disse con poco entusiasmo guardando il giovane come se attendesse da lui la conferma di una brutta notizia.
“Dunque l’ha saputo.” continuò Draco passandogli accanto mentre si avvicinava alla finestra. Non riusciva a guardarlo negli occhi.
Piton abbassò semplicemente lo sguardo, sconfitto.
“La cerimonia si farà qui al palazzo, fra una settimana.”
“C’è ancora tempo.” mormorò il mago più anziano.
“Tempo?” Draco si voltò di scatto. “Cosa potrà cambiare in una settimana? Cosa è cambiato in questi due mesi?”
“C’è ancora tempo.” ripeté Severus con forza, come se volesse davvero fermare l’inesorabile trascorrere delle ore con la sua affermazione.
“Tra una settimana Il Signore Oscuro mi concederà l’onore del Marchio, non vedo come potrà impedirlo.” Sospirò Malfoy avviandosi verso l’uscita.
“Draco!”
Il ragazzo si voltò, e il suo sguardo era carico di rabbia e risentimento verso l’uomo che aveva di fronte, l’uomo nel quale aveva sperato per uscire da quell’incubo e che ora non sapeva proteggerlo.
Piton andò a sedersi nella sua poltrona, incrociando le braccia, pensieroso.
“Ho avuto le mani legate in questi due mesi” parlava piano, quasi a se stesso. “Da quando Potter ha distrutto l’Horcrux nella grotta, Lui è diventato più prudente. Ha messo alcuni fra i suoi fedelissimi di guardia alla cripta. Ovviamente, non li ha informati del suo contenuto e ha fatto in modo che i prescelti per tale missione non potessero in alcun modo prendere contatto con gli altri.”
“Lei come fa a saperlo?”
“Li ho visti, sono stato alla cripta. Ha messo di guardia un paio di giovani fanatici, entusiasti all’idea di servire il loro padrone. Nessuno si era chiesto dove fossero finiti, li hanno creduti morti in battaglia.” Scosse il capo. “Sciocchi! Lui li ucciderà, per proteggere il suo segreto: quei ragazzi non torneranno più a casa”.
“Ma se è stato alla cripta, perché non ha cercato di distruggere ciò che vi è nascosto?”
“L’Horcrux è in grado di riconoscere il pericolo: ha riconosciuto Potter quando è entrato nella grotta. Se tentassi di prenderlo o distruggerlo, il Signore Oscuro lo saprebbe. No! Non posso scoprirmi, non ancora.”
“Ma, allora?”
“Allora, non possiamo muoverci finché non sarà Potter ad andare alla cripta. Dobbiamo solo sperare di raggiungerlo prima che gli altri lo scoprano. Le guardie potranno essere messe fuori combattimento facilmente, sono inesperti ed evidentemente sacrificabili, ma se avranno il tempo di dare l’allarme, il ‘Prescelto’ si ritroverà davanti un esercito di Mangiamorte.”
Severus si alzò di nuovo, camminò piano verso la finestra e si appoggiò con entrambe le mani al davanzale.
Non stava realmente guardando fuori, sollevò il volto e chiuse gli occhi, lasciandosi carezzare dal tepore del sole.
“Ci siamo quasi.” Mormorò tenendo gli occhi chiusi. “L’Ordine si sta muovendo. Li conosco tutti, uno ad uno, so dove vivono e lavorano. Cercheranno di sistemare i loro affari, prima di agire.” Si voltò e, nei suoi occhi neri, Draco poté scorgere tutta la determinazione, ma anche l’orrore per ciò che stava per accadere. “Molti di loro, non torneranno: se Potter ce la farà, questa sarà l’ultima battaglia.”
Draco rabbrividì. Comprese che, in ogni caso, quella sarebbe stata la fine. Aveva sperato nella distruzione di Voldemort, ma ora questo significava, probabilmente, anche la rovina della sua famiglia.
Suo padre e sua madre da una parte, la sua vita e quella di Piton dall’altra.
Un senso di nausea lo assalì di colpo, sbiancò e dovette appoggiarsi alla parete per non cadere.
“Io… io non credo di farcela.” piagnucolò.
“Non c’è nulla che tu possa fare, in ogni caso.” affermò Piton, di nuovo freddo e distaccato. “Se le cose si metteranno male, vattene, torna da tua madre in Romania. Sarà meglio per te se non assisterai alla fine di questa guerra. E sarà meglio per me: non potrò proteggerti da Lui, se dovesse scoprire che mi hai aiutato.”
“E mio padre? Dovrò restare a guardare, qualsiasi cosa succeda?”
Piton si avvicinò sovrastandolo completamente, mentre il giovane sembrava farsi sempre più piccolo, accasciato com’era contro il muro.
“Questa è una guerra, Draco. Ritieniti fortunato di poter restare a guardare, invece che essere obbligato ad alzare la mano contro tuo padre o i tuoi amici.”
Malfoy non comprese fino in fondo il significato delle sue parole. Si trascinò barcollante fino alla sedia più vicina, mentre Piton lo seguiva con lo sguardo.
“Se, non cambierà niente, se si dovesse arrivare alla cerimonia del Marchio, anche lei resterà a guardare?” domandò massaggiandosi ossessivamente l’avambraccio sinistro, come se sentisse già la presenza del tatuaggio.
Piton non rispose e il ragazzo sollevò lentamente il viso cercando con timore gli occhi neri che lo avevano sostenuto mesi addietro, quando aveva visto per la prima volta fin dove poteva spingersi la crudeltà del suo padrone.
“Farà male?” pigolò.
Ancora silenzio. Solo l’impercettibile movimento del suo braccio sinistro fece capire a Draco che Severus lo stava ascoltando, ma lo sguardo del mago sembrava perso nel vuoto, improvvisamente risucchiato nel baratro dei ricordi.
Memorie fatte di ombre, un turbinio di mantelli neri, uomini che non parevano più tali riuniti in quel maledetto cerchio, come una bocca infernale pronta ad inghiottire il nuovo adepto.
Farà male?
La sua mente tornò al giorno della sua iniziazione. Aveva cercato per anni di cancellare quell’esperienza dalla memoria, inutilmente.
Farà male? Tanto, troppo.
Era stato così pazzo, si era sentito onorato di ricevere l’emblema di Voldemort.
L’orgoglio aveva placato il dolore e l’aveva reso insensibile e cieco, mentre si gettava volontariamente nella gola nera di quell’anello di tuniche, lasciandosi divorare l’anima, nello stesso momento in cui fuoco gli divorava la carne incidendovi per sempre il segno della sua schiavitù.
Gli occhi tornarono a fissare il giovane mago, mentre le labbra restavano ostinatamente serrate.
Farà male? Certo, l’impressione del Marchio era dolorosa, ma cosa avrebbe dovuto rispondere?
Non era quello il dolore da temere.
Ciò che appariva come un’orrenda cicatrice sul suo braccio, era solo la parte visibile di una ferita molto più profonda, una piaga sanguinante nel suo cuore, che non si sarebbe mai più rimarginata.
Faceva male, non aveva mai smesso di fare male, ma Draco non avrebbe potuto capire, almeno finché il primo sangue innocente non avesse sporcato le sue mani e Severus si augurò che il ragazzo non dovesse mai provare un simile dolore.
Sospirò voltandogli le spalle.
“Va da tuo padre, Draco. Dopo due mesi avrete tante cose di cui parlare.” Disse, quasi assente.
Draco si alzò avvilito e uscì chiudendo la porta dietro di sé.






Continua…



 
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Astry
view post Posted on 27/6/2011, 14:30




Ci avviciniamo velocemente verso la conclusione.
Buona lettura.... spero :P


Cap. 12: La cripta dei Black



Come Severus aveva previsto, i membri dell’Ordine avevano sistemato tutti i loro affari ed erano improvvisamente partiti per una meta sconosciuta.
Anche gli Auror sembravano aver risposto alla stessa chiamata.
Il momento che attendeva era finalmente arrivato. Ora non c’era tempo da perdere: non poteva sprecare il suo piccolo vantaggio. I piani di Potter non sarebbero rimasti segreti a lungo, doveva raggiungerlo prima dei Mangiamorte e lui sapeva dove trovarlo: si Smaterializzò.

* * *


La cripta dei Black era situata in un luogo isolato, nel sotterraneo di una fortezza abbandonata. Le mura erano spesse e si ergevano su un’alta scogliera in mezzo ad un mare tempestoso. Da lontano ricordava molto la prigione di Azkaban, tuttavia le sue pareti erano forate da innumerevoli finestre, che la rendevano indubbiamente più accogliente.
Voldemort l’aveva circondata con una barriera antimaterializzazione, così era possibile raggiungerla solo a cavallo di una scopa, oppure sfidando le onde con delle imbarcazioni.
Potter, a quanto pareva, aveva scelto questa seconda soluzione: diverse barche erano ormeggiate in una baia nascosta, assicurate alle rocce da funi magiche.
Il ragazzo non era solo: questa volta si era fatto accompagnare da uno stuolo di Auror e mezzo Ordine della Fenice.
Piton s’intrufolò all’interno attraverso una piccola grata divelta di uno dei torrioni.
Dalla sua posizione poteva osservare i movimenti degli Auror nel cortile.
I Mangiamorte di guardia erano stati sopraffatti facilmente ed erano immobilizzati in un angolo. Qualcuno indossava ancora la propria maschera d’argento, altri si agitavano e imprecavano contro gli uomini che li tenevano sotto tiro.
Gli Auror avevano bloccato loro le braccia nella speranza che non potessero toccare il Marchio e dare l’allarme. Ma Severus sapeva che non erano stati sufficientemente rapidi. Il suo braccio bruciava e pulsava come non mai: le fedeli guardie di Voldemort erano riuscite ad avvisare i loro compagni e i Mangiamorte non avrebbero impiegato molto tempo per raggiungerli.
Gli occhi del mago percorsero tutto il cortile, cercando di individuare il ragazzo sopravvissuto, ma non lo trovò.
Potter non era lì, evidentemente era già sceso nella cripta.
Decise allora di raggiungerlo e, passando dall’esterno, arrivò alla cripta attraverso un altro accesso.
I vari corridoi, compreso quello in cui si trovava Piton, confluivano in un ambiente circolare, delimitato da una serie di colonne basse e massicce e da quella che sembrava una vasca anulare che correva tutto intorno alla cripta. Al suo interno, un liquido infiammabile di qualche specie sprigionava delle fiamme verdi.
Piton si guardò attorno e riconobbe le insegne araldiche che aveva visto nella mente di Voldemort: erano incise un po’ su tutte le pareti.
Tentò di vedere oltre il muro di fiamme, purtroppo senza successo, ma immaginò che Potter dovesse essere di fronte a lui, dalla parte opposta di quel cerchio di fuoco.
Il ragazzo sembrava stesse tentando di attraversarlo, ma, ogni volta che si avvicinava, le fiamme si facevano più alte e pericolose.
Severus si appiattì contro il muro cercando di aggirare il fuoco e, passando nello stretto spazio tra il muro e le colonne, arrivare dalla parte dove si trovava il ragazzo. Tuttavia, dopo aver percorso qualche metro, si rese conto che in alcuni punti le fiamme, oltrepassando le colonne, arrivavano a sfiorare la parete di pietra.
Il calore era troppo forte.
Si portò la mano davanti al viso tentando di avvicinarsi il più possibile, ma, all’ennesimo tentativo di Potter di attraversare il muro rovente, uno sbruffo infuocato lo investì e lui ebbe appena il tempo di innalzare lo scudo protettivo.
La fiammata avviluppò la barriera magica rendendola luminescente. Per un attimo Severus si trovò completamente immerso nel fuoco e, come se si trovasse in una bolla di vetro, poté vedere le fiamme verdi vorticare intorno a lui.
Quando l’onda incandescente si ritirò, balzò all’indietro voltandosi e piegandosi in avanti, mentre con una mano si copriva la bocca nel tentativo di attutire i colpi di tosse. L’aria era così calda che aveva l’impressione di avere il fuoco nei polmoni.
Con l’altra mano si appoggiò al muro, abbandonando poi tutto il corpo a contatto con le pietre levigate. Il viso era schiacciato contro la piccola feritoia sulla parete alla ricerca di un po’ d’ossigeno e gli occhi chiusi a trattenere il velo di lacrime che immediatamente lenirono il bruciore.
Ansimava ancora, quando, socchiudendo appena le palpebre, vide qualcosa che gli tolse di nuovo il respiro.
Da una stretta nicchia scavata nella parete, ad appena un metro da lui, spuntava qualcosa che somigliava ad un arto umano.
Si chinò per osservarlo più da vicino e rabbrividì. Il cadavere irriconoscibile di un uomo era raggomitolato in un’insolita quanto macabra posizione all’interno della nicchia. Sembrava che qualcuno lo avesse infilato a forza in quello spazio angusto.
Aveva la pelle scura e rinsecchita, segno che doveva trovarsi lì da molti anni. Tuttavia, il calore delle fiamme ne aveva conservato il corpo pressoché intatto, ancora avvolto nel suo mantello.
Severus si inginocchiò guardando la mano annerita e fissata nella sua ultima contrazione dolorosa. Ricordava gli artigli di un rapace.
D’istinto gli sollevò la manica della tunica, scoprendo l’avambraccio.
La stoffa si era irrigidita. Severus la trattenne con la punta della bacchetta e si abbassò maggiormente per osservare la pelle dell’uomo. Come se fosse inciso su un ramo secco, era ancora ben visibile il Marchio Nero.
Quell’uomo era un Mangiamorte.
Ma perché Voldemort avrebbe dovuto uccidere uno dei suoi, a meno che il malcapitato non avesse tentato di tradire il suo padrone?
Poi, tutto divenne dolorosamente chiaro. Una profonda incisione ornava come uno strano monile il collo della vittima, la cui testa pendeva disarticolata all’indietro, e una macchia più scura nel pavimento partiva dal cadavere fino al bordo della vasca infuocata.
Il mago barcollò all’indietro: ora sapeva come attraversare quel fuoco.
L’unica azione in grado di spegnere le fiamme era qualcosa che Harry Potter non sarebbe mai stato in grado di fare. Voldemort si era servito di un proprio adepto per i suoi scopi, in un modo orrendo. Ed ora toccava a lui ripetere quell’atto.
Strinse i pugni con rabbia. Quando sarebbe finita? Quanto in basso doveva ancora cadere, prima di poter vedere la fine di quell’incubo?
Il cuore prese a correre come impazzito nel suo petto. Guardò in direzione delle fiamme che continuavano a sollevarsi, per poi placarsi nuovamente, ad ogni tentativo di Potter di avvicinarsi. Restò a fissarle per alcuni minuti, implorando il proprio cervello di trovare una soluzione alternativa. Ma non ce n’erano, come sempre.
Come Silente gli aveva fatto capire molto chiaramente chiedendogli di ucciderlo, c’erano cose che solo lui poteva fare, lui poteva sporcarsi le mani, lui era già sporco. Certo il vecchio mago non lo avrebbe mai detto in questi termini, no, lui gli aveva strappato quel consenso, come se gli stesse chiedendo il più grande regalo, ma non era così.
Severus si passò la mano sulla fronte imperlata di sudore gelato: gli sembrava di sentire la presenza di Silente dietro di sé che lo esortava ad andare avanti. Scosse il capo come a voler scacciare quel fantasma dalla propria mente.
“Che altro mi aspetta?” sussurrò. “Tu lo sapevi, sapevi che mi stavi mandando incontro a questo.”
Il suo pugno si gettò con tutta la forza contro la parete, ma la sua inutile ribellione dovette di nuovo cedere il posto al senso del dovere, quando un rumore di combattimento proveniente dall’esterno lo spinse a precipitarsi verso il cortile.
I Mangiamorte erano arrivati alla fortezza e avevano ingaggiato una furiosa battaglia contro gli Auror di guardia.
Gli uomini del ministero sembravano in difficoltà.
Piton si sporse da una finestra e puntò la bacchetta in direzione di uno dei Mangiamorte più giovani che si era appena tuffato in un volo spericolato, cercando di sorprendere Tonks alle spalle.
La sua scopa, come impazzita, deviò dalla traiettoria e infilò a tutta velocità la finestra dove si trovava Piton. Il mago afferrò al volo il ragazzo trattenendolo per un braccio e facendolo cadere prima che potesse schiantarsi contro il muro assieme alla scopa che, invece, andò in mille pezzi.
“Che diavolo fai?” Abbaiò il Mangiamorte, mentre cercava di rimettersi in piedi.
“Sta zitto e seguimi!” disse l’altro tirandolo su di peso. Poi lo scaraventò senza molti complimenti verso il corridoio guardandolo con un’espressione indecifrabile.
“Si dà il caso che io sappia dove si trova Potter.” continuò, sapendo di soddisfare la curiosità del ragazzo che, come ogni nuovo adepto, non aspettava che l’occasione di guadagnarsi l’apprezzamento dell’Oscuro Signore.
Senza brontolare oltre, il Mangiamorte seguì il suo compagno nei sotterranei.
Dopo un dedalo di corridoi e un’interminabile serie di gradini, finalmente i due maghi giunsero all’ingresso della cripta, dal corridoio che aveva già usato Piton.
Il muro di fiamme era ancora lì. Severus non si stupì: c’era un solo modo per superare quell’ostacolo e lui stava per metterlo in atto.
Si voltò di scatto verso l’altro e, con un repentino gesto della mano, isolò il luogo in cui si trovavano.
“Potter si trova al di là del muro di fiamme.” disse calmo. “Ora non potrà sentirci”.
Il Mangiamorte assunse un’espressione di vittoria: si avvicinò al fuoco, poi, rivolgendo all’altro mago un’occhiata di complicità, indicò il muro rovente di fronte a loro.
“Come lo superiamo questo?”
Piton guardò il ragazzo: era appena più grande di Draco. Si sentì disgustato per ciò che stava per fare, ma non c’era altro modo, non poteva rischiare di trascinare in quella cripta un Mangiamorte più esperto, non con Harry Potter a pochi metri da loro. Se qualcosa fosse andato storto, sarebbe stato come consegnare il ‘Prescelto’ a Voldemort.
Eppure, avrebbe fatto di tutto per non ripetere il terribile delitto di Voldemort: avrebbe usato il suo corpo, se solo quello fosse stato il suo ultimo atto, ma non aveva finito. Morire in quella cripta non sarebbe servito, se non a quietare la propria coscienza, e quella, ormai, aveva imparato a metterla da parte per la causa.
No, non c’era spazio per la pietà in quella guerra, soprattutto da parte sua. Severus Piton non poteva permettersela, non dopo aver pronunciato l’anatema che uccide guardando negli occhi l’uomo che considerava come un padre.
“In effetti,” la sua voce era calma e carezzevole, mentre la mano stringeva nervosamente l’impugnatura della bacchetta nascosta sotto il mantello. “esiste solo una cosa che possa estinguere quelle fiamme…”
Il sorriso d’un tratto si cancellò dalla faccia del giovane.
“ ... e non è l’acqua.” Continuò imperturbabile, senza alzare la bacchetta.
Sperava forse che, dando all’altro il tempo di difendersi, dopo si sarebbe sentito meglio?
Un’idea stupida, ma si sarebbe aggrappato a tutto, pur di non uccidere a sangue freddo un ragazzino che era stato suo alunno solo qualche anno prima.
Il Mangiamorte continuava a fissarlo imbambolato.
Piton allora sfoderò la bacchetta balzando in avanti verso il suo avversario che, finalmente, puntò la propria.
“Maledetto traditore!” ruggì il giovane mago, mentre raggi luminosi partivano da entrambe le bacchette. Il Mangiamorte fu sbalzato all’indietro e per poco non finì tra le fiamme: si alzò di scatto gridando.
“Expelliarmus!” La bacchetta di Piton schizzò verso l’alto rimbalzando sul soffitto e finì a qualche metro da lui, poi tutto avvenne in un istante.
“Avada Kedavra!” Il raggio mortale volò verso Piton che si gettò per terra, pronunciando l’incantesimo di richiamo per recuperare la sua arma e la puntò sull’altro gridando: “Sectumsempra!”
I due incantesimi s’incrociarono: l’Avada sfiorò Piton colpendo il muro dietro di lui e mandandolo in mille pezzi, mentre una spada invisibile trapassò il Mangiamorte scaraventandolo al suolo.
Per un attimo Piton rimase immobile a fissare il suo avversario: era ancora vivo, ma dalla sua ferita il sangue usciva abbondantemente, tanto da formare un rivolo scuro che prese a scorrere sul pavimento di pietra, fino a colare nella vasca.
Le fiamme si estinsero quasi immediatamente, sprigionando una nuvola di vapore bollente.
Dall’altra parte ora si poteva vedere un incredulo Harry Potter che fissava una sorta di sepolcro al centro della cripta.
La barriera creata di Piton gli impediva, non solo di sentire, ma anche di vedere i due maghi che si trovavano a pochi metri da lui.
“Maledetto! L’Oscuro Signore ti ucciderà. Tu… tu morirai.” Gemette il ragazzo cercando di trascinarsi verso la colonna. Poi fissò l’altro mago con un’espressione carica d’odio. “Mi di…spiace che non sarò là… a guardarti crepare.” ringhiò, mentre si rannicchiava contro il pilastro, ma Piton restò impassibile.
Gli occhi scrutavano il canale dal quale pochi istanti prima si sprigionavano le fiamme. Ora vi scorreva un liquido rosso. Certo, il sangue del ragazzo non poteva aver riempito il solco fino a colorare la sostanza magica all’interno, che, evidentemente, si era trasformata in sangue a contatto con quello del Mangiamorte.
Voltò di scatto la testa, disgustato.
Guardò il giovane. Ora che l’incantesimo aveva funzionato, non era necessario arrivare fino in fondo. Poteva non uccidere.
Si chinò, raccogliendo la bacchetta del Mangiamorte e, dopo averla riposta in una tasca della sua tunica, puntò la propria al petto del suo ex alunno che spalancò gli occhi terrorizzato.
“No, no, professore, la prego, no, non voglio morire.” Prese a tremare annaspando sul pavimento.
“Sei sempre stato uno sciocco Gavin: hai imparato a combattere, ma sei ugualmente troppo sciocco e troppo vigliacco per essere un Mangiamorte. Forse il tuo padrone mi ucciderà, ma non prima di aver punito quelli come te per non averlo servito a dovere.”
Il suo cuore era colmo di amarezza: vide la paura nel volto del ragazzo. Era normale aver paura della morte, a quell’età, pensò.
“Mi aiuti!” Il Mangiamorte protese una mano tremante verso Piton. “La prego… non… mi lasci… morire, mi…mi aiuti!” Il suo era appena un sussurro.
“No, non morirai, non per mano mia,” sospirò. “Ma la tua giovane età non ti salverà dal bacio del Dissennatore.” Disse scuotendo il capo e, senza aggiungere altro, s’inginocchiò accanto a lui e cominciò a recitare la complicata formula che curava le ferite del Sectumsempra. Lentamente il taglio prese a rimarginarsi. Piton afferrò il giovane mago per le braccia e lo trascinò vicino alla barriera di occultamento che aveva creato.
Gavin era ancora troppo debole per muoversi: fissò l’altro che gli aveva voltato le spalle per osservare Potter.
Harry, nel frattempo, aveva sollevato con la magia la pesante lastra di marmo che chiudeva il sepolcro e si sporgeva a scrutare il suo interno con aria disgustata e preoccupata.
Improvvisamente una mano scheletrica l’afferrò al collo. Piton sussultò e puntò la bacchetta, pronto ad intervenire. Il ragazzo cercava di divincolarsi, ma nello stesso tempo sembrava tentare di afferrare qualcosa all’interno della tomba.
L’Horcrux doveva essere nascosto lì.
Che ironia che fosse proprio un Black a fare da guardiano a quell’oggetto. Severus non riuscì a trattenere una smorfia: i Black finivano per essere fedeli servitori anche inconsapevolmente.
Il giovane mago sembrava essere in difficoltà. Piton lo fissava quasi trattenendo il respiro, quando si sentì afferrare ad una caviglia.
Si voltò di scatto, preparandosi a difendersi, ma abbassò la bacchetta non appena vide, ai suoi piedi, Gavin che, dopo essersi trascinato vicino a lui, gli si era aggrappato alla gamba come un bambino terrorizzato.
“Non lo aiuta?” mormorò debolmente, fissando con gli occhi sgranati Harry Potter che lottava contro lo scheletro.
Gli occhi di Piton non tradirono nessuna emozione, ma le labbra erano serrate con forza, come a volersi trattenere dal pronunciare un qualsiasi incantesimo.
Gavin lo fissò, sbalordito.
“lo sta uccidendo e lei se ne resta qui a guardare? Ma da che parte sta?”
L’altro non rispose, tornò a guardare il prescelto avvicinandosi al limite della barriera.
Harry ansimava, mentre con una mano cercava di strapparsi le dita scheletriche dal collo e con l’altra frugava alla cieca all’interno del sarcofago di pietra.
Ma cosa stava cercando? Possibile che l’Horcrux fosse stato semplicemente gettato sopra al corpo, dato che, a quanto pareva, il morto non lo portava addosso?
Le dita di Piton si strinsero sulla bacchetta con tale forza che questa per poco non si spezzò.
Harry era scivolato in ginocchio: sembrava che non riuscisse più a respirare.
Non poteva più aspettare, doveva intervenire: fece ancora un passo e fu dall’altra parte della barriera. Spuntò dal nulla come se avesse attraversato uno specchio d’acqua. Completamente visibile, mirò alla mano che soffocava Harry, pronto a pronunciare l’incantesimo, ma, nello stesso momento, il giovane mago ricacciò, con uno sforzo, lo scheletro all’interno e, afferrandone il teschio, lo sbatté violentemente contro la pietra.
L’urto attivò qualcosa, forse una leva. Il sarcofago cominciò a sprofondare, finché tutto il pavimento venne risucchiato in una voragine. Piton e il Mangiamorte vennero anch’essi ingoiati, come se i mattoni fossero diventati di fango. Caddero in un altro ambiente scavato proprio sotto quello in cui si trovavano, trascinando con loro pietre e detriti: ciò che restava delle colonne.
Appena la nuvola di polvere si diradò, Severus si sollevò da terra poggiandosi sui gomiti. Era piuttosto stordito e si guardò attorno: il luogo in cui si trovavano sembrava una sorta di cisterna sotterranea. Le pareti erano curve e sopra di loro si apriva un grosso squarcio sulla volta, dal quale si poteva vedere ciò che restava della stanza circolare: il muro perimetrale e poche colonne rimaste ancora in piedi.
Piton si stupì di come il soffitto della cripta fosse rimasto intatto visto che era stato privato dei suoi pilastri.
Gavin, ancora debole, era svenuto e giaceva a faccia in giù. Poco distante da loro, anche Harry Potter era sdraiato, ma cosciente. Sembrava stesse cercando di rimettersi in piedi. Immediatamente Piton ricreò la barriera: nella confusione Harry non aveva notato la sua apparizione, così il mago decise che era meglio tornare nell’ombra. Si alzò, si avvicinò a Gavin e, chinandosi su di lui, gli sollevò il viso perché non soffocasse nella melma.
Restò poi accucciato al suo fianco osservando il prescelto con un’espressione assorta.
Harry prese a muovere le mani nel fango, tastando alla cieca alla ricerca di ciò che si trovava nella stanza segreta, e che ora era sepolto sotto lo strato di melma e detriti.
Quello che emerse dal fango lasciò sconcertato Severus: nascoste fra le pietre c’erano nient’altro che altri sassi, una collezione di rocce dalle forme e i colori più bizzarri.
Uno di quelli doveva essere l’Horcrux.
Ma perché collezionare sassi, a meno che quelle non fossero comuni pietre?
Poi una smorfia si disegnò sul volto sporco di polvere e fango di Piton: ma certo, erano stelle o, almeno, quelle che i Babbani amavano chiamare ‘stelle cadenti’. I sassi contenuti in quella stanza non erano altro che meteoriti.
Semplici rocce che non possedevano alcun potere magico, ma, per gli antenati della famiglia Black, così legati alle stelle da prenderne a prestito i nomi per i loro figli, quei sassi avevano, evidentemente, un valore simbolico molto forte.
Chissà come aveva fatto Voldemort a scoprirlo!
Gli occhi di Severus esaminarono le pareti della stanza, che non sembravano molto solide: immaginò che, se anche quell’Horcrux avesse reagito al tocco di Potter come era accaduto nella grotta, il luogo in cui si trovavano non sarebbe stato sicuro.
Si voltò verso il Mangiamorte svenuto, puntò la bacchetta e lo sollevò magicamente per poi adagiarlo su una sporgenza di pietra sopra di loro, tutto ciò che restava del pavimento della cripta.
Lanciò ancora uno sguardo al ragazzo che continuava a scavare nel fango e poi prese ad arrampicarsi sui detriti cercando di raggiungere il piano più alto.
Come aveva immaginato, appena le dita del prescelto sfiorarono l’Horcrux, intorno a loro si scatenò l’inferno.
La melma che ricopriva il pavimento prese a sollevarsi come la piena di un fiume. Anche Potter cercò di risalire il cumulo di detriti per raggiungere il piano più in alto. Stringeva con un braccio, una roccia quasi sferica, piuttosto grande, mentre si arrampicava.
L’Horcrux sembrava lottare per liberarsi dalla presa. Severus fissò la scena inorridito. La pietra vibrava ed emetteva un sibilo orribile, un lamento quasi umano.
Potter era in difficoltà, come se l’oggetto stesse diventando sempre più pesante trascinandolo con sé verso il basso.
La melma era arrivata a lambirgli le scarpe.
“Andiamo, Potter, fa presto.” mormorò Piton a denti stretti, mentre puntava la bacchetta sul fango denso e scuro che vorticava nella cisterna.
Harry riuscì con un colpo di reni a sollevare le gambe quel tanto da raggiungere una sporgenza. Puntò i piedi e, con la sola forza di un braccio, si sollevò fino al piano del pavimento della cripta.
Fu allora che dalla bacchetta di Piton partì un raggio di luce bianca, simile a quella sprigionata da un fulmine, che raggiunse la melma, congelandola all’istante. Harry era riuscito appena ad intravedere la luce con la coda dell’occhio: si guardò attorno, incerto, poi osservò il vortice congelato che conservava ancora la sua forma ad imbuto.
Sollevò di nuovo lo sguardo e restò a fissare il muro di fronte a sé ancora per diversi secondi. Piton era davanti a lui, ma il giovane mago non poteva vederlo attraverso la barriera. Anche Severus rimase a scrutarlo quasi incantato e provò una sensazione strana: erano vicini e, per la prima volta, Potter non solo non stava tentando di ucciderlo, ma non c’era odio nei suoi occhi.
Severus era certo che, se avesse abbassato la barriera, avrebbe visto quello sguardo incupirsi e i lineamenti del giovane farsi duri e feroci, tuttavia volle assaporare quella sensazione piacevole immaginando che non ci fossero ostacoli fra di loro.
Potter aveva uno sguardo indifferente: i suoi occhi non lo vedevano davvero, lampeggiavano unicamente di stupore e curiosità. Uno sguardo simile non gli era mai stato rivolto da nessuno, se non da Silente. E lui ormai non lo guardava più da quasi un anno. Era tanto, troppo tempo.
Scosse il capo: possibile che fosse arrivato addirittura a quel punto? Fantasticare, sognare gli occhi di un amico, o, almeno, di qualcuno che non lo odiasse?
Per fortuna, quel terribile anno stava per avviarsi alla conclusione, almeno per lui. Presto, molto presto, nessuno lo avrebbe più guardato con odio, anzi non lo avrebbe guardato affatto.
Potter non avrebbe impiegato molto tempo prima di distruggere l’Horcrux, e a lui restava solo un’ultima missione: doveva trovare Voldemort prima di lui. Il Signore Oscuro ora era vulnerabile, il suo esercito era impegnato contro gli uomini dell’Ordine, ma presto lui li avrebbe richiamati al suo cospetto.
Avrebbe sacrificato fino all’ultimo Mangiamorte pur di salvare se stesso e l’ultimo Horcrux.


Sì, perché ce n’era ancora uno: il più importante e il più difficile da distruggere, l’unico Horcrux dal quale il suo Signore non si separava mai.
Nagini, il grosso rettile, era sempre acciambellato ai piedi del suo padrone. Non era un semplice animale domestico, era qualcosa di più: era parte di lui.
Tentare di uccidere Nagini voleva dire affrontare Voldemort in persona. Una lotta a viso aperto, rivelando una volta per tutte il suo tradimento.
Non avrebbe avuto una seconda possibilità.

Harry si alzò e Severus distolse lo sguardo. Fu come spezzare un filo invisibile, il filo dell’illusione.
Il giovane mago avvolse l’Horcrux nel mantello e si allontanò con passo veloce.
Tentare di distruggerlo in quel posto, così carico della magia di Voldemort ,sarebbe stato estremamente rischioso. L’unica soluzione era allontanarlo il più possibile dalla fortezza e dagli incantesimi di difesa che il mago aveva sicuramente disseminato in tutto il castello.
Severus annuì impercettibilmente, approvando la scelta di Potter. Tuttavia, un profondo sospiro sfuggì dalle sue labbra: probabilmente non l’avrebbe più rivisto. Lo aveva sempre detestato e non avrebbe mai creduto di sentire un tale nodo allo stomaco, mentre lo lasciava andar via. Quell’insopportabile ragazzino era diventato la sua unica ragione di vita, la sua missione, ed ora quella missione si avviava alla conclusione.
“Buona fortuna, Harry Potter!” mormorò.
Quando Harry fu abbastanza lontano, Severus tornò a rivolgere la sua attenzione al Mangiamorte rannicchiato in terra. Puntò la bacchetta e, prima che quello potesse reagire, pronunciò l’incantesimo di memoria. Si chinò sul ragazzo e, dopo avergli restituito la bacchetta, lo afferrò per le braccia, scuotendolo come se tentasse di svegliarlo.
“Che è successo?” brontolò Gavin, piuttosto stordito.
“Gli Auror hanno preso la fortezza, sei stato ferito.” disse gelido rimettendosi in piedi. “Devo avvertire l’Oscuro.”
“Ma non vorrà lasciarmi qui? Mi prenderanno”.
Severus, che era già in procinto di allontanarsi, si bloccò e si voltò con estrema lentezza, lanciando all’altro un’occhiata caustica.
“Dunque, immagino che poi sarai tu a spiegare all’Oscuro perché, invece di precipitarmi ad informarlo dell’accaduto, io abbia perso tempo trascinandomi dietro un uomo ferito. Sono certo che capirebbe.”
“Io…” Il ragazzo abbassò il capo sconfortato.
Piton gli si avvicinò di nuovo.
“Se ti trovano,” piegò appena la testa di lato, mentre gli occhi accennavano alla bacchetta che il ragazzo stringeva con tutta la forza. “ti consiglio di non fare l’eroe, ti faresti solo ammazzare.” mormorò pacato.
Non disse altro e si allontanò seguito dallo sguardo di Gavin.
Percorse il lungo corridoio e poi sgattaiolò attraverso un piccolo passaggio che lo portò ai piedi della scogliera dove gli Auror avevano lasciato le loro imbarcazioni. Rivolse un ultimo sguardo ai lampi lontani provocati dalla battaglia in corso e spinse una barca verso il largo fino a raggiungere il limite della barriera antimaterializzazione, per poi sparire lasciando il suo legno alla deriva.






Continua…

 
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Camelia.
view post Posted on 27/6/2011, 15:55




Peccato che stai per finire. E' una storia davvero, davvero bella.
 
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Astry
view post Posted on 30/6/2011, 16:34




E siamo alla fine...

Cap. 13: La profezia si compie



Voldemort era in piedi accanto al suo trono, il suono provocato dalla materializzazione lo fece voltare di scatto, gli occhi rossi fissi sull’uomo bruno di fronte a lui, mentre la sua mano scendeva ad accarezzare la testa squamosa di Nagini.
“Mio Signore!” Piton s’inchinò come sempre davanti al suo padrone ma, questa volta, non provò nemmeno ad occultare i suoi pensieri. Non era più necessario, lo sguardo di Voldemort era più che eloquente: sapeva della distruzione dell’Horcrux ed, evidentemente, sapeva che lui non ne era estraneo.
Nel gesto di Severus c’era tutto il dolore dei ricordi, il peso di un passato in cui il mago, al quale stava baciando la veste, era stato il suo unico punto di riferimento.
Ed ora, che erano giunti all’ultimo atto di quella tragedia, gli anni della sua giovinezza, l’ammirazione che provava per quell’uomo, ammirazione che si era poi tramutata in odio feroce, desiderio di riscatto e infine in disperazione e rimorso, sembravano piombargli addosso in un misto di sentimenti contrastanti, difficili da distinguere. Come se passato e presente si fossero improvvisamente fusi, e l’antica venerazione per il suo maestro potesse convivere con l’odio e la determinazione che lo avevano trascinato in quella sala pronto a compiere il suo ultimo dovere, spianando la strada al ragazzo che avrebbe dovuto ucciderlo.
Per quanto la rabbia del Signore Oscuro mascherasse ogni altro sentimento, anche lui, proprio come Piton, sapeva che tutto si sarebbe concluso quel giorno, in un modo o nell’altro.
Forse i sogni di gloria di Voldemort stavano per sbriciolarsi travolti da un ragazzino di diciassette anni. Sogni che non erano poi così diversi da quelli che avevano portato un giovane mago, incredibilmente dotato, ad immolare la sua anima in cambio di un’immensa conoscenza.
Severus aveva veramente ammirato il grande mago. Voldemort gli aveva offerto ciò che bramava di più. Era stato il suo maestro da quando aveva lasciato Hogwarts.
Lui, lo studente più brillante della scuola, isolato dai suoi coetanei, sempre assetato di sapere, non l’aveva seguito, come altri fanatici, per preservare la magia dei maghi purosangue.
Loro avevano entrambi il sangue sporco, Severus Piton, il principe mezzosangue, e Tom Marvolo Riddle, figlio di un padre Babbano, un padre che lo aveva rinnegato.
Il loro scopo era lo stesso: la magia, nella sua forma più alta e assoluta. Il loro destino sarebbe stato lo stesso: esserne sopraffatti.
Voldemort si avvicinò lentamente all’uomo in ginocchio.
Dietro l’apparente calma, Piton riconobbe un’ira furibonda pronta ad esplodere.
Sì, Potter aveva sicuramente già distrutto l’Horcrux, il suo Signore lo sapeva e sapeva anche perché lui si trovava lì.
Le pupille infuocate del mago più anziano incrociarono le iridi nere di Piton che portò la mano a stringere l’impugnatura della sua bacchetta.
Poi, con un gesto maestoso, Voldemort sollevò le braccia.
S’udì un boato sordo, mentre il soffitto prese a frantumarsi sopra di loro, e grosse pietre precipitarono al suolo.
“Protego!” Piton puntò la bacchetta verso l’alto e, con un suono metallico, le pietre, che continuavano a piovere su di lui, s’infransero contro la sua barriera.
Un ghigno malefico si dipinse sul volto di Voldemort che frustò l’aria e subito l’altro fu sollevato da terra e scaraventato contro la parete, per poi ricadere a terra scomposto. Piton si tirò su sulle braccia ma, immediatamente le labbra si piegarono in una smorfia e lui dovette trattenere il respiro, mentre una fitta al fianco lo costringeva a chinarsi di nuovo in avanti.
Probabilmente aveva qualche costola rotta.
Strinse i denti e provò a respirare lentamente, maledicendo i propri polmoni che, avidi d’aria, ne pretendevano sempre di più, obbligando i muscoli del suo petto a tormentare le ossa fratturate con le loro contrazioni.
Sollevò il viso, gli occhi luccicarono attenti e determinati, mentre puntava il legno magico, ma non era il suo maestro l’obbiettivo: non era nel suo destino sconfiggerlo, qualcun’altro era nato per questo.
“Avada Kedavra!” il raggio verde partì dalla bacchetta di Piton e, mancando Voldemort di poco, continuò la sua corsa verso il fondo della sala.
Il sibilo acuto di Nagini si sommò all’urlo rabbioso di Voldemort.
“NOOOOOOO!”
I due maghi fissarono il grosso rettile che si contorceva spasmodicamente per poi ricadere immobile, privo di vita.
Il Signore Oscuro si voltò verso Piton. Il volto era deformato da una furia cieca.
“Che cos’hai fatto?” Ruggì, la sua voce era arrochita dalla collera.
“Vi ho reso mortale.” Piton si rimise in ginocchio appoggiandosi al muro, gli occhi erano fissi sull’altro, ma la bacchetta era abbassata: ormai il suo compito era finito.
“Crucio!”
Il dolore giunse improvviso e il mago si ritrovò a contorcersi sul pavimento. Probabilmente stava urlando, ma anche la sua stessa voce gli sembrava un eco lontano. Perse la cognizione del tempo. Poi il dolore cessò, come era venuto, dopo secondi, minuti o forse ore.
Quando riaprì gli occhi, Voldemort era chino su di lui, il suo sguardo era quello del demonio in persona, ma, immediatamente, la rabbia lasciò spazio ad un’espressione di sincero stupore.
“Non credevo che avresti osato tanto.”
Severus lo guardò sbalordito.
“Voi ... voi sapevate? Perché...?” ansimò.
“Perché non ti ho ucciso prima, vuoi dire?”
Gli occhi di Piton, profondi come la notte, erano fissi in quelli rossi di Voldemort. Tentò inutilmente di sollevarsi, ma ricadde supino con una smorfia di dolore.
“Perché sapevo che era quello che desideravi.” proseguì. “Sospettavo il tuo tradimento da molto tempo, Severus, ma sei stato comunque molto utile, molto più utile di quegli sciocchi fanatici che mi circondano. Ho giocato con te, Severus, ho giocato e tu mi hai battuto.
Ho creato il vuoto intorno a te e tu sei riuscito comunque ad aiutare i miei nemici.
Ti ho messo una spia alle costole e tu l’hai indotto a tradirmi.”
Un brivido percorse il mago a terra, Voldemort lo notò e le sue labbra si piegarono in un sorriso cattivo.
“Sì, Severus, so anche del tuo socio improvvisato.” Si rimise in piedi. “Vedi, non sono mai stato certo della tua fedeltà, ma tu sei stato bravo a nascondermi il tuo inganno, Draco invece no. Ammetto che mi è stato molto più utile come spia dopo essere passato dalla tua parte.”
Mosse la bacchetta nell’aria e dietro di lui apparve il giovane Malfoy, raggomitolato sul pavimento, apparentemente immobilizzato, ma cosciente.
“Scoprirà presto cosa significa tradire Lord Voldemort.” Disse, quasi con noncuranza.
Piton si sentì morire: fissò il ragazzo, sforzandosi di non perdere la lucidità. Doveva trovare una soluzione. Doveva esserci un modo per salvarlo, per non rendere inutile il sacrificio di Silente. Doveva ragionare in fretta, ma si sentiva soffocare dall’orrore.
Poi, improvvisamente, guardò Voldemort e le labbra si piegarono in un riso maligno.
“Il moccioso… è solo uno sciocco, è stato facile ingannarlo.” Caricò la sua voce, pur flebile, di quel tono di disprezzo e disgusto che anni di menzogne gli avevano insegnato ad esibire alla perfezione.
“Ma… uccidendolo farete un torto ad uno… dei vostri più fedeli… seguaci. Lucius… è sempre suo padre.” Continuò sarcastico, obbligandosi ad ignorare il dolore che gli procurava ogni parola che pronunciava.
“Oh, Lucius non è del tutto esente da colpe. Se è stato così poco accorto nei suoi doveri di genitore, pagherà anche lui le conseguenze.” Si chinò ancora sull’altro. “Tuttavia, credo che la vita di quel ragazzino stia a cuore anche a te, non è vero, Severus?” sibilò.
Severus si sollevò faticosamente e i suoi occhi si gettarono spavaldi nelle iridi fiammeggianti del suo Signore.
“Il ragazzo non mi interessa… è servito ai miei scopi… ho avuto ciò che volevo.” Affermò.
“Non ti interessa?” mormorò Voldemort, meditabondo.
Poi si voltò di scatto e, con la rapidità di un serpente, puntò la bacchetta verso Draco. Un anello di fuoco lo circondò immediatamente. Severus sussultò, mentre il giovane prese a gridare terrorizzato.
L’anello si stringeva a vista d’occhio. Presto il fuoco l’avrebbe raggiunto.
Le dita sottili di Piton artigliarono la ruvida pietra del pilastro, e, con uno sforzo, il mago si rimise in piedi.
Tentò di restare impassibile, nell’assurda illusione che Voldemort potesse ancora credergli e risparmiare il ragazzo, ma, ben presto, anche quella piccola speranza lo abbandonò.
Il Signore Oscuro sarebbe arrivato fino in fondo e lui avrebbe assistito anche a quella morte senza poter fare niente. Una morte orribile.
Qualunque cosa avesse fatto, non sarebbe servita a salvare il ragazzo, ma non poteva di certo restare a guardare.
Draco continuava ad urlare. Era straziante.
Strinse con forza la bacchetta, Voldemort non si era nemmeno preoccupato di disarmarlo, e sollevò faticosamente il braccio indolenzito puntandolo verso l’anello di fuoco: uno strano vento prese a sospingere le fiamme lontano da Draco, come se questo si trovasse al centro di una tromba d’aria.
Voldemort, per tutta risposta, scoppiò in una risata crudele, ma non cercò di contrastare la magia di Piton, bensì, puntando la sua arma sul mago che continuava ad alimentare il vento salvifico, sussurrò la maledizione, quasi pesando e gustando ogni sillaba.
“Crucio!”
Il dolore esplose ancora, scuotendo il corpo del suo servo come se fosse attraversato da una scossa elettrica. Severus strinse gli occhi con forza, mentre lacrime salate sfuggivano al suo controllo, assieme ad un lamento acuto e soffocato.
Tuttavia, non abbassò il braccio e l’incantesimo su Draco restò attivo.
Sapeva che Voldemort non l’avrebbe fermato, non avrebbe fatto un contro incantesimo, ma l’avrebbe torturato finché lui stesso sarebbe stato costretto ad interrompere la sua magia, uccidendo così il giovane Malfoy.
Severus scivolò nuovamente in ginocchio, il braccio era sempre teso, ma tremava così tanto da non riuscire a mantenere costante il vento, cosicché le fiamme, in alcuni momenti, arrivavano a lambire il corpo del giovane.
Aprì gli occhi e vide l’espressione di trionfo dipinta nello sguardo di Voldemort, mentre con un movimento elegante, ma deciso, del braccio, elargiva nuova forza alla maledizione.
Un altro spasmo incontrollato e le dita di Severus si aprirono di scatto, lasciando scivolare a terra la bacchetta e, con lei, l’ultima speranza.
Il mago cadde disteso su un fianco. Il viso era contratto in una maschera di dolore e disperazione.
Strinse con forza le palpebre, quando l’urlo agghiacciante di Draco lo raggiunse.
Si portò le ginocchia al petto e le mani alle orecchie, pregando, supplicando di poter morire in quello stesso istante, prima di poter assistere all’epilogo della terribile vendetta del Signore Oscuro. Prima di vedere concretizzato l’incubo che lo aveva accompagnato ogni notte in quell’ultimo anno.
Poi, i suoi pensieri e sensazioni divennero sempre più confusi e le urla di Draco divennero sussurri. Anche le sue urla, che in un primo momento rimbombavano come tuoni nella sua testa, divennero a tratti suoni indistinti, lontani, per poi tornare ad aggredirlo taglienti e insopportabili, simili a dolorose staffilate.
Sentì le unghie spezzarsi contro la ruvida pietra del pavimento, mentre cercava di afferrarsi a qualcosa di reale, di saldo, convogliando nelle mani la tensione di tutto il corpo, nel tentativo di contenere gli spasmi divenuti ormai incontrollati.
Desiderava unicamente trovare un appiglio, una fessura tra quelle maledette lastre di marmo consumato, alla quale potersi aggrappare.
Aveva l’impressione che il suo corpo gli fosse estraneo, non riusciva più a disporre dei propri muscoli che si contraevano obbedendo solo e unicamente ai comandi della sofferenza. Solo le dita sembravano seguire ancora gli ordini del suo cervello, sicure ancore capaci di trattenere un corpo impazzito.
Se non fosse stato per il dolore, avrebbe creduto che l’insieme di ossa e carne, che continuava a colpire la pietra, non gli appartenesse.
Altrettanto incontrollati sembravano essere diventati i suoi pensieri.
Voldemort aveva usato altre volte la Cruciatus su di lui, e lo aveva fatto persino mentre cercava di penetrare nella sua mente. Lui aveva sempre resistito, ma questa volta era diverso.
Questa volta il suo Padrone non cercava informazioni, non voleva provare la sua fedeltà. Ormai conosceva la verità e lui non aveva più pensieri da proteggere.
Ora stava torturando per uccidere. Sarebbe arrivato fino a superare il limite oltre il quale non si era mai spinto.
Oltre c’era la morte o la follia. Entrambe desiderabili, entrambe vicinissime.
Forse avrebbe solo dovuto lasciarsi andare. Forse era così che la pazzia avrebbe preso il sopravvento, sostituendo pensieri distorti alla realtà che non voleva più vedere: Draco, la guerra, i rimorsi.
Il dolore poi, doveva farlo smettere. Era lì, nella sua testa.
Doveva fermare il suo cervello e non avrebbe più sentito niente. Doveva vuotare la sua mente, dimenticare. Dimenticarsi di avere un corpo, dimenticare il suo stomaco che sembrava voler saltar fuori scosso dai conati di vomito. Dimenticare di avere un cuore che come un cavallo impazzito continuava a percuotergli le costole. Forse, se avesse smesso di ascoltarlo, si sarebbe fermato. Dio, perché continuava a battere? Quanta forza poteva esserci in quello stupido muscolo per continuare, caparbiamente, a pompare sangue in un corpo che aveva ormai meno volontà di una bambola di pezza?
Lacrime indecenti presero a scorrere sul volto sporco e sudato, per essere immediatamente celate dai capelli che si erano incollati alla pelle bagnata. Si erano intrecciati quasi a formare una maschera, involontaria difesa di una dignità che al mago non interessava più.
Poi l’agognato oblio giunse pietoso a sottrarlo all’orrore: il mago scivolò nell’incoscienza.
Per un breve momento, non ci furono grida, non ci fu dolore, solo un’infinita pace.
Guardò le proprie mani e vide quelle di un bambino intento a mescolare uno strano intruglio iridescente nel calderone. Provò un’immensa gioia, mentre ammirava tutti quei magnifici colori. Poi l’ansia. La pozione si addensava rapidamente e i suoi occhi, gli occhi del bambino, si riempirono di lacrime: le sue braccia non erano abbastanza forti per vincere la resistenza della sostanza che si faceva sempre più compatta. Non ce l’avrebbe mai fatta: avrebbe perso la sua pozione colorata, avrebbe perso il suo sogno.
“NOOOO!”
Improvvisamente, altre mani, mani sottili di una donna, si unirono alle piccole dita, racchiudendole come in un abbraccio e donando nuovo vigore al loro movimento circolare.
Il bambino sollevò gli occhi e guardò il volto di sua madre che gli sorrideva. Era bella: per Severus lei era la più bella, anche quando portava sul viso i segni dell’ira di suo padre, e sorrideva. Aveva gli occhi gonfi e arrossati, ma sorrideva. Il suo vestito sorrideva, anche le sue lacrime sorridevano.
Poi quel sorriso divenne sempre più sfocato, fino a sparire del tutto, inghiottito da una luce accecante. Il bambino tentò di raggiungerla, ma un forte dolore gli impediva di muoversi: protese, disperato, la piccola mano che tornò ad essere quella di un adulto, mentre la luce si tramutava in furiose lingue di fuoco. Al volto di sua madre, si sostituì il viso di un ragazzino biondo, un viso orribilmente ustionato.
Il corpo del mago sussultò, nel momento in cui la realtà tornava in tutta la sua crudeltà, strappandolo al sogno attraverso il lancinante dolore al fianco, e precipitandolo nuovamente all’inferno.
Avrebbe voluto non svegliarsi, strinse le palpebre in un ultimo disperato tentativo di non vedere l’orrore che si era appena consumato in quella sala. L’ennesima vittima di quella guerra, un’altra persona a cui voleva bene, persa per sempre.
Quando riaprì gli occhi, la prima cosa che vide fu il volto del suo Padrone che aveva smesso di torturarlo e lo fissava assorto.
Istintivamente alzò lo sguardo verso il punto in cui si trovava il ragazzo: le fiamme erano spente e lui era ancora vivo.
Prima che potesse chiedersi perché, Voldemort gli voltò le spalle e si avvicinò a Draco.
Lo scrutò con un’espressione disgustata. Poi chinò appena il capo come un bambino che osserva un giocattolo rotto, per decidere se gettarlo o utilizzarlo in qualche altro modo.
“Vuoi vivere?” domandò.
Draco tremava e respirava a fatica. Si sollevò mettendosi in ginocchio. Lo fissò incredulo, ma non disse nulla.
“Ti ho chiesto se vuoi vivere.” Ribadì rendendo più acuta la sua voce.
Il giovane mago annuì impercettibilmente.
Voldemort sollevò il mento in un atteggiamento solenne.
“Ti risparmierò la vita, allora,” prese a camminargli intorno con una lentezza esasperante. “Ma dovrai guadagnarti il mio perdono.”
Si bloccò di scatto e si voltò di nuovo verso il giovane, facendo ondeggiare il mantello. Gli fece cenno di alzarsi e Draco obbedì.
Severus seguì il mago con lo sguardo, mentre posava la mano sulla spalla di Malfoy e lo spingeva verso di lui.

Quando furono abbastanza vicini, Voldemort protese il palmo su cui si materializzò un pugnale d’argento finemente decorato. Guardò Draco e poi di nuovo Severus che si era sollevato appoggiandosi sui gomiti.
“Abbiamo giocato, Severus, ma ora il gioco è finito. Tu mi hai sfidato ed io devo ucciderti.” levò il braccio brandendo il pugnale che scintillò minaccioso, specchiandosi negli occhi di Piton.
“Sai come muore un traditore, Severus?”
L’altro non rispose.
“Oh sì, certo che lo sai. Non ricordo…” Si posò un dito sulle labbra fingendosi pensieroso. “Quante volte hai eseguito questa condanna per me: due, quattro volte?” sorrise. “Vuoi spiegare tu al nostro giovane amico quello che deve fare, o vuoi che lo faccia io?”
Severus guardò Draco: aveva il viso rigato dalle lacrime e si sforzava di trattenere i singhiozzi. Poi tornò a fissare Voldemort e i suoi occhi si accesero di rabbia.
“Maledetto!” con uno sforzo si alzò da terra, ormai gli restava solo la forza della disperazione, e si gettò contro l’altro, per poi ricadere pesantemente sul pavimento di pietra.
Quel gesto, inaspettato quanto inutile, costrinse Voldemort a fare un balzo indietro.
Il mago esplose in una risata sguaiata.
“Bene! Immagino, allora, di doverlo fare io. Ma prima ho bisogno di un ultimo servigio da te.”
Puntò la bacchetta su Piton e il suo corpo si sollevò da terra come una marionetta legata a fili invisibili. I piedi penzolavano ad un palmo dal pavimento, mentre il mago si sforzava di tenere sollevata la testa, sfidando con odio lo sguardo infuocato del suo padrone.
Poi abbassò gli occhi sul proprio braccio sinistro che, contro la sua volontà, si protendeva in avanti col palmo della mano rivolto in alto. Tentò di riprendere il controllo dei suoi muscoli, ma senza successo: la prolungata Cruciatus lo aveva privato di tutta la forza, ogni tentativo di opporsi alla magia di Voldemort si rivelò inutile e gli procurò solo altro dolore.
Lui gli afferrò il braccio, strappando con violenza la manica della tunica.
Il Marchio era più scuro che mai in presenza del suo Signore. Il teschio con un serpente avvinghiato, segno della sua schiavitù, prese a pulsare dolorosamente.
Severus gettò la testa indietro e strinse con forza le palpebre, mordendosi il labbro per non urlare, quando il mago posò sopra al tatuaggio la mano scheletrica e quello divenne rovente.

Nello stesso momento, i Mangiamorte impegnati nella fortezza dei Black sentirono il loro braccio ardere come fuoco: il loro Signore li stava chiamando. Bellatrix, che stava duellando contro Alastor Moody, si artigliò la manica della tunica e, voltandosi di scatto verso i suoi compagni, urlò:
“Via di qui, andiamocene.”
Poi prese a correre verso la sua scopa che giaceva a poca distanza da lei.
Il vecchio Malocchio, che era deciso a non farsela sfuggire per l’ennesima volta, si tuffò contro un altro Mangiamorte disarcionandolo e, impadronitosi della sua scopa, si lanciò all’inseguimento.
Quando furono vicini al limite della barriera uno ad uno i seguaci di Voldemort si smaterializzarono lasciando che il loro mezzo di trasporto precipitasse in mare, inabissandosi fra quelle onde nere.
L’Auror vide il corpo di Bellatrix diventare trasparente mentre la maga recitava la formula di smaterializzazione, senza pensarci troppo agguantò il suo occhio magico strappandoselo dal volto e lo lanciò con forza contro la schiena di Bellatrix. L’oggetto sparì con lei.

Intanto, Voldemort aveva liberato Piton, lasciando che il suo corpo crollasse a terra come un pupazzo inanimato, e si era avvicinato a Draco.
Aveva un ghigno cattivo dipinto sul volto diafano.
Malfoy continuava a tremare con tale violenza che si riusciva a sentire il rumore stridente dei denti che battevano tra loro.
“Uccidilo!” gli disse porgendogli il pugnale. “Un solo colpo, al cuore.”
“Io… io… no, io non posso…” balbettò il giovane, barcollando all’indietro.
“Non hai capito, ragazzino.” Ruggì, Voldemort. “Non hai altra scelta: o lo uccidi, o io ucciderò te.” scandì infilandogli il pugnale fra le dita.
Draco lo strinse e sentì la nausea salirgli in gola.
Piton sollevò appena la testa e lo vide sbiancare. Distolse lo sguardo: non doveva guardarlo negli occhi, sapeva esattamente ciò che provava il ragazzo in quel momento, c’era già passato, e l’ultima cosa che avrebbe voluto ricordare erano gli sguardi delle sue vittime.
Chiuse gli occhi…
Dunque era per questo che aveva lottato? Per questo Silente si era fatto uccidere?
Aveva sacrificato la sua anima perché le mani di Draco non dovessero mai macchiarsi di sangue, per poi essere proprio lui ad imbrattarle col suo.
Strinse i pugni con rabbia: ne avrebbe dato fino all’ultima goccia per salvargli la vita, ma non in quel modo.
“Avanti!” lo incitò Voldemort e, voltandosi, andò a sedersi maestosamente sul suo trono.
Draco lo seguì con lo sguardo, mentre l’Oscuro si preparava ad assaporare la sua vendetta.
Poi tornò a guardare Piton: gli occhi spalancati dal terrore imploravano un aiuto che il mago non poteva dargli, lo sapeva. Si lasciò cadere in ginocchio.
“Non sono un assassino.” Mugolò “Non posso, questo non lo farò mai.”
Allora Piton sollevò stancamente le palpebre e lo fissò a sua volta. Un sorriso illuminò il suo volto pallido.
“No… non lo sei.” Mormorò con fatica. Poi, con un impercettibile movimento degli occhi, suggerì al ragazzo di spostarsi leggermente, in modo da dare le spalle a Voldemort: il Signore Oscuro non doveva vedere ciò che stava per fare.
“Gli Auror… arriveranno.” Disse in un soffio, in modo che il suo Signore non potesse sentire.
“Devi vivere… questo è… l’unico modo.”
“No, no, non può essere, no! Io non la ucciderò.”
“Non lo farai…” Sollevò le braccia e strinse la mano armata di Draco fra le sue, come aveva fatto la donna del sogno. “Sarò io a farlo.” Disse, tirandola con forza verso di sé.
“No!” Draco, preso alla sprovvista, tentò trattenere il pugnale.
In quell’istante un nugolo di tuniche nere fece la sua apparizione nella sala delle udienze.
Piton si bloccò, prima che la lama arrivasse a ferire il suo petto, e si voltò di scatto verso i Mangiamorte, che, a loro volta, fissarono impietriti lui e il ragazzo.
Bellatrix Lestrange fece qualche passo avvicinandosi a loro, quando un rumore metallico attirò la sua attenzione: un piccolo oggetto sferico le rotolò ai piedi. Gli occhi della maga si spalancarono dal terrore e la consapevolezza di aver condotto gli Auror dal suo padrone la rese folle: esplose in una risata isterica, barcollò all’indietro incespicando nell’orlo della tunica, mentre cercava di mettere più distanza possibile tra lei e quello che riconobbe essere l’occhio di Moody.
Voldemort si alzò lentamente e rivolse alla donna, che era stata la sua serva più fedele, uno sguardo di puro disprezzo.
“Draco scappa, non farti trovare qui.” Severus spinse il ragazzo lontano da sé, e Malfoy corse ad infilarsi in una porticina laterale.
In pochi secondi la sala si riempì di Auror, i lampi degli incantesimi si accompagnarono a urla ed esplosioni. In breve tempo il pavimento si coprì dei corpi di morti e feriti di entrambe le parti.
Alcuni Mangiamorte, prevedendo l’imminente fine del loro padrone, si erano già dati alla fuga.
Piton si era trascinato ai piedi di una colonna e si appoggiò al piedistallo di marmo. I suoi occhi individuarono, in mezzo a quel massacro, il ragazzo sopravvissuto che incedeva determinato verso il proprio destino.
I pensieri di Harry Potter irruppero nella mente di Voldemort come nella sua. Entrambi udirono quelle parole che l’uno aveva sempre ricercato e l’altro non avrebbe mai voluto ascoltare. Videro la figura evanescente di Sibilla Cooman negli occhi del ragazzo. La sua voce che sembrava provenire dall’aldilà, mentre pronunciava la Profezia di fronte ad Albus Silente.
Ecco giungere il solo col potere di sconfiggere l’Oscuro Signore... nato da chi lo ha tre volte sfidato, nato all’estinguersi del settimo mese... l’Oscuro Signore lo designerà come suo eguale, ma egli avrà un potere a lui sconosciuto... e l’uno dovrà morire per mano dell’altro, perché nessuno dei due può vivere se l’altro sopravvive ... il solo col potere di sconfiggere l’Oscuro Signore nascerà all’estinguersi del settimo mese...
Voldemort seppe di essere stato la causa della propria distruzione, e un’espressione di orrore deformò il suo volto: fissò Potter che continuava ad avanzare verso di lui con le labbra serrate e la bacchetta in pugno.
Nella sua mente la voce della veggente continuava ad urlare la profezia ascoltata a metà da un giovane Severus diciotto anni prima, e che aveva segnato le loro vite.
Piton guardò il ragazzo sopravvissuto, guardò gli Auror e i suoi amici di gioventù divenuti tutti Mangiamorte, e capì.
Capì di essere stato l’elemento scatenante di tutto: una pedina che il destino aveva voluto in un luogo e in un preciso momento, per i suoi scopi.
Un errore, quello che considerava il più grande errore della propria vita, li aveva invece portati alla distruzione definitiva di Voldemort.
“Professore, professor Piton!”
Il mago si mosse quel tanto che il suo corpo indolenzito gli permetteva, e rivolse a Draco un’occhiata di rimprovero. Perché non aveva obbedito?
Non era sicuro per lui restare in quella sala, gli Auror non potevano sapere che il ragazzo era dalla loro parte.
“Draco… ti ho detto di andartene!” lo sgridò, temendo per la sua vita.
Ma in quella confusione nessuno aveva fatto caso al ragazzino biondo che tentava di raggiungere carponi il suo ex professore.
Draco restituì al mago la bacchetta che aveva raccolto poco distante.
“Non senza di lei!” affermò deciso, mentre lo afferrava per le spalle cercando di metterlo in piedi.
“Si appoggi a me, ecco così.” disse sistemandogli il braccio intorno alla vita.
Piton si abbandonò all’abbraccio di quel giovane uomo, provando un misto di gratitudine e orgoglio per quello che avrebbe potuto essere suo figlio, e si lasciò trascinare fuori da quell’inferno.

La potenza scaricata dagli incantesimi aveva creato attorno al castello una nube nera che vorticava intorno alle sue torri. Sembrava che la furia degli elementi si fosse scatenata sopra le loro teste e la natura avesse deciso di fare la sua parte in quella guerra.
Piton e il giovane Malfoy, che avevano superato il cancello esterno, sollevarono lo sguardo rapiti da quello spettacolo spaventoso poi, improvvisamente, si udì un rumore cupo e prolungato accompagnato da una grande luce.
L’uomo cadde in ginocchio afferrandosi il braccio sinistro. I suoi occhi e quelli di Draco fissarono sbalorditi quello che sembrava sangue nero fuoriuscire dal marchio e che, gocciolando a terra, schiumava ribolliva come acido.
Appena il dolore cessò, Piton si pulì il braccio con la manica e i suoi occhi si riempirono di lacrime, il marchio nero era sparito. Sotto il sangue, dove quella cicatrice orrenda era stata marchiata a fuoco, c’era solo un’ombra sulla pelle candida e liscia.
Il mago si alzò di nuovo in piedi, appoggiandosi al ragazzo e, volgendo lo sguardo alle nuvole sopra il castello, ora tornate bianche e luminose, sussurrò sorridendo:
“Voldemort è morto… la guerra è finita”.





FINE




Ultimo capitolo, ma non finisce qui, perchè Traditore ha un seguito e si intitola "Dopo la vittoria", inizierò fra qualche giorno a pubblicarlo qui.
Ringrazio tutti quelli che hanno letto e commentato, ovvero Camelia ^_^ e, se qualcuno ha letto in silenzio, ringrazio anche lui. ;)
Alla prossima puntata per sapere che ne sarà del nostro prof.



 
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Camelia.
view post Posted on 30/6/2011, 17:05




Un seguito!! :wii: Fantastico, c'ero rimasta male sapendo che questo era l'ultimo capitolo.

Bella ff, complimenti. W Piton!!
 
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26 replies since 14/5/2011, 19:16   209 views
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