Severus Piton & Alan Rickman Fan Forum

Silent Screams – Sotto il velo

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sar3tta89
view post Posted on 26/1/2009, 13:05 by: sar3tta89




[Nota:]Legata al Passato è un capitolo che scopre il lati del passato, non proprio tutti (se no che gusto c’è a scoprire qual è la verità?). Fa luce su la sorella Liliam, anche se a mio parere mette ancor di più ombra agli occhi di Severus che non si spiega cosa ci sia dietro al mistero della sorella maggiore.. per ora non mi è possibile dirvi altro.. vi dico solo di stare attenti perché la parte in corsivo è un sogno. Il capitolo tra l’altro inizia con un ricordo del passato, presumibilmente legato al sogno che fa successivamente Sarah, comunque sia il ricordo è legato a ciò che è accaduto nel suo passato, quindi non confondete il sogno con il ricordo ora vi lascio sperando che il capitolo sei vi piaccia ;) Bacione Sara










6. Legata al Passato







Un luogo pieno di luce, un luogo dove avevo sempre amato stare.

L’acquario della città, un posto dove la pace era assicurata. Mi piaceva starmene lì a fissare i pesci che boccheggiavano tra una vasca e l’altra.

In particolar modo amavo i delfini, quegli splendidi mammiferi erano veramente affettuosi e le loro voci erano sempre state melodiose alle mie orecchie.

Per una come me, l’acquario era il posto più tranquillo e mia sorella Liliam lo sapeva.

Liliam era più grande di me di dieci anni esatti, e in confronto a me era sempre stata molto diversa.

Lei aveva i capelli castano chiaro(io invece castano scurissimo tendente al nero corvino), i suoi occhi alternavano da un castano ad un color miele veramente meraviglioso – e tutto a seconda della luce, avevo sempre desiderato averli come i suoi e non castano chiaro tendente ad uno strano rosso ramato come lo erano i miei; Liliam era un ragazza veramente in gamba per i suoi vent’anni e si prendeva molto cura di me. Una donna forte e allo stesso tempo fragile. La sua vita era sempre stata modesta – si accontentava di ciò che aveva, e da quando aveva dovuto mantenere pure me, la sua vita aveva preso tutt’altra piega.

La sua vita era associata alla parola difficile, e alla morte della mamma, in un primo tempo non era mai riuscita a mantenermi come sperava. Ma non per questo cambiò il mio rapporto con lei. Papà era scomparso molto tempo prima della morte della mamma, e l’unico parente stretto era proprio lei. Liliam si sposò giovane con l’unico fidanzato che aveva da una vita: Jerard Constantine. Jerard era molto più grande di lei, una quindicina d’anni di più, ma tutto sommato era sempre stato un bravo uomo e quello che lei definiva l’uomo giusto.

A Jerard dovevo il mio tenore di vita – che cambiò radicalmente dopo il matrimonio, a lui dovevo i miei successi negli studi. Mi aveva sempre aiutata con i compiti e istruita a dovere in ogni materia. Mi aveva sempre spinto ad essere testarda per ciò che volevo ottenere, e ogni volta che seguivo il suo consiglio ottenevo ciò che volevo.. anche se.. non ottenevo proprio tutto!

Solo ciò che era indispensabile.

Jerard era un mago, impiegato al Ministero della Magia nell’Ufficio di uso improprio delle Arti Magiche, un mancato Auror per i suoi scarsi voti nelle materie specifiche per quel tipo di ruolo.

Mia sorella invece era una normalissima babbana e nonostante questo vedeva la magia nell’ottica giusta. Era fiera di essere moglie di Jerard.

E spesso sognavano di trasferirsi insieme in qualche cittadina del tutto magica, ma restando con i piedi per terra vissero a lungo nella casa dei nostri genitori a Londra.

Mi guardai intorno vedendo due vasche grandissime dove vi erano almeno una dozzina di delfini che mi attrassero molto. Mi avvicinai sorridente e accarezzai appena il dorso del mammifero. Una ragazza che calzava una tuta da sub mi si avvicinò sciogliendo i capelli biondi dalla coda.

“Sono meravigliosi, vero?” mi disse, accarezzando anche lei lo stesso delfino.

“Bellissimi” mormorai. Ricordo che a quel tempo avevo 15 anni, ed ero meno curiosa di quanto potessi esserlo stata tra gli 11 e i 13. La mia vita era cambiata moltissimo in quel lasso di tempo, e forse era questo il motivo della mia mancata curiosità. Prima la scomparsa di mio padre e le ingiustificate ragioni che mi venivano rifilate quando chiedevo di lui, poi successivamente la morte di mamma.. e insomma, tutti quei fatti avvenuti prima che avevano cambiato inesorabilmente la mia vita.

Il delfino sfilò per un po’ vicino a noi, finché non raggiunse gli altri che stavano in gruppo più lontani dal pubblico.

Liliam arrivò da dietro appoggiandomi le mani sulle spalle, e sfiorandomi in un bacio. “Andiamo?”

Annuii e la presi per mano, per uscire fuori dall’acquario dove ci aspettava Jerard in macchina.

Salimmo e percorremmo il ponte che passava sul Tamigi. Sentivo mia sorella discutere con Jerard per qualcosa riguardante l’omicidio di mia madre avvenuto due anni prima e Liliam voltandosi verso di me accertandosi che stessi dormendo – finsi di dormire non appena si voltò a guardarmi - proseguì:

“Sarebbe meglio parlarne a casa Jerard. Non mi sembra davvero il caso.” mormorò preoccupata.

“D’accordo.” assentì lui fissando lo specchietto retrovisore in mia direzione. Aprii gli occhi e incontrai il suo sguardo, i suoi occhi azzurri – come il ghiaccio – mi trafissero come lame.

Una volta arrivati alla nostra abitazione, aprii la portiera e mi divincolai verso l’interno della casa per sfuggire ad altri sguardi indagatori.

Adoravo Jerard e temevo spesso di deluderlo o farlo arrabbiare, e lui sapeva che la conversazione m’interessava parecchio perciò non mi fermò quando mi vide fuggire in camera mia.

Nessuno conosceva le mie facoltà, ma per qualche ragione sapevo che Jerard sospettasse qualcosa. Forse erano solo supposizioni le mie..

Da sopra sentii le voci attraversare il salotto, Jerard diceva che forse avevano trovato nuovi indizi e che finalmente ero stata tagliata fuori dalle indagini perché il mio alibi era stato confermato dalla mia amica Jenna.

“Sei sicuro?” chiese con una certa nota di preoccupazione Liliam.

“Sì tesoro” mormorò Jerard.

Sospirai e mi lasciai andare sul mio letto, mentre fissavo il mio riflesso sulla parete opposta. In due anni avevo temuto di fissare il mio riflesso per troppo tempo, per la sola paura di scorgere in me un mostro.

Sciolsi i capelli dalla treccia e pettinandoli continuai a fissare il mio riflesso. Gli occhi sussultavano di gioia. Non ero un mostro.

Quella notte dormii serena, mentre la pioggia scrosciava contro la finestra della mia stanza finalmente convinta di essere innocente.


*




Tre anni della mia vita scorsero veloci e passarono più in fretta di quanto pensai. Conclusi i miei studi a Beauxbatons, la scuola dov’ero stata ammessa sette anni prima - con notevole sorpresa da parte di Jerard e felicità da parte di mia madre (finché era ancora in vita) - nonostante fossi di Londra.

“Bentornata!” mi aveva detto al mio ritorno Jerard stringendomi forte. “Congratulazioni, Sarah! Sapevo ce l’avresti fatta.”

Mi baciò sulla fronte e mi prese per mano guidandomi nella vecchia cucina di casa mia. Avevo sempre apprezzato la sua vicinanza e al mio ritorno fui contenta di poter passare un po’ di tempo con lui a Londra.

Beauxbatons mi aveva istruita molto bene in quei sette anni, e finalmente pronta per la carriera sognavo grandi cose davanti a me.

Jerard quando gli parlai dei miei grandi progetti mi parlò di intraprendere la carriera di insegnante, poiché pensava fossi perfetta per un ruolo come quello. Liliam d’altro canto pensavi fossi perfetta per un ruolo d’ufficio al Ministero e mi vedeva già all’opera in qualche ufficio del Ministero della Magia.

Ah.. in mia assenza Liliam e Jerard avevano divorziato, e forse era quella la causa del loro disaccordo comune. Entrambi dicevano di saper loro cos’era la cosa giusta per me.

Ma nessuno si chiedeva cosa ne pensassi io? Non credo proprio.
Jerard ormai sull’onda dei quaranta esibiva la fronte stempiata e i capelli scuri avevano assunto un colore brizzolato, portava la barba - cosa che Liliam avrebbe di certo detestato, e il suo modo di vestire era diventato più trasandato. Nonostante ciò, i suoi occhi non erano cambiati di una virgola, sempre meravigliosamente azzurri come li preferivo io.

Quella settimana l’avrei passata a Londra da lui, dato che la settimana precedente non appena finii la scuola passai la prima settimana di vacanza con Liliam che viveva stabilmente in Francia da qualche tempo, dove aveva già conosciuto un raffinato chef francese. Un uomo che non sopportavo, poiché il paragone con Jerard non teneva proprio a mio parere. Ma Liliam preferiva ignorare i miei pareri in fatto di uomini, in quanto pensava fossi ancora troppo giovane.

Ero felice di poter stare nella mia vecchia casa, e felice ancor di più di stare con Jerard.

La penultima sera che passavo lì a Londra, Jerard aveva provveduto a prepararmi il mio dessert preferito la Teacle Tart(torta di melassa, panna e fragole), durante la cena – poco prima di passare al dessert – avevamo conversato sul suo lavoro.

“Insomma, è proprio stancante” aveva finito per dire mentre addentava un boccone “ capirai non appena avrai iniziato a lavorare anche tu.”
Sorrisi e mandai giù un po’ del succo d’arancia rossa.

“Jerard, potrei sapere perché tu e mia sorella vi siete separati? L’ho chiesto più volte a lei, ma ogni volta evita il discorso.”

Lui alzò gli occhi dal piatto e disse semplicemente: “Non mi amava più.”
Deglutii a fatica per mandar giù uno sguardo tanto sincero come il suo. Era proprio uno sguardo ammaliatore.

“E tu la ami ancora?” per una volta tanto mi sentii abbastanza gelosa di quella risposta, perché se avesse detto sì, avrei finito con l’invidiare mia sorella. Ma non perché provassi qualcosa per Jerard, anzi lui era sempre stato l’uomo della mia vita dalla prospettiva di una figlia. Jerard era il padre che non avevo mai avuto.

Liliam si era sempre rifiutata di parlarmi del mio vero padre, poiché per lei non era nulla.. non era suo padre. Sì, Liliam e io avevamo due padri diversi. Mia madre aveva avuto Liliam molto giovane con il suo primo marito e poi, non so per quale ragione lo lasciò per mio padre che a sua volta una volta che nacqui lasciò entrambe. Liliam non era fiera della mamma ne tanto meno del suo terzo marito per cui non provò altro che odio.

La mia nascita rovinò il primo matrimonio di mia madre, in poche parole ero colei che aveva portato disgrazia nella nostra famiglia.

Fortunatamente Liliam non la pensava così, aveva sempre detto fosse stata nostra madre l’irresponsabile e crudelmente aveva aggiunto una volta: “E la sua irresponsabilità è stata pagata di conseguenza con la sua stessa vita.”

All’epoca avevo dato molto peso a quelle parole e avevo anche provato a pensarla alla stessa maniera, ma successivamente mi ricredetti. Il vero significato di quelle parole era l’odio sconsiderato di mia sorella per nostra madre.

“Le voglio molto bene, ma non la amavo da tanto tempo. E questo valeva per entrambi.” disse mentre sparecchiava la tavola e portava i piatti da dessert.

“Come mai?” chiesi improvvisamente, più tardi, a metà della mia fetta di torta.

Lui mi gettò un’occhiata perplessa e scuotendo la testa confuso domandò: “Cosa?”

“Come mai..” iniziai non sapendo bene come porgli la domanda “.. tu e Liliam vi siete sposati, se il vostro amore non era forte abbastanza?”
Rise, e mi fece sentire vagamente un’idiota.

“Sarai anche più grande della tua età Sarah, ma sei ancora inesperta per quanto riguarda l’amore.”

Sbuffai fingendomi offesa, e lui si divertiva parecchio a prendermi in giro.

“A volte quando si è stati troppo a lungo insieme.. si crede di poter fare un passo ancora più grande.. e quel passo Sarah, è il matrimonio. Non ci si aspetta che condividendo la stessa casa nascano problemi e si scoprano cose che non si conoscevano dell’altro. Noi abbiamo capito che siamo stati tanto insieme solo per una motivazione.. e quella sei stata tu. E ora che sei cresciuta era venuto il momento di ammettere la verità.”

Lo guardai di sottecchi e vidi che sorrideva tranquillo. “Capisco” mormorai dopo un po’.

Più tardi mi alzai per andare a lavare i piatti e lui mi seguì. Era tradizione per noi – da quando si era separato da mia sorella, lavare i piatti una volta a testa mentre l’altro parlava di ciò che voleva. Quel giorno toccava a Jerard.

“Bene” sorrise sedendosi su una sedia affianco alla porta “di cosa possiamo parlare?”

Senza guardarlo concentrandomi sulla pentola dissi: “Chi ha ucciso mia madre, Jerard?”

“Sarah” disse preoccupato, mi voltai a guardarlo con le lacrime agli occhi.

“Ti prego” lo implorai.

Sospirò e acconsentì. “Che vorresti sapere?”

“Chi è il colpevole?”

“Non è stato trovato.”

“Sono stati impiegati anche gli Auror del Ministero?”

“Non era una strega, Sarah” disse spossato, appoggiando la testa alla parete.

“E quindi?” chiesi con una punta di rabbia.

“Sai benissimo come funzionano le cose.” Continuò tranquillo Jerard gettandomi un’occhiata di rimprovero.

“Liliam cosa ne pensa?” chiesi, pur sapendo che avrebbe potuto dirmi ben poco dato che erano due anni che non si parlavano.

“L’ultima volta che ne abbiamo parlato pensava che tu dovessi star fuori da questa storia, e saperne meno del meno. Anche se ho sempre pensato fosse sbagliato..”

Gli fui grata per la sincerità che mi riservava.

“Qualcos’altro?” chiesi mentre asciugavo un piatto con uno strofinaccio.

“Ma non doveva essere la mia giornata?” chiese Jerard ammiccando un sorriso.

Sospirai. “E che ho bisogno di sapere”







Questa frase mi risvegliò. Anche Severus aveva detto le stesse parole. Improvvisamente capii il suo senso di confusione e un po’ mi seccò essere dispiaciuta per lui.
Dispiaciuta per cosa poi? Perché non gli avevo dato delle risposte?
Alzai gli occhi insonnoliti per vedere di fronte a me la Sala Grande ancora vuota e alzai gli occhi verso il soffitto magico che mostrava una luce flebile, doveva essere mattino presto.
Accidenti!
Mi alzai di scatto quasi perdendo l’equilibrio e corsi in direzione della mia stanza. Non appena la raggiunsi notai con rammarico che erano le sette in punto. Mi sarei dovuta preparare in fretta per riscendere a far colazione e correre poi a lezione.
Richiudendomi la porta alle spalle sentii un rumore provenire dalla mia stanza, e con circospezione mi avvicinai a quest’ultima lentamente. Molto lentamente. Quando la aprii, vidi Jerard e con mio stupore balzò giù dal letto per abbracciarmi forte.
“Piccola” mi sorrise.
Quel sorriso splendente, quel piccolo sole che aveva reso la mia vita veramente piena di affetto e calore. Non credevo avrei desiderato così ardentemente rivederlo. Ma invece era proprio così.
“J-Jerard?” balbettai incredula, “che ci fai?”
Non lo vedevo da circa sei anni, e mi lasciò confusa rivederlo.
“Non sei contenta di vedermi?” mi sorrise e mi prese il viso tra le mani, mentre io continuavo a fissarlo come un’ebete. Mi accarezzò lentamente il volto.
Infine scrollai il capo e dissi: “Sì”
Lui sorrise e continuò ad accarezzarmi il viso affettuosamente.







Quella sera di sei anni prima, dopo aver concluso il mio botta e risposta con Jerard, proseguimmo la serata con la visione di un film scelto a caso come facevamo ormai ogni volta che terminavamo una cena.

Ricordavo ancora quel buon profumo di dopobarba che sentivo ogni volta che mi accoccolavo sul suo petto, stretta a lui come una bambina.

“E’ possibile che non possa mai iniziare con una famiglia felice?” dissi dando voce ai miei pensieri, Jerard di tutta risposta mi zittì posandomi una mano sulla bocca e io feci finta di morderla.

Lui rise e insieme ironizzammo quel momento di urla stridule. Quando il film finì, era molto tardi e il dover raggiungere la mia stanza per poi la mattina dopo andarmene e tornare in Francia da mia sorella, non era più molto allettante. Guardai Jerard alzarsi per spegnere la tv, e infine darmi la buonanotte.

Quando raggiunse le scale corsi dietro a lui, facendolo voltare nuovamente.

“Che c’è Sarah?”

“Non ho sonno” dissi avanzando di un passo.

“Leggi qualcosa, al piano di sotto dovrebbero esserci dei libri che potrebbero interessarti..”

“Domani torno in Francia da Liliam, e tu mi consigli di leggermi un libro?” dissi.

Lui evidentemente perplesso annuì.
“Non voglio leggere”

Jerard se ne stava impalato a metà della rampa di scala che portava al piano superiore, la maglietta nera attillata in cotone risaltava il suo vigoroso fisico e i pantaloni grigi ricadevano larghi sui piedi scalzi.
“Jerard” iniziai salendo il primo scalino.

“Sarah, io penso che tu dovresti riposarti.. domani devi essere fresca per il viaggio..” non ebbe tempo di finire che gli fui davanti, pronta a fronteggiarlo.

“Liliam ha sempre detto che eri un uomo meraviglioso, ma non quanto lo sei stato con me in tutti questi anni. Volevo dirti grazie..”
“Sarah” iniziò Jerard “tu sei..” fece una pausa e mi sorrise “.. stata la peste più carina che abbia visto crescere” e mi sorrise accarezzandomi una guancia.

“Mi mancherai” dissi in un mezzo singhiozzo, sapevo che una volta tornata in Francia lui sarebbe partito – così aveva detto – per affari che lo avrebbero portato via da Londra per un tempo indeterminato.

“Vorrei dirti che il tempo che ci dividerà non sarà infinito.. ma, non sarebbe la verità Sarah.” Vidi i suoi occhi azzurri incupirsi. Per qualche ragione che non mi spiegavo sentivo crescere un muro tra noi, sapevo che c’era qualcosa che non voleva dirmi e che mai mi avrebbe detto.

Lo abbracciai stringendolo forte. “Mi chiamerai?” bofonchiai tra un singhiozzo e l’altro.

“Lo farò ogni volta che potrò.” Affermò e mi sussurrò “Ti voglio bene Sarah. Ora vai a dormire.”

La mattina seguente, quando mi alzai scesi per le scale e Jerard con molta probabilità se n’era già andato via. Al piano di sotto mi aspettava Liliam, che mi preparava la colazione più sbrigativa che avessi mai avuto in tutta la mia esistenza. Era affaccendata tra i fornelli e l’odore di bruciato mi sollecitava a saltare la colazione. Quando arrivai era con le lacrime agli occhi.

“Liliam?”

Mi guardò appena prima di strofinarsi un braccio sugli occhi.

“Oh, sbrigati! Non ho tempo da perdere!” mi rifilò sbattendomi il piatto sotto il naso.

Mangiai con molta riluttanza e non chiesi niente su cosa succedesse nella sua testa.

Non so cosa accadde quel giorno, poiché il resto era solo ombra ai miei ricordi. Ma di Jerard non ebbi più notizie, non una chiamata.. non una lettera. Niente di niente.

Inizialmente ricordo di averne sofferto, ma via via che il tempo passava il dolore si attenuava. Non dico che sia sparito, ma era.. meno difficile parlare di lui con Liliam, che invece a differenza di me non era mai riuscita a superare la cosa.







“Sei morto?” chiesi confusa guardando Jerard davanti a me.
“Troverai le risposte dentro di te.” rispose tralasciando la mia affermazione.
“Cosa troverò dentro di me?” chiesi.
Una nuvole di luce sovrastò Jerard e ci divise in quella che non sembrava più essere la mia camera, ma un posto familiare.. un posto che però non ricordavo quale fosse.
“Lo scoprirai presto. Ciò che cerchi è la risposta a tutto ciò a cui sei legata. Ha a che fare con il passato stesso. Devi solo porti la domanda giusta, Sarah.”
La luce riempì il posto e Jerard scomparve, nonostante ciò, continuai a chiamare il suo nome.







Quando mi svegliai la luce penetrava tra le vecchie tende della mia stanza. Mi alzai e con un braccio tentai di scostarle, riuscendoci per metà. I caldi raggi del sole penetrarono nella stanca timidamente, guardai per un attimo il soffitto lasciando scorrere i pensieri verso il mio strano sogno. Che voleva dire Jerard?

Continuavo a ripensare alle sue parole: Lo scoprirai presto. Ciò che cerchi è la risposta a tutto ciò a cui sei legata. Ha a che fare con il passato stesso. Devi solo porti la domanda giusta, Sarah.

Ciò a cui ero legata.. ciò che aveva a che fare con il mio passato.. era possibile che fosse solo un sogno?

Stiracchiandomi mi alzai ed entrai nell’ufficio trovandoci con mia sorpresa Severus.

Irritata e sulla difensiva chiesi senza delicatezza: “Che ci fai qui?”

“Ben svegliata.” disse con noncuranza sfoderando un sorriso mellifluo.

“Ti ho fatto una domanda” insistetti con fermezza con le labbra contratte.

“Anche io te ne ho poste parecchie di domande, ma non per questo mi rispondi.” disse tranquillamente, sedendosi più comodamente – e accavallando le gambe rilassato - sulla mia sedia dietro la scrivania.

“Oh santo cielo..” mormorai scuotendo la testa e voltandomi per tornarmene nella mia stanza.

“Prima o poi dovrai dare delle risposte, Sarah.” disse in tono piatto.

Gli risposi dalla mia stanza mentre ero impegnata a cambiarmi.

“Piantala di chiamarmi per nome! Non siamo amici!” feci stizzita alterando appena il tono della voce in uno stridulo urlo.

“Credo tu abbia perfettamente ragione” concordò Severus con tono pensieroso. Scossi la testa infastidita e guardandomi allo specchio vidi i miei occhi cerchiati da sfumature bluastre.

Sospirai e mi avvicinai all’armadio per rovistare tra le mie cose. Con poca speranza cercai il mio beauty case, ma l’interno dell’armadio era sommerso da una confusione caotica. L’ordine non era sicuramente una mia abitudine.

Sentendo il silenzio non me ne preoccupai – anzi sentii i nervi sciogliersi e rilassarsi, sicuramente Severus si era arreso e se n’era andato via come al suo solito e quando ritornai nel mio ufficio per cercare la bacchetta lo vidi e mi sorpresi vederlo ancora lì in attesa. Mi guardò con finta indifferenza e attese, ma io lo ignorai completamente continuando a cercare nel cassetto. Quando trovai la mia bacchetta tornai nella mia stanza spedita, sapendo benissimo che lui seguiva ogni mio movimento e con un po’ d’irritazione spinsi la porta facendola sbattere.

Perché voleva insistentemente sapere di Liliam? E perché io durante la notte avevo sognato Jerard? E che diavolo significava quella sotto specie di indovinello?


Me lo chiedevo proprio. Una volta che trovai il beauty grazie all’uso della magia, riuscii a coprire le occhiaia e non m’importava nulla se Severus fosse l’unico ad averle viste.

Tornando nell’ufficio lo vidi poggiato sui gomiti, che mi scrutava. Rivolsi la mia attenzione altrove e dissi esasperata: “E’ mia sorella. Perché tanto interesse?”

“Un tuo ricordo la distingueva vividamente, ma per qualche ragione il ricordo si è interrotto.. credo ci sia di più.” disse con voce bassa mentre fissava i miei occhi stringersi a fessure.

“Di più? In che senso?” chiesi evasiva. I suoi occhi neri mi scrutarono a fondo, e aggiunsi prontamente: “Forse non hai visto abbastanza quella sera.. non sai quanto mi dispiace!” dissi con tono di sfida. Non me ne importava proprio nulla di quello che credeva o no di sapere.

“Più di quello che vuoi far credere, Sarah. Non è vero?” ammiccò un sorriso mellifluo e alzandosi mi passò affianco, “Negare non semplifica le cose. E finché non verrò a capo di questo enigma(accentuando in maniera particolare questa parola) non avrò pace.” e alla soglia aggiunse: “Questo è giusto perché tu lo sappia.”

E sparì come al suo solito lasciandomi inquieta. Perché doveva rendermi la vita impossibile?

Trattenni un urlo di frustrazione, pur sapendo che se ne avessi lanciato uno per libero sfogo sarei stata certamente meglio.

Quel giorno avrei ripreso le lezioni, ed ero già particolarmente nervosa di dover riaffrontare tutti e tutto e la sola cosa che ci mancava e che qualcosa andasse storto proprio quel giorno. Non potevo permetterlo.

Sapevo che il ragazzo sopravvissuto all’attacco della “cosa”, era ancora in infermeria sotto shock, e mi promisi di andarci non appena avessi finito di fare lezione.





Più tardi, entrai nell’aula quando gli alunni stavano ancora prendendo posto e chiacchierando scherzosamente tra loro, quando mi sedetti la classe aveva preso posto e si era fatta silenziosa.

Porsi un sorriso compiaciuto e incominciai: “So che abbiamo perso una settimana buona di lezione ragazzi, perciò da ora dovremmo impegnarci molto. Ci siamo intesi?”

Tutti in un coro sonoro dissero “sì”. Annuii e alzandomi passeggiai fra i banchi.

“Tirate fuori il libro, tenete pure la bacchetta sul banco – ci servirà nella prossima ora. Prendete piuma e pergamena. Desidero che durante le mie ore vengano presi numerosi appunti.”

Un alunno dai capelli neri e ricciolini alzò la mano: “Che argomento pensa di svolgere durante l’anno?”

Lo guardai e gli domandai: “Nome e casa?”

“Martin Smith, Tassorosso.” disse con fierezza, alzandosi in piedi e mostrando la sua bassa statura e il suo corpo esile.

“Martin, se tu avessi dato anche solo un’occhiata al libro durante questa settimana sapresti che gli argomenti sono scritti proprio là.”

Passandogli accanto aggiunsi: “Comunque sia, il programma verrà deciso in seguito alla vostra preparazione. Se avrete lacune passeremo più tempo su certi argomenti che su altri.”

Non appena Smith tornò a sedersi evidentemente seccato, tornai alla cattedra per sedermi ignorandolo.

Lupi mannari sarà il nostro argomento di oggi. Quello che dai babbani viene meglio considerato uno stato mentale – detta pazzia in parole povere – dell’essere umano.
Ma noi sappiamo che ci sono rinomati uomini del nostro mondo che sono veri e propri lupi mannari. L’influsso della Luna agisce sull’uomo mutandolo nella sua forma guida. Il tutto risale a tempi antichissimi, seppur ignoti.”

Martin alzò nuovamente la mano: “Si può contrarre questa malattia?”

“Sì, purtroppo se un lupo mannaro vi ferisce è molto probabile che presto possiate accorgervi dei cambiamenti, naturalmente per i non contagiati si tratta del piccolo 5% che deve ritenersi fortunato per non aver contratto la malattia.”

Un’altra ragazzina alzò la mano: “E’ possibile che gli omicidi siano stati commessi da un lupo mannaro?”

“Ne dubito, un lupo mannaro tende a sbranare ma non si porta via gli organi(il cuore in questo caso).. o meglio non li fa sparire. Ma questo a noi non deve interessare, di questo se ne occupano già gli Auror assegnati dal Ministero.” Tornai a guardare il libro e ripresi l’argomento cercando di deviare altre possibili domande sugli omicidi. “Il restante 95% che avranno la sfortuna di contrarre questa malattia potranno accorgersi dei cambiamenti – e questo s’intende prima della luna piena – dalla carne, che preferiranno mangiar cruda invece che cotta.. dalla forza brutale che potrebbe sopraffarli, dall’udito e dalla vista. Nel momento della trasformazione tutte queste doti si ampliano, e si aggiungono altri particolari come gli artigli affilati e.. i denti aguzzi.

Inoltre il lupo mannaro è noto come un essere molto intelligente che agisce d’astuzia.” Mi fermai e sentii il rumore delle piume scrivere. “Aprite il libro ragazzi a pagina 457, paragrafo 2.”

Lo sfogliare delle pagine per un attimo sovrastò l’aula e io mi lasciai attrarre per la prima volta dalle immagini animate che mostravano uomini che si mutavano in lupi mannari, in un’altra un lupo mannaro sbranava e squartava una preda della sua stazza – un orso.

Pensai per un attimo al primo omicidio a cui avevo assistito, e mi chiesi se potesse essere stato veramente un lupo mannaro a commettere i due omicidi.

Scossi la testa risvegliata da un alunno che alzava insistentemente la mano per attirare la mia attenzione. Gli feci un cenno di parlare.

“Professoressa, qui dice che i lupi mannari squartano e non lasciano possibilità di sopravvivenza.. ma divorano l’interno delle loro prede?”

Un pò nauseata all’idea, mi venne un’idea. “Bene,” dissi senza rispondere all’alunno “dato che la lezione di oggi ha stimolato parecchio la vostra curiosità per la prossima volta fate una ricerca su pergamena di almeno 50 centimetri. Potrete dividervi in gruppi di tre o quattro per poter dividere il lavoro. Inoltre dalla prossima volta vi interrogherò sull’argomento e sulla relazione che mi porterete. Ci siamo intesi?”

Tutti annuirono. Molto felice di aver portato a termine la mia prima lezione teorica, passai alla parte pratica. L’ora successiva volò e mi ritrovai a fine lezione ad annunciare felicemente la fine di quella lezione. “Ragazzi ricordate, la relazione per la prossima volta. Chi non la porta, riceverà un bello zero e una relazione doppia sui Mollicci – di cui parleremo nella prossima lezione.”

Quando la classe fu finalmente vuota mi sedetti un attimo e sfogliai il registro cercando di allontanare l’idea del lupo mannaro, cercando di non pensare a nulla che non fosse il mio lavoro.

Poi un ricordo risalì a galla e sconvolse in miei pensieri. Il ragazzino di Corvonero sopravvissuto al terzo attentavo avvenuto dentro alle mura di Hogwarts, prima di svenire mi aveva detto qualcosa e nonostante avessi l’udito decisamente sviluppato non avevo comunque compreso ciò che aveva detto. Cosa aveva tentato di dire?

Forse lui avrebbe saputo qualcosa sul suo aggressore. Presi la mia roba e con l’idea di chiedergli cosa volesse dirmi, mi diressi all’infermeria.

Quando entrai vidi un uomo e una donna davanti al letto del giovane ragazzo. Mi avvicinai attirando l’attenzione di entrambi, che si presentarono educati. Prima la donna, dai capelli di un biondo spento e l’aria trasandata e successivamente un uomo dal bell’aspetto e l’aria di uno che ha molta importanza.

La donna si chiamava Elisabeth McColt e l’uomo Harold Fynnes, non erano altro che i genitori divorziati (l’avevo dedotto dal fatto che la moglie mi aveva dato il suo cognome da nubile, anziché quello di suo marito) del giovane Corvonero che stava sdraiato a letto addormentato.

“La professoressa McGranitt?” chiese il signor Fynnes, dopo essersi presentato.

Sorrisi e precisai immediatamente chi ero.

“Ah mi scusi, signorina Morgan. La professoressa McGranitt aveva detto che stasera sarebbe passata, per scambiare due parole. Non abbiamo ancora fatto la sua conoscenza. Un mio collega dice che è una brava donna ed è molto competente, e perciò mi fido.”

“Sì la McGranitt è una brava donna.” Conclusi sorridendo e poi aggiunsi guardando il ragazzino che dormiva nel letto dell’infermeria “Scusatemi sono passata di qui, per fare delle domande a vostro figlio.. ma vedo che dorme e non vorrei disturbarlo.. perciò vi dispiace se faccio qualche domanda a voi?”

La signora McColt scambiò uno sguardo preoccupato con il signor Fynnes, e strinse la mano del figlio con maggior vigore. Posai lo sguardo altrove in attesa di risposte. L’infermeria era vuota, c’eravamo solo noi e il ragazzo che dormiva.

Il signor Fynnes quando tornai a guardarlo si stava passando una mano pallida tra i capelli brizzolati e mi stava sorridendo socchiudendo appena gli occhi scuri.

“Ma certo. Se può essere utile per il bene di Edward..”

Annuii. “Sì, potrebbe. Vostro figlio aveva qualche nemico all’interno della sua classe?”
“Oh no!” disse subito la signora McColt sbarrando gli occhi spaventata.
“Perché mai Edward doveva avere dei nemici all’interno della sua classe?!” chiese evasivo il signor Fynnes.

“Sono particolari importanti, signor Fynnes. Lei più di me potrà capire che è fondamentale arrivare a capo di questi problemi.. e volevo sapere, se ha detto qualcosa di importante sul suo aggressore.”

La signora McColt scosse la testa: “Non parla da quando è stato portato in infermeria.. è sotto shock” e sottovoce mormorò “il mio povero bambino” mentre carezzava il dorso della mano del figlio che stava distesa lungo il fianco. “Mi scusi, ma lei non è un Auror! Che c’entra un’insegnante con lo svolgimento delle indagini?” chiese improvvisamente la signora McColt, lasciando la mano di Edward che ancora dormiva beatamente, mentre si alzava irritata.

Prima che potessi aprir bocca per rispondere, una voce familiare alle mie spalle disse: “Signorina Morgan?”

Mi voltai arrendevole sapendo chi fosse. “Sì?”

Guardai dritto negli occhi la faccia paffuta di Clarence Wilson che mi guardava sospettoso con gli occhi grigiastri stretti a fessure. Strinse la mano ai due genitori del ragazzino e poi mi guardò quasi sorridendo.

“Potrei parlarle un attimo.. in privato?”

Assentii, scusandomi con il signor Fynnes e la signora McColt che furono evidentemente sollevati di essersi in qualche modo liberati di me.

Camminai a capo chino dietro Wilson e quando m’invitò ad uscire dall’infermeria lo fissai finché non richiuse le porte alle sue spalle.

“Mi dica” una volta che fummo lontani da occhi indiscreti Clarence Wilson tirò fuori il suo taccuino e la sua penna magica, che iniziarono a scrivere morbosamente non appena furono liberati dalla presa possente delle grandi manone del vecchio Auror.

“Perché porge delle domande ai genitori del ragazzo?” chiese tirando fuori gli occhiali da vista dalla giacca nera che indossava quel giorno. Li pulì minuziosamente e se li mise, mentre tirava fuori un altro foglio e lo teneva basso lungo il fianco.

“Io..” non riuscii a trovare le parole e prima che potessi rifilargliene alcune, Clarence chiaramente soddisfatto che non trovassi una scusa adatta alzò il foglio fin sopra il mento coprendo così i lunghi baffoni.

“Il decreto ministeriale numero 13 e comma B, dichiara che tutti i sospettati o possibili sospettati e vittime di attentati devono attenersi alla prassi che potrà comprendere le seguenti: sottoporsi all’interrogatorio dei soli membri incaricati dall’unico e solo Ministro della Magia, e lasciare che questi svolgano il loro lavoro senza essere ostacolati da terzi. Nel momento in cui il decreto venisse violato le conseguenze potrebbero essere le tali: essere sottosti ad un udienza disciplinare e giudicati in base all’accusa di «ostacolo alla legge emessa dal Ministero della Magia in persona» ed essere spediti ad alla Prigione dei Maghi” e sorridendo aggiunse “meglio conosciuta con il nome di Azkaban.”

“Ma è assurdo!” dissi improvvisamente vedendo il viso paffuto di Wilson diventare paonazzo.

“Il Ministero della Magia ha leggi molto semplici, se lei non desidera seguirle la aspetta l’udienza disciplinare per ostacolo alla legge, signorina Morgan. Mi pare di esser stato chiaro su questo punto... o mi sbaglio?” mi lanciò un’occhiata truce e io ricambiai. “Chiarissimo” dissi allontanandomi furiosa.

Era possibile che con tutte le persone che dovevano entrar in quel momento nell’infermeria, dovesse essere proprio Clarence Wilson?!

Mentre me ne andavo verso il mio ufficio, dalle finestre che si affacciavano al prato della scuola vidi Silente e la McGranitt fermi quasi all’entrata della scuola a conversare con i loro soliti modi tranquilli.

Poco dopo anche Severus si unì a loro. Per un attimo mi domandai di cosa parlassero, ma quando Severus alzò gli occhi verso la finestra incontrando i miei mi allontanai in direzione del mio ufficio cancellando anche solo il pensiero.

Per quel giorno di Severus Piton, di enigmi, di Auror e di domande.. ne avevo abbastanza. Mi sarei riposata quel giorno e più tardi avrei pensato a tutto, compreso il mistero dell’enigma.

 
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106 replies since 30/12/2008, 22:27   1559 views
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