Severus Piton & Alan Rickman Fan Forum

Silent Screams – Sotto il velo

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sar3tta89
view post Posted on 8/1/2009, 21:59 by: sar3tta89




E rieccomi! Spero che l'attesa non sia stata troppa, o che in tal caso ne sia valsa l'appena attendere... Lo spero davvero ^.^
Vi ringrazio per i vostri commenti, ma di più per il fatto che leggete questa ff.

Con Questo:
Buona Lettura ;)




p.s. Come farei senza la mia beta?! G R A Z I E!







3. Scuse Sospette




Giunta alla lezione delle undici e mezza, entrai nell’aula dove gli alunni di Serpeverde e Grifondoro del quarto anno mi aspettavano per una delle lezioni sui Patronus.

Ma non ebbi modo di iniziarla, poiché nell’aula irruppe la persona che meno mi sarei aspettata di vedere dopo quel che mi aveva fatto.

Severus Piton.

Percorse a grandi passi l’aula gettando occhiate malevoli verso gli alunni mormoranti, fino a raggiungere la cattedra da cui non mi ero mai alzata. Tenevo gli occhi puntati su di lui in uno sguardo aspro, tuttavia lui parve solamente esserne compiaciuto e in un gesto celere si sporse verso di me poggiando le mani sulla cattedra.

“Da quando, noi avremmo una relazione?” mormorò ad alta voce mellifluo, attirando su di sé l’attenzione di tutti.

I miei pensieri subirono una leggera scossa, o meglio un’incredibile frenata tanto da urtare contro un muro invisibile.

Ancora stordita lanciai un’occhiata oltre le spalle degli alunni che tendevano le orecchie verso di noi e ci guardavano interessati.

“Allora?!” fremette Piton – questa volta a bassa voce, risvegliandomi da quello stato catatonico.

“Noi.. cosa?” chiesi sbalordita e agghiacciata da una simile possibilità.

Non avrei osato uscire con lui, nemmeno se fosse stato l’ultimo uomo sulla Terra.

“Il nostro Auror Clarence Wilson, va dicendo che nascondiamo una relazione segreta.”

“Dannazione! Che idiota!” mormorai, ma Severus sentendo quelle mie parole si rilassò.

“Hai parlato di ieri sera?” chiese togliendo le mani dalla cattedra per riprendere una postura eretta.

Guardai nuovamente dietro le spalle e infine lanciai uno sguardo d’intesa a Piton, che si voltò immediatamente verso le due case. Gli alunni che sussurravano tra loro – chissà quali argomenti - si immobilizzarono al solo sguardo del professore.

“Potete tornare nelle vostre rispettive Sale comuni. La lezioni di oggi non si terrà.” E guardando gli alunni sbalorditi ma impietriti dalla curiosità, continuò “Andate, prima che vi costringa a fermarvi e che vi assegni compiti extra.”

Gli alunni sparirono in un batter d’occhio, e quando Severus tornò a guardarmi lo invitai a sedersi. Ma preferì rimanere in piedi, così da poter tenere la situazione sott’occhio.

Mi guardava in attesa di una risposta, leggermente irritato da tanto indugio.

Lo guardai decisamente seccata da quella situazione che si era creata, e annuii.

“Sì, ho parlato di ieri sera. Che ci siamo visti per via di una banale incomprensione.”

Esplose in una strana risata, che non riuscii bene ad interpretare.

“Banale incomprensione? Non avevi scuse migliori?”

Non riuscii a reprimere la frustrazione e sbuffai sonoramente.

“Insomma, ho capito che non mi sopporti. E se ti fa piacere saperlo” mi alzai avvicinandomi a lui che distava da me pochi passi e quando fu ad un palmo di mano dal mio viso “la cosa è reciproca”.

Non so cosa mi prese, forse il pensiero di quel che mi aveva fatto che riaffiorava. Il desiderio di potergli far capire in qualche modo il mio incondizionato odio e che da quel momento in poi avrebbe ottenuto nient’altro che indifferenza. Ma per qualche ragione non mi sapevo comunque spiegare se fosse realmente, e solo, per quella motivazione.

E niente mi vietò di pensare che in realtà poteva essere stato il suo andarmi sempre contro.

Nel mentre che i miei dubbi scorrevano liberi come il vento, Severus non si era mosso.

Non sorrideva, non muoveva gli occhi dai miei, non diceva una parola.

Mi spaventò quel silenzio e quell’immobilità riportandomi inevitabilmente al ricordo di ciò che era successo la sera prima, quando mi aveva letto la mente senza che glielo consentissi volontariamente.
Distolsi improvvisamente lo sguardo e gesticolando quasi scottata da un fuoco incorporeo, iniziai a lanciare accuse contro di lui.

“Sei un infame!” gli dissi, lui improvvisamente si mosse poiché avvertii l’aria spostarsi intorno a me.

“E perché mai?” era tornato incredibilmente ironico, e mi guardava con vago divertimento.

Alzai gli occhi per guardarlo. “Sai benissimo per cosa! Non avevi alcun diritto di abusare di me!”

“Abusare? Non ti ho nemmeno mai sfiorata.” Quel suo tono tranquillo e distaccato mi parve una lama di rasoio che raschiava contro una
lavagna, davvero insopportabile.

Mi avvicinai nuovamente – e pericolosamente – a lui, con mio disappunto non si mosse e l’espressione non era altro che un mondo a me impenetrabile.

“Smettila” ordinai davvero furiosa, cercando di mantenere quel poco autocontrollo che mi era rimasto.

“Di fare cosa?” si avvicinò.

Lo guardai scettica al fatto che ormai l’unica cosa che ci divideva dal vero contatto fisico erano gli abiti.

“Di cercare di leggermi la mente.” sussurrai a denti stretti cercando di allontanarmi da lui.

Lui al contrario di me si avvicinava e voltandosi sfilò la bacchetta per chiudere prepotentemente la porta.

“Cos..?” non ebbi modo di concludere, poiché mi spinse contro la cattedra che stava proprio dietro di me.

“Rimani seduta!” mi ordinò, sistemandosi la camicia e il mantello.

Lo guardai inorridita, più andava avanti quella strana situazione più avevo il timore che in qualche modo non ne sarei uscita illesa.

“Sarah” era la prima volta che mi chiamava per nome, e sentirlo pronunciare dalle sue labbra con tanta risolutezza mi provocò un brivido che mi percosse il corpo, come la scarica elettrica che avevo subito qualche minuto prima per la notizia falsa che circolava su di noi.

“Vorrei che tu capissi la gravità che questa situazione potrebbe avere in futuro..” disse pacato sedendosi a sua volta sulla cattedra, affiancandomi.

Non dicevo una parola, ero ancora impietrita da quel suo brusco comportamento. E in fin dei conti non riuscivo a dire una sola parola che non esprimesse odio e disgusto.

“Il primo omicidio è avvenuto la sera in cui tu, sei arrivata qui.”

E a quel punto i suoi occhi neri fissavano i miei. Scossi la testa, e aggrottai la fronte.

“Credi che io sia la causa.. di.. di questi omicidi?”

Avvicinò il suo viso al mio, in una maniera disdicevole alla situazione, ma per quanto fosse fuori luogo non riuscii a sottrarmi a quel contatto così ravvicinato.

“Non lo credo, ma tu spiegami.. come hai certe percezioni?”
Sapevo già che lui potesse aver scoperto il mio segreto, ma sentirglielo dire mi diede una sferzata ai ricordi dimenticati del passato.

Aprii la bocca per dire qualcosa, ma la richiusi immediatamente. Cercai di indirizzargli uno sguardo di rinnego, ma in qualche modo in quel piccolo istante mi pareva più umano di quando mi aveva gettato sulla cattedra poco prima. Era lì, ad un palmo di mano dal mio viso e non faceva nulla, mi guardava con il respiro rilassato e potevo percepire ogni suo sospiro.

Ma sapevo anche di non riuscirci proprio. Confidare la provenienza delle mie percezioni uditive, che scaturivano da qualcosa oltre la normale comprensione umana; e Severus per quanto fosse animato da istinti prevalentemente selvaggi – nei miei confronti, era pur sempre un essere umano. Il mio segreto doveva essere nascosto, protetto.

Il solo sapere avrebbe causato morte, e sofferenze. Era già successo in passato. E forse era proprio per quello che in fin dei conti non avevo mai lasciato Londra; non solo per l’ansia che mi provocava l’attesa, ma perché io stessa dovevo proteggere non solo me stessa, ma anche gli altri da conoscere un segreto più terribile di quanto qualcuno si sarebbe mai immaginato.

“Non posso” dissi incurante del suo sguardo contrariato, mi alzai lentamente e raccogliendo le pergamene cadute a terra (quando avevo urtato contro la cattedra) lo sentii andare via, senza dire nulla. E la cosa in qualche modo mi lasciò davvero perplessa.




La sera stessa, ero veramente stanca solo per sfuggire ai continui sguardi indagatori e le domande inopportune dei miei colleghi.

Nascondi davvero una relazione con Piton?” mi avevano chiesto più persone, e avevo riso ogni volta che potevo, e ogni volta avevo ottenuto uno sguardo confuso oppure sempre più accusatore. Ed era per quello che avevo passato l’intera giornata a sfuggire a tutti.

Le mie lezioni erano state rimandate tutte dal grande uomo che è Silente, per proteggermi da altri inutili interrogatori. Aveva detto: “Con il tempo passano anche le panzane, vedrai che al tuo ritorno in aula sarà rimasto soltanto un brutto ricordo sbiadito dell’accaduto. Una settimana è ciò che serve per aiutare queste voci ad essere arginate.

E così mi ritrovavo dopo solo una settimana dal mio arrivo al punto da capo, ovvero del tempo libero da spartire in qualche maniera.

Per quanto ne sapevo il professor Piton, al contrario mio, avrebbe proseguito le sue lezioni senza problemi. Ma lui che problemi poteva avere, quando Clarence andava dicendo che ero stata io a confessare la mia relazione segreta con Piton?

E considerando il rispetto – e la paura- che incuteva Piton negli allievi e colleghi, dubitavo che qualcuno potesse avere il coraggio di fare gli interrogatori a cui invece non esitavano a sottoporre me.

Sbuffai stravaccata sulla mia sedia in pelle di drago rosso scuso, guardai la scrivania e vidi un malloppo di pergamene da correggere.

“Non ho altro da fare..” e mi rassegnai iniziando a correggere la prima pergamena.

Quando fui a metà del lavoro sentii bussare alla porta. Mi fermai e guardai verso la porta per poi spostare l’attenzione sull’orologio a pendolo al fianco della porta.

Mezzanotte in punto.

Chi diavolo bussa alla mia porta a quest’ora della notte? pensai irritata.

Mi alzai e mi avvicinai lentamente accostando l’orecchio alla porta.

Sentii un respiro lento, regolare e.. familiare.

Sembrerà stupido, ma io riuscivo a distinguere una persona da un’altra anche solo per un loro sospiro.

Aprii appena l’uscio – il giusto per affacciarmi, e mi sporsi guardando il viso di Severus illuminarsi dall’onda di luce che avvolse il corridoio buio.

“Che vuoi?” chiesi secca, senza alcun giro di parole.

Mi sorrise appena. “Posso?” fece per fare un passo in avanti, e scossi il capo immediatamente.

“Devo parlarti.” Si guardò intorno e aggiunse “In privato.”

Sospirai e mi spostai lateralmente per aprire la porta, e farlo entrare.

Severus entrò e si richiuse la porta alle sue spalle, mentre io facevo il giro della mia scrivania per riprendere il mio posto.

Con un cenno assorto lo invitai a sedere, anche se effettivamente mi faceva davvero sentire a disagio essere lì – sola – con lui.

“Volevi dirmi?” colsi il momento, sperando se ne andasse il più presto possibile.

Lo guardai appena, tornando sulle mie correzioni.

“Vorrei scusarmi per l’altra sera” scorsi l’ombra di un sorriso, e vidi che mi porgeva una tazza di tè caldo. Inarcai un sopracciglio stupita, e presi la tazza di tè portandola subito alla labbra per berne un sorso.

Notai che mi fissava, forse in attesa di una risposta. Nel frattempo sorseggiava anche lui del tè dalla sua tazza.

Realizzai che Severus mi aveva davvero chiesto scusa, e per quanto fossi arrabbiata con lui per ciò che era successo in precedenza non riuscivo a non perdonarlo.

Sorrisi e annuii. “Mi fa piacere.. sapere che anche tu, riconosci i tuoi errori.”

Alzandomi persi l’equilibrio e ricaddi sulla sedia. Forse ero più stremata di quanto pensassi.

“C’è qualcosa che non va?” mi chiese pacato, lasciando la sua postazione.

Non ebbi il tempo di rifiutare che Piton mi aveva già cinta al fianco, quando tentai di rialzarmi.

“Credo di essermi stancata troppo” mormorai con improvvisa consapevolezza della mia voce roca. Severus stette in silenzio e mi prese in braccio con la stessa agilità di quando mi aveva spinta contro la cattedra nella mia classe.

Aggirò la mia scrivania nell’ufficio con immensa facilità, e aprì la porta della mia stanza. Nel momento in cui l’aprì mi resi conto che un uomo solo in vita mia era entrato nella mia camera da letto, e mi sentii davvero più stupida di quanto pensassi e mi sentii davvero stupida perché sulle mie guance affiorò un improvviso rossore: segno del mio evidente imbarazzo.

Ma almeno a quello, Severus fece finta di non accorgersene.

Perché era così imbarazzante trovarmi con lui in una camera da letto?

Era semplicemente stato gentile nei miei confronti, e mi stava per lasciare sul mio letto perché non riuscivo a camminare.

Mi distese sul mio letto e mi guardò in maniera del tutto disinteressata ad ogni mia sorta di pensiero.

Era piegato, proteso verso di me e lo guardai sdraiata sul letto senza dire una parola.

Mi sentivo tanto una bambina, il cui genitore le stava per rimboccare le coperte. E con mio stupore mi coprì veramente.

“Non..” cercai di dire, ma in meno che non si dica ero sotterrata dalle coperte sino al meno.

Sorrise beffandosi della situazione. “Molto carina” e lo sentii ridere mentre si allontanava, ma per qualche ragione lo fermai.

“Aspetta!”

Sebbene fossi certa di non sopportarlo affatto, di essere convinta che il mio fosse odio vero e puro, l’avevo fermato veramente perché volevo che lui restasse ancora.

Ma quando si voltò mi disse: “Notte” e rise, richiudendosi la porta alle sue spalle.

Che comportamento da demente, pensai stizzita. Cosa mi era mai passato per la testa?!

Non lo sapevo. Era quello che m’infastidiva. Nonostante tutto, mi addormentai decisa a non risvegliarmi prima del giorno seguente.







Durante la notte mi sentii in una sorte di dormiveglia, che mi faceva aprire le palpebre appesantite dalla stanchezza. Quando fui sicura di essere abbastanza stanca, provai ad abbandonare la posizione fetale che avevo assunto per comodità e mi girai con molta difficoltà a pancia in su.

Quando aprii gli occhi rimasi sconcertata, decisamente premuta contro il materasso per lo stupore. Un’ombra mi sovrastava, e le incantevoli labbra fine si arcuarono in un mezzo sorriso vedendo i miei occhi sgranarsi improvvisamente privi di ogni sonnolenza.

Tentai di respirare, ma anche quello evidentemente mi riusciva difficile.

Teneva le mani poco più sopra le mie spalle, ed era chino a guardarmi.

Non vedevo nulla di lui, se non i contorni toccati dai raggi della luna.

Quando stavo per aprire bocca mi posò delicatamente due dita contro le labbra, e con l’altra mano iniziò a sfiorarmi seguendo la linea delle sopracciglia, per scendere verso gli zigomi poco accentuati e scendere verso le mie labbra. Si soffermò a lungo su quelle.

Potevo sentire ogni sussulto che mi facevano fare le sue mani fredde sulla mia pelle calda, ma nonostante ciò era tutto così piacevole.

Lasciai che quell’ombra prendesse posto accanto a me, e lo fissai sdraiandomi di lato. Continuava a guardarmi a sua volta, nei suoi occhi guizzava la luce della luna che batteva sulla finestra accanto a letto.

“Perché?” chiesi, lasciando che mi venisse più vicino sotto le coperte.

Non rispose, lasciò che le sue dita seppur un poco ruvide scivolassero lungo l’incavo della gola provocandomi una specie di grugnito. Abbassai gli occhi completamente paralizzata.

Lui rise sottovoce, e i suoi movimenti lenti passarono ai miei capelli con cui giocherellò un po’.

Mi avvicinai con circospezione al suo petto, e senza chiedere il permesso ci appoggiai il capo con delicatezza e stetti in ascolto.

Il suo cuore batteva i colpi a ritmo intenso, passai le dita sulla camicia e la sbottonai lentamente con molta pigrizia. La sua mano fermò la mia, costringendomi ad intrecciare le mie dita alle sue. Fu una cosa molto strana, era davvero tanto tempo che non dormivo con un uomo.. e il fatto che ce ne fosse uno nel mio letto mi rendeva decisamente su di giri, ma la cosa che non concepivo era: perché un uomo che odiavo tanto era nel mio letto?

Lo desideravo davvero così tanto?

Mi fermai, allontanandomi da lui. Socchiusi gli occhi e poco dopo risentii il suo respiro sulla mia pelle. Stavamo giocando? Quella era una probabilità.

“Rispondimi..” mormorai con voce impastata dal sonno.

Mi avvolse tra le sue braccia stringendomi al petto. E non sapevo il perché, ma ero davvero serena.

“In qualche maniera Sarah, non riesco a respingerti..” la sua espressione s’infittì “.. e mi snerva.”

Mi alzai poggiando su un gomito e giocando con il colletto della sua camicia, lo guardai facendo vagare lo sguardo sul suo viso più pallido sotto la luce fioca della luna.

Sorrise nuovamente, la sua espressione era davvero una cornice di beatitudine in quel momento, cosa che non si poteva dire durante la giornata.

“Per cosa sei venuto questa sera?” e mi soffermai un attimo per poi aggiungere “Sii sincero!”

Sospirò e divagò per qualche momento.

“Sai..” disse sfiorandomi i capelli in una carezza “.. non credo di essere mai stato più sincero con una persona.” mormorò.

Sorrisi e risposi: “Nella maniera più assoluta” concordai.

Improvvisamente si soffermò con le dita sulle mie labbra e fissandole prese a parlare lentamente.

“Contro ogni regola avrei voluto baciarti quella mattina.. in quella classe..” corrugò l’espressione e poco dopo la rilassò in un altro sorriso “.. ed è allora che hai detto «Non posso», ma il tuo segreto in quel momento mi era parso privo di interesse davanti all’idea di.. baciarti. E per quello che sono andato via.”

Deglutii la cosa a fatica, e mi ritrovai involontariamente più vicina al suo viso. Non mi ero accorta che mentre lo ascoltavo mi ero comodamente sdraiata nuovamente sul suo petto.

Mi accorsi poco dopo che la camicia era aperta sul suo petto, evidentemente avevo giocherellato abbastanza da sbottonarla.

Trattenni il respiro e pregai di non arrossire, per non tradirmi proprio in quel momento.

Mi strinsi a lui senza ben sapere cosa stava succedendo, ma istintivamente mi sentivo più protetta, più possessiva.. più legata a lui di quanto potessi immaginare.

L’odio forse non era altro che un sentimento contrario a ciò che pensavo di provare, e Severus non fece altro che stringermi, confermando il fatto che in qualche modo il nostro era stato amore a prima vista.






La mattina seguente al mio risveglio trovai il letto vuoto, tastai più volte per essere sicura di questo. Sdraiandomi nuovamente sulla schiena a guardare il soffitto, sospirai e sentii un dolore acuto trapassarmi. Mi sentivo a pezzi.

Cercavo di realizzare se la notte precedente fosse stata solo uno strano sogno, mi guardai al fianco verso il comò e presi un bicchiere d’acqua.

Mandai giù una sorsata, il sudore imperlava la mia fronte e per qualche ragione sentii le braccia e il resto del corpo intorpidito.

Scattai in piedi, infuriata, prendendo la mia roba. Avevo realizzato una realtà che non mi piaceva affatto, e mi portava nuovamente ad essere furiosa.

Severus non era mai stato nella mia stanza, le mie erano state altro che semplici allucinazioni.

La cosa che più mi faceva arrabbiare era che le mie allucinazioni provenivano da una sola risposta: ero stata drogata.
 
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