Severus Piton & Alan Rickman Fan Forum

Amando il vento, Severus/nuovo personaggio

« Older   Newer »
  Share  
Astry
view post Posted on 10/4/2011, 13:44




CITAZIONE (Natalie_S @ 1/4/2011, 09:41) 
La cosa che mi è piaciuta di più di questo capitolo è sicuramente la descrizione di quando Piton ha ricevuto il marchio nero.
Bellissima l'immagine dei serpenti di vapore che circondano i neo-Mangiamorte e lo mordono per marchiarlo! Insomma, è una figata!
(note to self: i Mangiamorte sono cattivi. Cattivi! Essere marchiati è una cosa brutta, ricordatelo!)
Scusa, ma non riesco a fare a meno di percepire il fascino dark della cosa! :)

Ehehe, non è la prima volta che mi cimento nella descrizione della "marchiatura" e ogni volta la immagino in modo diverso. Mamma Row ci ha lasciato carta bianca direi, e la cosa non mi dispiace affatto. Sì sì, è proprio il fascino dark che mi attira. Di certo ricevere il marchio nero non è come andare dal tatuatore -_-



CITAZIONE (J è @ 4/4/2011, 01:52) 
Ah! Mi son persa un bel po' di aggiornamenti! D:
Ti lascio il commento su quelli che ho letto, visto che sono lenta e non so quanto mi ci vorrà per rimettermi in pari!
Caspita, mi è venuto un colpo! Sia quando c'era la sosia di Iris, ma soprattutto quando Lucius ha quasi ammazzato Severus!! Speriamo che rinsavisca Malfoy senior che per quanto fico possa essere (e lo è XD) è proprio un bel bastardo... E questo anche nei libri U__U
Infatti mi ha traumatizzato, ma non stupito il suo atteggiamento... Forse prima della caduta di lord Voldemort era davvero un tirapiedi come si deve... Insomma ce lo vedo!

Lucius è un po' combattuto in questa storia, anzi in tutte le mie storie. Mi piace come personaggio e mi piace l'idea di un amicizia fra lui e Piton che, ovviamente, si scontra con le sue ambizioni mangiamortesche. ;)
Spero che piano piano tu riesca ad arrivare alla fine di questa ff. Poi non dimenticare di farmi sapere che ne pensi. :OO:



CAP. 14: Per la sua anima



“AAAAH!” Iris si afferrò il braccio sinistro, piegandosi in avanti per il dolore. “Severus! No, Severus, cosa stai facendo?”
Si Smaterializzò immediatamente.
Riapparve di fronte ad un gigantesco albero nodoso. Ai suoi piedi, tra le robuste radici, Severus Piton rannicchiato con gli occhi chiusi e il viso sofferente, continuava a colpire il suo avambraccio con una pietra scheggiata.
“Severus, Severus cosa è successo? Cosa fai? Fermati!”
Il mago dai lunghi capelli neri alzò lo sguardo stupito, la mano sollevata stringeva con forza il piccolo sasso.
“Iris, che ci fai qui? Va via, questo non è posto per te.”
Iris fece per avvicinarsi, ma il mago gettò la pietra e, tendendo la mano con il palmo rivolto verso la maga, continuò gelido:
“Fermati! Stammi lontana!”
“Ma Severus, cosa vuoi fare, sei impazzito?”
“Faccio quello che avrei dovuto fare un anno fa: cancello questo maledetto Marchio.”
Si portò la mano alla cintura afferrando un elegante pugnale dalla lama finemente decorata. Gli occhi sembravano bruciare delle stesse fiamme dell’inferno.
“Lo cancellerò anche se per farlo dovessi tagliarmi il braccio.” affermò risoluto, la voce però era soffocata dalla rabbia.
“No! No, ti prego, sei impazzito, non puoi, non capisci che non servirebbe a niente?”
Iris si portò le mani ai capelli, e si avvicinò ancora.
Avrebbe voluto afferrarlo, togliergli di mano quell’arma, ma non sapeva cosa fare, non poteva toccarlo, non poteva trattenerlo in nessun modo, fu colta dal panico.
“Severus, Severus, non farlo, ti prego no, no!” gemette scuotendo il capo e gesticolando.
Doveva fermarlo a tutti i costi.
“Ti prego ascoltami, ci deve essere una soluzione, qualsiasi cosa sia successa, non puoi arrenderti, ti prego, ti scongiuro Severus, ascoltami.”
“No Iris, tu non capisci, non sai quello che ho fatto, non lo sai.” sollevò la mano che stringeva il pugnale, poi, improvvisamente…
“Stupeficium!” un raggio rosso lo scaraventò contro il tronco dell’albero, ebbe appena il tempo di vedere la bacchetta di Iris puntata su di lui prima di accasciarsi privo di sensi.
La maga era immobile con gli occhi spalancati, lo fissava stringendo con entrambe le mani la piccola bacchetta bianca.
L’aveva Schiantato, aveva Schiantato l’uomo che amava, ma doveva fermarlo, non c'era altro modo.
Continuò a fissarlo senza parlare, le braccia sempre davanti a sé, come se non potesse più muoverle.
Prese a tremare in modo incontrollato, mentre cercava di allargare le dita, irrigidite attorno alla bacchetta.
Finalmente ci riuscì: l’asticella sottile scivolò dalle sue mani pallide e cadde morbidamente nel folto strato di muschio.
“Mi dispiace!” singhiozzò. “Severus mi dispiace!” il suo sguardo scese sulla bacchetta, mentre piccole gemme lucenti si impigliavano nelle lunghe ciglia.
Immediatamente si pulì gli occhi con la manica. Un gesto brusco, carico di rabbia, non doveva piangere come una ragazzina, non voleva mostrarsi debole, ora Severus aveva bisogno di una persona forte al suo fianco, non della bambina spaventata che aveva incontrato in quella casa babbana.
Tornò a fissare il giovane, doveva rianimarlo, ma non subito: aveva bisogno di pensare, di decidere quello che doveva fare.
Si portò le dita alla bocca, mordendosi le unghie, un gesto infantile, istintivo, mentre cercava di immaginare cosa poteva essere successo per ridurlo in quello stato.
Cosa lo aveva costretto a fare Voldemort?
Avrebbe voluto sapere la verità prima di svegliarlo, come poteva aiutarlo altrimenti? Se Severus avesse insistito nel suo atteggiamento, come avrebbe potuto cercare di fermarlo?
Si lasciò cadere seduta su una di quelle radici sporgenti, sospirando.
Gli occhi si posarono sul volto del mago svenuto: anche in quello stato d’incoscienza, sembrava sconvolto dal dolore.
Iris si portò la mano sulla bocca soffocando un gemito, doveva essere successo qualcosa di terribile per farlo reagire in quel modo.
Si sentiva impotente, se solo avesse potuto abbracciarlo.
Probabilmente non sarebbe servito a niente, ma forse avrebbe potuto almeno consolarlo, farlo sentire amato. Sicuramente si sarebbe sentito meglio e anche lei.
Si strinse nella stoffa sottile della tunica.
Faceva freddo lì nella foresta, ma non era la sola ragione per cui le sue gambe non volevano stare ferme. Stava tremando, tremava di paura, sentiva che questa volta l’avrebbe perso.
Qualunque cosa Voldemort gli avesse chiesto di fare, Severus era ormai arrivato al limite. Nello stato in cui era, probabilmente, non avrebbe esitato un solo istante prima di tradire apertamente il suo Signore.
Il verso lugubre di un animale la fece rabbrividire, si guardò intorno.
Il sole era ancora alto, ma tra quegli alberi sembrava non essere mai penetrato. Era buio e freddo e una strana nebbia avvolgeva tutto come l’alito di un gigantesco drago. Ebbe l'impressione che gli alberi, la terra e persino le rocce fossero un'unica creatura vivente, poteva sentirla respirare.
Doveva essere la foresta proibita, Severus gliene aveva parlato.
Trattenne il respiro, cercando di captare ogni minimo rumore, sapeva che strane creature popolavano quel bosco incantato, e molte erano estremamente pericolose.
Si alzò lentamente, il cuore batteva così forte che poteva sentirlo rimbombare nelle orecchie, raccolse la bacchetta e si avvicinò al mago.
Severus giaceva sdraiato su un fianco, il braccio sinistro disteso con il palmo della mano aperto rivolto verso l’alto.
La manica della tunica era strappata e lasciava intravedere l’orrendo Marchio: era ancora là, nitido ed inquietante, nonostante la carne fosse lacerata e livida in quel punto.
Il sangue continuava a scorrere dalla ferita dividendosi in sottilissimi rivoli scuri che scivolavano seguendo la forma della muscolatura fino a raccogliersi in un piccolo avvallamento sotto il gomito.
Iris puntò la bacchetta contro il Marchio, ingoiò e si morse il labbro, non riusciva ad abituarsi a quella vista, chiuse gli occhi voltando appena la testa di lato, no, non riusciva a guardarlo, coperto del sangue di Severus era ancora più penoso.
Recitò una breve formula e il sangue si seccò all’istante, poi passò la bacchetta un paio di volte sulla ferita ripulendola dalle croste. La carne era ancora arrossata e lacerata, ma non sanguinava più.
Prese un respiro profondo e puntò la bacchetta al petto del mago.
“Innerva!”
Il giovane mago bruno gemette, poi aprì gli occhi e sollevò lo sguardo cercando di mettere a fuoco la donna che si era inginocchiata al suo fianco.
“I...ris, pe...perché?” mormorò, cercando di mettersi seduto.
“Mi dispiace, non potevo lasciartelo fare.”
Piton si appoggiò stancamente con la schiena al tronco, fissò la maga, e un sospiro sfuggì dalle sue labbra.
“Forse hai ragione, è inutile: cancellare il marchio non cancellerà le mie colpe, ma tu come hai fatto a trovarmi?”
“E’ a causa dell'incantesimo del vento.” Iris abbassò lo sguardo. “Perdonami, avrei dovuto dirtelo, noi... io mi sono legata a te, posso sentire se ti succede qualcosa, non volevo che ti preoccupassi.”
“Vuoi dire che hai sentito quello che stavo facendo?”
“Non solo, sono anche in grado di trovarti, posso Materializzarmi ovunque tu sia. Ti prego non volermene, è solo un effetto dell’incantesimo, però sono contenta che abbia funzionato.”
“Io no!” disse gelido. “Avrei preferito non essere trovato, tanto meno da te.”
“Severus ti prego...”
“No!” la interruppe. “Tu non sai quello che ho fatto, se lo sapessi…” strinse gli occhi come se il solo pensiero di ciò che era successo gli provocasse dolore.
“Severus, qualsiasi cosa tu abbia fatto, qualunque cosa sia accaduta, so che non è colpa tua.”
Piton scoppiò in una risata forzata.
“Non sai quanto ti sbagli, la colpa e solo mia: lui li ucciderà e la colpa è mia, solo mia.”
Si aggrappò all'albero e si rimise in piedi.
“Ho condannato a morte un'intera famiglia, gente che conosco, Iris. Lo so che è terribile, ma quando vedrò i loro volti nei miei incubi, loro mi chiameranno per nome. Non sarà il fantasma di uno sconosciuto a puntare il dito su di me e accusarmi, ma sarà Lily Evans che, stringendo fra le braccia il suo bambino, griderà il mio nome maledicendolo. Lily, capisci? Vedrò Lily e vedrò James Potter,” strinse i pugni. “Lui mi salvò la vita...”
Rise, e singhiozzò insieme.
“… e guarda, guarda come l'ho ripagato.”
Iris si alzò e, voltandogli le spalle, si allontanò di qualche passo.
“So cosa vuoi dire.”
Il giovane si bloccò e la fissò ammutolito.
“Uccidere un conoscente, un amico, un padre, sì è più doloroso, è vero, è qualcosa che ti perseguita ogni volta che chiudi gli occhi. Ogni volta che ti senti felice, quei volti sono lì a ricordarti che non meriti quella felicità.” si voltò di nuovo verso Severus. “Mio padre è lì, ogni volta che siamo insieme, ogni volta che sogno un futuro per noi due, lui è lì. Il volto deformato in quella smorfia orrenda di dolore e di odio, ed è la sua voce che sento, la voce di mio padre che mi maledice.”
“Iris, io... mi dispiace.”
“Non dispiacerti, tu puoi ancora salvarli, forse non è troppo tardi.”
Severus abbassò lo sguardo.
“Io non posso fare niente per loro, non posso niente contro l’Oscuro Signore.”
“Puoi fare molto, invece, puoi avvertirli.”
Severus la guardò stupito, sembrava così determinata, era incredibile come parlare con lei, riusciva sempre ad infondergli sicurezza.
“Sai cosa significa?”
Iris fissò i suoi profondi occhi neri e sorrise.
“Sì, lo so, dovrai confessare di essere un Mangiamorte, dovrai consegnarti a loro.”
Severus si avvicinò, i loro occhi incatenati in un unico intenso sguardo pieno di comprensione e di meraviglia, come quel giorno sulla collina.
“Non mi rivedrai più.” la voce del mago s’incrinò, come se si fosse bloccata in gola. “Sono un assassino, Azkaban è il minimo che mi aspetta.”
“Se non ti lasciassi andare, non me lo perdoneresti.” disse decisa. “So che sei rimasto solo per me, ma io non posso più chiedertelo, il sangue sulle tue mani, imbratta anche le mie, io sono colpevole quanto te. Sono stata egoista, non volevo perderti, volevo solo che restassi vivo per tornare da me, ma tu non vuoi questo, non è della tua vita che stiamo parlando, ma della tua anima. No, non ti chiederò di rinunciare alla tua anima per me, anche se sto male al pensiero di non rivederti, sto male da morire Severus, io ti amo.” scoppiò in lacrime.
Severus non riusciva a parlare, in un certo senso si sentì come se gli avessero tolto un gran peso, Iris aveva ragione, era rimasto solo per lei, forse doveva a lei il fatto di essere ancora vivo: avrebbe tradito Voldemort molto tempo prima, forse l’avrebbe fatto in modo stupido e avventato, ma l’avrebbe fatto.
Ora gli si presentava la possibilità di non fare una morte inutile, forse poteva rovinare i piani del suo Signore, avrebbe avvertito le sue vittime, aveva ancora la possibilità di farlo, questa volta non ci sarebbe stato spargimento di sangue.
“Andiamo via di qui, ora so quello che devo fare.” sorrise. “Andremo a Hogwarts.”
“Hogwarts?”
“Sì, non voglio che le mie informazioni vadano sprecate con qualche sciocco burocrate del Ministero. Silente saprà cosa fare per salvare i Potter, non mi fido di nessun altro. Quando loro saranno al sicuro mi consegnerò agli Auror.”
Si Smaterializzarono.




Continua…






 
Top
Natalie_S
view post Posted on 11/4/2011, 09:20




Ciao!
Siamo arrivati alla decisione di consegnarsi a Silente...
In effetti Iris può proprio capire bene il senso di colpa di Piton, visto che anche lei si è resa, inconsapevolmente, un'assassina (certo, non è proprio la stessa cosa, ma immagino che il suo sia un senso di colpa più istintivo che razionale).
In effetti l'idea di Piton di tagliarsi il braccio è macabra ma... efficace? Se un Mangiamorte dovesse perdere il braccio in un incidente, come farebbe Voldemort a chiamarlo?
Uhm, chissà!
Quanto all'"Orrendo Marchio"... secondo me, come tatuaggio è piuttosto fiquo... -_-
Ok, ok, la smetto e mi ripeto ancora una volta che i Mangiamorte sono cattivi! ;)

Ciao, alla prossima!!!
 
Top
Astry
view post Posted on 17/4/2011, 20:16




CITAZIONE (Natalie_S @ 11/4/2011, 10:20) 
In effetti l'idea di Piton di tagliarsi il braccio è macabra ma... efficace? Se un Mangiamorte dovesse perdere il braccio in un incidente, come farebbe Voldemort a chiamarlo?
Uhm, chissà!
Quanto all'"Orrendo Marchio"... secondo me, come tatuaggio è piuttosto fiquo... -_-
Ok, ok, la smetto e mi ripeto ancora una volta che i Mangiamorte sono cattivi! ;)

Tagliarsi il braccio potrebbe essere efficace? Mmmm, non credo che Severus si sia fatto tanti calcoli, piuttosto, il suo è stato un gesto istintivo, di rabbia.

Concordo comunque sul fascino dark del marchietto :lol:

CAP. 15: Albus Silente



I due giovani sollevarono lo sguardo, le mura del castello di Hogwarts erano impressionanti, e il grande portone con la sua decorazione in rilievo incombeva sui visitatori grandioso e severo al tempo stesso.
Il mago bruno fece un passo avanti superando Iris che continuava a guardarsi intorno stupita e un po’ spaesata.
Minerva McGranitt era lì ad accoglierli sulla sommità della scalinata, così come Severus l'aveva vista, quando, impaurito, ma ancora pieno di sogni, aveva varcato quella soglia per la prima volta.
Severus abbassò istintivamente gli occhi e Iris lo imitò. Il mago si stupì di quanto, nonostante fossero passati molti anni, provasse ancora soggezione di fronte a quella donna. La Professoressa di Trasfigurazione sapeva come incutere rispetto.
Ogni anno attendeva, sulla scala dell’ingresso, tutti i nuovi studenti, e, ogni anno, appena la strega faceva la sua apparizione, il chiacchericcio dei bambini si placava immediatamente. Tutti indistintamente, futuri Serpeverde o coraggiosi Grifondoro, di fronte alla Professoressa, non erano diversi dai bambini babbani, piccoli e spauriti al loro primo giorno di scuola.
Minerva li osservò per un istante da sopra i piccoli occhiali: Severus non era cambiato molto dai tempi in cui frequentava Hogwarts. I capelli ricadevano sulle spalle, era pallido e magro come allora, no forse era più magro e sciupato: profonde occhiaie cerchiavano i suoi occhi scuri come la notte.
Anche lo sguardo era cambiato, le iridi nerissime del giovane Serpeverde non erano mai state così prive di luce. Indubbiamente quei pochi anni fuori da Hogwarts dovevano essere stati abbastanza difficili.
Scrutò la ragazza, gli occhi ridotti a due fessure. No, lei non l'aveva mai vista, non avrebbe mai dimenticato la faccia di una sua allieva.
Scosse il capo e il suo sguardo tornò a posarsi sul mago al suo fianco.
“Severus Piton, sei stato visto varcare i cancelli, sono stata immediatamente avvertita.” disse con voce pacata. “Sai che gli ex allievi sono sempre benvenuti, vuoi presentarmi questa signorina?” chiese, molto educatamente, accennando alla ragazza.
Il giovane però parve non aver neppure sentito le sue parole, si trovava là per uno scopo preciso, non per fare conversazione. Con tutta l’impazienza dettata dalla sua giovane età, si precipitò su per la scala.
“Devo vedere Silente.” disse brusco quando si trovò faccia a faccia con la strega.
“Temo che il Preside non possa riceverti oggi.” rispose l’anziana maga, piuttosto contrariata dall’atteggiamento del ragazzo.
“Professoressa, la prego, non sono qui per una riunione di ex studenti. Devo parlare con il Preside, è urgente.” cercò di fare appello a tutto il suo autocontrollo per moderare il suo tono di voce e non dimenticare le basilari regole dell’educazione, ma i suoi occhi rivelavano chiaramente il suo impellente desiderio.
“Beh, ma certo, sì,” si affrettò. “Se è così urgente, credo che Albus, sì, credo che possa dedicarti un po’ di tempo. E’ nel suo studio.”
Non riuscì neppure a finire la frase che Piton aveva già superato le prime due rampe di scale. Si bloccò di colpo, voltandosi indietro, Iris e la McGranitt, lo fissavano dal basso, con aria interrogativa, sembravano indecise sul da farsi.
La maga più anziana, si voltò verso l’altra esaminandola con cipiglio professionale: aveva avuto a che fare con così tanti ragazzi, ma Piton era stato sempre un mistero per lei, e ora piombava lì con una ragazza, sbraitando di voler parlare con il Preside. Era intenzionata ad andare a fondo della questione, decise che forse era meglio provvedere da sola alle presentazioni, fece per rivolgere la parola alla giovane strega, quando, dalla cima delle scale, Severus urlò in un modo per lui davvero inusuale.
“Iris le spiegherà, professoressa, ora devo vedere Silente.” e sparì dietro un angolo del corridoio.
“Iris?” mormorò pensierosa Minerva, poi fece cenno all’altra di seguirla nel suo studio ed Iris lo fece.
Dopo aver dato un ultimo sguardo malinconico al corridoio dove il suo Severus era appena sparito, s’incamminò a testa bassa e senza dire una parola. Presto avrebbe dovuto spiegare molte cose: preferì ritardare il più possibile quel momento.
Nel frattempo, mentre correva verso lo studio del Preside, Severus si ricordò di non conoscere la parola d’ordine che apriva l'ingresso di quella stanza. Si stava già dando dello stupido, quando, Albus Silente gli si parò davanti con un sorriso gentile stampato sul viso.
Il giovane mago si accigliò, odiava quello sguardo nel Preside: Silente riusciva sempre ad avere quello che voleva con un sorriso.
Aveva persino ottenuto il suo silenzio sul segreto di Remus Lupin con quel maledetto sorriso, ma ora si sarebbe levato quella stupida espressione da Grifondoro dalla faccia: non si può sorridere ad un assassino.
“Severus, sapevo che saresti venuto, prima o poi.” disse amabile.
Lo sapeva? Silente lo stava aspettando? Forse fin da quel loro infelice incontro alla Testa di Porco. Severus aveva sempre sospettato che il Preside sapesse della sua appartenenza alle fila dei Mangiamorte, ora ne aveva la certezza.
Una rabbia furibonda s’impossessò di lui, il preside sapeva, lui sapeva e non l’aveva fermato.
“Lei mi stava aspettando?” ruggì.
Silente continuò a sorridere, scrutandolo da sopra gli occhiali a mezzaluna.
“Sì, Severus, sapevo che saresti venuto. Non sapevo quando, ovviamente, ma non mi sono sbagliato su di te.”
Quelle ultime parole spazzarono via tutto l’autocontrollo del giovane mago.
“Lei... lei pretende di sapere tutto, perché non ha fatto niente? Oh sì lei era qui ad aspettarmi, avrebbe aspettato in eterno? Sapeva che sarei venuto, sa anche cosa sono?” gridò.
Silente, non rispose subito, fece un cenno a Severus perché lo seguisse nel suo studio, sottintendendo che sarebbe stato un posto migliore della scala per una simile conversazione.
Entrambi entrarono nella grande stanza circolare, Silente si diresse lento verso la scrivania e sì accomodò poggiando i gomiti sul tavolo e incrociando le mani.
Prese un lungo respiro e con voce calma proseguì:
“Cosa sei, Severus?”
Il mago bruno si sentiva sempre più infuriato, era chiaro che Silente sapeva la verità su di lui, ma evidentemente, voleva godersi la sua completa confessione.
Strinse i pugni: poco importava, in fondo si trovava lì per quello, se Silente voleva guardarlo mentre si umiliava, non aveva motivo per non accontentarlo.
Lui non aveva più un onore da difendere: presto sarebbe finito ad Azkaban, sarebbe stato solo un numero, un assassino fra assassini, l’intero mondo magico lo avrebbe additato chiamandolo con quell’appellativo che ora temeva di pronunciare di fronte al Preside.
Si avvicinò e sollevò lentamente la manica della tunica, mostrando l’avambraccio sul quale oltre alle ferite che si era appena inferto, spiccava, più nitido che mai, il Marchio Nero.
“Sono un Mangiamorte, un assassino, ecco cosa sono.” soffiò.
Il vecchio mago abbassò lo sguardo, mostrando, forse per la prima volta, un attimo di turbamento. Ma, immediatamente, il sorriso tornò ad illuminare quel viso segnato dagli anni.
“Non l’aveva mai visto, vero? Il suo Marchio, non l’aveva mai visto?” chiese il ragazzo, stupito di quella reazione.
Silente ignorò del tutto quell’ultima frase, si alzò poggiando le mani sul ripiano del tavolo.
“Hai avuto un incidente, Severus?” disse bonario accennando alle lacerazioni intorno al Marchio.
“Hai bisogno dell’infermeria?”
“Un incidente?” mormorò il giovane. “Sì, un incidente.” continuò parlando quasi con se stesso, mentre le sue labbra si piegavano in un sorriso amaro. Quanto avrebbe voluto poter definire la sua scelta un “incidente”.
Si abbassò nuovamente la manica, chinando la testa con un profondo sospiro.
“Può prendersi gioco di me se vuole, ma io sono qui per un'altra ragione.”
Silente sollevò appena un sopracciglio.
“Ci sono persone in pericolo: sono i Potter, io…” si morse un labbro, come poteva spiegare al Preside di aver fatto una cosa tanto stupida? “… io ho riferito, al Signore Oscuro quello che ho sentito alla locanda.”
“Sì, Severus?” lo incitò l’altro.
“Non ho preso sul serio le parole di quella pazza, ma Lui è convinto che abbia detto la verità. Ucciderà il figlio dei Potter.”
“Già! Evidentemente, Voldemort…” nel sentire quel nome, il giovane mago rabbrividì, Silente fece finta di non notarlo. “… ha interpretato esattamente come me quella profezia.” pronunciò quelle parole ostentando una calma che irritò ulteriormente l'altro.
“Ma si rende conto di quello che mi sta dicendo? Lei sapeva quello che sono, sapeva cosa c'era in gioco e mi ha permesso di andare a riferire tutto a lui? Se solo mi fossi rotto l'osso del collo cadendo da quelle maledette scale! Merlino, non posso credere che non mi abbia fermato. Perché, perché non mi ha ucciso quel giorno?” senza neppure rendersene conto, Piton aveva preso a gesticolare nervosamente e a camminare avanti e indietro nello studio.
Si fermò improvvisamente, fissando il vecchio mago. Il suo sguardo era carico di disprezzo.
“Lei dev'essere impazzito.” mormorò con un filo di voce. “Sta giocando con la vita delle persone, lei, lei lo ha fatto deliberatamente.” gridò.
“E’ questo che pensi Severus?”
Il mago bruno annuì.
“Chi può dire che il tuo intervento non fosse stabilito dal destino? E’ cosa labile il futuro, è legato ad una miriade di eventi e coincidenze, ed è sempre rischioso cercare di cambiarlo. E’ possibile che tu abbia modificato il futuro, ma se invece non fosse così? Forse sarebbe cambiato se ti avessi fermato.”
Severus era immobile, guardò incerto il vecchio mago, cercando di dare un senso a quelle parole.
Era tutto così assurdo, la profezia, il figlio di James Potter, la cui sola colpa era quella di essere nato nel giorno sbagliato, che improvvisamente si era trasformato nella peggiore ossessione del Signore Oscuro.
Il più grande mago vivente aveva dichiarato guerra ad un neonato, a causa sua.
“Se si sbaglia, il sangue di quelle persone ricadrà su entrambi.” mormorò fissando i suoi occhi colore del cielo.
Silente sospirò, e si avvicinò alla porta.
“Tutti possono commettere errori, anche Voldemort. Provvederò a far avvertire i Potter, tu, intanto, puoi aspettare qui, ho visto che eri con un’amica, immagino che tu voglia vederla, prima…”
Aprì la porta di legno del suo studio, Minerva ed Iris erano lì fuori.
“... ah, ecco.” si schiarì la voce. “Puoi entrare cara, Severus ti sta aspettando.” disse rivolto alla maga più giovane, poi guardò la McGranitt e i suoi occhi scintillarono di una strana luce.
“Minerva, noi abbiamo qualcosa di cui occuparci.” indicò la strada all'anziana donna con un cenno del braccio, poi, rivolto ad Iris e a Severus che era rimasto a fissarlo imbambolato:
“Bene, vi lascio soli, io devo parlare con una persona che è venuta a trovarmi proprio oggi.” ridacchiò. “coincidenze, ragazzo, il futuro è fatto di coincidenze.”
Severus non disse niente, guardò Iris con aria interrogativa, chissà cosa si erano dette lei e la McGranitt, certamente sia alla professoressa che al vecchio preside non era sfuggito il particolare rapporto che li legava. In fondo, era stato un gesto gentile, permettergli di dirle addio prima di consegnarlo alla giustizia.
Appena la porta si richiuse alle spalle di Silente, gli occhi di Severus corsero ad immergersi nelle iridi scure della sua Iris.
Avrebbe voluto imprimersi nella memoria ogni più piccolo particolare di quel viso.
Tremò al pensiero di poter perdere anche quel ricordo se l'avessero condannato al bacio.
Se non fosse stato per Iris, sarebbe stato lui stesso a chiedere, a supplicare di essere liberato dai suoi ricordi, l'oblio non sarebbe stata una condanna, ma una liberazione, tuttavia non voleva dimenticare anche lei, l'unica cosa bella della sua giovane vita.
“Severus!” la voce della ragazza lo distolse dai suoi pensieri, il mago sorrise, il sorriso più dolce che Iris avesse mai visto.
“Ti amo, non dimenticarlo mai.” sussurrò avvicinando il suo viso a quello di lei fin quasi a sfiorarla.
Chiuse gli occhi, respirando il suo profumo. Gli sembrava già di impazzire all’idea di non rivederla.
“Iris, Iris!” continuò a ripetere il suo nome ossessivamente, come se fosse un modo per legarla più a sé.
Si avvicinò ancora. Le sue mani presero a sfiorare il corpo di lei, sempre più vicine, Iris teneva gli occhi chiusi, non si sarebbe sottratta questa volta, tremava, ma non voleva rovinare quel momento, quell’ultimo istante insieme.
La mano del mago sfiorò le sue labbra, fin quasi a toccarle. Iris trattenne il respiro.
Severus la guardò, rigida e tremante. Dalle palpebre strette all’inverosimile, due sottili fili di lacrime scivolarono scintillando sulle guance.
Era bella, una bellezza infantile, con il viso bagnato e teso nello sforzo di resistere a se stessa.
Se l’avesse fatto davvero? Se l’avesse toccata?
Sarebbe bastato così poco. Un bacio, e tutto sarebbe finito in pochi istanti.
Si avvicinò, sostituendo le labbra alle dita.
“Ti amo.” sussurrò ad un soffio dalla sua bocca, socchiuse le palpebre, ma, improvvisamente, l’immagine degli occhi spaventati di Iris, quello sguardo che aveva la sera che l’aveva conosciuta, comparve nella sua mente.
No, non poteva chiederle questo, non poteva far ricadere la propria morte su di lei. Sarebbe stato egoista da parte sua. Si scostò di scatto.
Nello stesso istante s'udirono grida nel corridoio.
“Non puoi fidarti, Albus. Dormirò tranquillo solo quando tutta quella feccia sarà dietro le spesse mura di Azkaban.”
La porta dello studio di Silente si spalancò, il preside fece il suo ingresso.
Immediatamente, Iris fece un passo indietro allontanandosi da Severus, ma Silente aveva già registrato la scena. Le sue labbra si piegarono in un impercettibile sorriso.
Insieme al preside, si erano precipitati nella stanza la professoressa McGranitt e un mago piuttosto stravagante che, scansando bruscamente Silente, marciò versò i due ragazzi con la bacchetta in pugno.
Si bloccò a pochi centimetri da Piton e, puntando la bacchetta al collo dell'altro, accennò a piccolo manico di legno che spuntava dalla tasca del ragazzo. Gli occhi di Severus seguirono la traiettoria del suo sguardo fino alla propria bacchetta, fece una smorfia: aveva dimenticato di consegnarla. Indubbiamente, quell'uomo lo riteneva pericoloso, un Mangiamorte armato all'interno di Hogwarts. Sfilò lentamente dalla tasca la bacchetta e la consegnò a quello che doveva essere un Auror.
Era davvero una strana combinazione che ci fosse un Auror al castello proprio quel giorno, era certamente a questo che alludeva Silente, parlando di coincidenze.
Iris, che era rimasta a guardare la scena allibita, fece qualche passo avanti e lanciò all'uomo un'occhiata infuocata, per tutta risposta l'Auror tolse fulmineo la bacchetta dalla gola di Piton per puntarla su di lei.
“Alastor!” tuonò Silente, gli occhi di Piton si spalancarono, quello era Alastor Moody.
Era tristemente famoso fra i Mangiamorte: molti dei suoi compagni erano finiti ad Azkaban grazie a lui.
Il mago ignorò il richiamo del Preside e, afferrando il braccio di Iris, le sollevò la manica della tunica.
“Quel verme, si è circondato di ragazzini, vediamo se anche la sua amichetta è entrata a far parte della famiglia”.
“Alastor, rilassati, la signorina è mia ospite.” lo richiamò il preside, ma non fece in tempo a finire la frase che l'Auror si trovò contro il muro con il braccio di Piton premuto sulla sua trachea.
“Lasciala in pace, lei non c'entra.” ruggì il mago bruno.
“Severus, Alastor, per favore, siamo qui per discutere civilmente, calmatevi vi prego.”
Piton allentò la presa, e Moody ne approfittò per spingerlo lontano da sé.
“Toglimi quelle luride mani di dosso, maledetto Mangiamorte.” poi a grandi passi si avvicinò al Preside puntando l’indice sul ragazzo dietro di lui.
“Quello è un assassino, non mi convincerai mai a fidarmi di lui.”
Severus non capiva cose volessero dire certi discorsi, guardò Silente con aria interrogativa, mentre Minerva McGranitt, si avvicinò ad Iris prendendola sotto braccio.
“Andiamo cara, lasciamo che parlino da soli, noi ci prenderemo un the se ti va.” e la trascinò gentilmente, ma energicamente verso la porta.
Iris guardò Piton, implorando con gli occhi una spiegazione, ma il giovane sembrava più stupito di lei, la fissò in silenzio, mentre si allontanava quasi trascinata dall’anziana maga poi, quando la porta si chiuse alle loro spalle, si rivolse al Preside.
“Che significa?”
Silente si accomodò alla scrivania.
“Vedi Severus, io e Alastor…” il suo sguardo inquadrò l’Auror che, a sua volta, si era seduto su una poltrona e tamburellava con le dita sui braccioli di pelle e che, nel sentirsi chiamato in causa, sbuffò rumorosamente. “… concordiamo sul fatto che, trovandoti in una posizione, diciamo… particolare, potresti essere molto utile.”
Severus, capì immediatamente cosa intendeva il Preside con quelle parole, ma non riusciva a credere alle sue orecchie. Preferì lasciargli finire il suo assurdo discorso prima di gridargli in faccia che era solo un vecchio pazzo.
“Utile?” mormorò.
“Sì, Severus, utile, anzi, oserei dire, indispensabile. Finora non abbiamo mai potuto scoprire in tempo i piani di Voldemort e molte persone innocenti sono morte. Tu sei la nostra possibilità di avere una persona di nostra fiducia all'interno della cerchia dei suoi seguaci.”
Gli occhi di Severus si spalancarono: Albus Silente gli stava davvero chiedendo di diventare una spia?
“Non sta dicendo sul serio, non può pensare di chiedermi una cosa simile.”
“Vedo che hai capito.” gli occhi azzurri del preside s'illuminarono, mentre sul suo viso tornava a disegnarsi il solito maledetto sorriso.
“Vuole che torni da lui? È questo che sta dicendo? Ma è assurdo.”
“Che ti avevo detto, Albus?” ghignò l’Auror. “Era un’idea strampalata. Lasciamelo consegnare alle cure dei Dissennatori, l’unica utilità che può avere questo bastardo è fare compagnia ai topi in una bella cella.”
Severus gli lanciò un’occhiata velenosa, poi si rivolse nuovamente a Silente.
“Non tornerò mai da quel pazzo, non m’importa dei Dissennatori,” accennò a Moody che continuava a guardarlo con un’espressione scettica. “Non m’importa di passare il resto della mia vita ad Azkaban, non lo ha ancora capito? Io non tornerò da lui.”
“Severus, ti prego ragiona, sei giovane, hai una vita davanti, hai una bella ragazza che ti aspetta.” fece una pausa accennando con gli occhi alla porta. “Vuoi davvero finire i tuoi giorni ad Azkaban? Ti sto offrendo la possibilità di riabilitarti. Tu hai commesso un errore, Severus, ma puoi rimediare. Lo so, non ti sto chiedendo una cosa facile, non credere che non sappia che rischierai la vita ogni giorno, finché Voldemort non sarà sconfitto. Rischierai, ma così avrai una speranza, Severus, ad Azkaban la speranza non esiste, quella prigione è un inferno.”
Piton, abbassò lo sguardo e, lentamente si portò la mano alla cintura. Ne estrasse il bellissimo pugnale d’argento.
Alastor Moody nel vederlo, saltò immediatamente giù dalla poltrona, pronto a difendersi, ma Severus si avvicinò alla scrivania e con forza sbatté l’arma sul prezioso ripiano in legno tenendovi la mano premuta sopra.
“Lei non sa quello che dice, lei non sa cos'è l'inferno,” sibilò. “Non sa cosa si prova ad affondare uno di questi nel petto di un uomo, sentire il suo sangue schizzarti in faccia. Cosa ne sa di come ci si sente ad aver paura di addormentarsi perché, quando chiudi gli occhi, le tue vittime sono lì a puntare il dito su di te, maledicendoti? E lei crede davvero che io tema di perdere la vita?”
Scoppiò in una risata amara.
“Severus...” Il vecchio preside aggirò la scrivania e si avvicinò a Piton. “Severus, per favore ascoltami.”
“No!” gridò il mago più giovane facendo uno scatto indietro. “Mi uccida piuttosto, ma non mi chieda di tornare da lui, mi chiederà di uccidere ancora, no, non voglio.”
“Che ti avevo detto Albus? Era una pessima idea.” Intervenne Moody. “Questa volta devo dar ragione al ragazzo.”
“Alastor, dovrai ammettere anche tu che Severus potrebbe essere la nostra sola speranza di sconfiggerlo. I suoi seguaci aumentano ogni giorno e noi cosa facciamo? Arriviamo sempre troppo tardi, ultimamente ci limitiamo a seppellire le vittime.”
Poi, rivolto a Severus, continuò:
“Ne sono consapevole, Severus: ucciderai ancora. Posso solo dirti che m'impegnerò fin d'ora per trovare una soluzione, una scusa che ti tenga più lontano possibile da lui, ma ora tutto dipende da te.”
Piton non rispose. Sembrava soppesare le parole del vecchio mago.
“Non durerà un giorno.” borbottò, invece, l'Auror scrutando il ragazzo magro di fronte a sé. “Anche se dovesse essere sincero, se Voldemort dovesse scoprirlo gli caverà più informazioni di quante possa darne lui a noi, prima di ucciderlo, ovviamente.”
“Non lo farà.” s’intromise Severus, senza nascondere un certo orgoglio.
“A no?” sogghignò Moody.
“No!” disse ostentando sicurezza. “Posso resistere alle sue intrusioni nella mia mente, l’ho già fatto.”
“Un punto a suo favore, Alastor!” Silente incrociò le braccia, soddisfatto.
Poi, rivolto a Piton:
“Puoi pensarci un po’ prima di decidere, ma so che farai la scelta giusta.” lo scrutò da sopra i piccoli occhiali. “Lo farai anche per quella bella ragazza la fuori.” sorrise.
Severus abbassò lo sguardo: avrebbe fatto di tutto per non lasciarla, per trascorrere anche solo un altro giorno con lei.
Forse avrebbe dovuto accettare, forse davvero c’era una speranza per lui, per loro.
Se fosse riuscito, in qualche modo, a facilitare il compito a quegli uomini, se fosse riuscito ad aiutarli a sconfiggere Voldemort, avrebbe davvero potuto riabilitarsi? Sarebbe riuscito a ricominciare una nuova vita con Iris?
Si guardò le mani bianchissime, le avrebbe viste di nuovo macchiarsi di sangue, rabbrividì.
Quanto avrebbe potuto resistere ancora? Quanto prima di impazzire?
Forse doveva essere grato al Preside, probabilmente il vecchio aveva ragione: una piccola speranza era meglio di niente, a lui non restava altro a cui aggrapparsi.
Già, aggrapparsi, era per questo che era andato da lui: inconsciamente aveva teso la sua mano verso quell’uomo nell’assurda speranza che lui potesse tirarlo fuori dal baratro in cui era precipitato.
Si era illuso? Forse si era aggrappato alla mano che ora lo stava spingendo ancora più a fondo. Eppure qualcosa gli diceva che doveva fidarsi di lui, perché quella stessa mano non l’avrebbe lasciato cadere. Sarebbe tornato nell’inferno di Voldemort, ma Albus Silente e la sua Iris, insieme, sarebbero rimasti al suo fianco per sostenerlo. Come un filo sottilissimo, l’avrebbero tenuto legato alla luce.
Silente, aveva intuito i suoi pensieri. Si avvicinò poggiandogli una mano sulla spalla.
Normalmente Piton si sarebbe sottratto a quel gesto d’affetto non richiesto, eppure non si mosse.
Il mago più anziano si rese conto che stava tremando, le sue dita ossute strinsero con maggior vigore e il giovane mago chiuse gli occhi, come un bambino che cerca di superare la paura del buio ricreando le tenebre nella sua mente per esorcizzarle.
Aveva deciso, sì, avrebbe accettato la proposta di Silente.
Sapeva che, una volta fuori, sarebbe stato solo, anzi, molto peggio, sarebbe stato in compagnia della propria coscienza, una compagna scomoda per chi come lui sarebbe stato costretto a fare cose terribili.
Per quanto tempo sarebbe riuscito a metterla a tacere? La sottile barriera delle palpebre lo aveva sempre protetto da se stesso, quando cercava di resistere all’amore, ma lo avrebbe protetto anche dall’orrore?
Strinse con forza gli occhi, fin quasi a farsi male, era quello che lo attendeva una volta tornato da Voldemort: solo le tenebre, per chissà quanto tempo ancora.
Non il buio rassicurante creato dallo schermo di quelle sottili membrane, l'ultimo rifugio, un luogo in cui avrebbe nascosto l'ultimo brandello della sua anima, ma la vera oscurità: quella del male. Quella che avrebbe cercato di inghiottire quell’anima, il giorno in cui Voldemort gli avrebbe chiesto di uccidere di nuovo.
Quel giorno avrebbe chiuso gli occhi, come stava facendo ora, non avrebbe guardato il sangue macchiare le sue mani e non avrebbe guardato le lacrime della propria coscienza.
Avrebbe immaginato di essere a Hogwarts, la mano di Silente sulla spalla e Iris al suo fianco.
Solo così poteva farcela, doveva farcela per Iris, solo per lei.
Avrebbe tenuto gli occhi chiusi, ma non avrebbe visto solo il buio. Avrebbe visto quel filo sottile, avrebbe visto l'amore di lei e la fiducia dell'anziano mago.
A quel filo si sarebbe aggrappato. Ogni volta che si fosse sentito perso, amore e fiducia l’avrebbero protetto.
Aprì lentamente gli occhi, le iridi nerissime scintillarono incrociando lo sguardo paterno del vecchio di fronte a lui, il Preside annuì, sembrava aver già letto nella sua mente, quella parola che, solo un istante dopo, sentì scivolare come un soffiò fuori dalle sue labbra.
“Accetto!”




Continua…




 
Top
Natalie_S
view post Posted on 18/4/2011, 10:51




Ciao!
Ah, il tuo Silente mi piace, è anche migliore dell'originale!
Insomma, è sempre lui: bonario eppure calcolatore... solo che manca completamente del disprezzo per Piton che gli ha attribuito la Rowling, quindi mi piace molto di più.
Anche il rapporto con la McGranitt è reso molto bene: è un legame (amicizia forse?) che ha sempre stuzzicato la curiosità dei fan writer, che purtroppo non è stata soddisfatta dall'autrice.
Ma non ho difficoltà a immaginarmi Piton, adulto ma ancora così giovane, che abbassa lo sguardo di fronte alla severa insegnante di Trasfigurazione.
Ciao!!!
 
Top
Lady of the sea
view post Posted on 19/4/2011, 00:30




seguo dall'inizio questa ff, ma non sono mai riuscita a commentare... Scrivi in maniera superlativa e riesci a farmi emozionare ad ogni parola...soffro con Iris e Severus, piango e mi dispero con loro.
Adoro questa storia....
Aggiorna proste!amo questa finct

baci Chiara
 
Top
Astry
view post Posted on 23/4/2011, 10:33




CITAZIONE (Natalie_S @ 18/4/2011, 11:51) 
Ah, il tuo Silente mi piace, è anche migliore dell'originale!
Insomma, è sempre lui: bonario eppure calcolatore... solo che manca completamente del disprezzo per Piton che gli ha attribuito la Rowling, quindi mi piace molto di più.

Beh, dovevo per forza immaginarlo così, altrimenti l'avrei odiato. Poi questa storia è stata scritta prima dell'uscita dell'ultimo libro. Tante cose sono diverse, e, sinceramente, le avrei preferite "diverse". :cry:
Oltretutto il disprezzo che Silente ha per Piton è ancora meno spiegabile alla luce delle rivelazioni sul suo passato. Brutto vecchiaccio, ma cos'ha da rinfacciare al povero Severus quando lui ha fatto peggio? :angry: :angry: :angry:


CITAZIONE (Lady of the sea @ 19/4/2011, 01:30) 
seguo dall'inizio questa ff, ma non sono mai riuscita a commentare... Scrivi in maniera superlativa e riesci a farmi emozionare ad ogni parola...soffro con Iris e Severus, piango e mi dispero con loro.
Adoro questa storia....
Aggiorna proste!amo questa finct

baci Chiara

Grazie! Siamo arrivati agli ultimi capitoli, conserva le lacrime.... :cry: ;)

CAP. 16: Pegno d’amore



Le stradine di Diagon Alley erano particolarmente affollate quel giorno.
Severus si stupì di quanto potessero essere ricolme di oggetti quelle piccole vetrine. C'erano articoli magici di vario genere, dai calderoni ai libri, fino all’abbigliamento del perfetto mago, completo di mantello, scarpe e scopa col manico coordinato. A volte erano persino ammucchiati l’uno sull’altro e coperti di polvere, tuttavia non meno invitanti.
Il giovane si guardò un po’ intorno, tutta quella caleidoscopica esposizione non lo lasciava di certo indifferente: più volte si era sorpreso a fissare alcuni calderoni così lucidi da abbagliare e a sorridere di fronte ad un cappello davvero stravagante nel quale un grosso uccello impagliato faceva bella mostra di sé sulla sommità, quale strega si sarebbe mai messa in testa un simile orrore?
Ma lui non era lì per una passeggiata: aveva una meta ben precisa.
Accelerò il passo e, voltando l’angolo, si ritrovò di fronte alla vetrina di un orafo.
I piccoli monili esposti sapevano di antico e misterioso, alcuni erano chiaramente magici.
Il giovane si avvicinò alla vetrina e fissò incantato una piccola teca; al suo interno, un grosso anello spiccava in mezzo ad altri piccoli oggetti. La pietra, incastonata nel metallo, sembrava cambiare forma e colore seguendo i suoi pensieri.
Ecco, ora stava diventando rosa, un rosa coi riflessi dell’iride. Immediatamente dalle sue labbra sfuggì come un soffio il nome di Iris.
I suoi occhi si spalancarono osservando, attraverso il vetro appannato dal suo respiro, quella piccola meraviglia.
Sì, quello era proprio il suo colore, il colore preferito della sua Iris, ed era anche quello a cui stava pensando.
Sorrise, era un anello davvero straordinario, ma non era quello che cercava.
Si staccò dal vetro ed entrò nel negozio. Lì il gioielliere lo sommerse di attenzioni, mostrandogli decine di anelli, dai più preziosi a quelli più stravaganti.
Fece praticamente un balzo indietro quando uno di quelli tirò fuori otto piccole zampette d'oro e iniziò a saltellare sul palmo della sua mano, come un ragno.
“No, no! Non ci siamo!” sbottò scrollandosi dalle mani l'esserino inquietante.
Possibile che non fosse in grado di trovare qualcosa di adatto alle sue esigenze? Non era mai andato a comprare gioielli: non aveva mai avuto ragioni per farlo. Eppure non poteva essere così difficile.
Abbassò lo sguardo seguendo l'indicazione dell'uomo dietro il banco, il suo indice puntava un grosso anello con incastonata una particolarissima pietra, Severus non provò neanche ad identificarla, certamente era stata creata artificialmente con la magia: non poteva esistere in natura una gemma simile.
La sua testa fece un impercettibile cenno di diniego e il gioielliere gli mostrò un altro anello e poi ancora un altro, ma nessuno di quegli oggetti sembrava soddisfarlo.
Si guardò attorno un po' incerto: non sapeva esattamente quello che cercava, voleva qualcosa di speciale per la sua Iris, qualcosa degno di lei.
Cominciò a pensare che una gemma, per quanto preziosa, non sarebbe mai stata all'altezza, senza contare che non poteva neppure permettersela.
Fece una smorfia, fissando torvo il gioielliere, che spazientito dalla sua indecisione, con un gesto di stizza, ritirò la sua merce e gli voltò le spalle.
Severus arricciò le labbra in qualcosa che, per un attimo, somigliò terribilmente ad un ringhio, prima di tramutarsi in un sorriso di circostanza: non aveva voglia di discutere con chicchessia, non quella mattina, nonostante tutto, quel giorno si sentiva felice.
Dopo il suo incontro con Silente aveva cominciato il suo compito di spia.
Non avrebbe mai dimenticato la faccia di Iris, quando le aveva detto che sarebbe tornato a casa con lei, nessuna prigione, niente Dissennatori.
Certo lui sapeva che ciò che lo aspettava poteva essere anche peggiore di una condanna ad Azkaban, ma l'espressione stupita sul viso della maga era qualcosa che si sarebbe portato dentro per sempre.
Sapeva quanta gioia stava provando in quel momento, ma nello stesso tempo sapeva quanto si sentisse in colpa per essere stata il motivo della sua decisione.
L'aveva guardata con gli occhi traboccanti d'amore mentre, molto maldestramente, cercava di non mostrarsi troppo felice.
No, decisamente la sua Iris non era capace di fingere.
“Saresti una pessima occlumante.” le aveva sussurrato.
“Lo so, ma neanche tu puoi ingannarmi.” gli aveva risposto. “So che lo fai per me, so che non torneresti là per nessun'altra ragione al mondo.”
Poi, abbassando gli occhi come una bambina timida:
“Severus io ti amo, voglio passare ogni istante della mia vita con te, ma ti prego solo: non odiarmi. Quando ti troverai davanti a lui e sarai costretto ad ubbidire, a fare quelle cose orribili, non odiarmi.”
“Odiarti?” la voce gli si era bloccata in gola, mentre lo sguardo stupito si perdeva negli occhi di lei. Odiarla? Avrebbe dato la vita per lei, non l'avrebbe mai odiata, come poteva solo pensare una cosa simile?
“Iris, amore non devi neanche pensarlo, sono io quello che deve essere perdonato, sono io che ti supplico di non odiarmi, io, Iris, perché è per me che lo faccio, tu non hai nessuna colpa, sono io”.
Aveva stretto i pugni per impedirsi di prendere le piccole mani di Iris tra le sue, desiderava abbracciarla, dimostrarle il suo amore anche con il suo corpo, ma gli restavano solo le parole, così insufficienti a rivelare ciò che provava in quel momento.
“Io non potrei vivere senza di te, sei come l'aria che respiro, sei la forza che mi tiene in vita. Io non esisto senza di te, non sono mai stato veramente vivo prima di incontrarti, Iris, io sono nato quel giorno”.
Aveva scosso il capo, mentre le sue labbra si erano piegate leggermente in un sorriso.
“Quel vecchio pazzo lo sapeva benissimo, per questo ci ha lasciati soli. Mi ha messo davanti agli occhi l'unica verità: lui sapeva che non avrei mai rinunciato a te.
Io ho accettato per il mio egoismo, ti amo perché sono un egoista. Avrei dovuto allontanarmi da te, già quella notte, quando ho capito quello che provavo. Sarei morto senza di te, ma tu non l'avresti mai saputo. Non l'ho fatto, non ci sono riuscito, sono stato un debole.”
La sua voce era divenuta più acuta, mentre le lacrime premevano per uscire.
“Iris, ma non capisci che è colpa mia, io ti ho condannata ad un amore disperato.” era riuscito a dire con voce strozzata, allargando le braccia.
“No, no, non dirlo,” Iris aveva accostato il palmo della mano alla sua bocca per zittirlo.
“Non un amore disperato, Severus. Difficile, ma non disperato. Lui presto sarà solo un ricordo, anche questo Marchio sarà solo un ricordo.” gli aveva sussurrato con un sorriso sollevandosi sulla punta dei piedi e avvicinando le labbra alle sue, mentre con la mano sfiorava il braccio di lui percorrendo meccanicamente con l'indice il punto in cui Voldemort aveva inciso quell'orrendo disegno, sempre attenta, però, a non avvicinarsi troppo.
“Noi saremo insieme, è questo che conta.” poi, fissando lo sguardo negli occhi dell'altro. “E' questo che voglio. Silente ha ragione: non dobbiamo perdere la speranza. Verranno momenti difficili, ma li affronteremo, lo faremo insieme, io non ti abbandonerò mai.”

E i momenti difficili erano arrivati. Molte volte era stato sul punto di cedere.
Non alla tortura fisica, no, a quella poteva resistere, era diventato così abile in occlumanzia, che riusciva a mentire anche sotto la Cruciatus.
Voldemort non avrebbe mai capito che i suoi fallimenti, le missioni andate male, veleni che perdevano in poco tempo la loro efficacia, non erano dovuti alla sua incapacità, ma ai suoi continui sabotaggi.
Tuttavia, quel sangue che continuava a scorrere sulle sue mani, lo stava logorando.
La sua Iris, era rimasta sempre al suo fianco, era sempre presente, quando, al ritorno dalle sue missioni, s'inginocchiava ai margini del piccolo corso d'acqua sulla collina e, con le labbra serrate e gli occhi fissi nel vuoto, ripeteva il suo rito immergendo le mani sporche nell'acqua gelida.
Le teneva lì finché il freddo non intorpidiva le sue dita, finché non le sentiva più parte di sé.
Le sue mani erano, ormai, solo uno strumento di morte, voleva guardarle almeno per pochi istanti immaginando che appartenessero ad un altro uomo, un mostro, un assassino, l'uomo che odiava.
Pochi istanti, prima che il sangue caldo riportasse la sensibilità a quelle dita sottili, le sue dita, quelle che ogni giorno stringevano l'elsa del suo pugnale recidendo vite innocenti.
Restava così per ore, in silenzio, Iris inginocchiata al suo fianco.
Neppure lei muoveva un muscolo, nonostante quella posizione fosse molto scomoda e dolorosa. Ormai conosceva bene questo suo gesto, era sempre uguale, disperato e liberatorio al tempo stesso.
Aveva imparato a non fargli domande, sapeva che parlare lo avrebbe fatto sentire peggio, però sapeva che aveva bisogno della sua presenza, per questo non lo lasciava mai solo in quei momenti, non parlava, non poteva abbracciarlo. Forse Severus non la vedeva neppure, il suo sguardo era perso nell'orrore, ma lei era lì e lui sapeva che era lì.
Poi, finalmente, la speranza: Silente aveva mantenuto la sua promessa, aveva trovato il modo di tenerlo lontano dal suo padrone.
Severus non aveva creduto ai suoi occhi, quando un bellissimo gufo gli aveva recapitato la lettera con la quale il preside lo informava della sua assunzione come insegnante a Hogwarts.
L'idea del vecchio mago era quella di far credere a Voldemort che avrebbe avuto bisogno di una spia all'interno della scuola.
Il giovane Mangiamorte era stato perfino lodato dal suo Signore per essere riuscito a conquistarsi la stima di Albus Silente, al punto di ottenere un simile incarico.
Era felice come non lo era mai stato. Per la prima volta aveva visto una via d'uscita, aveva ricominciato a sperare e a sognare una vita serena con Iris, ora poteva farlo.
Sapeva che l'amore non poteva cancellare i suoi delitti, ma in parte riusciva a lenire quel bruciante rimorso.
Non avrebbe mai ripagato abbastanza il vecchio preside per la serenità che gli aveva donato. Erano mesi che non partecipava alle riunioni dei Mangiamorte. La scuola era cominciata e Voldemort sembrava non voler rischiare di perdere la sua preziosa spia, coinvolgendolo nelle attività dei suoi compagni.
Quell'ultima settimana poi le cose sembravano andare particolarmente bene: era riuscito a sventare in tempo l'ennesimo tentativo di Voldemort di trovare i Potter, e Silente, seguendo il suo consiglio, li aveva nascosti in un posto sicuro proteggendoli con l’Incanto Fidelius.
Ora neanche lui avrebbe potuto più essere un pericolo per loro, anche se non avrebbe comunque mai rivelato a Voldemort il loro nascondiglio.
Forse per la prima volta nella sua vita aveva fatto la scelta giusta, Lily Evans era al sicuro assieme al suo bambino, e lui sarebbe riuscito ad onorare il suo debito con Potter.
Aveva fatto un errore terribile, ma almeno questa volta era riuscito a rimediare e di questo doveva ringraziare Iris che non aveva mai perso la fiducia in lui.




* * *




Diede un ultimo sguardo agli oggetti che brillavano sparsi sul velluto rosso di quel bancone e li trovò improvvisamente spenti e opachi.
No, non c'era niente di paragonabile alla luce che Iris gli aveva donato, nessuna di quelle gemme era preziosa abbastanza, nessuna era degna di lei.
Decise di uscire dal negozio, si sentiva decisamente fuori posto tra quei ninnoli luccicanti, e si materializzò direttamente nella sua casa di Spinner's End.
Giunto nella piccola casa salì velocemente le scale: le camere si trovavano al piano superiore.
Spalancò la porta della sua e rimase per qualche secondo sulla soglia fissando il grosso baule che spuntava appena da sotto il materasso.
Si avvicinò e, inginocchiatosi di fronte al letto, afferrò la pesante cassa di legno per una maniglia e la trascinò fuori dal suo nascondiglio.
L'aprì con fare un po' incerto. Immediatamente strinse gli occhi e una smorfia di disgusto apparve sul suo viso: adagiata su un mantello nero, brillava sinistra la sua Maschera d'argento.
Lo fissava con le sue orbite vuote, sembrava prendersi gioco di lui.
Il mago trattenne il respiro e per qualche istante rimase a contemplare quel volto come se si trovasse di fronte una reliquia, poi il suo sguardo scivolò via dalla Maschera per posarsi su un piccolo portagioie che era rotolato in un angolo, insinuandosi tra le pieghe di quel lugubre drappo.
Gli occhi scuri del giovane sembrarono accendersi improvvisamente; allungò una mano sfiorandolo appena, come se si sentisse indegno di afferrarlo, poi le sue dita si chiusero sulla piccola scatolina e, con la tenerezza di chi stringe un pulcino, la tirò fuori dal baule.
Tenendo il portagioie con tutte e due le mani, si alzò da terra e si avvicinò al grande specchio sulla parete.
Tremava come un bambino, mentre guardava attraverso lo specchio le sue mani che facevano scattare il meccanismo di apertura del minuscolo scrigno.
Abbassò gli occhi e fissò il suo tesoro: un semplicissimo cerchio d'oro, nessuna gemma, nessun potere magico, solo semplice metallo forgiato da orafi Babbani, eppure, nel rivedere quell'oggetto, gli mancò il respiro.
Lo mise sul palmo della mano e un sorriso nostalgico si disegnò sul suo volto magro: l'anello di sua madre, l'anello della persona che, prima di conoscere Iris, era stata la più importante della sua vita.
Osservò il semplice decoro floreale che correva tutto intorno al piccolo cerchio. Ricordava bene quel particolare fregio, lo aveva sempre stupito e incantato quando lo guardava con i suoi occhi innocenti di bambino, lo stesso bambino che aveva paura del mostro nel camino e che non avrebbe mai immaginato di vedere il sangue di un altro uomo macchiare sue mani.
Sollevò la testa posando lo sguardo carico di rabbia sul baule aperto: il ghigno gelido della Maschera seguitava a fissarlo, pareva ridere di lui, dei suoi pensieri e dei suoi ricordi.
Tuttavia non era un caso che quel piccolo portagioie si trovasse proprio lì.
Le teneva volutamente entrambe in quella cassa, la fede nuziale di Eileen Prince e la Maschera d'argento dei Mangiamorte.
Due oggetti così diversi: l'uno simbolo d'amore, l'amore che gli aveva dato la vita, aveva unito suo padre e sua madre, un Babbano e una strega, trionfando su quegli assurdi pregiudizi che tanto stavano insanguinando il suo mondo.
L'altro, solo un simbolo di odio, a rammentargli che lui quella vita l'aveva gettata via, insieme a quella di tanti innocenti.
La calda luce dell'oro e il freddo argento di quel volto orrendo, eterni rivali come la vita e la morte.
Strinse con forza il piccolo gioiello, fissando quel volto lucido, le labbra forzatamente chiuse, quasi a trattenere quelle parole che la sua mente stava già gridando: “questo amore è più forte di te, non potrai portarmelo via”
Si lasciò cadere seduto sul letto stringendo al petto quel cerchio dorato come in un abbraccio e si abbandonò ai ricordi.
Eileen era una piccola donna gracile e non particolarmente bella, eppure aveva un carattere forte: ferma nelle sue decisioni, a differenza di lui, non aveva ceduto ai folli ideali di chi voleva preservare la razza magica, lei aveva scelto l'amore.
Sposare Tobias Piton, un Babbano, era stata una scelta coraggiosa che le aveva messo contro la sua famiglia.
Ammirava sua madre per questo, avrebbe voluto dirglielo, ma era morta quando lui era ancora troppo piccolo, quando non era in grado di capire cosa significasse sacrificare tutto per donarsi completamente ad un’altra persona.
Solo ora poteva comprendere fino in fondo l'insegnamento di quella donna coraggiosa.
Solo ora aveva capito cosa volesse dire amare qualcuno più della propria vita.
Purtroppo l'amore che i suoi genitori provavano l'uno per l'altra non era riuscito a colmare completamente la voragine che separava i loro due mondi.
Se solo suo padre fosse stato meno orgoglioso e prevenuto nei confronti di Eileen, probabilmente la sua sarebbe stata una famiglia felice.
Tobias amava follemente la sua sposa, ma, nello stesso tempo, temeva i suoi poteri, la sua paura della magia lo aveva reso un violento.
La sua nascita, poi, aveva ulteriormente peggiorato le cose: un figlio dotato di poteri magici era qualcosa che Tobias non riusciva proprio ad accettare.
Improvvisamente chiuse gli occhi, aveva l'impressione di sentire le loro risate in quella stanza.
In realtà, raramente li aveva visti divertirsi insieme, ma era facile, ora che entrambi erano morti, ricordare solo i momenti felici, cancellando pietosamente i tremendi litigi che scoppiavano regolarmente fra i suoi genitori.
Sorrise, immaginando il momento in cui, quell'anello sarebbe stato donato per la seconda volta.
Giurò a se stesso che Iris non sarebbe stata un’altra Eileen Prince, lui avrebbe fatto di tutto per renderla felice.
Sapeva che non avrebbe mai potuto cancellare ciò che era diventato, ma, un giorno, finalmente, Voldemort sarebbe stato sconfitto e la maledizione si sarebbe spezzata, quel giorno sarebbe stato libero di amarla.
Avrebbe lavato le macchie di sangue dalle sue mani, anche se non avrebbe mai potuto cancellarle dalla sua anima. L'avrebbe fatto per lei, per poter finalmente sfiorare il suo viso, senza sporcarlo delle sue colpe.
Lei non poteva, non doveva essere toccata dall'orrore.
Sarebbe stato felice solo per lei, per lei avrebbe rinchiuso il dolore nella parte più nascosta del suo cuore, perché non potesse mai trovarlo.
Arricciò le labbra, assumendo un’espressione dubbiosa, mentre cercava di immaginare le parole che avrebbero accompagnato il suo dono.
Le avrebbe detto che l'amava? Le avrebbe chiesto di condividere il resto della vita con lui?
Si sentì improvvisamente sciocco e impacciato: forse non era il momento per un simile dono. Forse avrebbe davvero dovuto attendere la caduta di Voldemort.
E se quel momento non fosse mai arrivato?
Un brivido percorse la sua schiena: credere in un futuro felice era così difficile.
Certo, più volte, aveva immaginato di avere una famiglia, dei figli. Sognare lo aiutava ad andare avanti, ma, forse, non avrebbe dovuto illudere anche Iris con una promessa di matrimonio che probabilmente non si sarebbe mai realizzata.
Sospirò, l'amore l'aveva reso cieco ed egoista, ecco la verità.
La desiderava contro ogni logica, forse era pazzia la sua, ma cos'altro gli restava?
Si alzò di scatto e prese a camminare nervosamente per la stanza, quella sera le avrebbe dato l'anello, le avrebbe chiesto di diventare la sua sposa, sì, ormai aveva deciso, forse all'indomani sarebbe morto, ma quella sera voleva il suo sogno, non vi avrebbe rinunciato.
Per una sera non sarebbe stato Piton il Mangiamorte, né Severus la spia. Sarebbe stato solo un uomo innamorato, solo quello.
Magari solo per una sera.
Afferrò la bacchetta e la puntò contro il baule che si richiuse rumorosamente scivolando di nuovo sotto il letto.
Si avviò a grandi passi verso la porta e sempre stringendo l'anello si precipitò giù per le scale. Giunto al piano terra si guardò intorno e i suoi occhi si spalancarono, non aveva mai notato prima la trascuratezza della sua casa, pareti tappezzate di libri, un tappeto tarlato e vecchi mobili sparsi per la stanza senza nessun criterio.
Mosse la bacchetta spalancando le finestre. Sì, così era decisamente meglio: un po' di luce era quello che ci voleva.
Si morse il labbro, ora doveva rendere accogliente quella casa.
Cominciò a spostare tavoli e sedie trascinandoli per la stanza, mentre sul suo viso si disegnava un’espressione soddisfatta. Abbassò di nuovo lo sguardo fissando l'anello che teneva ancora sul palmo della mano, il gioiello sfavillò alla luce del sole che ora aveva invaso la stanza e si specchiò nelle iridi nerissime del mago, sembrava condividere la sua felicità, Severus sorrise sottilmente divertito.
Improvvisamente, però la sua espressione si mutò in una smorfia di dolore.
“Noooo!” gridò.
La sua mano si contorse come colta da un crampo lasciando scivolare a terra il suo tesoro.
L'anello di Eileen rotolò per qualche metro e finì la sua corsa contro il piede del tavolo.
Il giovane fece qualche passo tentando di afferrarlo, ma fu colto da un'altra fitta, strinse gli occhi piegandosi in avanti.
Il Marchio bruciava come non mai, non era la solita chiamata, era qualcosa di peggio.
Cadde in ginocchio stringendo spasmodicamente il braccio sinistro.
Qualcosa di terribile doveva essere accaduto: gli sembrava di sentire i pensieri di Voldemort nella sua testa, la sua gioia insana lo invase.
Sentì la risata di trionfo del suo Signore rimbombare nelle sue orecchie e una nausea terribile gli tolse il respiro.
Si trascinò faticosamente contro la parete e appoggiò la schiena al muro, ansimando.
“No, no, ti prego no!” gemette scotendo il capo. Poi, afferrando la stoffa con rabbia, si strappò via la manica con così tanta violenza da lasciare sulla pelle i segni delle unghie.
Fissò il Marchio, gli occhi sbarrati dal terrore: il serpente inciso nella sua carne sembrava aver preso vita. Non lo aveva mai visto così, neppure il giorno maledetto in cui l'aveva ricevuto.
Voldemort lo stava chiamando, doveva andare da lui, ma qualcosa gli diceva che quel giorno sarebbe accaduto qualcosa di irreparabile.
Era come pietrificato, non voleva rispondere a quella chiamata, avrebbe fatto di tutto per non scoprire il motivo della gioia del suo Signore, di tutto.
I minuti passavano e il mago era in terra, immobile, si stringeva il braccio con la mano destra cercando di regolare il respiro. Sapeva che stava solo ritardando l'inevitabile.
Non era solo la sua vita in gioco, se così fosse stato non avrebbe esitato a lasciare che il dolore lo uccidesse lì nel pavimento della sua casa, ma aveva fatto una promessa, aveva un dovere da compiere, per Iris e per ripagare tutto il sangue che aveva versato.
Doveva andare, non aveva scelta, ma voleva illudersi ancora per un istante di poter scegliere di non rispondere, di poter decidere di vivere o morire, di poter essere libero.
Poi un’altra fitta, il mago strinse i denti soffocando un grido acuto, non c'era più tempo, il suo padrone non avrebbe atteso ancora.
Il suo sguardo si posò sul piccolo cerchio dorato che giaceva in terra di fronte a lui.
“Iris, perdonami!” mormorò e i suoi occhi si velarono di lacrime, mentre la mano si apriva per accogliere la Maschera che, rispondendo al richiamo della sua mente, era schizzata fuori dal baule.
Senza neppure alzarsi da terra, il mago indossò il suo volto d'argento e sparì.




Continua…

 
Top
Lady of the sea
view post Posted on 24/4/2011, 01:08




come lacrime T.T.....premetto che non mi ricordo eventuali avvertimenti all'inizio della ff...ripeto...coooome lacrimeee!? T.T..devono stare insiemeee me bisogno di happy end! xD
nonostante le mie "lamentele" qui sopra, bellissimissimooo il cap! Complimenti
 
Top
Astry
view post Posted on 30/4/2011, 14:34




CITAZIONE (Lady of the sea @ 24/4/2011, 02:08) 
come lacrime T.T.....premetto che non mi ricordo eventuali avvertimenti all'inizio della ff...ripeto...coooome lacrimeee!? T.T..devono stare insiemeee me bisogno di happy end! xD
nonostante le mie "lamentele" qui sopra, bellissimissimooo il cap! Complimenti

Mmmm! Non ricordo di aver messo avvisi all'inizio, ma... anche se questa storia è stata scritta prima dell'uscita del settimo libro, si tratta comunque di un prequel, e un prequel del primo libro di Harry Potter non può che finire in un modo, ecco. penso che il titolo del prossimo capitolo possa gia prepararti all'idea.
Prepara taaaaanti fazzoletti!

CAP. 17: Goldrick’s Hollow



La via babbana era deserta, da quella piccola altura si poteva vedere bene tutto il quartiere, ma la casa dei Potter sembrava essere stata inghiottita in mezzo a decine di altre case.
L’Incanto Fidelius non permetteva a nessuno di individuarla, ogni volta che il mago cercava di fissare lo sguardo sul cortile che doveva ospitare il piccolo edificio a due piani, era come se l’intero quartiere cambiasse forma e lui si ritrovava a guardare dalla parte opposta.
Severus era giunto lì con un gruppo di Mangiamorte, Voldemort aveva ordinato loro di restare ad aspettare che tutto fosse finito: quella notte avrebbero assistito al suo trionfo.
Il loro Signore avrebbe agito da solo: lui era l’unico in grado di trovare la casa, l’unico ad aver avuto l’informazione dal Custode Segreto.
Il mago se ne stava lì, in piedi, nascosto dall’oscurità, un’ombra fra le ombre. Solo la Maschera d’argento, riflettendo la luce fioca e giallognola di un lampione, emergeva da quelle tenebre come un orrendo spettro.
“Sirius, maledetto traditore.” mormorò il giovane mago fra i denti, mentre fissava il vuoto davanti a sé, sperando che qualche miracolo lo aiutasse ad individuare quella casa.
In pochi istanti i suoi sogni e le sue speranze erano state spazzate via.
Quando Voldemort aveva annunciato ai suoi seguaci di aver finalmente trovato i Potter, non riusciva a credere alle sue orecchie.
Sapeva che il custode segreto, l'unico che avrebbe potuto svelare l'indirizzo al suo Signore, era l'uomo che James Potter considerava il suo migliore amico.
Odiava Sirius Black, ma non avrebbe mai messo in dubbio la sua lealtà verso James e Lily.
Non riusciva a capacitarsene, non era possibile, come avevano potuto commettere un simile errore? Silente aveva messo quella famiglia nelle mani di Black e lui li aveva consegnati a Voldemort.
Il sapore ferroso del sangue gli riempì improvvisamente la bocca: senza neppure accorgersene aveva affondato i denti nel labbro inferiore.
Si voltò appena per potersi pulire il sangue con la manica della tunica, senza che il suo compagno lo notasse.
Fingersi in trepidante attesa per la vittoria del Signore Oscuro lo nauseava. Non riusciva a pensare: l’ansia aveva completamente annebbiato la sua mente.
Cosa poteva fare? Anche se fosse riuscito a liberarsi dei suoi scomodi compagni, come avrebbe potuto trovare i Potter e soprattutto come avrebbe potuto fermare Voldemort?
Fece una smorfia, il Mangiamorte al suo fianco continuava a ridere e a magnificare il suo padrone, si sforzò di annuire pur non avendo prestato attenzione ad una sola parola pronunciata da quell’uomo.
Improvvisamente vide dei lampi, luci colorate sembrarono comparire dal nulla, erano lampi di incantesimi.
Era cominciata. Voldemort li aveva trovati.
Ora in quella casa si stava consumando una battaglia o, piuttosto, un massacro, i Potter non avevano alcuna speranza di sopravvivere.
Severus continuava a non vedere la casa, ma qualcosa in quegli incantesimi stava aprendo una breccia nella protezione creata dall’Incanto Fidelius.
Ora, forse, sarebbe riuscito ad individuarli. Non sarebbe rimasto lì fermo senza intervenire.
Sapeva di non aver alcuna possibilità contro Voldemort, ma quello che stava accadendo era colpa sua, era stata la sua stupidità a condannare a morte un’intera famiglia, non sarebbe rimasto a guardarli morire. Era arrivato il momento di gettare la maschera.
Afferrò la sua bacchetta, stringendola con forza: non poteva salvarli, ma poteva morire con loro affrontando Voldemort a viso aperto.
Si voltò di scatto, pronunciando l’incantesimo e, prima ancora di capire cosa stesse succedendo, due dei Mangiamorte che erano di guardia con lui caddero a terra morti.
Un terzo fece in tempo a reagire: dalla sua bacchetta esplose un raggio che sfiorò i capelli di Severus.
Il mago si gettò a terra cercando di colpire a sua volta, ma il suo avversario fu più rapido: il giovane mago si ritrovò disarmato, la sua bacchetta ora giaceva nell’erba a qualche metro da lui, troppo lontana.
Stese la mano, le sue labbra stavano per pronunciare l’incantesimo di richiamo, quando il suo compagno, puntò di nuovo la sua arma.
“Non provarci.” ringhiò.
Severus abbassò la mano, sapeva che era finita, aveva fatto il suo tentativo e aveva fallito, una parte di lui l’aveva sperato, aveva sperato di non sopravvivere, non avrebbe sopportato altro sangue innocente sulle sue mani, il rimorso per quello che si stava versando in quel momento in casa dei Potter sarebbe stato troppo doloroso da sopportare.
Era meglio morire piuttosto che vivere tormentato dal senso di colpa, il peso di quelle morti l’avrebbe schiacciato.
Il Mangiamorte si avvicinò, con la bacchetta puntata, fissando il mago a terra.
Severus guardò il suo volto coperto dalla Maschera d’argento, la stessa che nascondeva anche il suo viso.
Quanta gente aveva visto la morte nascosta dietro quel freddo metallo che, con la sua orrenda forma, preannunciava al malcapitato il suo triste destino.
Ora quella Maschera era venuta per lui.
“Schifoso traditore, i Potter non saranno i soli a morire questa notte.” sputò le sue parole con odio. Severus chiuse gli occhi trattenendo il respiro: era pronto?
Probabilmente no, aveva paura: nessuno può essere pronto a morire a vent’anni.
Il mago sospirò e strinse i pugni: nessuno dovrebbe avere tante colpe a vent’anni.
“NOOOOOO!” improvvisamente una voce di donna li fece voltare entrambi.
Severus rabbrividì, Iris era appena spuntata da dietro un albero, pallida e col volto rigato dalle lacrime.
L’aveva seguito, chissà da quanto tempo era nascosta tra quegli alberi.

La maga lo aveva aspettato inutilmente per ore quella sera, poi aveva deciso di cercarlo a casa sua. Immediatamente aveva capito che doveva essere accaduto qualcosa di grave.
Il giovane sembrava essersene andato in gran fretta lasciando le finestre aperte.
Era entrata in casa, tavoli e sedie erano in mezzo alla stanza, come se il mago fosse stato interrotto nel mezzo di un trasloco.
Si era guardata intorno, no, Severus non sarebbe mai uscito lasciando la casa in quel modo e, soprattutto, senza neppure degnarsi di chiudere le finestre.
Aveva provato a chiamarlo, anche se era certa che non avrebbe avuto risposta: il suo Severus non era lì.
Infine, abbassando lo sguardo, lo aveva visto: il piccolo anello di Eileen Prince brillava sul pavimento.
Si era precipitata a raccoglierlo, non era stato difficile per lei capire cosa significasse quel gioiello, ma il fatto di trovarlo in terra non era un buon segno.
Era sempre più preoccupata, ormai era chiaro che doveva essere successo qualcosa.
Era corsa al piano superiore, non sapeva se augurarsi di trovarlo, magari ferito e impossibilitato a rispondere, o sperare che fosse lontano, purché sano e salvo.
Forse non era solo, forse avrebbe trovato dei Mangiamorte al piano di sopra.
Non aveva importanza, l'unica cosa importante era trovare Severus.
Dimenticando la prudenza, l'aveva cercato stanza per stanza, spalancando le porte una ad una, mentre l'ansia cresceva ad ogni passo.
Aveva gridato il suo nome, ma inutilmente: Severus non era in quella casa.
Poi l'aveva sentita: una sensazione improvvisa.
Aveva sentito la rabbia stringerle lo stomaco, una rabbia che non riusciva a spiegare. Non era lei, lei non era arrabbiata, semmai spaventata. Quelle erano emozioni di un'altra persona, era Severus.
Si era bloccata e, ansimando, si era portata una mano al petto, mentre ascoltava ciò che sembrava provenire dal suo cuore, ma, nello stesso tempo, le era completamente estraneo.
Stava sentendo quello che provava Severus in quel momento.
Aveva preso a stringere e a tormentare la stoffa del suo abito, cadendo in ginocchio, gli occhi sbarrati e il sudore freddo ad imperlarle il viso che impallidiva a vista d'occhio.
Le labbra si erano spalancate cercando avidamente quell'aria che d'improvviso le era sembrata insufficiente a riempire i polmoni.
Si era sentita soffocare quando, alla rabbia, si erano sommate ansia e infine disperazione, le aveva sentite così forti che aveva cominciato a tremare scoppiando piangere.
Poi un nome era esploso nella sua testa, un nome sconosciuto.
La maga non era riuscita a trattenere un grido disperato, aveva gridato quel nome con tutta la voce che aveva, odiando inspiegabilmente quell'uomo, come non aveva mai odiato nessuno.
“Sirius Black!”
Erano gli effetti dell'incantesimo del vento, lo sapeva, gli stessi effetti che l'avevano condotta dal suo Severus nella foresta proibita, circa un anno prima.
Tuttavia, quella prima volta aveva sentito chiaramente il dolore al braccio, aveva sentito i colpi e il bruciore delle ferite che il mago si stava procurando. Quella sera, al contrario, non aveva sentito dolore, ma l'ansia, la rabbia e una terribile sensazione di impotenza erano chiari segni che Severus doveva essere in pericolo, più di altre volte, quando, pur avendo dovuto subire le conseguenze dell'ira del suo padrone, non aveva mai ceduto alla paura.
Era stata proprio quella paura a convincerla che stava certamente succedendo qualcosa di terribile.
Alle emozioni di Severus si erano aggiunte le sue, altrettanto forti, altrettanto devastanti, il terrore di perderlo l'aveva resa folle: doveva raggiungerlo, doveva vederlo, lei poteva trovarlo.
Il legame che si era formato con l'incantesimo era ancora attivo, poteva funzionare, doveva funzionare.
Doveva solo concentrarsi e, quelle forti emozioni, l'avrebbero trascinata da lui.
E così aveva fatto, si era lasciata risucchiare in quel baratro di disperazione, e si era ritrovata su quell'altura.




* * *




Nessuno si era accorto di lei fino a quel momento.
Gli occhi del mago incrociarono le scure pupille della ragazza, si senti morire, no, lei non c’entrava, queste erano le sue colpe, il suo destino.
Anche l’uomo che teneva Severus sotto tiro ebbe un attimo di esitazione, poi le sue labbra si piegarono in un ghigno cattivo sotto la Maschera.
“Avete deciso di morire tutti stanotte?” disse scoppiando in una risata, che però si mutò immediatamente in un grido disperato, come se fosse in preda alle fiamme.
Iris si era gettata su di lui e ora lo stringeva come in un abbraccio.
“Corri!” gridò rivolta a Severus. “Va’ a salvarli!”
Sì, doveva salvare i Potter, doveva correre da loro, eppure, per qualche istante che sembrò interminabile, il mago restò a fissare la sua Iris, mentre stringeva nel suo terribile abbraccio il suo avversario.
Ricordò quanto era sconvolta quando aveva ucciso involontariamente suo padre.
Lui sapeva bene che uccidere anche per difendersi può causare indelebili cicatrici nell’anima, quanto dolore si prova a togliere la vita ad un’altra persona.
Iris lo aveva fatto per lui, aveva fatto la cosa che temeva di più: dare la morte in quel modo orrendo.
Il Mangiamorte gridava in un modo straziante, ma lui sapeva che il fuoco che lo faceva urlare stava consumando anche la sua Iris nello stesso rogo.
Per lui, solo per lui stava uccidendo volontariamente la sua innocenza.
La vide svanire dalla sua vista, mentre costringeva il suo corpo a lasciare quel luogo. I Potter doveva andare da loro, non poteva più aspettare.
“Iris!” la voce del mago si perse nel vento, mentre lui, trascinato dalla forza della disperazione, si Materializzava di fronte a quelle luci che aveva visto da lontano.
Il cuore in gola per quello che si era lasciato alle spalle e negli occhi il terrore per ciò che lo attendeva.




* * *




La casa dei Potter doveva essere lì vicino. Continuava a vedere i lampi degli incantesimi, evidentemente James e Lily stavano disperatamente cercando di difendersi.
Quanto sarebbe durata? Quanto tempo gli restava? Era lì, a due passi da loro, ma non riusciva a vedere l’entrata.
Si portò entrambe le mani sui capelli, stava sudando, credette per un momento che il cuore stesse per esplodergli nel petto.
Cosa poteva fare? Sapeva che, a pochi passi da lui, si stava consumando una tragedia, cominciò a guardarsi intorno, loro erano così vicini, doveva esserci un modo, un maledettissimo modo per trovarli.
Cominciò a percorrere quella strada avanti e indietro, sempre più velocemente, nessuna porta, niente che potesse indicargli la casa, iniziò a piangere come un bambino.
Chiuse gli occhi e prese a muovere le braccia in modo folle colpendo l’aria.
Sapeva che non c’era modo di eludere l’Incanto Fidelius, il suo gesto era solo dettato dalla disperazione.
“James, James!” urlò con tutto il fiato che aveva. “Lily, fatemi entrare.”
Cadde in ginocchio non sperava certo che qualcuno gli aprisse la porta, ma sentirsi così impotente lo stava facendo impazzire.
“Maledizione!” urlò. “Sirius, mi senti? Me la pagherai.” prese a singhiozzare. “Li hai venduti, hai venduto i tuoi amici a Voldemort”.
Improvvisamente udì un grido, poi un boato sordo e la facciata di una casa in mattoncini rossi apparve dal nulla: la potenza degli incantesimi che si era scatenata all’interno aveva squarciato la barriera creata dall’Incanto Fidelius.
Immediatamente, il mago afferrò la bacchetta e la puntò contro la porta, le sue labbra non pronunciarono alcun incantesimo, ma fu come se la rabbia, il terrore e la disperazione che erano imprigionate nel suo cuore fossero improvvisamente sgorgate attraverso la piccola asticella di legno.
Una bolla di luce esplose davanti a lui, spazzando via il piccolo portoncino bianco e anche parte del muro della facciata.
Severus si precipitò all’interno.
I segni del combattimento appena avvenuto erano evidenti, il mobilio era in pezzi e i muri anneriti. Il pesante tavolo in noce del soggiorno era rovesciato.
Davanti ai suoi occhi terrorizzati, apparve l’immagine che non avrebbe mai voluto vedere, quella che spazzò via in un solo colpo la sua ultima fragile speranza: una mano spuntava da sotto il tavolo.
James Potter era lì, in terra, stringeva ancora tra le dita la sua bacchetta, ultima inutile difesa.
“Lily!” il mago distolse immediatamente lo sguardo e si lanciò su per le scale, al piano di sopra c’era Lily, erano le sue grida che aveva sentito.
Avrebbe voluto morire pur di non vedere con i suoi occhi il risultato della sua sconsideratezza, cosa avrebbe trovato al piano di sopra?
Sapeva di essere arrivato tardi, ormai ne era certo, erano morti, Voldemort li aveva uccisi tutti, ed era solo colpa sua.
Improvvisamente si sentì mancare il pavimento da sotto i piedi. Si aggrappò alla ringhiera della scala per non cadere.
Un boato che sembrava provenire da sottoterra lo fece rabbrividire. Quelle che parevano scosse di terremoto presero a scuotere la casa.
Gli occhi del mago bruno si spalancarono: grosse crepe si stavano formando nei muri, si arrampicavano rapidamente salendo dal pavimento e allargandosi fino al soffitto.
La casa si stava sgretolano, calcinacci iniziarono a staccarsi dalle pareti.
Con fatica, Severus riuscì a salire l’ultima rampa di scale praticamente inginocchio, mentre tutta la casa oscillava paurosamente.
Giunto alla porta della camera da letto la trovò aperta, i suoi occhi individuarono immediatamente la figura di spalle vestita di nero: Voldemort era ancora in quella stanza.
D’istinto il giovane mago afferrò la bacchetta e piombò all’interno come una furia, pronto ad affrontare il suo padrone, guidato, ormai, solo dal desiderio di vendetta.
Tuttavia, una volta attraversata la soglia, si trovò improvvisamente immerso in un’atmosfera irreale, non sentiva più le scosse, né alcun rumore. Ebbe l’impressione che il tempo si fosse fermato.
Voldemort sembrava non essersi accorto della sua presenza, era sospeso a mezz’aria e dalla sua bacchetta l’inconfondibile raggio verde dell’Avada Kedavra era come congelato.
All’altra estremità del raggio, un bambino, il figlio di James e Lily.
Severus fissava quella scena pietrificato, tutto sembrava svolgersi con estrema lentezza, qualcosa, anzi qualcuno si era messo nella traiettoria del raggio.
“Lily!” gridò il mago sbigottito, ma quella non era Lily, la vera Lily giaceva in terra poco distante.
Era morta come suo marito.
Forse stava vedendo il suo fantasma? Qualunque cosa fosse stava assorbendo la Maledizione come una barriera e diventava sempre più luminosa.
Voldemort sembrava intrappolato, come se quella luce e il calore che emanava, avesse la capacità di consumare i suoi poteri e non solo quelli: anche il suo corpo si stava prosciugando come fango al sole.
Le dita scheletriche del mago erano strette intorno alla sua bacchetta, ma somigliavano sempre più a rami secchi e anneriti.
Solo un leggero tremore scuoteva quel corpo a testimoniare che la vita non lo aveva ancora abbandonato.
Poi, all’improvviso, lo sentì gridare, un grido inumano e assordante, al quale si sommò il boato della terra che si stava aprendo sotto i suoi piedi.
Il tempo sembrava aver ripreso a scorrere normalmente e anche le mura di quella stanza, che fino a quel momento non erano state investite dal terremoto, presero a frantumarsi.
Severus si gettò sul bambino, lo afferrò Smaterializzandosi appena in tempo, prima che l’intero soffitto rovinasse su di loro.
Restò per un momento immobile appena fuori dalla casa dei Potter, ansimante e coperto di polvere, con quella piccola creatura, che non smetteva di piangere, in braccio. Poi si voltò a guardare quello che restava della casa, era terribile, pensare che Lily e James erano lì dentro.
Per un attimo aveva avuto l’impressione che il fantasma di lei gli sorridesse. Il mago scosse la testa, prese la sua bacchetta e, puntandola verso il cielo, evocò il suo Patronus: doveva avvertire Silente di quello che era successo.
Avvolse il piccolo Harry nel suo mantello e si Smaterializzò.




Continua…

 
Top
J è
view post Posted on 1/5/2011, 23:54




Finalmente mi sono portata in pari!! Bellissimi questi capitoli, devo ammetterlo.
Mi ha fatto sorridere la scena dell'anello, come quella della McGrannt, mentre quest'ultimo capitolo è stato mooolto più triste.
Bello il finale in cui Harry si trova tra le braccia di Severus e anche il modo in cui hai reso il sacrificio di Lily. Davvero inteso, complimenti!!
Ora però sono davvero curiosa di sapere che forma assume il patronus di Severus xD So che centra relativamente con la storia, ma mi è venuto in mente vedendolo menzionato.
Al prossimo aggiornamento!
 
Top
Astry
view post Posted on 3/5/2011, 19:10




CITAZIONE (J è @ 2/5/2011, 00:54) 
Finalmente mi sono portata in pari!! Bellissimi questi capitoli, devo ammetterlo.
Mi ha fatto sorridere la scena dell'anello, come quella della McGrannt, mentre quest'ultimo capitolo è stato mooolto più triste.
Bello il finale in cui Harry si trova tra le braccia di Severus e anche il modo in cui hai reso il sacrificio di Lily. Davvero inteso, complimenti!!
Ora però sono davvero curiosa di sapere che forma assume il patronus di Severus xD So che centra relativamente con la storia, ma mi è venuto in mente vedendolo menzionato.
Al prossimo aggiornamento!

Il Patronus di Severus, quando ho scritto la storia, non si conosceva ancora, in effetti, non saprai che forma ha, perchè volutamente non l'ho fatto vedere. Naturalmente se avessi voluto dargli un patronus avrei optato per qualcosa che ricordasse Iris. Sicuramente un qualche tipo di uccello, qualcosa che avesse a che fare col vento, il volo, il cielo, l'arcobaleno ecc. ^_^
Questo che segue è l'ultimo capitolo :cry: hai pronta la scatola dei fazzoetti?
Buona lettura!


CAP. 18: L’ultima notte



Era di nuovo sulla piccola altura, e trascinava i suoi passi lentamente sull’erba, quando lo vide: il cadavere del Mangiamorte era lì disteso, nei suoi occhi la stessa espressione di terrore e di dolore che aveva visto sul padre di Iris quando l’aveva incontrata per la prima volta.
Istintivamente sollevò un lembo del mantello a coprire la creatura innocente che stringeva tra le braccia, come a volerlo proteggere da quella vista, pur essendo Harry troppo piccolo per comprendere l’orrore di cui era involontario testimone.
Fissò l’uomo, quell’immagine orrenda col volto ancora coperto dalla Maschera d’argento, e improvvisamente gli si gelò il sangue.
Qualcosa brillava alla fioca luce del lampione, qualcosa che Severus riconobbe immediatamente: il pugnale dei Mangiamorte.
Afferrò la bacchetta per fare più luce, la puntò verso l’uomo a terra, le mani tremanti e il cuore impazzito.
Non si sbagliava: l’uomo si era difeso, c’era del sangue sulla lama.
“No!” la sua Iris, quel sangue era il suo, ne era certo, doveva trovarla subito.
Prese a guardarsi intorno puntando follemente la bacchetta in tutte le direzioni, incurante del fatto che quella luce magica avrebbe potuto attirare qualche Babbano, ora solo una cosa gli importava: doveva trovare la sua Iris, sperando che non fosse troppo tardi.
“Iris, Iris, dove sei? Iris rispondimi, ti prego rispondimi.”
Poi la luce bianca della bacchetta la individuò, Severus si sentì morire, la ragazza era stesa sull’erba vicino ad un albero, sul suo ventre si allargava una chiazza scura e il mago seppe che la sua più grande paura si era concretizzata.
“Iris, Iris, no! Dio ti prego no!”
Improvvisamente ebbe l’impressione che la forza l’avesse abbandonato, incespicando nei suoi stessi piedi raggiunse barcollando la donna che amava e crollò in ginocchio accanto a lei.
Le labbra aperte in grido muto e il piccolo Harry stretto tra le braccia, forse con troppa forza, tanto che il piccolo cominciò a piangere, cercando di divincolarsi da quella stretta.
Era stato tutto inutile, non aveva potuto salvare i Potter e ora avrebbe perso anche lei, non poteva più fare niente per salvarla, nessuna magia, nessuna pozione avrebbe potuto strapparla alla morte, era passato troppo tempo e Iris aveva già perso troppo sangue.
La strega aprì stancamente gli occhi, fissando quel fagottino che continuava ad urlare disperato, probabilmente senza capire quanto avesse ragione di farlo.
Cercò gli occhi neri del mago, sperando che non confermasse le sue paure, ma Severus annuì.
“Sono arrivato tardi, si è salvato solo lui.” nella sua voce un’infinita tristezza e poi la rabbia e la disperazione.
“Maledizione, Iris, avresti dovuto uccidermi quel giorno, insieme a tuo padre.” si portò una mano a coprirsi gli occhi scotendo la testa.
“Guarda cosa ho fatto della vita che mi hai donato, le mie mani sono imbrattate del sangue di così tanti innocenti. Voldemort è stato sconfitto, ma a quale prezzo? Quest’orfano è tutto ciò che resta della mia vita, è il simbolo del mio fallimento, sarà il simbolo vivente di ciò che sono diventato: un dispensatore di morte, ecco cosa sono. Tutto ciò che tocco è destinato a perire. Iris, Iris, perdonami.”
La maga non disse nulla, allargò le braccia per accogliere quella piccola vita, quel bambino che avrebbe potuto essere il loro figlio, voleva stringerlo fra le braccia e immaginare per qualche istante quella vita felice che la Maledizione che avrebbe dovuto proteggerla le aveva invece negato.
Severus si piegò porgendole delicatamente il piccolo.
Improvvisamente un’espressione di terrore si dipinse sul volto di Iris: le dita del mago stavano sfiorando le sue.
Il suo sguardo corse immediatamente a cercare gli occhi di lui, ma non vi trovò né sorpresa, né paura, vi trovò solo determinazione.
Le labbra della maga si spalancarono: l’aveva fatto deliberatamente, voleva morire con lei.
“No!” urlò con voce strozzata guardando, paralizzata dall’orrore, il suo uomo.
Si aspettava di vederlo stramazzare da un momento all’altro, ma i secondi passarono e il suo Severus era sempre inginocchiato al suo fianco, immobile, incapace di parlare.
La fissava, sconvolto e furente al tempo stesso. La consapevolezza di quello che poteva essere accaduto, sembrava averlo precipitato nel più orrendo dei suoi incubi: nemmeno la morte gli era concessa, nemmeno quello.
Sollevò lentamente la manica della tunica, il marchio c’era ancora, ma sembrava appena un’ombra sulla sua pelle, il suo potere malefico si era dissolto assieme a quello del suo padrone.
“La maledizione è spezzata.” mormorò Iris, con voce tremante, in un misto di gioia e disperazione, mentre guardava la delusione sul volto del suo amato Severus.
Gli sorrise.
“Baciami!” disse, mentre la sua voce si faceva sempre più flebile.
Il mago si chinò dolcemente sulle sue labbra, sfiorandole appena, lentamente e delicatamente. “Ti amo!”sussurrò sulla sua bocca.
Avrebbe voluto donarle la sua vita con quel bacio. Sollevò la mano e prese a carezzarle i capelli dolcemente, con lentezza.
Avrebbe voluto che il tempo si fermasse, quel bacio l’aveva sognato e desiderato da tanto tempo. Aveva lottato per averlo, aveva venduto la sua anima, per quel breve istante, troppo breve.
No, non poteva finire così, non doveva finire così.
“Iris, non lasciarmi, ti prego.” disse, mentre calde lacrime presero a scendere sulle sue guance.
Si sollevò appena dalle labbra di lei, per baciarle la fronte, Iris chiuse gli occhi e il mago baciò le sue palpebre, si sentiva morire ad ogni bacio, aveva desiderato per quasi due anni di sfiorare quella pelle delicata ed ora la maledizione si era spezzata solo per lasciare il posto ad una condanna ben peggiore, toccare il suo corpo e sentire la vita abbandonarlo lentamente e crudelmente. La sentiva fremere per i suoi baci e nello stesso tempo irrigidirsi per gli spasimi di dolore.
“Iris, Iris, ti prego, avevi promesso, avevi detto che saremo stati felici.” prese a singhiozzare e, stringendola sempre più a se, affondò il viso tra i suoi capelli.
“Dio, no, no, non puoi farmi questo, Iris, non lasciarmi, ti prego, non lasciarmi.”
Poi la sentì tremare.
“Se…verus!” mormorò, la sua voce era ridotta ad un soffio.
Il mago si sollevò sulle braccia, Iris gli sorrideva, lo sguardo era fisso su di lui, ma non c’era più vita nei suoi occhi.
Guardò la sua figura languidamente sdraiata con il piccolo Harry tra le braccia, era così che sognava di vederla un giorno: distesa sull’erba, con il loro figlio in braccio, quel giorno felice che non sarebbe mai più arrivato.
“NOOOOOOOOO!” il mago gridò verso il cielo tutta la sua rabbia e il suo dolore. Le sue urla e il pianto del piccolo orfano squarciarono il silenzio, per poi placarsi nuovamente.
Ammirò ancora quegli occhi fissati per sempre in un’ultima offerta d’amore, si chinò e, sfiorandoli appena con la mano, li chiuse e ne baciò delicatamente le palpebre.
“Tu hai salvato la mia vita, Iris, tu mi hai fermato quel giorno, io ero il tuo assassino e tu mi hai risparmiato. Questo corpo, continuerà a vivere, a respirare come tu hai voluto, ma Severus Piton muore questa notte.
Io ho trasformato in una tomba il nostro talamo nuziale. Se è così che deve essere, se è solo così che potremo restare insieme, allora io seppellirò con te il mio cuore. Io te lo dono, mia dolcissima Iris, tua sarà la mia anima, tua sarà la luce di questi occhi, solo tua, per sempre.” Severus si sdraiò accanto a lei e al piccolo Harry circondandoli col suo abbraccio, chiuse gli occhi, mentre nella sua mente risuonava la voce della sua Iris o, forse, era solo il vento.

Al mio ben che riposa
Sull’ali della quiete,
grati sogni assistete
e il mio racchiuso ardore
svelategli per me


L’alba li trovò così, abbracciati nell’erba. Il piccolo Harry addormentato fra le loro braccia.




* * *




Severus si sollevò volgendo lo sguardo alle macerie di casa Potter, il suo messaggio doveva essere ormai arrivato a destinazione, Silente sarebbe arrivato da un momento all’altro o avrebbe mandato qualcuno.
Ai primi raggi del sole la casa ridotta ad un mucchio di detriti era uno spettacolo terribile. Di quel luogo che fino a qualche ora prima era un posto felice, non restava che un mucchio di pietre e travi fumanti.
L’insolito crollo avrebbe attirato presto parecchi curiosi Babbani. Gli abitanti di Godric's Hollow, infatti, non avevano potuto sentire il fragore della battaglia perché la casa era schermata, ma il chiarore dell’alba stava scoprendo agli occhi del mondo quell’orrido spettacolo, come le luci di un macabro palcoscenico mostrano allo spettatore l’epilogo di una tragedia.
Ora non c’era più pericolo per il piccolo: con la confusione che si sarebbe venuta a creare, i Mangiamorte non avrebbero osato avvicinarsi.
Severus si voltò nuovamente verso Iris, si chinò a baciarla poi afferrò il bambino che continuava a dormire al suo fianco. Non riusciva a distogliere lo sguardo da lei, non ce la faceva a lasciarla neppure per un attimo, ma doveva occuparsi del piccolo, doveva assicurarsi che arrivasse sano e salvo da Silente, lui avrebbe saputo cosa fare.
Si impose di chiudere gli occhi, come aveva fatto tante volte per resistere alla tentazione di toccarla. Ancora una volta dovette rifugiarsi nel buio per proteggersi dal suo cuore, ancora una volta le lacrime presero a scorrere sulle sue guance a ricordargli quanto miseramente stava perdendo la sua battaglia.
Si voltò di scatto, stringendo il mantello intorno al bambino, e si Smaterializzò direttamente all’interno della casa o, almeno, fra pochi muri rimasti ancora in piedi.
Si guardò attorno cercando di individuare un posto sicuro dove poter lasciare il piccolo Harry, in modo che sembrasse miracolosamente scampato al crollo.
Vide la sua piccola culla, era quasi intatta nonostante fosse ricoperta di detriti. Il mago la raggiunse passando sotto alcune travi messe di traverso e, dopo essersi assicurato con un incantesimo che quello che restava del soffitto non rovinasse sopra la culla, vi adagiò il piccolo.
Harry, intanto, aveva afferrato con entrambe le manine i lunghi capelli del mago che era chinato su di lui e non voleva saperne di mollare la presa.
Severus lo guardò, le sue labbra si piegarono appena in un sorriso. Prese la sua bacchetta dalla tasca e, puntandola verso l’alto, pronunciò sottovoce un incantesimo isolando il luogo dove si trovava il piccolo lettino, nessuno che non fosse un mago avrebbe potuto sentire i pianti del bambino o qualsiasi altro rumore che provenisse da sotto quelle macerie.
“Ora devi piangere.” disse. “Piangi piccolo Potter, qualcuno verrà a cercarti e ti porterà via da questo posto, via da questo orrore”.
Afferrò quelle piccole mani e le strappò via dai suoi capelli. Harry non fu affatto contento, prese a piangere disperatamente e a scalciare.
“Sì! Così, chiedi aiuto, piccolo.” si voltò e fece per andarsene, ma si bloccò: quelle urla erano davvero penose, probabilmente perché facevano eco a quelle del suo cuore.
Tornò indietro e si sporse verso il bambino.
“Altri si prenderanno cura di te, io non posso. Un giorno saprai quello che ho fatto, quel giorno mi odierai quanto io ora odio me stesso.” lo baciò sulla fronte e si Smaterializzò.
Di nuovo a fianco della sua Iris si chinò e la prese tra le braccia, era leggerissima.
La sua mente tornò immediatamente a quando l’aveva sollevata usando la magia, il giorno che l’aveva conosciuta. Ora sembrava così lontano.
Quel giorno si era ribellato a Voldemort per la prima volta, quel giorno aveva capito che il mago più potente del mondo era fallibile, ma quello era anche il giorno in cui aveva imparato ad uccidere e quello in cui aveva assaggiato il sapore amaro del rimorso.
Diede un ultimo sguardo alla casa: una sagoma imponente si stava avvicinando velocemente. Piton riconobbe Hagrid, il mezzo gigante, evidentemente Silente aveva ricevuto il messaggio. Attese finché fu certo che le grida del bambino avessero attirato la sua attenzione, poi si voltò incamminandosi verso gli alberi con il corpo ormai freddo di Iris tra le braccia.
Quel giorno il mondo magico avrebbe cominciato la sua nuova vita, avrebbe gioito per la distruzione di Voldemort, avrebbe anche pianto per la morte dei Potter, certamente i loro amici lo avrebbero fatto, loro avevano tanti amici.
Mai alba fu così meravigliosa e terribile allo stesso tempo, ma a Severus non importava del resto del mondo, il suo era finito, si era sgretolato insieme ai suoi sogni, alla sua giovinezza.
Ora aveva solo rimorsi, colpe da scontare e un immenso vuoto nel cuore.
Gli era rimasto solo il buio. Non avrebbe più avuto bisogno di chiudere gli occhi per proteggere il suo cuore: le tenebre l’avrebbero circondato giorno e notte, le stesse tenebre che ora avvolgevano la sua Iris.
Continuò a camminare lentamente, senza meta, inoltrandosi tra gli alberi, incurante del fatto che qualche Babbano avrebbe potuto vederlo.




* * *




Una sagoma avvolta in un mantello nero apparve di fronte alla vecchia quercia, aveva un’andatura incerta e si aiutava con un bastone, si fermò di fronte ad una pietra bianca.
Non c’era nessuna iscrizione, ma vi era incisa l’immagine di un fiore, un Iris.
Tirava un forte vento, era autunno inoltrato e le foglie secche, che ricoprivano il terreno come un manto rossiccio, venivano sollevate in aria e sbattute violentemente contro l’uomo come schegge insanguinate.
La figura se ne stava curva stringendo a sé i lembi del mantello nel tentativo di ripararsi da quella manifestazione della natura che una volta, molti anni prima, aveva trovato così piacevole.
Una folata più violenta gli tolse il cappuccio liberando i capelli bianchissimi, lunghi fino alle spalle che, sferzati da quel vento, si sollevavano disegnando degli strani arabeschi d’argento e ricadevano sulle spalle solo per scagliarsi nuovamente verso l’alto, come se le ciocche fossero vive.
L’uomo si appoggiò al bastone e, con fatica, si mise in ginocchio.
Era stata dura arrivare fin lassù, si era praticamente trascinato su quel sentiero impervio. Tuttavia una Materializzazione era impensabile nelle sue condizioni: non usciva da quella maledetta stanza al San Mungo ormai da mesi, non aveva più ragioni per farlo.
La guerra era finita da anni, lui era stato riabilitato e aveva preso il posto di Minerva McGranitt come preside della scuola di magia di Hogwarts.
Era andato avanti, aveva svolto il suo lavoro con impegno e professionalità, ma senza entusiasmo.
Aveva solo atteso, aveva aspettato che il suo corpo decidesse finalmente di soccombere all'inesorabile logorio del tempo. Infatti, pur provato da anni di torture e tensione continua, la sua fibra robusta lo aveva portato a sopravvivere a molti suoi coetanei, nonostante fosse un Mezzosangue.
Poi, finalmente, la malattia, lenta, ma inesorabile.
L'aveva accolta come una benedizione. Forse le troppe Cruciatus avevano lasciato il segno, dopotutto.
Aveva sempre immaginato per se una morte diversa, ma, evidentemente, il destino aveva altri piani. Di una cosa però era certo: non l'avrebbe attesa disteso in quel letto d’ospedale.
L'aveva già aspettata per troppo tempo: ora le sarebbe corso incontro.
Era riuscito ad eludere la sorveglianza dei medici, niente di più semplice per un ex Mangiamorte, e aveva raggiunto la collinetta di fronte alla scuola, il suo rifugio dei momenti felici.
Respirava a fatica: i suoi polmoni malandati non volevano saperne di svolgere bene il loro compito, e, averli sollecitati con quella salita, non gli aveva certo giovato.
Ma, nonostante ogni respiro gli causasse dolore, si sforzò di assaporare fino in fondo quella dolcissima fragranza di erba bagnata. Gli sembrava che quell'aria fosse in qualche modo impregnata del profumo della sua Iris.
Lacrime silenziose cominciarono a scivolare sul viso pallido e segnato dagli anni e dal dolore, ma i suoi occhi profondi e ancora nerissimi brillavano di una strana luce, una luce che non li illuminava ormai da troppo tempo, come se si fossero svegliati da un lungo sonno, come se vedessero per la prima volta.
Si arrotolò la manica della tunica, scoprendo lentamente l’avambraccio sinistro, candido e liscio: il Marchio se n’era andato.
L’ultimo segno della sua schiavitù era sparita con il suo padrone, ormai da diversi anni.
Era libero, ed ora, anche l’ultimo ostacolo che lo separava dalla donna che amava stava per sgretolarsi. L’ultima barriera stava crollando, insieme a quella poca forza che ancora permetteva al suo cuore di battere, irrorando della sua linfa quel corpo stanco.
Ancora per poco, lo sentiva, ma abbastanza da permettergli di assaporare quegli ultimi istanti, abbandonandosi ai ricordi.
Gustava ogni briciola di quel tempo che scorreva inesorabile, come chi osserva compiaciuto, la sabbia in una clessidra, sognando beato il momento in cui l’ultimo granello, precipitando sugli altri, avrebbe decretato la fine di una lunga attesa.
Presto, molto presto, avrebbe finalmente ritrovato la sua Iris.
Sollevò la mano candida sulla quale il tempo aveva inciso i suoi profondi intagli come un attento artigiano avrebbe decorato un prezioso oggetto d’avorio; tra le dita sottili, un piccolo oggetto scintillò ai raggi del debole sole autunnale.
L’uomo lo depose sulla pietra: era una fede nuziale, quel piccolo cerchio d’oro che attendeva di essere donato da sessant’anni.
Il vecchio mago sfiorò con la mano tremante il freddo marmo, quasi accarezzandolo.
“Mia dolce Iris, ho atteso così tanto tempo, troppo tempo, ma non ho mai dimenticato la mia promessa, ora sono qui per onorarla.
La vita che tu mi hai donato è stata lunga e triste, ed io l’ho vissuta interamente come espiazione per le mie colpe, ma ora finalmente mi è concesso di raggiungerti.
Ora, di fronte a questo vento che ci ha uniti molti anni fa, saremo di nuovo insieme.”
Si distese sulla tomba.
“Ti amo.” sussurrò chiudendo gli occhi.
In breve tempo, un manto di foglie ricoprì ogni cosa, come un leggero, fresco lenzuolo, a proteggere il pudore di due sposi nella loro prima notte.




FINE









Eccoci finalmente arrivati alla fine di questa storia, ringrazio tutti quelli che hanno avuto la forza di arrivare fino in fondo, mmm! sempre che qualcuno l'abbia letta oltre ai pochi che hanno recensito. Bon, in ogni caso spero che non mi odierete troppo per questo finale. Ormai, chi mi conosce, sa cosa può aspettarsi dalle mie ff. (vocina dietro le spalle: infatti nessuno le legge :lol: )
Ma non è che io sono cattiva (...è che mi disegnano così, ehm, no, questa è un'altra storia) volevo dire che il canon è il canon e, almeno quando è stata scritta questa ff, ovvero prima dell'ultimo libro, canon era Piton single e sfigato, così lo ha voluto mamma Rowling e io non avrei mai sopportato di vederlo lasciare da una donna (già c’è la faccenda di Lily, che sto cercando ancora di digerire) no, no, piuttosto la faccio fuori.





 
Top
J è
view post Posted on 16/5/2011, 00:37




Nuoooooooooooooooooooooooo!!!
Crudeleee..
Però sono egoista e ti dico, senza un minimo di pietà.. Meglio lei che lui!!! L'altra tua FF mi ha così spaventata che quando ho letto "prepara i fazzoletti" mi sono sentita gelare..
Cioè la scena è tristissima, però che dire.. Almeno hai concesso il primo bacio anche a lui ahahaha

No dai, complimenti vivissimi, lo so che tu ami follemente (quasi in modo cronico e malsano XD ) i finali tristi e strappalacrime, ma ti riescono così dannatamente bene, che chiudo un occhio.
Sei bravissima! E io leggerò le tue fic anche se sono tristi! Perchè ne vale la pena! :D
 
Top
Astry
view post Posted on 16/5/2011, 20:44




CITAZIONE (J è @ 16/5/2011, 01:37) 
lo so che tu ami follemente (quasi in modo cronico e malsano XD ) i finali tristi e strappalacrime,

Chi? Io???? :rolleyes:
Grazie comunque per avermi seguita fino alla fine, spero leggerai le altre mie storie, non sono tutte coi finali tristi, sai? -_-
Ho giusto cominciato a pubblicarne un'altra. :D
 
Top
41 replies since 14/2/2011, 13:37   465 views
  Share